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Autore: Satineblog    28/01/2019    2 recensioni
Anche questa mia terza OS può essere letta come il seguito delle precedenti “Mai più sola.” e “Una pozione per te.”
Ringrazio il gruppo facebook Maybe i need you per avermi dato l’ispirazione giusta per cominciare a scrivere!
La bionda si colorò di viola i pollici e li passò entrambi sugli occhi di Regina. Poi si passò la mano rossa sulle labbra. La bocca intrisa di colore. Le si avvicinò piano, senza sorridere. La guardò dentro agli occhi, lasciando trasparire la sua verità, la loro verità.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un punto nero campeggiava al centro della tela bianca. Il pennello a penzoloni lungo il busto lasciava cadere gocce dello stesso colore sul pavimento. Guardava dritto verso quel punto, Emma. Immersa, sommersa, persa dentro a quella tela che non riusciva a riempire. 

Il dottor Hopper non avrebbe dovuto affidarle un compito tanto difficile. “Disegna!” le aveva detto, “Se non riesci a scrivere, disegna.” Ma lei non sapeva disegnare. E si era ritrovata come una stupida, sul soppalco a casa dei suoi, davanti a quella tela. Non aveva saputo scegliere altro colore che il nero, per incollare le sue emozioni a quel foglio straniero. La paura, quella più di tutte. 

Sola. Era rimasta da sola. Ed era andata nel panico. Forse aveva sbagliato. Si, si era sicuramente sbagliata. Eppure, non poteva ignorare il suo cuore. La forza inarrestabile di quei sentimenti così limpidi, ingenui, di un’immediatezza disarmante. Non poteva. Non poteva fingere. Ignorarli. Credere di non aver capito quello che la voce dentro le stava gridando. Aveva sbagliato sicuramente. Aveva perso tutto. Tutti. Killian per primo. Il suo sguardo infranto, come il cuore che lei gli aveva spezzato, le dominava la mente; era la prima cosa che vedeva aprendo gli occhi al mattino e l’ultima prima di addormentarsi. Aveva fatto piangere quel pirata. L’aveva illuso. Aveva lasciato che si fidasse di lei, che si spogliasse della corazza, e poi l’aveva infilzato senza pietà. Gli aveva detto di non amarlo, di non corrispondere i suoi sentimenti. Gli aveva sparato addosso la sua verità tagliente, senza riuscire a guardarlo negli occhi, e poi era scappata via senza dare spiegazioni. Non era riuscita a dirgli di Regina. Troppo. Sarebbe stato troppo per lui. E per lei. 

Una chiazza di nero denso sul pavimento. Gli occhi fissi, lo sguardo diretto alla tela, la mente fluttuante nel vuoto.

Spiegazioni che però non aveva potuto evitare di dare a sua madre. E a David. 

Lo sconcerto. Un punto interrogativo fluttuante. Paura. Disprezzo. 

 

Un tocco. Dolcissimo. Emma riconobbe subito il suo profumo. Avrebbe riconosciuto a occhi chiusi Regina in mezzo a centinaia di persone. La sentì, spalla contro spalla, schiena contro schiena. Le dita sottili, le unghie passarono delicate sul suo palmo costringendola a lasciar cadere a terra il pennello intriso di colore. Combaciavano. Un tocco dolcissimo, un pezzo di puzzle che si incastrava alla perfezione. Così perfetto, leggero, attento. Senza invadere né disturbare . Non afferrava, non tratteneva, non rubava. Quello di Regina era un tocco che non pretende, ma sfiora. Un tocco timido e coraggioso. Un tocco appena. Le lacrime salirono da un punto profondissimo di Emma e si affacciarono alle sue palpebre, che non le lasciarono uscire. 

 

David aveva urlato. Aveva battuto entrambe le mani sul tavolo, le dita tese, i palmi rigidi. Le aveva battute con rabbia: “È in ammissibile Emma!” 

