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Autore: lasognatricenerd    05/12/2018    0 recensioni
Changkyun è uno studente di lettere moderne, abituato ormai a frequentare la biblioteca ogni giorno, ma non oltrepassa la soglia di quell'edificio solamente per studiare; c'è un altro motivo che lo spinge, ogni giorno, ad alzarsi presto e ad essere lì quando la biblioteca è ancora estremamente vuota. // showkyun
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Una piccola luce articifiale s’accese nella stanza immersa nel buio, e qualche secondo dopo, non fu solo quella a riempire le quattro mura, ma anche una musichetta che sarebbedovuta essere lieve e rilassante, ma per chi l’ascoltava di prima mattina – e cazzo, erano solo le sei e mezza! – non era altro che una melodia assordante e noiosa. Una mano di media lunghezza spuntò improvvisamente da sotto le coperte e, a tastoni, spense la musichetta che ascoltava ogni maledetta mattina ormai da più di un mese; quella sessione d’esami lo avrebbe ucciso e chissà se arrivare alla laurea fosse stato un obiettivo raggiungibile in poco tempo. Dopo qualche minuto di silenzio, le coperte furono violentemente lasciate di lato ed il corpo del ragazzo, ancora addormentato, si posizionò in modo eretto sul letto. Uno sbadiglio, due, tre, le braccia e la schiena vennero sgranchite e poi le gambe messe in moto, dirigendosi verso la finestra. Alzò la tapparella, aprì il vetro e prese una grande boccata d’aria d’aria fresca, osservando il tempo fuori: ormai neanche faceva più affidamento sull’app del meteo che aveva sul cellulare, ma aveva preso l’abitudine d’alzarsi, guardare fuori e tirare ad indovinare. Quel giorno c’era un sole che spaccava le pietre, seppur fossero quasi a dicembre e a Seoul aveva appena nevicato, ma questo non significava che il cielo non sarebbe stato sereno per tutto l’inferno. Essendo meteropatico, sentiva molto la presenza del sole o della pioggia, e riusciva sempre ad alzarsi più positivo se i raggi del sole raggiungevano il suo viso. Dopo qualche secondo speso ad osservare il paesaggio fuori, si diresse verso il bagno per fare una doccia veloce e poi vestirsi con i capi del giorno prima. Alle sette fu pronto per uscire di casa e andare a fare colazione in un bar vicino a casa, quello che ormai lui chiamava ‘bar di fiducia’. Infatti, come ogni mattina, prese una briosche al cioccolato, un caffè macchiato ed un succo di frutta alla pera, godendosi al meglio quel momento per sé stesso, controllando il telefono e le varie notifiche che gli erano arrivate dai social. Era felice che il suo nuovo scritto fosse piaciuto così tanto: aveva deciso di scriverlo in piena notte, senza alcun tipo di prospettiva, ma si sapeva che per gli scrittori, le ore più buie, erano anche quelle più produttive, e la gente sembrava piacevolmente sorpresa. Dopo aver mangiato, bevuto e pagato, uscì velocemente dal bar – salutando dolcemente la barista, ormai sua amica – e si diresse verso la meta che ormai frequentava costantemente ogni giorno: la biblioteca. Quel luogo lo faceva sentire al sicuro e gli dava abbastanza carica per aprire i libri, il pc – quando serviva – e studiare per ore ed ore senza staccarsi troppo né la mente né gli occhi. Gli esami doveva superarli tutti, perché alla sua laurea mancava davvero poco ed odiava pensare di poter rimanere indietro rispetto agli altri.

