Ottavo capitolo
New York Hospital
Ore
Mulder
stava guardando il viso di Scully, ancora immobile.
Quando
era rientrato in camera, poche ore prima, aveva fatto in modo di lasciarsi dietro
le spalle la verità con la quale Diana l’aveva costretto a scendere a patti.
Non
se l’era sentita di smentirla completamente, almeno non con sé stesso. Era da
troppo tempo che il pensiero di Scully occupava le sue giornate, troppe volte
lei aveva abitato i suoi sogni, troppe ore erano state spese nell’idea di lei,
per poter negare che il suo sentimento si fermasse all’amicizia.
Ma
aveva scelto di non fare nulla. Troppe variabili erano in gioco nel loro
rapporto e la paura di perderla, la paura di non essere corrisposto, avevano
scelto per lui.
Non
avrebbe cambiato nulla nel rapporto con Scully. Il suo sentimento avrebbe
vissuto solo nella sua testa, nel suo cuore, nella sua anima.
Era
codardo? Forse, ma, per ora, si sentiva più al sicuro ad agire così.
Ma
si permise di cullarsi nel vivo ricordo di quel bacio. Lei l’aveva corrisposto
con tutta la sua folgorante passione, ma cosa lo rendeva così certo che non
fosse stato un momento di debolezza, di follia? Nulla.
Un
movimento impercettibile solleticò il palmo della sua mano.
Il
ricordo evaporò come una nuvoletta di fumo e Mulder si sporse verso Scully,
stringendole delicatamente le dita.
“Scully…
Scully, mi senti?”, chiese a bassa voce.
Un
altro movimento sotto la sua mano.
Mulder
sorrise felice.
“Sono
qui, Scully. Mi senti?”.
Le
palpebre fremettero e le labbra si mossero.
Mulder
si alzò dalla sedia e si sedette sul bordo del letto.
Sempre
tenendo la mano di Scully stretta nella sua, si sporse verso il suo viso e le
posò l’altra mano sulla guancia senza lividi.
Mosse
impercettibilmente il pollice ad accarezzarle la tiepida pelle.
Molto
lentamente la palpebra destra di Scully si aprì, l’altra era troppo gonfia e
rimase chiusa. La fece sbattere un paio di volte, cercando di mettere a fuoco
il volto di Mulder.
“Scully”,
disse di nuovo lui con voce allegra e sollevata.
Lei
si inumidì le labbra e cercò di dire il suo nome, ma le uscì soltanto un suono
rauco e scoordinato.
“Shhh, non ti sforzare troppo”, le rivolse un sorriso
radioso, “Ora chiamo il dottore, ok?”.
Lei
fece un cenno affermativo col capo, e Mulder si diresse verso il pulsante per
chiamare il personale medico.
Il
dottore e l’infermiera si trattennero in camera per almeno un quarto d’ora,
mentre Mulder camminava su e giù per il corridoio, fremente.
Quando
gli dettero il permesso di ritornare in camera gli assicurarono che le sue
condizioni erano ottimali, che era in grado di capire quello che gli si diceva
e che riusciva a farsi capire, anche se la voce era debole e il labbro gonfio
le impediva di articolare perfettamente le parole. Gli raccomandarono anche di
non stancarla troppo; ora che si era svegliata ed era fuori pericolo, aveva il
diritto di riposare tranquillamente.
Quando
ritornò in camera e si sedette sul bordo del letto, in fianco a lei, Scully gli
rivolse un vago e buffo sorriso. Lui le
rispose raggiante, le prese una mano e se la portò alle labbra.
“Bentornata!”,
la canzonò, “Cominciavo a pensare che stessi troppo bene nel mondo dei sogni e
che non volessi più tornare tra noi!”.
Scully
accentuò il sorriso, poi si inumidì le labbra.
“No…
sto meglio qui”, la voce era bassa e debole, leggermente roca e Mulder dovette
chinarsi verso di lei per riuscire a sentirla.