Biancaneve piangeva, nascondendo il volto dietro a un fazzoletto di seta bianca. Emma aveva pensato che per la prima volta sua madre sembrava davvero la principessa debole e spaurita, in balia degli eventi, incapace di salvarsi da sola e completamente dipendente dall’amore del suo Principe Azzurro, che raccontano nelle favole.

“Innamorata?? Di una donna?? Della peggior nemica di tua madre, per giunta! Stai delirando Emma Charming. Le tue parole sono un insulto alle nostre orecchie!”

“Swan!” Aveva gridato lei senza poter controllare la sua voce. 

“Che cosa?” Aveva replicato David.

“Mi chiamo Emma Swan!”

A questo punto David aveva il fuoco negli occhi e Mary Margaret singhiozzava rumorosamente. 

“Non siete mai stati una famiglia per me, fino a pochissimo tempo fa non eravate i miei genitori. Mi sono costruita da sola, mi sono data un nome, e ho trovato la mia forza. Sono in grado di decidere per me stessa, come ho sempre fatto. L’ultima cosa di cui ho bisogno adesso è il disprezzo e la disapprovazione di due non-genitori!”

Appena aveva finito di pronunciare quelle parole, Emma si era resa conto di aver esagerato. Non pensava veramente tutto quello che aveva detto, ma inspiegabilmente aveva sentito il bisogno di difendersi. 

Biancaneve si era alzata di scatto e aveva portato il suo viso a un centimetro da quello di sua figlia: “Ma non capisci che  questa donna ti sta usando?” aveva scandito a denti stretti “una condanna, è una condanna la mia. Non mi lascerà mai in pace. L’aveva promesso e l’ha fatto. Aveva giurato che in qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo, avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per distruggere la felicità della mia famiglia. E ha trovato un modo decisamente originale, stavolta.” aveva concluso prima di voltarsi e andare di sopra. 

 

Le dita di Regina,  improvvise e inaspettate, passarono tra le sue. Una mano morbida, con un tocco dolce e deciso allo stesso tempo, la portó a sollevare il braccio destro sopra la testa, la fece girare su se stessa, come in una danza, e Emma si ritrovò di fronte al suo respiro. Aveva gli occhi chiusi, Emma, ma sapeva perfettamente di essere davanti a Regina. Aveva riconosciuto subito il suo profumo, e si sentiva inebriata dal suo respiro che le accarezzava il viso. 

Poteva immaginarne le unghie scarlatte mentre le graffiavano con dolcezza le spalle, poi le braccia, per scendere di nuovo sulle mani. I polpastrelli si movevano in sincronia, come se il sindaco la stesse guidando a suonare una dolce melodia sui tasti di un pianoforte che erano le sue dita. 

“Regina..” sussurrò. 

Una carezza sul viso la invitò ad aprire i suoi occhi chiari, che si trovarono immersi in quelli scuri e profondi dell’altra. 

Gli occhi di Regina erano come calamite.  Piccoli, bambini. Occhi dolcissimi. Erano occhi di tutte le parole non dette. Gli occhi ritrovati nel tempo, che sono sempre stati lì, e lei non li aveva visti. Gli occhi da togliere il fiato. Che non ci capiva più niente, Emma, di cosa stava facendo, di cosa stava vivendo. Non ci pensava, non ci ragionava con la testa, lo sentiva e basta. Era un’energia potente che attraverso gli occhi le scorreva nelle vene, nel sangue, nelle cellule, in ogni parte di lei. Sentì un morso di piacere stringerle il basso ventre, come se le si schiudesse un fiore in grembo. Bianco, come la neve, che se ne frega. Lei se ne frega sempre, copre tutto, e dimentica. Nasconde i suoni, ovatta il mondo, copre i pensieri, e lascia spazio. E rosso, come il sangue. Che è morte e vita insieme. E come l’amore. Che anche lui è morte e vita insieme. 

