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Autore: Opal636    20/07/2009    0 recensioni
Mulder e Scully vengono convocati dalla Crimini Violenti per essere infiltrati in un caso di efferati omicidi.La ff si colloca alla fine della sesta stagione. Questo è il mio primo case file. Avrò modo di farlo anche in seguito, ma volevo ringraziare per le bellissime recensioni che mi avete scritto! Spero vi piaccia anche questa!
Genere: Drammatico, Thriller, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder, Walter S. Skinner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ottavo capitolo

 

 

New York Hospital

Ore 4.57 a.m.

 

Mulder stava guardando il viso di Scully, ancora immobile.

Quando era rientrato in camera, poche ore prima, aveva fatto in modo di lasciarsi dietro le spalle la verità con la quale Diana l’aveva costretto a scendere a patti.

Non se l’era sentita di smentirla completamente, almeno non con sé stesso. Era da troppo tempo che il pensiero di Scully occupava le sue giornate, troppe volte lei aveva abitato i suoi sogni, troppe ore erano state spese nell’idea di lei, per poter negare che il suo sentimento si fermasse all’amicizia.

Ma aveva scelto di non fare nulla. Troppe variabili erano in gioco nel loro rapporto e la paura di perderla, la paura di non essere corrisposto, avevano scelto per lui.

Non avrebbe cambiato nulla nel rapporto con Scully. Il suo sentimento avrebbe vissuto solo nella sua testa, nel suo cuore, nella sua anima.

Era codardo? Forse, ma, per ora, si sentiva più al sicuro ad agire così.

Ma si permise di cullarsi nel vivo ricordo di quel bacio. Lei l’aveva corrisposto con tutta la sua folgorante passione, ma cosa lo rendeva così certo che non fosse stato un momento di debolezza, di follia? Nulla.

Un movimento impercettibile solleticò il palmo della sua mano.

Il ricordo evaporò come una nuvoletta di fumo e Mulder si sporse verso Scully, stringendole delicatamente le dita.

“Scully… Scully, mi senti?”, chiese a bassa voce.

Un altro movimento sotto la sua mano.

Mulder sorrise felice.

“Sono qui, Scully. Mi senti?”.

Le palpebre fremettero e le labbra si mossero.

Mulder si alzò dalla sedia e si sedette sul bordo del letto.

Sempre tenendo la mano di Scully stretta nella sua, si sporse verso il suo viso e le posò l’altra mano sulla guancia senza lividi.

Mosse impercettibilmente il pollice ad accarezzarle la tiepida pelle.

Molto lentamente la palpebra destra di Scully si aprì, l’altra era troppo gonfia e rimase chiusa. La fece sbattere un paio di volte, cercando di mettere a fuoco il volto di Mulder.

“Scully”, disse di nuovo lui con voce allegra e sollevata.

Lei si inumidì le labbra e cercò di dire il suo nome, ma le uscì soltanto un suono rauco e scoordinato.

Shhh, non ti sforzare troppo”, le rivolse un sorriso radioso, “Ora chiamo il dottore, ok?”.

Lei fece un cenno affermativo col capo, e Mulder si diresse verso il pulsante per chiamare il personale medico.

 

Il dottore e l’infermiera si trattennero in camera per almeno un quarto d’ora, mentre Mulder camminava su e giù per il corridoio, fremente.

Quando gli dettero il permesso di ritornare in camera gli assicurarono che le sue condizioni erano ottimali, che era in grado di capire quello che gli si diceva e che riusciva a farsi capire, anche se la voce era debole e il labbro gonfio le impediva di articolare perfettamente le parole. Gli raccomandarono anche di non stancarla troppo; ora che si era svegliata ed era fuori pericolo, aveva il diritto di riposare tranquillamente.

Quando ritornò in camera e si sedette sul bordo del letto, in fianco a lei, Scully gli rivolse un  vago e buffo sorriso. Lui le rispose raggiante, le prese una mano e se la portò alle labbra.