“Come
ti senti?”, le chiese dolcemente, passandole una mano sui capelli, stando attento
a non toccare la tempia ferita.
Scully
fece una specie di smorfia, si inumidì di nuovo le labbra e prese un respiro.
“Stordita…
e mi sento debole, ma non mi posso lamentare”, piegò le labbra in una smorfia.
Rimasero
qualche minuto in silenzio. Mulder non voleva farla stancare troppo, e poi era
felice solo vedendo di nuovo i suoi occhi blu scrutarlo, espressivi. O meglio,
il suo occhio. Sentì una stretta al petto pensando al dolore che doveva provare
se non riusciva a tenere aperti entrambi.
Continuò
ad accarezzarle i capelli, dolcemente. Lei raccolse tutte le sue forze e
strinse la mano di Mulder.
Si
sentiva estremamente debole e confusa, ma era felice di essere in sua
compagnia. Si considerava ingiusta verso la sua famiglia, ma nemmeno la vista
di sua madre o dei suoi fratelli, l’avrebbe resa così tranquilla e serena
quanto la vista di Mulder al suo capezzale.
Lui
era molto protettivo e immaginò avesse fatto il diavolo a quattro quando li
avevano portati in ospedale. Immaginò che, almeno inizialmente, si fosse
rifiutato di farsi medicare per restare accanto a lei.
Aveva
un vago ricordo della sua voce disperata, quando era stesa su quel freddo
pavimento. Era stata quella voce profonda e spaventata, che chiamava il suo
cognome, a riportarla alla realtà per pochi istanti. Era come se il suo corpo
avesse reagito al suo urlo di dolore, come se avesse sentito il bisogno, il
desiderio, di rassicurarlo almeno per un momento, di fargli sapere che era viva
e che avrebbe lottato… fosse solo per non fare un torto a lui.
Raccolse
di nuovo a rapporto tutte le sue forze e alzò la mano a toccare la garza sulla
guancia di Mulder.
“Tu
come stai?”, gli chiese, schiarendosi la voce.
“Niente
di serio! Due cerotti e sono come nuovo!”.
“E…
là sotto?”, gli chiese con un sorrisetto. Le guance presero un po’ di colore.
“Oh…”,
Mulder fece spallucce, “Neanche questa volta riuscirò ad entrare nel coro delle
voci bianche!”.
Scully
rise. Fu una risata spezzata, roca e flebile, ma per Mulder fu un suono
bellissimo.
Le
rispose sollevando un angolo della bocca, un sorriso sghembo che lo fece
apparire, agli occhi di Scully, come un ragazzino che ha appena combinato una
marachella.
“Che
ore sono?”, chiese Scully dopo un po’.
Mulder
dette una rapida occhiata alla finestra, che aveva le imposte abbassate.
“Sono
le 5 e poco più. Vuoi vedere l’alba?” le chiese galante.
Lei
lo fissò un momento, poi annuì leggermente col capo.
Mulder
si alzò e aprì un po’ le imposte, lasciando entrare nella stanza in penombra,
la tenue luce di un sole primaverile che nasceva. Scully strizzò per un attimo
la palpebra, ma poi aprì gli occhi verso l’immagine che simboleggiava, per
eccellenza, la vita.
“Troppa
luce?”, le chiese Mulder.
Lei
scosse la testa. Era bello vedere le cose intorno a sé inondate del tenue bagliore
di una giornata ai suoi albori.
Mulder
tornò da lei.
“Non
sei stanco?”, gli chiese.
“Un
po’ si… ma non mi muovo di qui, quindi non sforzarti a dirmi di andarmene”.
Alle
parole di Mulder, la Scully medico storse la bocca, non era saggio che, seppur ferito
lievemente, perdesse ore preziose di sonno; aveva bisogno di riprendere le
forze. Ma la Scully donna tirò un sospiro di sollievo.
Era
stupido, ma non aveva voglia di rimanere sola, o meglio, non aveva voglia di
separarsi da Mulder. Le piaceva immensamente il senso di protezione e di calore
che lui era sempre riuscito a trasmetterle, e in quel frangente, lo apprezzava
più che mai.
