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Autore: Opal636    21/07/2009    3 recensioni
Mulder e Scully vengono convocati dalla Crimini Violenti per essere infiltrati in un caso di efferati omicidi.La ff si colloca alla fine della sesta stagione. Questo è il mio primo case file. Avrò modo di farlo anche in seguito, ma volevo ringraziare per le bellissime recensioni che mi avete scritto! Spero vi piaccia anche questa!
Genere: Drammatico, Thriller, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder, Walter S. Skinner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nono Capitolo

 

 

Appartamento di Dana Scully

Una settimana dopo

Ore 9.02 p.m.

 

Scully stava scaldando dell’acqua sul fornello. Una bustina di camomilla attendeva di essere messa in infusione, solitaria, sul ripiano della cucina. Indossava il suo morbido accappatoio bianco di spugna e aveva intenzione di passare la serata stesa in divano a guardare un po’ di tv, prima di buttarsi a letto, tra le familiare e morbide coperte che non vedeva da più di sette giorni.

Era tornata a casa quella stessa mattina. Mulder l’aveva accompagnata, non fidandosi a lasciarla sola.

Aveva passato tutta la precedente settimana nell’ospedale di New York, sotto stretta osservazione dei medici, di Mulder, di sua madre e di Charlie.

I suoi familiari erano arrivati la mattina seguente alla disavventura, scusandosi per Bill e Tara che non erano riusciti a trovare qualcuno che tenesse loro la bambina mentre erano via.

Sua madre  l’aveva osservata per tutto il tempo con un’espressione sconvolta sul volto e aveva continuato a chiederle se era certa di sentirsi bene, mentre guardava con occhi lucidi i lividi e i gonfiori sul viso della figlia.

Mentre Charlie non aveva fatto altro che sparare battute a raffica nel tentativo di distrarre la madre e Scully stessa. I suoi tentativi erano stati sicuramente apprezzabili, ma non avevano fatto altro che irritare ancora di più la madre, mentre Scully, che si era sinceramente divertita ascoltando le ironiche parole del fratello, era riuscita a ridere a tratti, perché la faccia le doleva per ogni movimento.

I primi tre giorni, i medici l’avevano obbligata a letto, con suo grande disappunto, ma erano stati irremovibili. Aveva potuto iniziare a camminare da sola, almeno per andare in bagno, a partire dal quarto giorno. Sua madre l’aveva tenuta sempre d’occhio, con sguardi severi e preoccupati, ma Scully non le aveva prestato molta attenzione. Aveva continuato a ripetere all’infinito a tutti che si sentiva bene - almeno per quanto si può sentire bene una persona che ha ricevuto una botta in piena tempia, che le ha provocato una commozione cerebrale – ma sembrava che nessuno le avesse creduto fino in fondo.

Avevano continuato tutti a trattarla come una bambina bisognosa di cure e la cosa, dopo qualche giorno, aveva cominciato a irritarla parecchio, fu per quello che la sera precedente, aveva gongolato silenziosamente, perché era riuscita a convincere il suo medico a mandarla a casa, con la promessa di non ritornare subito al lavoro e di strapazzarsi poco.

Scully aveva accettato senza troppi tentennamenti. Da medico qual’era, sapeva che avrebbe dovuto riposarsi e sottoporsi ad alcuni controlli per qualche tempo, ma l’idea di potersene ritornare a casa, nel suo ambiente, l’aveva resa euforica.

Ma ora, sola tra le familiari mura, si sentiva vulnerabile e a disagio. E non riusciva a capire perché.

Uno psicologo, probabilmente, avrebbe dato la colpa alla brutta esperienza che aveva appena vissuto, ma lei non era del tutto certa che fosse l’unico motivo. Di brutte esperienze, in sei anni di X Files, ne aveva fatte parecchie, se avesse dovuto essersi sentita così tutte le volte, ormai non avrebbe avuto nemmeno più il coraggio di fare due passi da sola.

Era vero che questa era stata un’esperienza diversa dal solito, non li aveva segnati soltanto nel fisico, ma anche nello spirito. Le parole che Ronald Fresty aveva detto a Mulder, in quella maledetta cantina, sottintendevano qualcosa che lei non aveva il coraggio di affrontare.

Nei giorni passati in ospedale, Mulder non ne aveva più fatto parola, e lei si era ben guardata dal tirare fuori l’argomento. Aveva la netta impressione che lui non fosse molto propenso a parlarne.

E se lei aveva interpretato correttamente il significato recondito di quelle parole, come probabilmente lo aveva interpretato Mulder, capiva perfettamente perché non avesse più cercato di riflettere con lei sulla questione, e di questo era contenta. Non avrebbe saputo con che faccia affrontare un argomento così delicato, che implicava una profonda indagine dei loro sentimenti più intimi e inconfessati.

Un bussare sommesso alla porta la distolse dalle sue congetture.

Andò ad aprire, senza guardare dallo spioncino, tanto sapeva che era Mulder, le aveva detto che sarebbe passato a vedere come stava.

