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Autore: Yugi95    12/01/2019    0 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XII – Grifondoro vs Serpeverde

 
 
Una goccia di freddo sudore cadde sul dorso della sua mano bardata dal guanto di cuoio. Sebbene cercasse di non farlo notare, era nervoso, agitato. L’ansia lo stava letteralmente divorando. Era la prima volta che provava una sensazione del genere, così forte e mentalmente distruttiva. Nonostante la sua modestia gli suggerisse tutt’altro, era consapevole di essere bravo, forse il migliore. Eppure era spaventato da quella sfida che si apprestava ad affrontare. Desiderava soltanto un loro consiglio, una buona parola che gli avrebbe dato la forza necessaria.

Si morse nervosamente il labbro inferiore. Il parastinchi di destra gli stringeva troppo la gamba bloccandogli la circolazione. Aveva detestato la divisa da Quidditch fin dal primo momento che l’aveva indossata. La trovava tremendamente fastidiosa e inutile: dopotutto sapeva bene che non sarebbe stato certo un po’ di cuoio a proteggerlo dagli infortuni tipici di quello sport. Per questo motivo l’aveva sempre praticato senza alcun tipo di equipaggiamento. Volare gli dava un piacevole senso di libertà e spensieratezza, non ci avrebbe mai rinunciato chiudendosi in quelle fastidiose “armature”.

Purtroppo per lui, però, il regolamento di Hogwarts era severissimo in merito all’argomento. Ciascun componente della squadra doveva indossare la divisa ufficiale della casata di appartenenza, non si accettavano eccezioni pena la squalifica. Come se non bastasse, il vestire i colori dei Grifondoro gli comportava una notevole fonte di preoccupazione che andava ben oltre l’ansia prepartita. Ai suoi occhi quel gesto sanciva un’ulteriore frattura con suo padre e, per estensione, la sua famiglia. Erano giorni che si chiedeva cosa avrebbero pensato di lui i parenti più stretti non appena si sarebbe diffusa la notizia.

Sbuffò spazientito. Si mise in piedi e, come un leone in gabbia, iniziò a percorre lo spogliatoio avanti e indietro. Nora Césaire, seduta a poche panche di distanza, lo osservava attentamente. Convincere il ragazzo ad entrare in squadra non era stato affatto facile, anzi le era sembrata un’impresa impossibile. Per un momento aveva addirittura creduto di aver fallito: le remore del giovane Agreste erano troppe. Tuttavia, dopo una settimana di inutili tentativi, era stato lui stesso a raggiungerla al campo di addestramento e a pregarla di prenderlo con sé. Sebbene non fosse una delle persone più umili al mondo, si era convinta che qualcosa, o meglio, qualcuno era riuscito a persuaderlo ad accettare la sua proposta.

Non lo conosceva granché, né si era mai preoccupata di approfondire il passato di Adrien. Le era bastato sapere il giusto per tentare un approccio e, conseguentemente, instaurare una sorta di relazione di conoscenza. Non si poteva certo parlare di amicizia e di ciò ne era pienamente consapevole. Una team, però, per poter funzionare al meglio deve basarsi sulla fiducia reciproca tra suoi componenti. Era questo il suo compito: inserire il ragazzo in un contesto di per sé già funzionale senza intaccarne la struttura. I quindici giorni che precedettero la stagione sportiva furono provvidenziali allo scopo.

Adrien era un grande giocatore di Quidditch: sapeva come muoversi ed era un esperto di tattiche e regole fondamentali. La sua abilità con la scopa non aveva rivali e il fiuto per la cattura del boccino doveva essere un qualcosa che suo padre gli aveva tramandato. Era perfetto per il ruolo di Cercatore, ma in una squadra non si può far tutto da soli. Il giovane Agreste faceva davvero fatica a collaborare con i suoi compagni, a seguirne le mosse e ad intuirne le strategie. Quelle difficoltà non impensierirono Nora che da buon capitano fece ciò che le riusciva meglio: amalgamare la nuova ed esuberante spinta propulsiva del ragazzo con la staticità di un team più votato alla difesa che all’attacco.

Ciascun giocatore aveva fatto del suo meglio in quelle poche sessioni di allenamenti che li avevano separati dalla prima partita del torneo. Nora aveva cercato un’intesa, uno schema mentale che li mettesse tutti d’accordo. Non era stato facile, ma alla fine era riuscita nell’impresa di creare un qualcosa di completamente nuovo che, allo stesso tempo, strizzasse l’occhio agli insegnamenti del passato. Malgrado ciò, non era stata in grado di garantire ad Adrien la serenità di cui aveva bisogno. Certo, sul campo era impeccabile e non le dava alcun problema: era la sua sicurezza. Al di fuori però, nel “mondo reale” non poteva fare a meno di notare il costante senso di turbamento e angoscia che lo accompagnava.

