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Autore: VenoM_S    25/02/2019    1 recensioni
[la storia non parla direttamente degli X-men, ma un passaggio sul finale è direttamente correlato a questo universo, per cui mi sono sentita più "tranquilla" inserendo qui questa fic, anche se il personaggio principale e gli eventi sono totalmente originali]
Ero una ragazza come altre, come tante, finché in un pomeriggio di pioggia, uno strano scricchiolio diede inizio a qualcosa di incredibile.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al "COWT" di Lande di Fandom
Settimana: terza
Missione: M2
Prompt: "La piuma arrivò risalendo il vento" (Giorgio Faletti, La piuma)
N° parole: 1900
La metamorfosi
 
Tutto iniziò, quel pomeriggio, con un leggero scricchiolio. E un prurito, anche.
La giornata era stata intensa al lavoro, forse più del solito dato che la mia scrivania era letteralmente stata invasa da blocchi di cartelle piene di pratiche da archiviare, come se tutti i funzionari dell’ufficio avessero deciso di chiudere gli affari della settimana proprio oggi. E proprio tutti insieme, aggiungerei. Avevo passato la totalità della mattina a scrivere al computer il più velocemente possibile così da evitare di rimanere indietro per il giorno dopo o, peggio, essere costretta a portarmi il lavoro a casa per poter finire tutto. Mi dolevano i polsi, e la piccola pausa pranzo nella panineria all’angolo era trascorsa massaggiandomi alternatamente l’uno e l’altro mentre addentavo il mio panino preferito, una meravigliosa unione di carne sfilacciata, cipolline croccanti, rucola e una salsina di cui non ero mai riuscita a cogliere tutti gli ingredienti, ma che legava perfettamente il tutto al morbido panino bianco che li racchiudeva.

Una volta rientrata a casa ero volata direttamente in camera, togliendomi le scarpe lungo il tragitto per liberare i miei poveri piedi dalle scarpe che li avevano martoriati per tutto il tempo. Odiavo il dress-code del mio ufficio che mi costringeva ad indossare indumenti fin troppo estranei al mio stile casual, e soprattutto quelle scarpe con il tacco basso ma non troppo e la punta stretta mi davano i nervi, oltre a trovarle vagamente orribili. Mi ero cambiata in fretta, infilando con scioltezza i pantaloni della tuta ed una felpa abbastanza sformata da potermi racchiudere con morbidezza, con le maniche che superavano leggermente i polsi. Poi, ringraziando il riscaldamento a pavimento che mi consentiva di camminare scalza, mi spostai in cucina, accendendo l’interruttore del bollitore elettrico mentre sceglievo una tisana dalla piccola scatola metallica in cui erano infilate, alla rinfusa, decine di bustine dei gusti più disparati. Dopo qualche minuto, con la tazza fumante tra le mani, mi andai a distendere sul divano in soggiorno, tirando su i piedi e iniziando a sorseggiare la bevanda calda dal meraviglioso profumo di mela e fichi. Dopo un paio di sorsi, appoggiai la tazza al piccolo tavolino di legno accanto al divano, prendendo al suo posto il pesante libro dalla copertina in finta pelle, dalle cui pagine spuntava un segnalibro a forma di gatto.

Fuori aveva iniziato a piovere a dirotto da qualche minuto, ed il rumore delle goccioline che battevano incessantemente sulle finestre, con un ticchettio leggero, riusciva come sempre a rilassarmi.
Mentre sfogliavo lentamente le pagine di quel pittoresco fantasy, mi accorsi di sbadigliare più spesso del normale. Da qualche giorno mi sentivo un po’ spossata, ogni singolo muscolo della schiena aveva iniziato a farmi male da un po’, un male contenuto ma persistente. E, come se le stranezze non bastassero, un paio di mattine prima avevo notato due piccole cicatrici sulla schiena, bianche e lineari, quasi parallele che ogni giorno diventavano più evidenti, come se qualcuno mi graffiasse nel sonno. Fino ad ora non ero mai riuscita a capire come me le fossi procurate.
Improvvisamente fui colta da un fastidioso prurito alle scapole, quasi un bruciore anzi, che mi costrinse a cercare dapprima di sfregarmi contro lo schienale del divano, senza tropo successo, e poi a cercare di raggiungere quel punto con la mano destra, contorcendomi un po’ mentre la infilavo sotto il maglione dal basso cercando di placare quella sensazione.
Non seppi mai se fu proprio quel movimento a provocare il tutto, ma poco dopo sentii chiaramente il suono di qualcosa che si strappava, come un foglio di cartoncino conteso tra due bambini.

