“I
know you like to do me wrong | But your love is my
favourite song | I knew you wouldn’t
understand | But your love is my favourite
band”
The Vaccines. Your Love Is My Favorite Band
Manchester Arena, Manchester, 21 novembre
Ore 8:58 PM
Quattro anni dopo
Nel camerino che condivideva con i compagni di sempre,
Ewan stava mettendo tutto sottosopra. Aveva sfilato dal suo borsone ogni indumento,
inclusi quelli puliti e stirati che avrebbe infilato una volta sceso dal palco.
Vittima principale
di quella sua agitazione fu Chris, troppo vicino a lui per impedire che gli
abiti gli volassero addosso. Il tastierista bloccò lo smartphone e lanciò
un’occhiataccia in direzione del cantante. «Quanta roba hai infilato lì dentro?»
sbottò, temendo di essere, a sua insaputa, alle prese con l’equivalente
maschile della borsa di Mary Poppins. Asciugamani,
maglie, pantaloni, c’era perfino una bandiera; di tutto stava uscendo da quel
dannato borsone.
Ewan,
inginocchiato sul pavimento, si arrestò e sollevò lo sguardo sull’amico. «Non c’è»
disse, quasi a motivare il caos che, era consapevole, stava facendo.
«Non c’è cosa?»
«La mia t-shirt
della NASA» rispose il cantante, ricominciando a frugare nonostante il borsone
fosse ormai del tutto svuotato del suo contenuto.
«Tutto ‘sto
casino per quella maglia?» esclamò Chris. Si appoggiò di peso allo schienale
del divano su cui stava e sollevò le braccia al cielo. «Ne hai tipo sei di
t-shirt della NASA» gli ricordò.
«Sì ma non
stasera e non qui.»
«Beh, Ewan,
qualcosa dovrai pur metterti addosso. Non ti faremo salire sul palco a torso
nudo» intervenne Trent, con il suo abituale tono austero.
«Alle fan
piacerebbe» si intromise dal fondo della stanza Chase, finendo di masticare un
pezzetto di cioccolato che si era da poco messo in bocca. Gli altri tre lo
guardarono di sbieco, ma il ragazzo si limitò a una lieve smorfia seguita da un’alzata
di spalle.
«D’accordo» sospirò
il cantante. «Vorrà dire che terrò questa» concluse, tirando appena la stoffa
dell’indumento che indossava. Si alzò in piedi, rimettendo alla rinfusa i
vestiti nel borsone. Tuttavia continuava a ripensare alla cosa. Quella
maglietta della NASA, lo sapeva, l’aveva portata con sé.
La porta del
camerino si aprì e Ronan, il tour manager degli
Shards, infilò la testa oltre la porta. «Stanno iniziando» li informò, per poi
scomparire di nuovo. Sintetico e di poche parole, non si poteva negare fosse un
uomo efficace quando si trattava di dare informazioni. Ciò che voleva lasciare intendere con quella sua sbrigativa
apparizione era il fatto che la band supporto che avrebbe aperto il concerto
degli Shards era appena salita sul palco.
I quattro ragazzi si
alzarono, pronti per avviarsi in quel punto del backstage dove il loro fonico
di palco li avrebbe agghindati con tutto il necessario per amplificare i loro strumenti.
Lungo il corridoio che portava al palcoscenico, Ewan cominciò a sentirsi
eccitato e nervoso. Le, ormai, centinaia di volte in cui si era esibito in un
live show non gli erano bastate per non sentire l’ansia montare quando si
avvicinava allo stage, consapevole del numero di persone alle quali erano stati
staccati i biglietti per la serata. Quando iniziava a cantare tutta quell’agitazione
gli scivolava di dosso, l’adrenalina lo inondava e lui si divertiva per tutto
il tempo. Tuttavia, prima che quelle sensazioni potessero avvolgerlo doveva
sempre fare i conti con quella salubre agitazione pre-concerto.