«Ehy, Changkyun, buongiorno» sussurrò una ragazza con una pila di libri in mano, passando vicino all’altro, appena entrato nella biblioteca. Quest’ultimo le fece un sorriso sincero e dolce, togliendosi la sciarpa ed inclinando il capo per buona educazione. Lei era Sharlyn, una delle bibliotecarie che lavoravano in quel posto e che aveva conosciuto quando aveva dovuto chiedere un libro sull’antica grecia. Lei gli aveva chiesto cosa stesse studiando e a quel punto era partito un discorso filosofico sulle scienze, sulle letterature, e sul fatto che ognuno dovesse scegliere il corso di studi che più preferiva, senza sentirsi obbligato da qualcun altro. Così erano diventati amici e con il tempo, visto che Changkyun frequentava moltissimo quel posto, avevano preso a vedersi anche fuori da quelle mura piene di libri, seppur entrambi amassero profondamente quel posto come se fosse casa propria.

«Buongiorno anche a te. Cosa si dice, oggi?»

«Come ieri, ovviamente ancora niente! Arrivi sempre troppo presto. Forse per mezzogiorno sapremo qualcosa di nuovo.»

Changkyun le sorrise nuovamente e poi l’oltrepassò per andare nel suo solito posto, quello un po’ più isolato, che si trovava dopo chissà quanti corridoi e quante scale, nel reparto dei libri antichi: quest’ultimi non potevano essere presi in prestito, ma solo consultati in libreria. Changkyun non è che amasse particolarmente quel tipo di libri – a parte per il loro odore – ma c’era qualcos’altro che…

«Ehy, buongiorno.»

… Lui. Hyunwoo.

Quel ragazzo non lavorava da tanto tempo lì, però Changkyun ne era rimasto subito affascinato, tanto che si alzava presto ogni mattina solo per poterlo vedere il prima possibile e cercare di parlarci, ma non appena i loro occhi s’incontravano, Kyun si sentiva andare a fuoco il viso ed improvvisamente non sapeva più parlare. Come in quel momento, con la gola secca che non riusciva a pronunciare neanche un ‘buongiorno.’ Le labbra si aprirono in un leggero sorriso e le gote, ormai rosse, erano ben evidenti. Abbassò velocemente lo sguardo, tossendo, ed oltrepassandolo alla velocità della luce, andò a sedersi al solito posto. Si sentiva uno stupido ogni volta perché nonostante avesse ormai ventidue anni, andava in panico ogni volta che quell’altro gli rivolgeva la parola.

Hyunwoo aveva capito subito che quel ragazzo fosse un ospite abituale, quindi presto aveva cominciato a salutarlo senza troppi problemi, in modo anche piuttosto amichevole – visto che avevano più o meno la stessa età – ma Changkyun scappava via imbarazzato praticamente sempre. Probabilmente dava all’altro l’impressione di essere antipatico e di non volergli parlare, ma era tutt’altro: era solo estremamente timido con le persone che gli piacevano. Di lui non sapeva molto, in realtà, solo che studiava lettere antiche – a differenza di Changkyun che studiava quelle moderne – e che amava Shakespeare. Letteralmente, impazziva per Shakespeare. Questo, ovviamente, lo aveva scoperto da Sharlyn, che per aiutare l’amico aveva cominciato ad indagare sul nuovo ragazzo in biblioteca. Era come una sottospecie di complotto fatto da adolescenti per capire chi fosse il più quotato della scuola. Assurdo! Esilarante ed anche imbarazzante, ma Changkyun rimaneva bloccato ogni volta.

(…)