Troppo. Era tutto troppo. 

Si allontanó bruscamente. 

“Devi andare via Regina. Come hai fatto a entrare?” 

“Ho schioccato le dita e la porta si è aperta.” rispose lei con tono ovvio. 

“Non voglio vederti Regina, non posso..”

Il sindaco di Storybrook, cercando di celare la frustata di delusione e panico che le parole dello sceriffo le aveva sferzato, e che le si leggeva limpida e tremolante dentro agli occhi, rispose: “Perché, Emma? Non ti vedo da settimane. Mi avevi chiesto tempo per poter parlare con Hook, e l’ho capito. Mi avevi rassicurata, mi avevi detto che non sarebbe servita la magia per tenerti legata a me, perché tu eri già mia. E poi? Sei sparita, Emma. Non una chiamata, non un messaggio. Mi hai lasciata da sola. Nessuna spiegazione. Che succede?”

Il tono di Regina, dapprima arrabbiato, era diventato leggero e dolce nel rendersi conto che gli occhi di Emma brillavano ancora dentro ai suoi. 

“Che succede?” ripetè. 

La salvatrice abbassó lo sguardo: “Non posso Regina.. ho fatto un casino. Ho perso tutti, ho fatto soffrire tutti, ho deluso tutti. Ho distrutto Killian che credeva in me, in noi, nel nostro amore. Ho deluso i miei genitori, che si vergognano di me. E Hanry? Cosa penserà Hanry? Sono una persona orribile, non so apprezzare quello che ho e così lo distruggo. Egoista e orribile. La verità è che non mi merito nulla, devo stare da sola.”

Regina allungò la mano per scostarle i capelli dal viso, ma Emma si tirò indietro ed evitò il contatto. 

“Non toccarmi Regina. Non mi devi più toccare.”

“Perché sei così crudele con me, Emma?”

Le domandò il sindaco in lacrime. 

“Mi stai usando, Regina? Biancaneve dice che faresti di tutto per rovinare la sua felicità. Dice che saresti disposta anche a prenderti gioco di me fino a questo punto.”

Regina ancora una volta non riuscì a camuffare lo sconcerto nei suoi occhi. Era sempre stata brava a mettersi le maschere. A cancellare ogni traccia di emozione dal suo viso. Ma quando si trattava di Emma, non ne era capace. Quella biondina testarda e presuntuosa sapeva leggerle nell’anima. E lei non poteva più fingere. 

“Come puoi, Emma Swan, come puoi dubitare di me? Non lo vedi? Non lo vedi, dentro ai miei occhi, tutto l’amore che ho? Non lo vedi cosa mi hai fatto? Non riesco a smettere di piangere. Non riesco più ad essere la Regina che conoscevo. Tu mi hai cambiata, ragazzina. Mi hai costretta a guardarmi e vedermi per quella che sono. A fare pace con i miei demoni. A essere onesta con me stessa. Come puoi anche solo pensare che tutto questo sia una finzione?”

Sentendo queste parole e guardando la donna che amava dritto dentro agli occhi, Emma capì quanto era stata stupida. Sentì, senza più nutrire il minimo dubbio, che Regina era sincera, e non ebbe più paura. Si avvicinò a lei e la strinse in un abbraccio fortissimo. Poteva sentire il suo cuore batterle nel petto, poteva riempirsi i polmoni del suo profumo inebriante e accogliente, poteva sentire le sue lacrime sul viso. 

“Puoi perdonarmi, Regina?” Le sussurrò all’orecchio, “ho avuto paura. Ho paura. Moltissima.”

“Lo so” rispose la donna asciugandosi il viso, “perché ho la stessa paura anche io.”

Emma le strinse il volto tra le mani e le baciò timidamente le labbra. 

“Che stavi facendo?” 

Le domandò Regina, ricomponendosi e indicando la tela con il punto nero al centro e il pennello gocciolante caduto sul pavimento. 