Il gruppo che apriva la loro
esibizione era formato da cinque componenti, di cui due ragazze, tutti
giovanissimi e piuttosto simpatici, originari di Llanelli.
Gli Shards li avevano scovati un po’ per caso, ma l’idea di proporli come band
supporto per la tour Europea era balzata subito alla loro mente.
Raggiunto il backstage,
davanti alle scale che avrebbero portato sul palco, il cantante si fermò, osservando
i cinque ragazzi suonare. Le luci colorate erano accecanti e oscuravano del
tutto il pubblico che, dall’altra parte, sembrava gradire la performance dei
giovani gallesi. Ewan li ascoltò, assaporando la voce delicata della cantante e
cercando di sbirciare meglio per tentare – inutilmente – di vedere il pubblico,
o anche solo una parte di esso. Il cuore prese a battergli per l’emozione e lui
non poté fare a meno di sorridere. Erano mesi che gli Shards non facevano un
concerto. Avevano da poco pubblicato il loro quinto disco, talmente nuovo che
molti dei fan non avevano ancora avuto modo di ascoltarlo. Dopo mesi di stop
per rifinire quell’album, finalmente, tornavano a esibirsi dal vivo, a fare una
delle cose che a ciascuno dei quattro componenti della band piaceva di più.
Il cantante fremeva dalla
voglia di salire sul palco, anche se in quel momento era teso e agitato. Non
vedeva l’ora di cantare per quel pubblico, di sentirlo restituirgli l’energia e
la carica, di udirli recitare come un’unica, possente, voce le parole dei loro
testi. Non stava più nella pelle, nient’altro.
I due rodie
aiutarono i ragazzi a sistemare quanto di elettronico era necessario per il
concerto, dopodiché li lasciarono liberi di rimanere lì, in attesa della loro
esibizione. Il cantante rimase in un angolino, ben nascosto da possibili
sguardi del pubblico, a godersi il resto del concerto di apertura, gli
auricolari abbandonati sulle spalle. Si passò una mano in testa, sentendo i
capelli corti al suo passaggio, freschi di rasatura. Era da diversi mesi che
aveva cambiato taglio. Ai suoi capelli sempre in piega aveva iniziato a
preferire una corta rasatura – con sorprendente dispiacere generale da parte
dei fan – piuttosto divertente anche da toccare – a detta della sua ragazza.
Alle volte, però, i capelli di un tempo gli mancavano, perciò aveva deciso che
se li sarebbe fatti crescere di nuovo. Per il resto il suo look non era affatto
cambiato, al punto che molte t-shirt che continuava a indossare erano le stesse
da anni, inclusa quella della NASA che avrebbe voluto portare quella sera per
il suo ritorno alla vita dei concerti live. Era sicuro di averla portata con
sé, per questo ancora non si dava pace al pensiero di non averla trovata,
prima. D’un tratto, però, gli venne l’illuminazione e la cosa lo fece ridere.
Aveva capito dov’era quella t-shirt e anche perché non l’avesse trovata.
Manchester Arena, Manchester, 21 novembre
Ore 9:17 PM
Anche dopo tutti quegli anni gli Shards continuavano a
essere la band preferita di Amelia. Ne erano successe di cose da quando li
aveva incontrati per la prima volta, da quando aveva incrociato gli occhi blu
di Ewan in quel post concerto a Glasgow. Eppure vederli suonare dal vivo
continuava a essere una gioia per lei, una festa dei sensi e della mente.
Continuavano a essere l’unico gruppo musicale di cui ballava ogni singola
canzone, senza che si sentisse nervosa o a disagio nel farlo – e lei si sentiva
sempre nervosa e agitata quando si trattava di ballare, al punto che preferiva
non farlo. Amava cantare ogni parola di ogni canzone come se non sapesse fare
altro nella sua vita. Aveva ascoltato il loro ultimo album e lo trovava un vero
capolavoro, un gioiello, degno successore del precedente e non vedeva l’ora di
sentirlo suonare dal vivo per la prima volta.
