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Autore: ElliChannel    13/01/2019    1 recensioni
*Dal Testo*
Inquietante come la vita possa cambiare in un giorno. Il giorno prima sei felice, non pensi a nulla se non alle persone che ami, ti diverti, sei felice e giochi come una qualunque bambina di 10 anni. A quell’età ti senti grande e forte, sicura e coraggiosa. Il mondo è ai tuoi piedi e tutt'attorno assume le sembianze di un luna park. Ma il giorno dopo finisci per precipitare in un barato senza fondo. [...] Il senso di vuoto ti attanaglia il cuore, il fiato si accorcia e il tuo corpo è percorso da spasmi. Sei terrorizzata e non riesci a comandare i tuoi piedi, non riesci ad ordinare alle tue gambe di correre in fretta, veloce, lontano.
Genere: Azione, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Figlia del sangue

 Inquietante come la vita possa cambiare in un giorno. Il giorno prima sei felice, non pensi a nulla se non alle persone che ami, ti diverti e giochi come una qualunque bambina di 10 anni. A quell’età ti senti grande e forte, sicura e coraggiosa. Il mondo è ai tuoi piedi e tutt'attorno assume le sembianze di un Luna Park. Ma ilgiorno dopo finisci per precipitare in un barato senza fondo. Il tuo mondo, fatto di giochi e di zucchero filato, si sgretola davanti ai tuoi occhi lasciando il posto a macerie fatte di solitudine, tristezza, dolore, paura. Il senso di vuoto ti attanaglia il cuore, il fiato si accorcia e il tuo corpo è percorso da spasmi. Sei terrorizzata e non riesci a comandare i tuoi piedi, non riesci ad ordinare alle tue gambe di correre in fretta, veloce, lontano.
Tutto cambiò quella notte: mia sorella fu portata via ed io conobbi la peggiore punizione che si potesse infliggere ad un essere umano. Non ero più io, dentro di me cresceva un mostro e se non avessi imparato a domarlo mi avrebbe logorato fino alla morte.
 La notizia di quella notte si sparse a macchia d’olio e nel giro di qualche settimana tutta la città conosceva i fatti. La città si riversò nelle strade e folle di cittadini costituirono dei gruppi di soccorso per me e mia sorella ma non fummo mai ritrovate. Passò qualche mese e le ricerche terminarono, ormai tutti davano per scontato che se mai un giorno avessimo fatto ritorno, l’avremmo fatto all’interno di due piccole bare
Non fu così, non tornammo mai più in quella città. Fummo costrette a prendere strade diverse. Fummo costrette a combatterci a vicenda, a diventare nemiche. Solo che ancora non lo sapevamo.
L’ultimo ricordo che ho di mia sorella è quando, entrambe legate, mani e piedi, ci guardammo negli occhi, ondeggiando ad ogni cambio di traiettoria del piccolo furgone nel quale eravamo prigioniere aspettando un miracolo.
Accadde, in verità, come l’apparizione improvvisa del tuono che sembra squarciare le nubi, illuminare la notte e il suono del rombo fa sobbalzare il cuore: il furgoncino uscì di strada, sentii imprecare l’autista e la persona a fianco, non ci volle molto e la vettura si rovesciò al suolo. Aiutai mia sorella ad alzarsi nonostante il dolore lancinante al polso. Udimmo un rumore metallico: qualcuno stava aprendo il portellone.
Altre figure, ugualmente incappucciate ci presero di peso, in quel momento sentii la forza di sopravvivenza prendere possesso del mio corpo: non ci pensai un attimo e morsi, con tutta la forza che avevo, la mano dell’uomo. Questo urlò di dolore e lasciò andare la presa, caddi a terra pesantemente, non pensai al dolore, alla paura…. a mia sorella. Iniziai a correre lontano, lontano, lontano, fino a quando quegli uomini non si ridussero a piccoli puntini neri all’orizzonte. Ero salva ma avevo sacrificato lei.
Vagai da sola, in una nuova città, per due anni, sopravvivendo come potevo. Persi molto peso, arrivando a sfiorare i 30 chili. Avevo dodici anni quando provai ad uccidermi per la prima volta.
Ricordo che, in un momento di rabbia cieca, presi una corda abbastanza spessa e ruvida, me la rigirai più volte attorno al collo e inizia a stringere, a stringere, a stringere così tanto che i miei occhi si appannarono, i miei polmoni bruciarono e l'ossigeno, che continuavo ad inghiottire, era diventato come pezzi di vetro che mi raschiavano la gola. 
Non ci volle molto: persi le forze e lasciai andare la presa. 
Scoppiai a piangere contro la parete fredda di un vicolo.
Non sapevo come fare a salvarmi. 
A salvarmi da me stessa.
Presi grandi boccate d'aria, il cuore che accelerava sempre più, gli occhi gonfi e pesti per le notti insonni, la pelle del mio collo lacerata.
Chiusi forte le palpebre. Lasciai che i miei capelli mi comprimessero il volto. 
Mi raggomitolai su me stessa, schiacciandomi alla dura parete di pietra. Mi lasciai inghiottire dal silenzio. Dal buio della notte imminente. 
Per certi periodi, divenni tutt'una con la solitudine che riempiva il mio cuore e che rendeva il rumore di ogni suo battito un suono malinconico, triste. 
Ero sola nella stazione affollata alle sette della mattina cercando di racimolare qualche spicciolo.
Ero sola mentre camminavo per strada sotto gli sguardi contrari dei passanti.
Ero sola quando mi stendevo sul prato la sera, perdendomi tra quelle stelle così lontane, ma che mi scaldavano come se fossero vicine. 
Le stagioni smisero di susseguirsi, i colori impallidirono, cedendo il posto al bianco e al nero.
Gli inverni divennero più rigidi e le estati più brevi. 
I suoni e i rumori si attutirono, riducendosi a un sussurro, dei flebiti. 
Tutto, intorno a me, iniziò lentamente a sgretolarsi, a cedere.
Caddero i prati fioriti, i tramonti, e i cieli trapuntati di costellazioni, il soffio del vento e il rombo del tuono. Caddero le case, le persone, le emozioni. 