“Bentornata!”, la canzonò, “Cominciavo a pensare che stessi troppo bene nel mondo dei sogni e che non volessi più tornare tra noi!”.

Scully accentuò il sorriso, poi si inumidì le labbra.

“No… sto meglio qui”, la voce era bassa e debole, leggermente roca e Mulder dovette chinarsi verso di lei per riuscire a sentirla.

“Come ti senti?”, le chiese dolcemente, passandole una mano sui capelli, stando attento a non toccare la tempia ferita.

Scully fece una specie di smorfia, si inumidì di nuovo le labbra e prese un respiro.

“Stordita… e mi sento debole, ma non mi posso lamentare”, piegò le labbra in una smorfia.

Rimasero qualche minuto in silenzio. Mulder non voleva farla stancare troppo, e poi era felice solo vedendo di nuovo i suoi occhi blu scrutarlo, espressivi. O meglio, il suo occhio. Sentì una stretta al petto pensando al dolore che doveva provare se non riusciva a tenere aperti entrambi.

Continuò ad accarezzarle i capelli, dolcemente. Lei raccolse tutte le sue forze e strinse la mano di Mulder.

Si sentiva estremamente debole e confusa, ma era felice di essere in sua compagnia. Si considerava ingiusta verso la sua famiglia, ma nemmeno la vista di sua madre o dei suoi fratelli, l’avrebbe resa così tranquilla e serena quanto la vista di Mulder al suo capezzale.

Lui era molto protettivo e immaginò avesse fatto il diavolo a quattro quando li avevano portati in ospedale. Immaginò che, almeno inizialmente, si fosse rifiutato di farsi medicare per restare accanto a lei.

Aveva un vago ricordo della sua voce disperata, quando era stesa su quel freddo pavimento. Era stata quella voce profonda e spaventata, che chiamava il suo cognome, a riportarla alla realtà per pochi istanti. Era come se il suo corpo avesse reagito al suo urlo di dolore, come se avesse sentito il bisogno, il desiderio, di rassicurarlo almeno per un momento, di fargli sapere che era viva e che avrebbe lottato… fosse solo per non fare un torto a lui.

Raccolse di nuovo a rapporto tutte le sue forze e alzò la mano a toccare la garza sulla guancia di Mulder.

“Tu come stai?”, gli chiese, schiarendosi la voce.

“Niente di serio! Due cerotti e sono come nuovo!”.

“E… là sotto?”, gli chiese con un sorrisetto. Le guance presero un po’ di colore.

“Oh…”, Mulder fece spallucce, “Neanche questa volta riuscirò ad entrare nel coro delle voci bianche!”.

Scully rise. Fu una risata spezzata, roca e flebile, ma per Mulder fu un suono bellissimo.

Le rispose sollevando un angolo della bocca, un sorriso sghembo che lo fece apparire, agli occhi di Scully, come un ragazzino che ha appena combinato una marachella.

“Che ore sono?”, chiese Scully dopo un po’.

Mulder dette una rapida occhiata alla finestra, che aveva le imposte abbassate.

“Sono le 5 e poco più. Vuoi vedere l’alba?” le chiese galante.

Lei lo fissò un momento, poi annuì leggermente col capo.

Mulder si alzò e aprì un po’ le imposte, lasciando entrare nella stanza in penombra, la tenue luce di un sole primaverile che nasceva. Scully strizzò per un attimo la palpebra, ma poi aprì gli occhi verso l’immagine che simboleggiava, per eccellenza, la vita.

“Troppa luce?”, le chiese Mulder.

Lei scosse la testa. Era bello vedere le cose intorno a sé inondate del tenue bagliore di una giornata ai suoi albori.

Mulder tornò da lei.

“Non sei stanco?”, gli chiese.

“Un po’ si… ma non mi muovo di qui, quindi non sforzarti a dirmi di andarmene”.

Alle parole di Mulder, la Scully medico storse la bocca, non era saggio che, seppur ferito lievemente, perdesse ore preziose di sonno; aveva bisogno di riprendere le forze. Ma la Scully donna tirò un sospiro di sollievo.