La ragazza si
era ritagliata un angolino vicino alla postazione del fonico. La band supporto
stava riempiendo l’aria con la propria musica, mettendo il massimo dell’impegno
nella loro esibizione. Amelia batteva il piede al ritmo della batteria,
ascoltando la loro performance. Era sola. Dopotutto a Manchester non conosceva
nessuno e quella di andare ad assistere al concerto in mezzo al pubblico era
stata una sua idea, una di quelle che non avrebbe mai ignorato, perciò essere
sola non le dispiaceva molto. In mano teneva una birra, che avrebbe voluto
conservare almeno per metà del live degli Shards – nonostante fosse già
consapevole del fatto che non ci sarebbe riuscita.
Nello stadio
cominciava a fare caldo, perciò si sfilò il giacchino di pelle e lo appoggiò
alla ringhiera alle sue spalle, quella che delimitava l’area dei fonici.
Scambiò un’occhiata con il tecnico luci e si sorrisero, dopodiché lei tornò a
dedicare la sua attenzione davanti a sé. Arrotolò le maniche della t-shirt fin
sopra le spalle, soddisfatta del suo abbigliamento. Il logo della NASA
capeggiava sulla maglietta bianca che indossava, di qualche taglia più grande
di lei, al punto che l’aveva infilata dentro i jeans skinny
neri per evitare che sembrasse un pigiama. I lunghi capelli scuri erano stati
tagliati il mese precedente, lasciando che ricadessero appena sopra alle
spalle, con un taglio netto.
Fatta eccezione
per i capelli, Amelia non si sentiva affatto cambiata. La sua vita, però,
quella sì che aveva preso una piega del tutto nuova. Era finalmente diventata
una grafica; una libera professionista contattata da persone che chiedevano i
suoi lavori. Inutile anche solo sospettare che il merito di tutto ciò non fosse
degli Shards. Una volta rese pubbliche le grafiche per la tournée in America a
cui lei aveva lavorato, le prime chiamate avevano già iniziato ad arrivare. All’inizio
nell’ambiente musicale, poi le richieste dei suoi lavori si erano estese
anche alle case editrici e pubblicitarie.
Il silenzio che
si era formato al termine dell’esibizione della band supporto, quel silenzio
interrotto solo da qualche grida di un fan o uno sporadico fischio, in cui le
luci blu illuminavano lo stage deserto e pronto ad accogliere i protagonisti
della serata, stava rendendo Amelia fremente, sempre più eccitata al pensiero
che, a breve, il quartetto londinese si sarebbe presentato sul palco per un
paio di ore di musica.
Come aveva
sospettato la birra non le era bastata. Andò a buttare il bicchiere vuoto,
pensando se valesse la pena prendere altro da bere, ma l’improvviso fervore del
pubblico le fece capire che il concerto stava iniziando.
L’esibizione
degli Shards fu bellissima. Amelia non vide molto, l’altezza non era dalla sua
parte quando andava ai concerti, soprattutto perché sembrava sempre che le
persone alte lo facessero apposta a fermarsi davanti a lei. Tuttavia la cosa le
importò poco. Conosceva bene i volti del quartetto londinese ed era lì, fra
quelle centinaia di persone, per la loro musica, le loro canzoni e le loro
parole. Era lì per godersi un po’ di sana musica dal vivo ed era ciò che aveva
fatto, al punto che quando gli Shards salutarono ringraziando il pubblico e
sparirono dietro le quinte per la seconda e ultima volta, lei si sentiva
rinata. Come quei ragazzi riuscissero a farla sentire così ogni volta non
avrebbe mai saputo spiegarselo, fatto sta che sembravano essere in grado di
aiutarla come nessun altro al mondo.
Quando gli
spettatori iniziarono a scemare, procedendo verso le uscite, la ragazza riprese
la propria giacca di pelle e la infilò dopo essersi sistemata la t-shirt. «Grazie»
disse in direzione del tecnico luci quando incrociò il suo sguardo, a
ringraziarlo di aver dato un’occhiata di tanto in tanto al suo indumento mentre
lei era troppo presa dalla musica. Questi le fece l’occhiolino e riprese a
smontare la sua strumentazione.