Erano passate ormai cinque ore da quando Chan aveva preso piede lì dentro, ed aveva finito due capitoli di linguistica generale, un masso grande quanto una cosa. Si stiracchiò sul posto, guardandosi un po’ intorno: la biblioteca si era riempita da un bel po’ di ore, ma non era la gente a caso che lui stava cercando, ma piuttosto una in particolare. Quando lo vide, chinato su uno scaffale, Changkyun si perse ad osservare la sua schiena, le sue spalle larghe, la maglietta che—si era alzata, lasciando travedere un po’ della sua schiena. E dell’elastico dei suoi boxer. Neri. Il ventiduenne per poco non s’affogò con la propria saliva, e ritornò ad osservare lo schermo del computer con il viso totalmente rosso. Si sentiva sempre come se stesse vivendo in un sogno e c’era lui, Hyunwoo, che proprio non riusciva a raggiungere, ma era evidente di chi fosse la colpa: propria e di nessun altro. Ogni volta che provava ad avvicinarsi per lui era un totale Inferno. Ad un tratto un tonfo lo colse alla sprovvista e si girò di nuovo, in sua direzione, notando che gli era caduto a terra un libro. In mano teneva una grandissima pila di manuali di storia, o geografia, Changkyun non riusciva a scorgerli bene, decisamente in bilico fra loro: non appena vide un attimo di esitazione, si alzò velocemente per andare a reggerli dall’altra parte. Alzò lo sguardo, il minore, incontrando quello di Hyunwoo palesemente sorpreso.

«Oh… Grazie, Changkyun. Faccio sempre di più di quello che riesco a fare…» mormorò, facendo scendere qualche libro dalla pila ed approfittando che l’altro la tenesse ferma. «Se questi manuali si fanno del male, mi cacceranno via di qui. Scusami, non volevo interrompere lo studio.»

Ovviamente le guance di Changkyun erano in fiamme, ma cercò di parlare: «n-non… mi hai disturbato. Stavo facendo una pausa. Studio da stamattina.»

«Perché vieni sempre così terribilmente presto?»

Colpito ed affondato.

«Perché non so mai se… troverò posto. Abito lontano da qui.»

Anche questa non era propriamente una bugia, dopotutto: per arrivare in biblioteca ci metteva circa quarantaminuti con i mezzi, e per questo doveva cercare di alzarsi ad un orario decente per arrivare lì e potersi mettere dove più desiderava. Se poi fosse arrivato e non avesse trovato il s u o posto, davvero, sarebbe impazzito. Quando Changkyun veniva preso e trasportato fuori dalla sua comfort zone faceva molta fatica a comportarsi normalmente, fingendo di non essere a disagio. Per questo motivo, quando cercava di parlare con Hyunwoo, ogni sua facoltà mentale non era più reattiva.

«Davvero non c’è una biblioteca più vicina di questa?»

Il capo di Kyun venne scosso ed anche questa non era una bugia: quella più vicina era proprio quella che frequentava, perché per il resto erano ancora più lontane. Fece scendere la mano su un libro senza accorgersi che, così facendo, sarebbe finita su quella di Hyunwoo. Dalla sorpresa, balzò all’indietro, facendo cadere rovinosamente a terra i libri che, fino a quel momento, aveva tenuto nei palmi delle mani.
«Ah, cazzo… Cazzo!» imprecò Changkyun, anche se a bassa voce, piegandosi in avanti per afferrare velocemente i libri che aveva fatto cadere. Anche questa volta fece l’errore di non pensare a nulla, e la sua fronte si scontrò con quella dell’altro. Quel giorno poteva andare bene UNA sola cosa senza combinare casini? «Dio… Mio. Hyunwoo, scusa. È meglio se mi allont… tano. Non voglio fare altri…»

«Respira,» mormorò il maggiore, appoggiandogli una mano sul volto. «Va tutto bene. Perché non vai al bar e mi aspetti lì, così facciamo una pausa insieme e tu ti rilassi?»

Senza dire niente, annuì solo, si alzò, e corse praticamente verso il bar della biblioteca. Quando fu lì, e solo, si appoggiò con la fronte al muro, e la mano sul cuore: batteva fortissimo, come se volesse uscire dalla gabbia toracica ed unirsi naturalmente a Hyunwoo. Stava urlando letteralmente ‘fa di me ciò che vuoi, sono tuo!’, perché di lui si fidava. Aveva un animo così dolce e gentile, così carino, che Changkyun si era perso a guardarlo fin dal primo giorno. Avevano poi parlato molto sporadicamente, ma ogni volta era come se lui non volesse mai staccarsene, pur di rimanere con Hyunwoo in eterno e parlare di tutto e di niente. Si allontanò dal muro per evitare che qualcuno lo vedesse e lo prendesse per un idiota, e ci appoggiò, questa volta, la schiena, tornando – o meglio, cercando – a respirare meglio. Non era facile. Si rendeva conto di andare in panico anche nelle minime cose, ma aveva fatto un casino dietro l’altro, quando la sua intenzione, invece, non era che aiutarlo con quella pila di libri.