Lo fece accomodare, chiudendosi istintivamente con le dita la scollatura dell’accappatoio.

“Ciao! Come stai?”, le chiese appena entrato in casa.

“Mulder, sono sette giorni che non pronunci altre parole”, gli disse in tono ironico, “Stai diventando monotono”.

Lui fece spallucce. “Come stai?”.

“Bene…”, rispose allora Scully in tono accondiscendente, sbuffando leggermente.

Mulder la osservò. Il livido sulla guancia era diventato di una sfumatura giallognola, ma il gonfiore si era sicuramente attenuato. Il labbro aveva ripreso la sua dimensione normale, restava solo una brutta cicatrice a ricordare il taglio. L’occhio, invece, si era sgonfiato come la guancia, ma era ancora piuttosto tumefatto e Scully faceva ancora fatica ad aprirlo del tutto.

Attorno alla tempia non aveva più la fasciatura, ma un semplice quadrato di garza che le copriva e proteggeva la ferita. Ora era perfettamente bianca e pulita, e Mulder sospirò tra sé e sé, perché la paura dei medici era che la ferita si riaprisse e ricominciasse a sanguinare.

Era accaduto il secondo giorno di degenza.

Era andato in hotel per una doccia veloce e, quando era ritornato in ospedale, aveva visto la madre di Scully ferma in corridoio, i denti che tormentavano le unghie, in uno stato di evidente preoccupazione. I punti di sutura avevano ceduto e la ferita alla tempia di Scully aveva ripreso a sanguinare copiosamente, tanto che i medici si erano chiesti se non fosse il caso di farle una trasfusione, per aiutarla a ricostituire un numero adeguato di piastrine, per la coagulazione del sangue.

Fortunatamente non si era rivelato necessario e la ferita non si era più riaperta, ma la paura di Mulder riguardava il suo ritorno a casa. Temeva che il trambusto avrebbe potuto provocare un altro trauma, in fondo lei non si era ancora rimessa completamente in forze, ma fu felice di constatare che i suoi timori erano infondati.

Scully appariva in buone condizioni, un po’ provata e stanca di sicuro, ma comunque serena e rilassata. Probabilmente l’aria di casa stava giovando alla sua convalescenza.

“Mi stavo preparando una camomilla. Ne vuoi una?”. Scully lo riscosse dai suoi pensieri, dirigendosi verso la cucina e tirando via dal fuoco una teiera fumante

“Basta che poi non mi addormenti al volante…”, rispose con il suo solito tono canzonatorio. “Vuoi una mano?”, aggiunse avvicinandosi a lei.

“No, grazie… direi che posso ricominciare a cavarmela da sola, no?”, nelle parole c’era dell’ironia, ma anche una punta di frustrazione. Non le piaceva affatto sentirsi così controllata in ogni suo movimento, era abituata ad essere una donna adulta ed indipendente e tutte quelle attenzione morbose le stavano dando ai nervi. Era vero che lui lo faceva col cuore, perché teneva a lei e alla sua sicurezza, ma a volte aveva l’impressione di soffocare.

Si sedettero al tavolo e sorseggiarono la bevanda bollente.

“Sai…”, disse Scully! “… oggi pomeriggio è passato a trovarmi Skinner…”.

Mulder deglutì e posò la tazza sul piattino. “Cosa voleva?”.

“Sapere come mi sentivo, principalmente. Ma poi mi ha informata sul caso dei Fresty”, prese un altro sorso di camomilla, “Mi ha detto che sono detenuti provvisoriamente nel carcere di New York e che il loro processo è previsto tra tre mesi, nei quali contano di raccogliere più prove possibili per avvalorare la loro confessione. Sperano di riuscire ad ottenere l’ergastolo… anche se Skinner era più propenso per un esecuzione capitale”, sorrise leggermente alle sue ultime parole.

Mulder alzò un sopracciglio. “Davvero? Non credevo che Skinner fosse un fervente sostenitore della pena di morte”.

“Infatti non lo è… credo che in questo caso giochi un ruolo importante la rabbia nei loro confronti per averci messi in pericolo. Forse è un modo contorto di sentirsi meno in colpa per non essere venuto in nostro aiuto subito…”.

Mulder finì la sua camomilla e iniziò a raccontarle di un caso in cui si era imbattuto.

Lui  era rientrato in ufficio la mattina stessa, dopo averla accompagnata a casa, e aveva iniziato a sistemare un po’ di scartoffie, quando gli era balzato agli occhi un caso risalente al 1956, che non era mai stato risolto. Le raccontò i dettagli, le indagini, i risultati delle autopsie e disse, limpidamente, che secondo lui era stata una bella gatta da pelare, per quegli anni, perché implicava la presenza di fenomeni paranormali, come il poltergeist e lo spiritismo. Scully sorrise e gli rispose che secondo lei una spiegazione razionale avrebbe sicuramente potuto risolverlo senza tanti problemi.