Continuò a seguire i movimenti i suoi movimenti con lo sguardo, interrogandosi sul motivo che lo spingeva a comportarsi a quel modo. Ormai erano tre giorni che non pensava ad altro: lo strano comportamento del ragazzo le metteva ansia. Era una preoccupazione che andava ben oltre le sue responsabilità di capitano, ma non poteva farne a meno. Possibile che si fosse affezionata a tal punto a quel biondino? Scosse la testa con decisione: lei era Nora Césaire detta Anansi. La sua volontà era di ferro, il cuore di ghiaccio. Non avrebbe mai ceduto a certi sentimentalismi lasciandosi distrarre dal suo unico obiettivo: la vittoria.

Un’improvvisa bussata alla porta dello spogliatoio fece calare il gelo sui presenti. Si guardarono tra di loro, un senso di smarrimento impresso sui loro volti stanchi. Forse si erano sbagliati: la tensione doveva aver creato una specie di “allucinazione uditiva” di gruppo. Dopotutto, mancava ancora un’ora all’inizio del match, non era ancora il momento di convocare le squadre. Ciononostante, per una seconda volta fu avvertito l’eco di un metallico “toc-toc”. Nora si avvicinò alla porta e la spalancò leggermente. «Chi è?»

«Desidero conferire con il Signorino Adrien.»

Il capitano dei Grifondoro, sebbene indispettito dalla risposta e, soprattutto, dal tono di superiorità del suo interlocutore, chiamo a sé il suo Cercatore. Quest’ultimo avanzò verso l’uscio con passo incerto chiedendosi chi mai volesse incontrarlo. Per un’istante pensò, anzi sperò che si trattasse di suo padre; ma scartò immediatamente l’ipotesi. In quell’ultimo periodo era sempre impegnato, inoltre era troppo orgoglioso per avvicinarsi allo spogliatoio dei Grifondoro. Con il cuore che gli batteva a mille, uscì dalla stanza trovandosi dinanzi il misterioso visitatore.

«È un piacere rivederla, Adrien…» sibilò una donna in tailleur affiancata da un grosso energumeno la cui altezza sfiorava quasi i due metri, «È passato parecchio tempo, non trova?»

«Nathalie?! Cosa ci fai qui?»

«Suo padre ha chiesto di riferirle un messaggio. Ha un paio di minuti da dedicarmi?»

Gli occhi del giovane Agreste si illuminarono. Stentava a credere che il proprio genitore avesse avuto la premura di fargli sapere che lui c’era, che desse valore alla sua vita. Non gli importava se quelle parole non sarebbero state pronunciate direttamente da Gabriel, o se si trattava di un rimprovero per averlo deluso un’ennesima volta. Quella era la prova che suo padre tenesse a lui, che si interessasse. «C-cosa voleva dirmi papà?» balbettò il giovane facendo fatica a trattenere la curiosità, «È successo qualcosa di grave?»

«Il Signor Agreste desiderava farle i complimenti per il suo ingresso in squadra e, soprattutto, augurarle buona fortuna per la sua prima partita.»

«D-d-davvero?! Mio padre ha detto questo?»

«Testuali parole» concluse la donna abbozzando un sorrisetto di complicità.

Adrien non poteva credere alle sue orecchie. In un istante tutti i dubbi e le paure, dettate dalla certezza di aver compiuto una scelta sbagliata, svanirono. Si era preoccupato per nulla: Gabriel non gli aveva voltato le spalle, anzi gli stava dando il suo pieno sostegno. Un fremito di eccitazione gli corse lungo la schiena, gli risultava davvero difficile contenere l’euforia. Avrebbe anche abbracciato Nathalie e il Gorilla che l’accompagnava, se la rigida educazione impartitagli non gli avesse suggerito quanto fosse sconveniente un tale comportamento.

Nora, avendo assistito alla discussione, sorrise compiaciuta. Sebbene non l’avesse mai ammesso, era felice per il suo giovane compagno di squadra. Soltanto adesso, infatti, iniziava a comprendere il difficile dilemma interiore che fin dall’inizio della scuola aveva dilaniato l’animo del povero Adrien. Si sentì una sciocca per non averlo capito subito, ma fortunatamente non era troppo tardi per rimediare. Gli cinse le spalle con il suo muscoloso braccio destro e, stringendolo a sé, gli fece capire che poteva contare anche su di lei. «Miss… se è tutto, noi rientreremmo nello spogliatoio. Dobbiamo prepararci per il match!»