«Ehy, sono qui. Cosa prendi? Un caffè e qualcosa da mangiare?»

Il bar della biblioteca non era composto che da tre macchinette: una per le bevande calde, una per l’acqua, la coca e la fanta, e l’ultima per degli piccoli snack.

«Un… un caffè.» Fece una pausa. «Ed una barretta di cioccolato,» aggiunse.

«Ti piace il cioccolato? Io lo adoro, letteralmente. E parlo di qualsiasi tipo di cioccolato: che sia fondente, al cioccolato, al latte, bianca… non ha importanza. Basta che sia cioccolato.»

Questo era un particolare di lui che non sapeva, anche se in realtà Changkyun lo avrebbe volentieri associato alla cioccolata: non sapeva se Hyunwoo se ne rendesse conto, ma il suo vestiario tendeva molto al marroncino, all’ocra, e così anche i suoi capelli marroni. E a dirla tutta, lo trovava estremamente dolce come la cioccolata in sé. A chi non piaceva la cioccolata, dopotutto? Osservò il maggiore mettere i soldi, prendere un caffè e porgerlo a – «uhh?»

«Tieni. Hai detto che volevi un caffè, no?»

«Sì, ma—»

«Offre la casa.»

Changkyun arrossì, ma prese il piccolo bicchierino bianco e lo ringraziò con un semplice sorriso ed uno sfioramento di dita su quella mano morbidissima. Chissà se era profumata come il resto del suo corpo. I suoi vestiti, o meglio, l’odore che proveniva da lui, era di… buono.

«Comunque sì,» riprese il minore. «Mi piace il cioccolato, ma non amo particolarmente quello fondente. Preferisco quello al latte, o quello bianco. Mi piacciono le cose dolci. Anche se quelle salate hanno il suo perché…»

«Questo è vero! Non si può rinunciare alla pizza.»

(…)

Quell’incontro era durato circa venti minuti e poi Hyunwoo aveva dovuto abbandonare il tutto per tornare al lavoro, lasciandogli detto, però, che gli sarebbe piaciuto fare le prossime pause in sua presenza. Changkyun si era ritrovato con le orecchie in fiamme, ma aveva annuito ed acconsentito. Avrebbe acconsentito a qualsiasi cosa gli avesse chiesto.

Quel giorno tornò a casa con il sorriso, felice di aver fatto un passo verso di lui, sempre più vicino. Non era niente di spettacolare, ma almeno, adesso, sapeva delle cose in più su di lui. Come uno studente modello, si sedette sulla propria scrivania e cominciò a scrivere su un blocco notes.
  • Gli piace qualsiasi tipo di cioccolato.
  • Ama da morire la pizza con il salame piccante ed i peperoni.
  • Il marrone è il suo colore. Così ha detto lui.
  • Ama il latino ed il greco, anche se pensa che il latino sia molto più facile ed utile della seconda lingua.
  • Ha scelto lettere classiche solo per una sfida, ma adesso gli piace davvero tanto studiare lì.
Questo era ciò che di nuovo aveva imparato di lui. Changkyun sorrise osservando quella piccola lista e si addormentò, finalmente, con il sorriso, e meno stressato del solito.