Stretta nell’abbraccio
della prioria giacca anche Amelia si avviò verso l’uscita, seguendo la massa di
gente come fossero animali migratori. Frugò nella borsa in cerca del suo
cartellino e appena lo trovò se lo legò a un passante dei pantaloni, svoltando
subito a sinistra appena fuori dalla porta antipanico. Affiancò buona parte del
perimetro dell’arena, fino a un cancello, sorvegliato da un paio di buttafuori
dall’aria seria. Qualche fan titubante gravitava intorno a quel punto, oltre il
quale si potevano vedere i tourbus delle band.
Amelia sollevò
il proprio cartellino, un pass, mostrandolo alle due guardie. La scritta “All Areas” risaltava al centro di esso, poco sopra il nome
della ragazza; le lettere iridescenti vibravano alle luci dei lampioni e delle
torce dei due. La lasciarono passare senza proferire parola, senza neanche un
borbottio di qualche genere al ringraziamento di Amelia. A lei non importò e si
infilò oltre l’ingresso, lungo i corridoi. Proseguì per un breve tratto di
strada, canticchiando appena Your Love Is My Favorite Band dei The Vaccines, perdendosi un paio di volte
ma ritrovando subito il percorso, finché non raggiunse la zona dei camerini. Arrivata
alla porta con affisso il foglio “Shards”, la ragazza bussò un colpo e abbassò
la maniglia. «Ragazzi si può?» domando prima di entrare, socchiudendo la porta.
«Ewan è nudo»
esclamò subito Chase dall’altra parte.
Il cantante,
ancora del tutto vestito, lo guardò di sbieco.
«Come se non l’avessi
mai visto» replicò lei, entrando nella stanza e facendo sogghignare il
batterista. Sentì subito l’odore di sudore che vi era lì dentro. Come a ogni
concerto i quattro non si erano risparmiati e anche le luci non erano d’aiuto
nel mantenere mite la temperatura corporea. D’altro canto neanche lei sembrava
appena uscita da un bagno all’acqua di rose. «Abbiamo tutti bisogno di una
doccia» disse, lasciando intendere che, venendo da fuori, l’aria lì dentro non
era esattamente respirabile.
Consapevoli
dello stato in cui versavano, gli altri ignorarono la questione.
«Ehi, Amelia ha
trovato la tua maglietta» disse Chris con fare ironico, mentre la ragazza gli
sfilava davanti per raggiungere Ewan. Lei sorrise.
«Avevo capito
che c’entravi tu» le disse il cantante appena lei l’ebbe raggiunto, dandole un
veloce bacio sulle labbra.
«Beh era facile
indovinare. Ti ho anche lasciato la mia camicia.»
Il ragazzo
lanciò un’occhiata vicino alla sua borsa, notando solo in quel momento l’indumento
di Amelia abbandonato sullo schienale di una sedia. Si lasciò sfuggire un verso
privo di significato mentre Chris interveniva: «Ha fatto un caos che non ti
immagini per cercare la maglia, dubito l’abbia vista.»
La ragazza
trattenne una risata. «Recupero la mia camicia e vado a cambiarmi» disse poi. «Così
lascio a voi maschietti tutta la privacy di cui avete bisogno.»
Aveva appena
posato la mano sulla porta per poter uscire quando Chase disse: «Guarda che
mica ci vergogniamo.»
Amelia lo
guardò, inarcando un sopracciglio. «No, lo so, come quella volta a Barcellona»
sghignazzò.
A quelle parole
batterista e tastierista sbuffarono.
«Continuerà a
ricordarvelo in eterno» ci tenne a precisare Trent, l’unico a non essersi
ancora espresso su nulla.
«Io la odio la
tua ragazza» disse Chris in direzione del cantante, ma era palese scherzasse e
regalò un sorriso ad Amelia prima che questa potesse chiudersi la porta alle
spalle.