Scratch

La prima cosa che percepii, stranamente, fu un’assoluta calma dei sensi come se ci fosse qualcosa dentro di me, anzi dentro la mia mente per essere precisi, che mi ripetesse di non preoccuparmi, che sarebbe andato tutto bene, stringendomi a sé in una specie di abbraccio immaginario. Avrei dovuto soltanto continuare a respirare e chiudere gli occhi.
Ancora non sapevo quanto sarei cambiata, una volta riaperti.
“Inspira, espira”
Molti ancora oggi mi dicono che avrei dovuto sentire dolore, un dolore quasi atroce. Eppure, con sgomento, mi ritrovai percepire del tutto impotente la perdita della quasi totalità della pelle sulla mia schiena senza il minimo segno di sofferenza. La sentivo creparsi, ripiegarsi su sé stessa prima di cedere, cadendo giù sul divano come una foglia morta. Non usciva nemmeno sangue in effetti, o almeno non quello che ci si aspetterebbe da un evento di quella portata anatomica.
“Inspira, espira”
Caddi dal divano, poggiando le mani aperte e le ginocchia sul pavimento, a carponi, cercando di restare presente e sveglia. Il libro e la soffice coperta azzurra con il disegno di un cucciolo di foca con cui amavo scaldarmi nelle giornate fredde come questa vennero scaraventati lontano, dall’altra parte della stanza, cadendo a terra con un tonfo sordo. Nel frattempo riuscivo a percepire i muscoli della schiena tirare, allungarsi, spostarsi per fare spazio a qualcosa di totalmente nuovo. Sentivo ossa sconosciute scricchiolare, rompersi con grossi schiocchi per poi riassestarsi in nuove posizioni, mentre le mie braccia cedevano, piegandosi sotto il peso di quella strana struttura che si stava formando dentro di me, spingendo sempre di più per uscire, strappando la mia adorata felpa.
“Inspira, esp-”

Immagino che la mia mente a quel punto crollò, incapace di gestire o anche solo concepire quella situazione. L’unica cosa che ricordo prima del vuoto è che aprii per un secondo gli occhi nel panico mentre, risalendo su un soffio di vento generato da chissà cosa, una piuma mi passava leggiadra davanti, lunga più o meno come la distanza tra il polso ed il gomito. Era di un luminoso beige che andava man mano scurendosi fino alla punta rotondeggiante e definita, fino a raggiungere un freddo marrone scuro. Ad intervalli regolari, inoltre, alcune striature dello stesso marrone si allungavano lungo il corpo della piuma. Alcune goccioline di sangue macchiavano il calamo e punteggiavano qui e là le piccole barbule spumose.

Al mio risveglio non potei fare a meno di notare che la stanza era completamente sotto sopra. Il mio comodo divano di stoffa bianco era stato rovesciato all’indietro, i morbidi cuscini colorati che avevo comprato giusto qualche giorno prima per ravvivare l’ambiente erano ancora più lontano, quasi verso il piccolo arco che separava il soggiorno dalla cucina. Il tavolino di cristallo che usavo spesso come poggiapiedi e che fino a poco fa mi era di fianco era ridotto in frantumi sparsi ovunque, mentre la pila di libri che come sempre vi era poggiata sopra era volata agli angoli della stanza.
Come se non bastasse poi c’erano ovunque quelle grandi piume.
Lungo le braccia mi scorrevano alcuni rivoletti di sangue che erano gocciolati a terra formando un curioso disegno astratto che sarebbe sicuramente stato degno di un pittore strambo con poca fantasia. Cercai nelle braccia la forza necessaria per staccarmi dal pavimento e mettermi in piedi, ma dovetti faticare più del previsto non tanto a causa delle gambe molli per lo shock, quanto piuttosto nel cercare di trovare il giusto equilibrio per mantenermi dritta senza cadere. C’era qualcosa che mi rendeva molto pesante, qualcosa sulla mia schiena.
Barcollai appoggiandomi alle pareti lungo tutto il soggiorno, imboccando il piccolo corridoio che portava alla mia camera da letto e una volta lì i diressi verso il grande specchio che copriva una delle tre ante dell’armadio. Quando guardai il mio riflesso, mi sentii di nuovo cedere le gambe, e non potei fare a meno di urlare.
Due ali enormi mi sovrastavano muovendosi in modo scomposto, a scatti, prima una e poi l’altra come se non sapessero bene cosa fare. Non poteva essere vero quello che stavo guardando.

