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Autore: shanna_b    24/07/2009    9 recensioni
E Tomo? Una rock star come lui dite che sia esente da dubbi lavorativi e problemi di cuore? E se, improvvisamente, un giorno, il suo sound non funzionasse più, la sua ragazza l'avesse mollato, i Leto lo volessero sopprimere e lui dovesse addirittura andare a scuola di chitarra? Guai seri, mie care, guai seri!
E poi nessuno che dedichi una ff al timido, amabile, delicato chitarrista dei 30 Seconds to Mars? Meno male che ci pensa la Shanna_b!!
Dedicata quindi a tutte le fans di Tomo e a Tomo stesso, sapendo che, al solito, io non lo conosco, non ho idea di come sia, non prendo soldi, non mi appartiene etcetc... Leggete e commentate!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tomo Miličević
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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DEL COME LA TRAPPOLA E’ ORMAI PRONTA, I TOPI VI CADONO DENTRO E, COME TUTTO E’ INIZIATO, COSI’ TUTTO INEVITABILMENTE FINISCE…

 

 

Il pomeriggio dell’ultimo dell’anno, Jared stava facendo dei magnifici sogni di gloria.

Rilassato, con un sorriso a fior di labbra, sdraiato sul lettino della sua estetista di fiducia con una maschera antirughe/idratante/nutriente/ecologica in faccia  e la manicure che gli faceva le unghie e gli metteva lo smalto nero, beatamente sognava  i premi che avrebbe vinto in un prossimo futuro agli MTVMusicAwards, agli EuropeanMA, ai LatinMA… sognava i premi del Kerrang, quelli di RockTV, quelli di TRL, il premio Oscar per la miglior colonna sonora e, già che c’era, pure un premio Nobel. C’era quello per la Musica? No? Beh, lo avrebbero inventato appositamente per lui, ne era certo…

Poi, mentre pensava a quale andare, delle innumerevoli feste dell’ultimo dell’anno a cui era stato invitato, il suo cellulare lo riscosse dai suoi profondi pensieri. Sobbalzando sul lettino, estrasse con fastidio, ad occhi chiusi, il dannato blackberry dal taschino della sua camicia a quadretti rossa. Chi diavolo osava disturbarlo alle tre del pomeriggio mentre era impegnato in tal guisa?

“Pronto?”, grugnì.

“Ciao, sono Tomo.”

Meno male che non era il commercialista: “Ehi, ciao Tomo. Che vuoi?”

Tomo esitò un attimo: “Ehm… Devi venire a casa di Dana.”

“Da Dana? Quando e perché?”

“Alle quattro.”

“E perché?”

“Vuole vederti.”

“Ma non dovevamo vederci stasera a una delle feste, tutti quanti?”

“Sì, ma è saltato tutto, stasera non possiamo… Puoi oggi pomeriggio?”

“Ma perché?”

“Devi venire.”

“Sono impegnato tutto il giorno, non posso.”

“E’ importante. Per favore.”

“Uhm… non so.” Forse poteva spostare il suo appuntamento con Brent a più tardi.

La voce di Tomo diventò quasi supplichevole: “Per favore, Jared. Per favore…”

L’uomo si arrese, se non altro per curiosità. “Va bene, ma posso solo per cinque minuti.”

“OK, bastano. Grazie.”

“Dove vi trovo?”

“Ti mando un sms con l’indirizzo, OK?”

“Va bene.”

Jared chiuse il telefonino e solo allora si rese conto dello strano tono della telefonata.

Dana voleva vederlo a casa sua? Che assurdità.

E per cosa poi? Non si sapeva: Tomo non aveva risposto.

Era strano pure il tono di voce del loro chitarrista, così monotono e triste.

Era tutto strano, fuori dalle righe.

C’era qualcosa che non andava.

Jared non riuscì più a rilassarsi e quando, poco dopo l’estetista finì, balzò in auto e si diresse quasi di corsa verso la casa di Dana.