“Non lo so, cercavo di assecondare i deliri di Hopper. Cercavo di disegnare con i colori le mie emozioni, per rendermi consapevole. Per “elaborare”. Ma non ci stavo riuscendo molto, come vedi.”

“Ho un’idea migliore...” rispose Regina. 

“Sarebbe?”

“Colora me.” disse il sindaco con fermezza.

“Che cosa?”

“Colorami.”

“Perché? Sei matta?”

Le donna non rispose. 

Emma sorrise. Abbassò lo sguardo e sorrise e Regina pensò che fosse davvero splendida, mentre sorrideva in quel suo modo unico e dolcissimo. Le porse la scatola con i colori e attese, immobile. 

“Spogliati.” trovò il coraggio di dirle Lo sceriffo con voce tremante. 

Il sindaco si sbottonò lentamente la camicia e la lasciò cadere a terra, mostrando il reggiseno di pizzo nero sulla sua pelle bianchissima. Senza staccare  gli occhi da quelli di Emma, che la guardava con il cuore in gola e il fiato sospeso, si fece poi scivolare sui fianchi la gonna, seguita dalle calze e rimase a piedi nudi.

Niente. Non si sentiva nessun rumore. Solo lo strusciare ovattato dei vestiti sulla pelle, il lieve tintinnio degli orecchini di Regina che rimbalzarono sul pavimento. 

“Va bene così” disse Emma improvvisamente serissima, spostando lo sguardo dal perizoma in pizzo nero di Regina, alle punte dei suoi piedi.

Silenzio. E imbarazzo. E ancora silenzio. 

La ragazza intinse tre dita nel colore blu. Le appoggiò delicatamente alla fronte della donna, esitó un istante, e poi giù. Lasciò cadere la mano a peso morto, disegnandole uno sfregio nel volto. 

Lei sussultò. Ma rimase immobile.

La tensione si sciolse e il respiro divenne profondo. 

La bionda si colorò di viola i pollici e li passò entrambi sugli occhi di Regina. Poi si passò la mano rossa sulle labbra. La bocca intrisa di colore. Le si avvicinò piano, senza sorridere. La guardò dentro agli occhi, lasciando trasparire la sua verità, la loro verità. Appoggiò appena le labbra sulle sue. Si sfiorarono, senza toccarsi. Si sfiorarono quanto bastava per sporcare di rosso anche lei. 

I brividi nascevano da un punto lontano, profondo. Dentro. Nelle viscere. Un pungente sgorgare di energia che saliva e pervadeva i loro corpi. 

La ragazza graffió il verde con le unghie. La rabbia strideva sopra al tavolo dei colori. Quelle stesse unghie, pochi istanti dopo, incisero la schiena del sindaco, scendendo, dalle spalle alle fossette ben visibili appena sopra ai glutei. 

Regina si morse il labbro inferiore. E continuò a stare ferma.

I colori si mischiarono. Sulle mani di Emma tutte le sfumature diedero vita a un caos caldo e freddo. Le mani aperte, le dita tese. Appoggiò le mani al corpo di Regina, con forza, ai lati dello sterno, appena sopra al seno. Poi il tocco divenne più dolce e le mani della bionda attraversarono il corpo della mora: il seno, la pancia, le gambe, fino ai piedi. 

Lo sceriffo rimase in ginocchio. Si chinò su se stessa, si coprì il volto con le mani. Pianse.

Regina le si inginocchiò di fronte. Le afferrò i polsi. La guardò senza parlare, con tutto l’amore che aveva. L’abbracciò, la tenne con sé. Le accarezzò i capelli, la tenne stretta sul suo petto.

Sdraiate sul pavimento, si strinsero ancora. Si sentirono addosso, sulla pelle. Naso contro naso, le gambe intrecciate. Respiravano. Si respiravano. In una parentesi infinita dentro alle pieghe del tempo. 

 
   
 
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