Era stupido, ma non aveva voglia di rimanere sola, o meglio, non aveva voglia di separarsi da Mulder. Le piaceva immensamente il senso di protezione e di calore che lui era sempre riuscito a trasmetterle, e in quel frangente, lo apprezzava più che mai.

Mulder tornò a sedersi sulla scomoda sedia di metallo e plastica e le riprese le dita tra le sue.

Lei girò la testa verso di lui e le sfuggì un gemito, seguito da una smorfia di dolore.

Mulder sfoggiò un’ espressione preoccupata e dispiaciuta. “Forse restare qui è egoistico da parte mia… ti sto stancando troppo… ”. Ma lei cercò di rassicuralo, almeno in parte. “Colpa mia. Ho girato la testa troppo in fretta. Resta un altro po’ per favore…”.

Mulder la guardò con uno sguardo poco convinto “Il medico si è raccomandato di non stancarti”.

“Non mi stai stancando… e poi te l’ho chiesto io… e i desideri di un malato vanno esauditi”, concluse con una debole alzata di spalle.

“Viziata!”.

Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Scully prese un respiro e gli fece una domanda.

“Posso sapere… che cosa significava la frase che hai detto a Ronald?”.

Mulder aggrottò le sopracciglia. “Quale?”.

“Cito testuale”, e si inumidì di nuovo le labbra, riprendendo fiato, “Non me ne farei nulla senza di lei…”, e piegò gli angoli della bocca in un sorriso che voleva essere malizioso.

“Ah, già…”, Mulder distolse lo sguardo. “Ho solo pensato che un uomo innamorato della sua donna avrebbe risposto così…”.

Scully aggrottò le sopracciglia, soffocando una smorfia di dolore, per non preoccuparlo.

“Sai…” gli disse seriamente, “… per quanto innamorato, non credo proprio che un uomo avrebbe acconsentito a farselo tagliare così, di punto in bianco…”.

Mulder la guardò intensamente. “Se si fosse rivelato necessario per salvarti la vita… ma non credo che saremmo arrivati a tanto…”.

“In che senso?”, chiese lei, il cuore che le batteva a mille per quello che Mulder le aveva appena detto.

“Prima di essere portato via, Ronald ha voluto farmi sapere che, se tu non l’avessi attaccato, ci avrebbe lasciati andare… Ha detto che saremmo stati le prime due persone che reputavano meritevoli di continuare a vivere… forse più di quanto lo meritavano loro… come coppia…”.

Scully assunse un’espressione stupita. “Vuoi dire che eravamo riusciti a ingannarli? Non c’avrei mai sperato…”.

Mulder la guardò con occhi strani, come se non fosse d’accordo con l’idea di Scully che a convincerli fosse stata la loro recita, bensì qualcos’altro, ma non fosse propenso a condividere con lei le sue reali supposizioni.

Scully si mise a riflettere sulle parole che Ronald Fresty aveva detto a Mulder, ma dopo un po’ le palpebre cominciarono a farsi pesanti e non riuscì a trattenere uno sbadiglio, che le procurò una fitta di dolore al labbro ferito e alla guancia tumefatta.

Mulder le passò la mano sui capelli. “Riposa un po’, ora. Avremmo tempo per parlare di questo”, le disse con voce bassa e tenera.

Lei lo guardò per un attimo, poi chiuse gli occhi e sospirò.

Mulder si allungò a darle un bacio leggero sulla guancia sana.

Poggiò le braccia sulla sponda del letto e vi appoggiò il mento.

Rimase a guardarla abbandonarsi tra le braccia di Morfeo, mentre la stanchezza cominciava a pervadere tutto il suo corpo. Le palpebre cominciarono a farsi sempre più pesanti e scivolò nel sonno senza accorgersene, mentre un cielo limpido e chiaro faceva capolino dalle fessure dell’imposta.

Dormì un sonno senza incubi, né sogni.

Un sonno un po’ nebuloso, ma sereno e senza preoccupazioni.

Un sonno che si era sicuramente meritato.

  
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