 

 

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Solon si rese conto che, invece di comporre una canzone, quel pomeriggio stava semplicemente cincischiando sopra la sua tastiera, perdendo e prendendo tempo. Continuava a infilare una dietro l’altra note a caso, senza senso, prive di una melodia e assolutamente inutili. Una benemerita porcheria.

Strano. Di solito non appena appoggiava le dita sui tasti, dopo poche note riusciva a trovare il bandolo del guazzabuglio di canzoni che aveva in testa, ma quel pomeriggio non ci riusciva, la sua vena creativa era andata a farsi un giro chissà dove e chissà quando sarebbe tornata.

Solon si spostò la frangetta di capelli neri e lisci dalla fronte, si tolse gli occhiali e si accese una sigaretta, rimuginando fra sé e sé.

‘Tutto per colpa di quella telefonata’, pensò.

Quella che aveva ricevuto da sua nipote Dana in mattinata.

“Ciao, zio.”

“Ciao, carissima Dana! Sei tornata e…”

Dana non l’aveva nemmeno lasciato finire: “Sì. Ascoltami. Puoi venire a casa mia per le quattro, oggi pomeriggio?”

“Non so… dovrei andare in sala d’incisione con Rachel,  dobbiamo dare gli ultimi ritocchi al nuovo CD e anzi pensavo che se volevi passare, noi…”

“No. Ti prego, zio, ti prego. E’ importante. Passa da me.”

Solon aveva piegato le sopracciglia, perplesso. Non era mai capitato che Dana avesse rifiutato un invito ad andare in studio da loro a vedere i Great Northern registrare. Mai. Ci doveva essere qualcosa sotto. “Io… va bene. Se insisti…”

“Grazie. A dopo, allora…”

“Ciao. E…”

Dana aveva messo giù subito.

Certo che era strana, quella ragazza, e il suo tono di voce ancora di più.

Che diavolo stava succedendo?

Solon spense la sigaretta, chiuse il quaderno degli spartiti in cui stava scrivendo e mise via tutto. Poi spense la tastiera.

Erano le tre ed un quarto.

Era ora di andare da Dana.

Era ora di sapere.

 

 

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“… settantadue, settantatre, settantaquattro…”

Shannon contava mentalmente il numero di volte che alzava i pesi, mentre, sdraiato sulla panca in canottiera e pantaloncini corti, rivoli di sudore gli scorrevano dappertutto.

“… settantacinque, settantasei…”

Certo che era comodo avere una mini palestra in casa, pensava Shannon, cosa che evitava di doversi vestire, uscire dalla porta e salire in auto, però ci voleva anche una discreta disciplina nell’adoperare gli attrezzi con assiduità. E questa benedetta disciplina lui non ce l’aveva. Anzi, non l’aveva mai avuta.

“…settantasette, settantotto, settantanove…”

Usava i pesi due volte all’anno e proprio quando non aveva nient’altro da fare. Ma alle tre e un quarto del pomeriggio dell’ultimo dell’anno, mentre aspettava che Jared si decidesse a quale festa andare ed era andato a farsi bello dall’estetista, che altro c’era da fare?

“… ottanta, ottantuno, ottantadue…”

No, c’era qualcos’altro da fare.

Shannon decise che sarebbe arrivato a cento, poi avrebbe abbandonato la sua palestra, avrebbe chiuso la porta della mansarda dove teneva i suoi attrezzi (almeno per i prossimi sei mesi) e si sarebbe sdraiato sul divano con un sacchetto da un chilo di popcorn, una bella lattina di birra gelata e la visione di un DVD appena acquistato sulle gare del MotoGP.

“… ottantatre, ottantaquattro, ottantacin…”

Ma il suo conteggio venne interrotto dalla suoneria del cellulare che lo avvisava che Tomo lo stava chiamando.

Shannon lo recuperò subito, quasi contento dell’interruzione.

“Ciao, Tomo! Allora a che festa si va stasera?”

“Ciao. Ehm… A nessuna, temo.”

“E perché? Che succede?”

“Ehm… Senti, Shannon…”

“Dimmi.”

“Potresti venire subito a casa di Dana?”

