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Autore: ale93    05/03/2019    2 recensioni
“Ti sbagli quando dici che sono testardo come Dean. Ho imparato da entrambi.”
[post s14e08 | destiel | jack winchester]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Another story'
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someone just told me there is no tomorrow



Penso alla morte dei Winchester, tutti loro, soprattutto di Jack, più spesso di quanto pensi a ciò che devo fare di giorno in giorno.

Penso alla morte di Dean. La immagino quando il silenzio si fa denso, quando ogni persona e oggetto, in questo posto, diviene indistinguibile e tutto ciò che resta è la voce che all’orecchio mi sussurra non sarai in grado di salvarlo.

Ho immaginato il suo cadavere riverso nella terra, pieno di lividi e ferite. Ad occhi chiusi, vedo il suo petto immobile e nessun respiro a riempirgli i polmoni. Talvolta, sono minacce invisibili ad ucciderlo, prima che io possa fargli scudo. Prima che possa morire al suo posto.

C’è una strana accezione di bisogno che, negli anni, è divenuta parte del mio modo di sentire e agire. Una singola parola si è caricata di una quantità di sfumature che solo un decennio fa non sarei stato in grado di distinguere. Ho bisogno di salvare i Winchester, di stare accanto a Jack e di tenerlo al sicuro, ho bisogno di proteggere la mia famiglia. Ma c’è qualcosa di diverso, seppure così tanto simile, nella necessità di star seduto a questo tavolo, alle prime luci del mattino, e guardare la schiena di Dean curva sul ripiano della cucina, mentre prepara distrattamente il caffè. C’è qualcosa di diverso nel bisogno di vederlo entrare dalla porta d’ingresso con i vestiti malridotti, ma le parti vitali integre. Di trovarlo seduto in biblioteca, con una bottiglia di birra tra le mani e le gambe distese.

Non è lo stesso tipo di urgenza con cui non molto tempo fa cercavo di compiere il mio dovere, di fare ciò che è giusto. Assomiglia, però, a ciò che di puro e violento osservavo dal Paradiso. Ha qualcosa a che fare con il dolore e la disperazione e la bellezza che guardavo da lontano.

Ha a che fare con il pensiero che in lui risieda e da lui muova tutta la mia storia. Ciò che ho di caro, tutta questa famiglia, questa rete di affetti e caparbietà e solidarietà e speranza derivano da lui. Ha a che fare con la casa che Dean ha tirato su per tutti noi, una casa le cui fondamenta posano su terreni di battaglia, sacrificio, coraggio. Paure condivise, seppur taciute. Ingenui tentativi di conforto. Purezza.

Ed è con quella stessa purezza che Jack mi ripete: “dovresti parlargliene”, guardandomi negli occhi con la vulnerabilità e la rabbia di cui solo una vita brevissima è capace, “dovresti dirgli del patto con il vuoto! Adesso! Potremmo trovare una soluzione!” Lo afferma ogni volta con una testardaggine che mi preme sul petto e che mi fa sorridere. È da Dean che ha imparato a reagire con questa foga. È la stessa caparbietà di Dean, quella con cui Jack si convince che il problema sia un’inutile promessa d’infelicità, la postilla minuscola alla fine di un contratto che mi permette di rispondere ai miei bisogni. Che mi permette di tenere in salvo i pezzi della mia vita. A qualsiasi costo.

C’è un ricordo che mi tormenta, in questi giorni. Una domanda, che ha accompagnato i miei ultimi anni e che, forse, rappresenta la chiave di lettura della mia intera esperienza. Alla nascita di ognuno di noi, Dio, o almeno il Padre che io ricordo, ha chiesto a ciascuno: a quale scopo credi di dover rispondere? Qual è il tuo posto in questa storia?

Ricordo una voce solida e ampia come le mura di una stanza all’interno della quale abitavo con gioia. Che cosa sei tu, Castiel, domandava.