«Esatto!» aggiunse il giovane Agreste stringendo la mano a pugno, «È arrivato il momento di far…»

«In realtà, ci sarebbe un’altra cosa…» lo interruppe la Signorina Sancoeur, mentre si aggiustava gli spessi occhiali sulla punta del naso, «Suo padre e suo nonno sarebbero davvero felici se, per questa volta, evitasse di prendere il boccino. D’altro canto, anch’io apprezzerei una simile premura da parte sua.»

Il volto di Nora Césaire si rabbuiò immediatamente. Non potevano chiedergli di imbrogliare, non lo accettava. Adrien, al contrario, ridacchiò divertito. Era evidente che li stessero prendendo in giro; ma allo stesso tempo era chiara anche un’altra cosa: la sua famiglia era pienamente consapevole che se avesse giocato seriamente, per i Serpeverde non ci sarebbe stata alcuna chance di vittoria. Un’espressione di pura soddisfazione si dipinse sul volto del giovane che pacatamente tornò a rivolgersi alla segretaria di suo padre. «Mi dispiace Nathalie, ma non posso concedere sconti… nemmeno a parenti e ad amici.»

«Allora che vinca il team migliore!» sentenziò la donna strizzandogli l’occhiolino per poi voltargli le spalle al fine di raggiungere il campo da gioco. «Ovviamente, se suo nonno avrà un mancamento a causa della sconfitta della sua casata, la riterremo responsabile.»

Adrien scosse la testa e, facendo spallucce, si apprestò a tornare nello spogliatoio dei Grifondoro. Nora fece altrettanto e, affiancandosi a lui, non poté fare a meno di commentare quanto era appena successo. «Hai una strana famiglia, biondino. È un miracolo che tu non sia ancora ammattito!»

«Chissà… forse già lo sono, ma fingo bene.»

«Beh, pazzia o meno, spero che tu ci faccia vincere questa partita.»

«Oh su questo puoi starne certa, non hanno alcuna speranza. ghignò maleficamente il ragazzo battendo il dorso del suo guanto in cuoi contro quello del suo capitano.

I restanti tre quarti d’ora che precedettero l’inizio della partita furono di gran lunga più rilassanti. La tensione era ovviamente palpabile, ma non era minimamente paragonabile alla sensazione di angoscia che aveva oppresso lo spogliatoio durante tutta la mattinata. L’agitazione di Adrien, infatti, aveva contagiato anche gli altri giocatori, i cui volti erano velati da una lugubre espressione di rassegnazione. Fortunatamente, la ritrovata felicità del ragazzo aveva avuto l’effetto catartico di rasserenare gli animi dei suoi compagni di squadra. Erano pronti a librarsi sul terreno di gioco, convinti che per gli avversari non vi sarebbe stata speranza.

Uno dietro l’altro percorsero lo stretto corridoio, coperto da un tendone di magico tessuto autoportante, che li separava dal campo. Nora apriva la fila, affiancata poco dietro dal giovane Agreste. Quest’ultimo, serrando la presa sul proprio manico di scopa, avanzava spedito, sicuro di sé e delle proprie capacità. Giunti nell’area antistante il piccolo stadio della scuola, si trovarono faccia a faccia con i Serpeverde che li avevano preceduti di pochi minuti. Nonostante la grande rivalità tra le due casate, la figlia maggiore del Signor Césaire non esitò a salutare il capitano dell’altra squadra. «Ben ritrovato, Andrew. Come va la spalla?»

«Mi da ancora qualche noia, ma non è nulla che non sia in grado di gestire» rispose altezzosamente un alto ragazzo dai lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo. «Piuttosto… come se l’è cavata la tua nuova recluta?»

«Non male, ma ha ancora molta strada da fare. Non è vero, biondino?!»

«C-c-certo Signora, s-s-si Signora…» balbettò timidamente il giovane Agreste sentendosi chiamato in causa.

«Ti facevo più sicuro di te, Adrien» esclamò una voce a lui familiare che lo fece voltare di scatto.

«Katami?! Che ci fai qui e perché indossi la divisa da gioco dei Serpeverde?»

«È semplice: sono la Cercatrice della squadra.»

Ad Adrien occorsero circa dieci secondi per metabolizzare quell’informazione. Imbambolato, si limitò a fissare il sorrisetto compiaciuto impresso sul pallido viso della ragazza che aveva dinanzi. Una volta realizzata la situazione, si rivolse a Nora e Andrew in cerca di un’ulteriore conferma. I due, ridacchiando tra di loro per l’espressione confusa di quel novellino, si limitarono ad asserire con un cenno del capo. Si colpì la fronte con la mano, chiedendosi come avesse fatto ad essere stato tanto sciocco. L’insistenza, con cui l’aveva convinto ad entrare nel team dei Grifondoro, non era casuale. «Avrei dovuto capirlo subito. Mi hai ingannato…»

«Suvvia non fare il bambino capriccioso, adesso» cinguettò Katami mettendogli una mano sulla spalla in segno di conforto, «In fin dei conti, se l’avessi saputo, cosa sarebbe cambiato?»