Il batterista si passò una mano sulla fronte per togliere il sudore: “Adesso?”

“Sì. Subito.”

“Perché?”

“Vieni e lo saprai.”

Shannon sospirò sulla sua montagna di popcorn e sul suo DVD che scomparivano dall’orizzonte delle sue intenzioni, ma, dopotutto, la voce di Tomo gli sembrava allarmata: “Ehm… OK.”

“Grazie, Shan.”

“Di niente.” Tomo riattaccò subito e Shannon guardò l’ora sul blackberry. Tre e mezza.

Perché diavolo c’era bisogno di lui a quell’ora?

Con un sospiro, l’uomo abbandonò la panca: c’erano guai in vista, lo sapeva, se lo sentiva sottopelle, visto che, come altre volte, si sentì come l’ormai noto Santo Shannon da Bossier City.

Cioè martire.

 

 

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Tim era in pieno delirio.

Finalmente, e per la prima volta, era riuscito ad arrivare al cinquantesimo livello del PacMan sulla sua PSP. Erano due ore che giocava, aveva iniziato dopo pranzo, aveva l’adrenalina che gli usciva dagli orecchi, gli occhi fuori dalle orbite e il ciuffo di capelli sparato in alto, indomito.

Seduto sul divano con le gambe raccolte e l’occhio fisso al televisore, non gli sembrava vero di essere arrivato lì, a quel livello, ed era certo che, nel giro di poco, vista la mano d’oro che aveva quel giorno, poteva riuscire a battere il record che sua sorella aveva fatto mentre lui era in tournee. Bastarda.

Non gli piacque per niente, quindi, quando sua madre arrivò di corsa in salotto tendendogli il suo cellulare che squillava.

“Timothy, hai il cellulare che suona. Tieni.”

“Non posso.”, grugnì, facendo una smorfia di disappunto.

“Metti giù la PlayStation.”

“NO! Sto facendo il record. Non mi distrarre, mamma…”

La madre guardò il display del telefonino: “E’ Tomo. Magari è importante.”

“Qualsiasi cosa sia, ora non posso.”

La madre di Tim sorrise: “Rispondo io, se vuoi.”

“No, lascia perdere. Lo chiamo dopo.”

“Dai, mi faccio dire.”

“Vabbé, se insisti…” Dopotutto la curiosità della madre poteva fargli anche comodo, pensò Tim, magari Tomo doveva dirgli una cavolata.

“Pronto. Ciao Tomo, sono la mamma di Tim. E’ un attimo impegnato. Dì pure a me…” Tim, con la coda dell’occhio, guardò sua madre mentre il suo PacMan veniva rincorso da un fantasmino nel labirinto e lei ascoltava la voce di Tomo, attenta. “Sì, OK. Glielo dico. OK. Ciao Tomo e… buon anno…”

“Che succede?”, le chiese subito Tim dopo aver visto la madre farsi scura in volto e ripiegare preoccupata le sopracciglia e, se lo faceva lei, c’era senza dubbio un motivo.

La madre scosse la testa. “Non so. Dice che devi andare subito a casa di Dana, che è urgente e che… Non so… Tomo era preoccupato, aveva uno strano tono di voce, come se avesse pianto… Mi ha fatto una bruttissima impressione…”

Tim abbassò il joypad della Playstation per guardare sua madre e il fantasmino si mangiò in un boccone il suo Pacman, ma al bassista ormai non interessava più.

Gli interessava di più capire cosa stesse succedendo al suo adorato amico Tomo.

Quasi di corsa, con preoccupazione, il bassista si alzò dal divano, mollando tutto, prese la giacca e le chiavi dell’auto ed uscì di casa, senza dire una parola.

 

 

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Quando Solon arrivò a casa di sua nipote, non si stupì più di tanto che la porta gli fosse aperta da Jane, la migliore amica di Dana, nonché sua co-inquilina.

Quello che invece aggiunse inquietudine maggiore alla sua agitazione, fu vedere che al piano di sotto non c’era nessuno e che Jane lo stava accompagnando di sopra, su per le scale, nella camera da letto di Dana.