Una notte, stanca e affamata, precipitai al suolo. Il mio corpo non rispondeva ai miei comandi, sentivo la poca vita che mi era rimasta, abbandonarmi. Prima di chiudere gli occhi, però, riuscii a scorgere una sagoma venire verso di me. Era uno di loro. La figura si inginocchiò, un ghigno forse, apparse tra le sue labbra. Disse qualcosa ma non capii, troppo stanca per continuare, troppo stanza per vivere. Dentro di me pregai di morire. Ricordo di aver provato un dolore lancinante alla spalla destra e al petto poi più nulla, chiusi gli occhi nella speranza di non riaprirli mai più.


Tre giorni dopo, quando mi svegliai, mi trovai all’interno di un palazzo. La camera nella quale dormivo aveva dei soffitti altissimi, decorati con piccole incisioni floreali d’orate. Le lenzuola erano di seta e profumavano di rosa. Davanti a me vi era un finestra con un balcone, come quella di Giulietta. Non mi alzai ma riuscivo a scorgere, in lontananza i profili delle case della piccola città nella quale avevo vissuto. Era giorno ed i raggi del sole filtravano all’interno della camera, scaldandomi il viso. Sorrisi per un istante appena.
Sentì bussare dolcemente alla porta, pochi secondi dopo entrò una donna che aveva tutta l’aria di essere una domestica. Mi diede il buongiorno e si assicurò delle mie condizioni poi, con estrema dolcezza, posò alcuni vestiti su di una sedia, vicino al letto.
Con mia grande sorpresa notai un pugnale. Istintivamente mi portai una mano al cuore. Mi si gelò il sangue.
La mia pelle, sotto alle mie dite, era ruvida e doleva, doleva moltissimo. Presi coraggio e guardai. C’era un enorme cicatrice, là dove una volta vi era il mio cuore. Non che ora non lo avessi più ma sentivo che qualcosa era cambiato, era diverso. Iniziai ad essere pervasa da brividi freddi e da convulsi. Le mie mani si gelarono e la mia vista iniziò ad annebbiarsi per le lacrime che costringevo a ricacciare indietro. Cominciai a respirare a più riprese ed il cuore, un cuore non mio, iniziava a battere sempre più forte. Poi la sensazione di terrore lasciò il posto ad una rabbia che mai avevo provato nella mia vita: la vista si ingiallì e sulle mie braccia apparvero delle lunghe striature nere che seguivano le vene. In un attimo persi completamente il controllo e saltai al collo della domestica. Il colpo la fece cadere a terra. Non ci volle molto e si udì il suono, chiaro e nitido delle ossa: spezzate, frantumate. Il collo si fece molle e il sangue caldo della donna bagnò la mia bocca. Era una sensazione strana, oserei dire sublime.
Una volta che lasciai andare la sua carne guardai lo specchio rettangolare davanti a me e l’immagine che vidi fu tutt’altro che sublime.
Ero un lupo, un lupo nero dagli occhi gialli.


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Ciao ragazzi/e, sono nuovissima di questo fandom e devo dire di aver “scoperto” l’anime di diabolik lovers solo qualche mese fa.
Poco tempo per poter scrivere una storia, è vero, ma quando la mia testolina inizia a pensare nessuno la ferma più.
Premetto di aver guardato prima alcuni spezzoni, poi gli episodi interi e che dire? ADORO!
Comunque, siccome sono molto brava a cambiare le carte in tavola ho pensato: e se l’attacco da parte dei fondatori nella magione Sakamaki e Mukami  nascondesse alcuni fatti che non sono mai stati raccontati?
Ebbene, la mia storia comincia qualche anno prima per poi riagganciarsi ai fatti raccontati nella serie.
In questo primo capitolo tutto è molto vago: si parla di una sorella, delle figure, e un palazzo. Non sono stati fatti nomi e nessun discorso diretto per una scelta personale. Volevo crearvi quel pizzico di curiosità in più per farvi continuare nella storia.
Sarei felicissima se mi diceste il vostro parere nei commenti ^^
Purtroppo causa università non potrò pubblicare a scadenze regolari, in quanto mi porta via un sacco di tempo. Però a grandi linee cercherò di aggiornare ogni fine settimana.
   
 
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