«Posso chiederti una cosa?» mugugnò il giovane Agreste a denti stretti.

«Vuoi sapere perché ho insistito tanto, non è così?»

«Esatto. Qual era il tuo scopo?»

La ragazza avvicinò le proprie labbra all’orecchio di Adrien, in modo tale che soltanto lui potesse sentirla. «Beh, mettiamola così: che gusto ci sarebbe a vincere, senza aver prima battuto il migliore?»

Quelle parole avevano la parvenza di una provocazione che andava oltre la sfida di Quidditch. Ebbe l’impressione che la sua nuova amica lo stesse sfidando a ben altri livelli, quasi come se volesse dimostrare di essere la più brava in assoluto. Cercò di replicare, ma la voce della Professoressa Bustier richiamò ciascuno di loro all’ordine. Era giunta l’ora di affrontarsi sul campo di gioco: il resto poteva aspettare. Katami gli diede un’ultima pacca sulla spalla, poi si accodò ai suoi compagni Serpeverde. I Grifondoro li seguirono immediatamente e così, dopo aver percorso una ripida rampa di scale in legno, le due squadre fecero finalmente il loro ingresso.

Gli spalti che a mo’ di anello circondavano il terreno di gioco erano gremiti. Studenti di tutte le casate urlavano e strepitavano tifando l’una o l’altra formazione. Bandierine, sciarpe e striscioni sventolavano al vento come antichi vessilli medioevali che infondevano coraggio e speranza nei giocatori. Cori sempre più vivaci e chiassosi si levavano da ogni dove riempiendo l’aria che sovrastava le loro teste. Anche le tribune a forma di torre erano affollate: insegnanti, genitori e talent scout delle maggiori società sportive europee erano lì per sostenere e valutare quei ragazzi che si davano battaglia su dei manici di scopa.

Adrien si guardò intorno estasiato, il respiro gli si mozzava in gola. Da bambino aveva assistito a parecchi eventi sportivi, anche di grande rilevanza, quindi era abituato ad una tale atmosfera. Tuttavia, il viverla in prima persona era completamente diverso. Girando su se stesso si guardò intorno alla ricerca di volti familiari. Vide Nathalie e la guardia del corpo di suo padre nella tribuna del Preside. Seduti l’una accanto all’altro si limitavano a scrutare il campo senza partecipare ai festeggiamenti prepartita. Con un semplice gesto della mano lanciò loro un saluto, ricambiato subito dopo da un sorriso appena accennato della Signorina Sancoeur.

In quello stesso momento il Professor D’Argencourt guadagnò il centro del terreno da gioco. Fece segno ai giocatori di disporsi in cerchio intorno a lui e, una volta cavalcate le scope, di librarsi in aria. Senza farselo ripetere, entrambe le squadre eseguirono gli ordini dell’insegnante. Il giovane Agreste, poiché Cercatore, si innalzò ad una quota leggermente superiore rispetto ai suoi compagni e lo stesso fece Katami. I loro sguardi di sfida si incrociarono, ma poco dopo l’attenzione del ragazzo fu calamitata da altro. A quell’altezza, infatti, era in grado di vedere i posti in cui si trovavano i suoi amici.

C’erano tutti: Alya e Nino sventolavano uno striscione che inneggiava ai Grifondoro; Rose, Juleka, Alix e Mylène danzavano a ritmo dei cori d’incoraggiamento; anche Chloé e Sabrina, sedute alcuni gradoni più in basso, avevano un cartellone a lui dedicato attirandosi le ire degli altri Serpeverde. Avvertì una piacevole sensazione di calore nel petto, era felice che i suoi compagni fossero lì per lui. Ci erano voluti tanti anni, forse troppi, ma finalmente non si sentiva più solo. Ad un tratto i suoi occhi, però, si posarono su Marinette.

La ragazza era impegnata in una fitta conversazione con un altro studente che Adrien non riconobbe. Era un ragazzo, più grande di loro, dai curiosi capelli blu, appartenente alla Casata dei Corvonero. Senza accorgersene, indugiò a lungo sui due chiedendosi come mai vi fosse tanta confidenza. Il lancio della pluffa e il fischio del Professor D’Argencourt lo richiamarono alla realtà. La formazione delle due squadre si ruppe e la partita poté finalmente iniziare.
   
 
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