E per Solon, entrare in quella camera, adesso in penombra, in cui tante volte aveva insegnato a sua nipote a suonare, fu un colpo al cuore.

Perché Dana era a letto, stesa supina ad occhi chiusi.

Giaceva sotto un piumone rosa a fiorellini con il capo appoggiato sul cuscino, i capelli sciolti, il viso pallido e smunto, l’espressione seria.

Chiaramente malata.

Solon per un attimo si bloccò, mentre Jane faceva il giro del letto e si sedeva su una sedia vicino alla finestra, lasciandone una per Solon, vicino al comodino. “Ciao, Dana.”, la salutò l’uomo, con circospezione, chiedendosi se non stesse dormendo.

Dana girò leggermente il capo a guardarlo e aprì piano gli occhi e poi, a bassa voce, rispose: “Ciao, zio.” 

Solon allora si avvicinò: “Che… che succede?”

La ragazza sembrò trattenere le lacrime e scosse leggermente la testa: “Io… io non lo so…”

Poi Jane, interrogata da Solon con lo sguardo, parlò, con un piglio che voleva essere professionale, ma che invece nascondeva una grande amarezza: “Dana sta male. Ha una infezione che… che non riusciamo a curare… E’ tornata dall’Inghilterra con questa malattia addosso, ma non riusciamo a capire cosa sia, a cosa sia dovuta…”

Solon si sedette sulla sedia, affranto, come se gli fosse crollato un muro addosso, e Dana gli allungò la mano perché la prendesse, mentre Jane si alzò e si diresse ad aprire la porta, visto che il campanello era suonato di nuovo.

“Oddio, Dana, mi dispiace io… non so davvero cosa dire, cosa… cosa posso fare?”

“Niente, zio. Nemmeno i medici sanno cosa fare, né quanto mi resta… da vivere…”, la ragazza parlava con grande fatica e sembrava sempre sul punto di scoppiare in lacrime.

“Ma… hai fatto tutti gli esami e…”

“Sì-sì, tutti. Un amico di Jane è il miglior medico infettologo degli Stati Uniti e nemmeno lui è riuscito a capire che virus mi ha colpito. Sai…”, poi la ragazza fece un piccolo sorriso, nel tentativo di alleggerire un’atmosfera piuttosto pesante, “… ho abitato nella casa dei discendenti dello scopritore della mummia di Tutankhamon… magari sono stata colpita dalla maledizione del faraone…”

Solon sorrise, ma dentro di sé non scartò questa possibilità: magari qualche reperto della casa dei Carvarvon era davvero ancora infetto. Poi le baciò la mano: “Ma no… magari sei tanto stanca. Hai studiato troppo in questo ultimo periodo e devi solo riposare…”

In quel momento la porta si aprì con un cigolio e Solon si girò, per chiedere ulteriori lumi a Jane, ma non vide chi avrebbe voluto. Solon mollò la mano di Dana, sorpreso, non aspettandosi per nulla al mondo di trovarsi davanti il chitarrista che lo aveva sostituito: “TOMO MILICEVIC?”, esclamò, spalancando gli occhi.

Il ragazzo lo salutò piuttosto serio, alzando una mano: “Ciao, Solon.”

“Ma… ma che ci fai tu qui?”

Tomo non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca per rispondere che la porta della camera di Dana si aprì nuovamente ed entrarono in fila indiana Jared, Shannon e Tim, con la faccia da funerale, visto che Tomo li aveva appena edotti sulla malattia sconosciuta di Dana.

“SOLON?”, Jared si paralizzò dopo un passo.

“JARED?”, Solon balzò dalla sedia.

Anche Shannon si accorse del loro ex-chitarrista e spalancò gli occhi: “SOLON?”

Solon era diventato pallido: “SHANNON? E… E TIM? ECHECAZZO SUCCEDE? Che ci fanno questi qui, DANA? Che ci fanno i 30 Seconds to Mars al completo in casa tua?”