«No, no, no! Non esistete davvero, andate via…»

Presa dal panico, chiusi ancora gli occhi stringendoli il più possibile, implorando che quelle cose mostruose sparissero, ripetendo insistentemente quella frase nella mia mente come un mantra disperato. Sorprendentemente, un nuovo concerto di scricchiolii fece spazio ad una sensazione di leggerezza e stabilità normali. Riaprii piano gli occhi, e le ali erano sparite. Voltandomi per osservare la mia schiena nuda scoprii che al loro posto era comparso un enorme tatuaggio a colori che le rappresentava fedelmente, anche se in scala ridotta rispetto alle originali. Volendo credere all’impossibile chiusi nuovamente gli occhi, concentrandomi nel visualizzare quelle ali e pensando di riaverle indietro.
Stiramenti di muscoli e fruscii invasero la stanza, ed eccole di nuovo lì, enormi, magnifiche e per molti versi decisamente inquietanti.
In qualche modo questa curiosa scoperta servì a tranquillizzarmi quel tanto che bastava per riprendere a respirare normalmente. Iniziai ad osservarle, e spinta dalla curiosità allungai le mani verso quella coltre di piume. Dovevo toccarle, sentire che erano davvero lì, per confermare una volta per tutte che non ero in preda alle allucinazioni.

Le piume erano soffici e lisce, il contatto con le mie mani le faceva vibrare leggermente, e potevo percepire questa sensazione chiaramente anche lungo la spina dorsale. Continuando ad ispezionarle, cercai di concentrare i miei pensieri sui loro movimenti per capire fino a quanto riuscivo a controllarli. In maniera ancora decisamente incerta, riuscii a portare le punte delle ali in avanti, verso lo specchio, e poi di nuovo indietro, fino ad aprirle completamente. L’apertura totale era impressionante, almeno due metri e mezzo se non di più, andando ad occupare più della metà della larghezza della mia camera.
“per lo meno posso farvi sparire” pensai con sollievo, immaginando già lo sguardo terrorizzato che le sarebbe stato rivolto alla loro sola vista dalle persone in strada, al lavoro, ovunque. “Devo imparare a controllarle meglio, però” conclusi alla fine di quel pensiero orribile.

Come in risposta ad un’inconsapevole chiamata, la mia mente fu pervasa da una voce sconosciuta ma rassicurante, sorprendendomi a tal punto che mi coprii il busto ancora scoperto con le braccia in imbarazzo, anche se non sapevo davvero se potevo essere vista. Mi disse che entro qualche giorno qualcuno di fidato sarebbe venuto da me, per aiutarmi, che non dovevo avere paura di nulla perché non ero sola e, se lo avessi voluto, ci sarebbe stato un posto sicuro per me in cui vivere, in cui mi sarebbe stato insegnato a controllarmi e sfruttare al meglio il mio nuovo corpo e le mie nove capacità.
Poi, così come era arrivata, quella voce scivolò via lasciandomi di nuovo sola. Era scesa ormai la notte, l’orologio al muro segnava le undici e trenta passate da poco e, sicuramente sopraffatta da tutto quello che era successo nelle ultime, velocissime ore, mi sentii estremamente stanca. Dovevo davvero dormire, ed una volta sveglia avrei sicuramente avuto le idee più chiare su ciò che sarebbe stato meglio fare.
Feci sparire quelle ali così goffe e scomposte, aprii l’armadio e presi la prima maglia che trovai nel cassetto in alto. Dopo averla infilata, tornai velocemente in soggiorno per prendere il telefono.
Era davvero un disastro.
Digitai velocemente un messaggio al mio responsabile, comunicando che mi ero sentita male e che avrei voluto prendere due giorni di riposo, aggiungendo che la grossa pila di scartoffie di quella mattina era terminata e che quindi non c’era lavoro arretrato da svolgere. Dopo aver ricevuto l’assenso, tornai in camera e mi buttai a letto con un tonfo, avvolgendomi nelle coperte calde e rassicuranti.

Sprofondai in un sonno buio e privo di sogni, e l’ultima cosa che mi passò per la mente, nitida e veloce come un lampo, fu un unico e semplice pensiero:

“Imparerò a volare”
  
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