Una volta fuori lei
si avviò verso i bagni, così da cambiarsi la maglia e sistemarsi un po’. Si
sentiva in disordine per via del concerto, in cui non si era risparmiata in
quanto a canto e ballo. Anche dopo tutti quegli anni trascorsi dalla prima
volta che aveva sentito uno dei loro pezzi, gli Shards continuavano ad avere su
di lei l’effetto di una bomba. La stravolgevano, riempiendola di sensazioni
positive.
Dopo quattro
anni si era abituata alla relazione fra lei e Ewan, ma per i primi mesi era
stato davvero difficile convivere con quel pensiero. Aveva faticato a
capacitarsi del fatto che Ewan volesse proprio lei, che quel ragazzo di cui
amava voce e testi, che aveva visto ai concerti, nei video su YouTube, sentito
alla radio in interviste di ogni genere, fosse lo stesso che aveva raggiunto
Glasgow a poche settimane dall’inizio della propria tournée americana per
chiederle di – magari – rendere ufficiali le cose fra loro. C’era la tour,
certo, ma esisteva Skype e in America il WiFi era ovunque e poi si trattava solo di un paio di mesi.
Da quel giorno – in cui Amelia aveva capito che se non fosse morta lì per un attacco
di cuore allora non sarebbe stata quella la causa del suo decesso – erano trascorsi
quattro anni.
In quel lasso di
tempo avevano imparato a stare lontani, a concentrarsi ciascuno sul proprio
lavoro, a superare i lunghi mesi di separazione per via delle tour della band.
Capitava che a volte Amelia si unisse ai ragazzi; grazie a ciò aveva la
possibilità di vedere frammenti di mondo che non aveva ancora esplorato.
Ewan l’avrebbe
voluta sempre con sé ma, forse, per loro quella era la soluzione migliore.
Amelia poteva portarsi ovunque il lavoro, ma aveva sempre bisogno del costante
confronto con il cliente e, inoltre, durante le tournée lui non poteva
dedicarle tutto il tempo che avrebbe voluto.
Amelia si univa agli Shards
quando questi facevano concerti nel Regni Unito. Per quelle serate lei era
sempre insieme a loro, assistendo ai live show da sotto il palco, in mezzo ai
fans. Quella vita, divisa fra Glasgow e Londra, ormai era la sua vita e le
piaceva moltissimo. E stare con Ewan, inoltre, continuava ad avere per lei le
sembianze di un sogno. Dopotutto, quando mai si sarebbe stancata dell’idea di
poter indossare liberamente le t-shirt del cantante della sua band preferita?
Sorrise a quel pensiero,
sistemandosi la camicia che si era appena infilata. Prese fra le mani la
maglietta di Ewan, osservando il logo della NASA stampato su di essa. C’erano
ancora altre tre serate in programma in Gran Bretagna, prima che il nuovo tour
si spostasse nel resto dell’Europa, partendo dal Belgio. Amelia era nel pieno
di una consegna e non poteva permettersi di seguire i ragazzi per il continente
anche nelle date successive. In verità anche quelle poche serate britanniche
che si stava concedendo non facevano bene al suo lavoro. La consegna che aveva
in programma era piuttosto impegnativa e con numerose tavole, ma rimaneva il
fatto che lei preferiva lavorare di notte piuttosto che stare lontana da Ewan
quando questi si trovava in Gran Bretagna.
Anche quella notte sapeva già
che avrebbe fatto le ore piccole. Si sarebbe preparata un caffè nel cucinino
del tourbus e si sarebbe seduta al tavolo, il portatile davanti, la musica
nelle orecchie, e mentre fuori le città scorrevano una dietro l’altra, luminose
come fiamme contro il cielo notturno, sarebbe andata avanti con i lavori,
avvinandosi alla consegna finale. Forse, a un certo punto, Linton l’avrebbe
raggiunta e si sarebbe messo a chiacchierare con lei, sorseggiando una birra.