Mulder
tornò a sedersi sulla scomoda sedia di metallo e plastica e le riprese le dita
tra le sue.
Lei
girò la testa verso di lui e le sfuggì un gemito, seguito da una smorfia di
dolore.
Mulder
sfoggiò un’ espressione preoccupata e dispiaciuta. “Forse restare qui è
egoistico da parte mia… ti sto stancando troppo… ”. Ma lei cercò di
rassicuralo, almeno in parte. “Colpa mia. Ho girato la testa troppo in fretta.
Resta un altro po’ per favore…”.
Mulder
la guardò con uno sguardo poco convinto “Il medico si è raccomandato di non
stancarti”.
“Non
mi stai stancando… e poi te l’ho chiesto io… e i desideri di un malato vanno
esauditi”, concluse con una debole alzata di spalle.
“Viziata!”.
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, poi Scully prese un respiro e gli fece una
domanda.
“Posso
sapere… che cosa significava la frase che hai detto a Ronald?”.
Mulder
aggrottò le sopracciglia. “Quale?”.
“Cito
testuale”, e si inumidì di nuovo le labbra, riprendendo fiato, “Non me ne farei
nulla senza di lei…”, e piegò gli angoli della bocca in un sorriso che voleva
essere malizioso.
“Ah,
già…”, Mulder distolse lo sguardo. “Ho solo pensato che un uomo innamorato
della sua donna avrebbe risposto così…”.
Scully
aggrottò le sopracciglia, soffocando una smorfia di dolore, per non
preoccuparlo.
“Sai…”
gli disse seriamente, “… per quanto innamorato, non credo proprio che un uomo
avrebbe acconsentito a farselo tagliare così, di punto in bianco…”.
Mulder
la guardò intensamente. “Se si fosse rivelato necessario per salvarti la vita…
ma non credo che saremmo arrivati a tanto…”.
“In
che senso?”, chiese lei, il cuore che le batteva a mille per quello che Mulder
le aveva appena detto.
“Prima
di essere portato via, Ronald ha voluto farmi sapere che, se tu non l’avessi
attaccato, ci avrebbe lasciati andare… Ha detto che saremmo stati le prime due
persone che reputavano meritevoli di continuare a vivere… forse più di quanto
lo meritavano loro… come coppia…”.
Scully
assunse un’espressione stupita. “Vuoi dire che eravamo riusciti a ingannarli?
Non c’avrei mai sperato…”.
Mulder
la guardò con occhi strani, come se non fosse d’accordo con l’idea di Scully
che a convincerli fosse stata la loro recita, bensì qualcos’altro, ma non fosse
propenso a condividere con lei le sue reali supposizioni.
Scully
si mise a riflettere sulle parole che Ronald Fresty
aveva detto a Mulder, ma dopo un po’ le palpebre cominciarono a farsi pesanti e
non riuscì a trattenere uno sbadiglio, che le procurò una fitta di dolore al
labbro ferito e alla guancia tumefatta.
Mulder
le passò la mano sui capelli. “Riposa un po’, ora. Avremmo tempo per parlare di
questo”, le disse con voce bassa e tenera.
Lei
lo guardò per un attimo, poi chiuse gli occhi e sospirò.
Mulder
si allungò a darle un bacio leggero sulla guancia sana.
Poggiò
le braccia sulla sponda del letto e vi appoggiò il mento.
Rimase
a guardarla abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, mentre la stanchezza
cominciava a pervadere tutto il suo corpo. Le palpebre cominciarono a farsi
sempre più pesanti e scivolò nel sonno senza accorgersene, mentre un cielo
limpido e chiaro faceva capolino dalle fessure dell’imposta.
Dormì
un sonno senza incubi, né sogni.
Un
sonno un po’ nebuloso, ma sereno e senza preoccupazioni.
Un sonno che si era sicuramente meritato.