Ieri, avrei risposto un soldato. Oggi, dico con fermezza che sono ciò che queste persone mi hanno reso. Non conosco fino in fondo il mio ruolo e non so quale sia esattamente il mio scopo in questa storia. Non so cosa io possa fare di tutta questa necessità di proteggere e combattere e morire per i Winchester, per Jack. Per Dean. Quello che so è che non importa quale sia il costo, importa solo che io resti. Importa solo che io possa essere le mani con cui stringere le armi necessarie a combattere la minaccia.

Importa che io possa rispondere al bisogno di difendere tutti loro.

Importa che io possa aggirarmi ancora così, per le stanze di questo bunker, mentre Dean ride di me e delle mie apprensioni. Importa che io possa sentire il peso della sua mano sulla schiena dopo una lunga giornata di morti scampate. Che io possa offrire il conforto di una guarigione immediata dal dolore fisico e quello più lento, ma spero più duraturo, dal dolore della sua mente. Importa che io possa leggere nei suoi occhi quello che dice davvero quando pronuncia la parola “famiglia”.

Come spesso si verifica nelle combinazioni che abitano questo universo, anche la mia necessità si compone di due metà differenti, ma complementari. Un bisogno vitale e uno egoistico. Se non posso avere la felicità, posso averne una parvenza.

È per questo che alle domande di Jack rispondo: “non devo trovare una soluzione. Devo stare qui il più a lungo possibile.” Vedo nei suoi occhi la confusione di chi guarda la statua del proprio padre crollare e diventare pezzi inutili di creta. Vedo nella sua espressione la frustrazione e il rancore. E ne sorrido.

“Quindi hai venduto la tua vita per questo. Ti sei condannato e basta.”
“Jack, voi Winchester avete una straordinaria tendenza al suicidio. Se basta promettere che sarò infelice per restare e proteggervi tutti…”
Noi, Winchester.”
“Come?”
“Tutti noi Winchester abbiamo una tendenza al suicidio. Tu hai promesso che morirai infelice.”

Se Dean fosse presente potrei giocare a cogliere le differenze nel modo in cui si corrucciano, nel modo in cui le loro spalle si tendono un momento prima di darmi dell’idiota.

“Avevi ragione, Jack. Sei tale e quale a lui.”
“A chi?”
A tuo padre. “A Dean. Sei testardo come lui. Dici esattamente quello che direbbe lui.”
“Non è così. Non è per questo che non vuoi parlare con lui? È l’unico in grado di convincerti a tornare sui tuoi passi.”

Il suo sguardo si spoglia di qualsiasi rancore o sarcasmo e si colora di quell’affetto che mille volte ho visto sui visi dei figli quando scoprono le imperfezioni e le debolezze dei genitori. Come potrei mai spiegargli che per lui devo essere una montagna, ma che nelle mani di Dean mi sento argilla?

Ma forse non ne ho bisogno. Forse Jack ha già capito ciò che c’era da sapere.

Potrei ammettere che vorrei che fosse tutto un po’ più facile, che vorrei che la nostra vita non ci mettesse mai davanti a queste scelte. Ma sa anche questo. Lo vede.

“Non devi preoccupartene, Jack.”
Lui mi guarda severamente. È la prima volta che attraverso il suo sguardo non riesco a leggere chiaramente il suo pensiero. “Ti sbagli quando dici che sono testardo come Dean. Ho imparato da entrambi.”

Si alza, proprio nell’istante in cui Dean si affaccia alla porta della cucina. “Ehi, tu. Dove te ne vai?”

Li guardo, lì in piedi, uno accanto all’altro. Jack continua a fissarmi, mentre lo sguardo di Dean si fa più confuso ad ogni secondo di silenzio in cui il discorso rimane sospeso pesantemente sulle nostre teste. Dean aggiusta distrattamente i vestiti di Jack, in un gesto semplice. Normale. Jack lo guarda con l'accenno di un grazie negli occhi.

Ed io che li osservo da qui.

Alla fine di tutto, credo di dover essere io a lasciare la scena.

Il petto è gonfio di qualcosa che nessuno definirebbe felicità, ma che è così spaventosamente simile a quel concetto che non posso concedermi il rischio. “Lui non va da nessuna parte. Sono io che ho bisogno di…”
“Di?”

“…niente. Di niente, Dean. Solo di farmi un giro.”
   
 
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