Molto spesso lui faticava a dormire – a differenza di Ewan, che una volta
addormentato, a qualsiasi ora del giorno, non si svegliava neanche con le
cannonate – ed era già capitato più volte che si ritrovassero soli sul tourbus
in movimento, nel cuore della notte. Bevevano qualcosa insieme e parlavano
piano, era così che Amelia aveva scoperto che persona fosse Trent Linton,
capendo che le piaceva davvero molto, come Chase e Chris del resto.
Nonostante tutto si rese
conto che il pensiero di fare le ore piccole anche quella notte non le
dispiaceva più di tanto. Disegnare fino a tardi dopo essere stata a un concerto
degli Shards aveva il suo fascino. Forse si sarebbe pentita di quel pensiero il
giorno successivo ma, a differenza di Ewan che avrebbe dovuto prendere parte al
soundcheck per il concerto della sera, lei avrebbe potuto appallottolarsi nelle
coperte del letto fino a che lui non fosse rientrato. Era un’ottima
prospettiva.
Si incamminò per tornare nel
camerino dei ragazzi, dove trovò Ewan fermo davanti alla porta intento a
guardare il proprio smartphone.
«Si stanno cambiando?» gli
chiese appena l’ebbe raggiunto, alludendo al resto dei componenti della band.
Il cantante si mise in tasca
il telefono e si strinse nelle spalle. «Non l’ho capito nemmeno io» rispose.
«Per sicurezza sono uscito.»
La ragazza annuì, dopodiché
gli tese la t-shirt.
«Sai cosa pensavo? Che forse
farei prima a regalartela» disse Ewan, sollevando la maglietta che aveva appena
afferrato per farle capire che si stava riferendo a quella. «Sono, cosa? Due
anni che me la rubi di continuo? Se te la regalo risolvo tutto. Ti sta anche
bene.»
«Ma io non la voglio.»
«Ma...» esordì lui, senza
sapere che altro aggiungere. La secca affermazione di Amelia l’aveva colto di
sorpresa.
La ragazza arricciò le
labbra, divertita. «Pensaci. Se tu me la regali, dove sta il
divertimento nel rubartela di continuo, per citare te?»
Ewan si mise a ridere. Aveva
capito tutto e quello, in effetti, era proprio un comportamento da Amelia
Campbell. Si diede un colpo in fronte con il palmo della mano, come se avesse
appena scoperto l’acqua calda. «Oh, giusto. Come ho fatto a non pensarci?»
Fu Amelia a mettersi a
ridere ora. Al suono della sua risata Ewan si sentì scaldare. Si avvicinò
per poterla baciare, con calma questa volta, ma come era successo molte –
troppe – volte nel corso di quei quattro anni, le sue intenzioni vennero
rovinate. Alle sue spalle la porta del camerino si aprì di scatto, quasi
stessero tenendo sotto controllo la situazione nel corridoio. Chase uscì con la
vitalità che lo contraddistingueva.
«Vogliamo provare a fare una
cosa» esclamò, sembrava su di giri. Portò fuori, in corridoio, una sedia
da ufficio su ruote.
«Specifica che vuoi provarlo
tu. Non mi assumo alcuna responsabilità» si intromise Chris, incrociando
le braccia al petto.
Trent, come prevedibile, non
si espresse riguardo al progetto del batterista. Amelia e Ewan, invece, si
scambiarono un’occhiata, per poi posare lo sguardo sulla sedia.
«Ovvero?» chiese la
ragazza perplessa.
«Presente le gare di sedie
da ufficio?» continuò Chase.
«Disciplina
olimpica» intervenne sarcastico Chris.
Il batterista lo
ignorò. «Voglio vedere quanto riesco a spingerti lontano su questo
corridoio» concluse poi, guardando Amelia e lasciando intendere che era
lei la diretta interessata del suo piano.
Quest’ultima sollevò le
sopracciglia. «No, tu vuoi uccidermi» esclamò.