Con una punta di soddisfazione, Mulder la indusse a ragionare assieme a lui al caso, scuotendo rassegnato la testa ogni qual volta lei liquidava le sue fantasiose teorie con congetture noiosamente scientifiche e scontate.

“Andiamo Scully! Un po’ di fantasia!”, la canzonò dopo una mezzora buona di botta e risposta scettici, da parte di lei, e inverosimili, da parte di lui.

Lei sorrise, scuotendo la testa.

Le mancava quello squallido e minuscolo ufficio del seminterrato. Dopo sei anni vissuti lì dentro era diventata come una seconda casa. Non l’aveva mai veramente detto a Mulder, ma quando fu incendiato, circa un anno prima, aveva sofferto quasi quanto aveva sofferto lui.

Il dolore che gli aveva letto negli occhi, mentre il fumo gli si rifletteva nelle iridi, le aveva stretto il cuore in una morsa. Quell’ufficio, quei casi, quelle strane foto… il suo poster, erano la sua vita, lei lo sapeva perfettamente. Avergli portato via gli X Files, per Mulder, significava avergli portato via una ragione di vita.

Ma non si sarebbe mai aspettata di provare anche lei una sofferenza così radicata.

Ormai, la crociata di Mulder era  diventata anche la sua…

Sarebbe tornata al lavoro il lunedì seguente, e, in quel momento, i sei giorni che la separavano dal rientro, le parvero immensamente lunghi e vuoti. Sospirò leggermente.

“Cosa c’è?”, le chiese Mulder.

“Niente...”, disse guardando le nervature del legno del tavolo da cucina, “Pensavo solo che mi manca il lavoro”, sollevò il viso verso di lui con un sorriso triste sulle labbra.

Mulder la guardò per qualche istante, leggendo nei suoi occhi la sofferenza di doversene stare pressoché chiusa in casa con le mani in mano. Era una donna dinamica, intelligente, amava il suo lavoro. Capiva come doveva sentirsi.

Le coprì il dorso della mano, dal polso slogato, con la sua.

“Devi rimetterti bene in forze”, le disse serio. Poi tolse la mano dalla sua e si posò, a braccia incrociate, allo schienale della sedia. “Non voglio una partner più di là che di qua, che non mi riprende ogni volta che provo ad esporre una teoria leggermente fuori dagli schemi!”.

Scully alzò il sopracciglio sano. “Leggermente fuori dagli schemi?”, fece una risatina, “Riduttivo direi!”.

Si stuzzicarono un altro po’, battibeccando maliziosamente sui loro differenti modi di guardare alle cose, poi Mulder buttò l’occhio sull’orologio e pensò fosse il caso di lasciarla dormire.

Si offrì di sciacquare le tazze, ma Scully gli disse che lo avrebbe fatto lei l’indomani.

Prese il cappotto dallo schienale del divano e si diresse alla porta.

Nel momento in cui Scully lo vide in procinto di andarsene, provò una forte sensazione di abbandono, che la lasciò momentaneamente spiazzata.

Non voleva stare sola, questo era stato chiaro fin dal mattino. Ma che cosa voleva fare? Chiedergli di restare a dormire sul divano?

Avrebbe pensato che aveva paura a restare sola e si sarebbe preoccupato, continuando a soffocarla di attenzioni, sincere senza dubbio, ma troppo pressanti.

Ma perché non voleva restare sola? Non era paura, era qualche altro sentimento che la faceva sentire inadeguata, ansiosa e l’unica cosa che le risollevava il morale era l’idea di averlo vicino a sé.

“Bè… buona notte Scully”, disse Mulder, una mano sulla maniglia della porta, “Ci sentiamo domani”.

Scully esitò un momento.

“Mulder…”, ma si pentì immediatamente di averlo chiamato con quel tono quasi supplicante.

“Qualcosa non va?”, chiese subito lui preoccupato.

“No.”, si sforzò di rispondere prontamente Scully. “No, niente. Vai pure”, e gli sorrise per rassicurarlo.

Lui la fissò per qualche istante, tentando di capire se era vero che non c’era nulla, ma lei abbassò il capo e gli negò l’accesso ai suoi pensieri e alle sue emozioni.

Mulder sentì l’impulso di andare da lei, stringerla e tenerla nel suo abbraccio tutta la notte. Ma non ebbe la forza di farlo, né il coraggio. Se glielo avesse chiesto lei sarebbe stato diverso, non se lo sarebbe fatto ripetere due volte.

Ma, a quanto sembrava, lei non aveva intenzione di chiedergli una cosa del genere.

Non sarebbe stato in stile Scully.

Lei aveva sempre affrontato i suoi demoni da sola, raramente aveva chiesto aiuto…

Decise di lasciarle i suoi spazi. Lei sapeva che se aveva bisogno di lui, sarebbe accorso immediatamente.

Così abbassò la maniglia della porta, pronto ad uscire.

“Ok…”, disse infine. “Allora… buona notte Scully”.

Scully alzò il viso su di lui e gli rivolse un sorrisetto.

“Buona notte Mulder”.

  
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