(…)

La routine di tutti i giorni non cambiò, letteralmente, ma mano a mano che i giorni passavano, riusciva ad avvicinarsi sempre un po’ di più a Hyunwoo, anche se non erano rari i momenti in cui preferiva osservarlo che parlarci, per la sua solita timidezza che lo uccideva letteralmente ogni volta. Passò un mese, due, tre, e e lui ne era sempre più innamorato. Dai suoi occhi, era passato ad osservargli le labbra carnose, il collo, e poi quelle bellissime spalle, quel culo mozzafiato – e se lo sognava la notte, letteralmente. Anche sopra di sé. In posti un po’ irrispettosi… Solo che non poteva farne a meno.

Un giorno prese un post-it e cominciò a scriverci sopra qualcosa di specifico: “I would not wish any companion in the world but you”. Una citazione di Shakespeare. E su un altro post – it (quattro post-it, per la precisione), ci scrisse uno dei poemi che più amava, di Pablo Neruda.

“I want you to know
one thing. 

You know how this is: 
if I look 
at the crystal moon, at the red branch 
of the slow autumn at my window, 
if I touch 
near the fire 
the impalpable ash 
or the wrinkled body of the log, 
everything carries me to you, 
as if everything that exists, 
aromas, light, metals, 
were little boats 
that sail 
toward those isles of yours that wait for me. 

Well, now, 
if little by little you stop loving me 
I shall stop loving you little by little. 

If suddenly 
you forget me 
do not look for me, 
for I shall already have forgotten you. 

If you think it long and mad, 
the wind of banners 
that passes through my life, 
and you decide 
to leave me at the shore 
of the heart where I have roots, 
remember 
that on that day, 
at that hour, 
I shall lift my arms 
and my roots will set off 
to seek another land. 

But 
if each day, 
each hour, 
you feel that you are destined for me 
with implacable sweetness, 
if each day a flower 
climbs up to your lips to seek me, 
ah my love, ah my own, 
in me all that fire is repeated, 
in me nothing is extinguished or forgotten, 
my love feeds on your love, beloved, 
and as long as you live it will be in your arms 
without leaving mine. ”

Si morse le labbra, cercando di capire se fosse adatto, se fosse troppo, se qualcosa non andasse, ma niente gli vietava di farlo. Pensò a quello che era solo due mesi prima, quando a malapena riusciva a guardarlo in faccia, e quanto adesso, invece… rischiasse così tanto solo perché ne era follemente innamorato. Quando lo vide allontanarsi un po’ dagli scaffali, corse velocemente verso quest’ultimi, appiccicò i post-it sui libri e poi, di nuovo, tornò al proprio posto, facendo finta di niente. Non ci guardò più. Passò un minuto, due, tre, cinque. Addirittura dieci—e poi, poi ad un tratto sentì un tocco leggero da dietro, e la mano che premeva sulla sua spalla. Poi più niente. Si toccò la stoffa della maglietta, tastando fino a trovare anche lui un post-it. Il proprio cuore sussultò, per paura, terrore, ma anche sorpresa e felicità che lo avesse notato. Appoggiò quel piccolo ritaglio di carta sul tavolo e dopo qualche secondo ebbe il coraggio di osservarlo. Riconosceva bene quello che c’era scritto, su quel post-it: una scrittura piccola, ma precisa, carina.

“But 
if each day, 
each hour, 
you feel that you are destined for me 
with implacable sweetness, 
if each day a flower 
climbs up to your lips to seek me, 
ah my love, ah my own, 
in me all that fire is repeated, 
in me nothing is extinguished or forgotten, 
my love feeds on your love, beloved, 
and as long as you live it will be in your arms 
without leaving mine.”

Era esattamente l’ultimo verso del poema di Neruda. Quando Changkyun alzò lo sguardo, lo vide appena scomparire dietro ad uno scaffale di libri. Quasi cadendo a terra, si alzò dalla sedia e lo inseguì, ritrovandosi addosso al suo corpo, perché convinto che girato l’angolo, Hyunwoo fosse già lontano.

«O—Oddio. Scusa.»

«And as long as you live it will be in your arms…»

«…Without leaving mine.»

E senza più esitazione, Changkyun lo baciò.
   
 
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