«Oh, dai. Che ti costa. Fra
di noi sei la più leggera» tentò ancora il ragazzo.
Lei, però, sembrava
inamovibile. Ci vollero parecchie suppliche e altrettante lusinghe per
convincerla ad assecondare l’assurda idea di Chase. In verità una parte della
ragazza avrebbe voluto prendere parte a quell’insensato gioco fin da subito, ma
farsi desiderare un po’ era una leziosità che, di tanto in tanto, le piaceva
concedersi.
Ewan rimase guardare da
spettatore a quella scena, divertito. Un po’ era anche preoccupato all’idea di
lasciare la propria ragazza nelle mani del batterista, ma era certo che non
sarebbe accaduto nulla di male. Però, sì, era preoccupato, dovette
ammetterlo. Ok, forse molto preoccupato.
Stava per intervenire quando
Amelia lo fermò. «Lasciami fare» gli disse, dal momento che aveva già
capito le intenzioni del cantante. Puntò un dito in direzione di
Chase. «Nel caso, sai chi è il colpevole.»
Per il ragazzo fu strano
assistere a quella gara contro nessuno in cui il batterista aveva coinvolto
Amelia. Tuttavia lo trovò divertente, soprattutto perché anche lei dava
l’impressione di divertirsi. Rideva e imprecava scherzosamente verso il
batterista, ormai un caro amico, che l’aveva coinvolta in tutto ciò.
A Ewan piaceva molto vederla
così, allegra e spensierata. Dopo quattro anni Amelia continuava a piacergli come
il primo giorno, come in quello stesso momento in cui aveva compreso che lo
stomaco rivoltato e il cuore in tumulto potevano significare solamente una
cosa. Si era sempre chiesto se mai sarebbe arrivato a provare un sentimento di
tale portata nei confronti di qualcuna e non avrebbe potuto essere più felice
di così nel constatare che la persona in questione era proprio Amelia.
Non avrebbe mai voluto
doversi separare da lei. Anche se sapevano stare distanti per lunghi periodi di
tempo ogni volta che si salutavano prima di una qualche partenza era sempre
piuttosto difficile per lui. Tuttavia aveva imparato a vivere quei giorni di
distanza come un buon modo per assimilare quante più storie possibili da
raccontare ad Amelia al suo ritorno, consapevole che anche lei avrebbe avuto
tante cose di cui parlare. Funzionava così fra loro e lui trovava fosse
perfetto, al punto che ogni tanto faticava ancora a credere che la ragazza che
gli aveva arricchito a tal punto la vita fosse comparsa con un disegno,
quel piccolo scarabocchio – a detta di Amelia – che si era ritrovato in tasca.
________________
Hello
there!
Ho
un annuncio. Non so quanti possano essere interessati, ma lo faccio ugualmente.
La
storia di Amelia e Ewan finisce qui. Spero davvero possa esservi piaciuta,
almeno un po’. Spero vi abbia fatto sorridere e, perché no, arrabbiare ogni
tanto.
Come
avevo anticipato nasce come fan fiction, quindi sono consapevole che non brilli
di originalità, ma ci tenevo comunque a scriverla e portala avanti. È nata in “due
tempi”. Ho scritto i primi cinque capitoli quasi due anni fa, dopodiché l’ho “abbandonata”.
Solo che continuava a tornarmi alla mente, ad articolarsi e alla fine ho deciso
di non chiuderla così, ma darle una seconda opportunità ed eccola qui.
MA,
c’è un ma. Non è del tutto finita.
Sì,
perché per questa storia ho pensato e scritto anche un finale alternativo. Finale
che, in realtà, doveva essere quello originale, a cui poi ho preferito questo.
Ho
intenzione di pubblicarlo, quel finale, giusto il tempo di rivederlo. Mi piacerebbe
leggeste anche quello, quindi vi invito a non considerare chiusa del tutto
questa storia.
Grazie
di tutto, per ora!
A
presto.
MadAka