Sua nipote non rispose, ma Tomo si avvicinò al letto e si sedette vicino a Dana. La ragazza lo prese per una mano e lui le passò un braccio attorno alle spalle, mentre i quattro musicisti li fissavano a bocca aperta, in attesa di una spiegazione.

Dana cominciò a parlare lentamente, sottovoce, a fatica, cercando, senza riuscirci, di alzarsi un po’: “Shannon e Jared, Solon è… è mio zio. E, zio Solon, Tomo è il mio ragazzo e a Maggio ci sposiamo, se ci arrivo…”

Il mondo sembrò fermarsi.

Nessuno osava fiatare.

La notizia era pesante per tutti.

Jared e Shannon avevano l’espressione di chi, nei cartoni animati, è appena stato investito da un camion. Tim stava pensando se era il caso di chiamare un’ambulanza per la rissa che si sarebbe accesa da lì a poco e Solon non riusciva a staccare gli occhi da Tomo abbracciato alla sua Dana. Non poteva essere possibile una cosa del genere, doveva essere un incubo. La malattia di Dana e ora… il suo fidanzamento con Tomo… da non credere.

“Nipote?”, Jared ritrovò la voce per primo e si rivolse a Solon: “Dana è tua nipote?”

L’uomo annuì: “Sì. E’ la figlia di mio fratello maggiore. L’unica nipote che ho e…”

“Tua nipote è la ragazza di Tomo?” Shannon era assolutamente incredulo e cercò di riprovare con un’altra frase per trovare un po’ di senso nella vicenda.

Solon annuì: “Sì. Ma… ma… Non è possibile… io… Non vorrei che lei… avesse a che fare con voi!”

Dana continuò, con la voce supplicante: “Zio, per favore… ti prego… fai pace con Jared e Shannon. Fallo per me… Io… non voglio essere d’intralcio per colpa tua, tra Tomo e il suo gruppo… per favore…”

Solon scosse la testa: “Dana, tu sai che puoi chiedermi tutto, ma questo no. Questo. No.”

“Per favore…” Dana improvvisamente cominciò a tossire e Tomo le porse subito un po’ d’acqua, con l’aria affranta. Nel frattempo era tornata anche Jane che le passò un panno umido sulla fronte. Nessuno osava parlare e tutti avevano gli occhi puntati su di lei. Dopo un po’ la ragazza si riprese. “Per favore… non darmi questo dolore, non farmi andare avanti il poco che mi resta da vivere con il pensiero che io non posso stare con Tomo perché tu hai litigato con i Leto. Io amo Tomo…”

Solon si passò una mano sulla fronte: “Non… non sono stato io a litigare con i Leto, sono stati loro a litigare con me. E non me ne frega niente se ami Tomo. Avevi giurato.”

La ragazza sospirò, cercando di trovare fiato sufficiente per parlare: “Lo so,  ma avevo giurato che non avrei avuto niente a che fare con i 30 Seconds To Mars molto prima di conoscere Tomo e ora quel giuramento non vale niente. E, a ben vedere, non valeva niente nemmeno allora, visto che Tomo al tempo non faceva parte del gruppo. Lui non c’entra niente e quindi il giuramento non vale…”

Solon non era affatto convinto: “Con quello che mi hanno fatto questi qui, vale eccome.”, disse, indicandoli con un dito.

“Io non ti ho fatto niente!”, disse subito Jared, ma la fretta con cui intervenne, fece capire a tutti che il colpevole del litigio Leto-Bixler era proprio lui. Tutti si girarono a guardarlo.

“Oh, povero verginello! Sai benissimo cosa hai fatto, invece!” Solon si avvicinò pericolosamente a Jared, abbandonando perfino il tono di voce tranquillo e dimesso che usava di solito. Sua nipote faticava a riconoscerlo, uno zio Solon così scatenato. “Non parlare con me come se non sapessi cosa è successo e…”

“Ehi, non aggredire mio fratello così!”, intervenne però Shannon, mettendosi di fianco a Jared, prima che questo riuscisse a rispondere.

“Zitto, Shannon, falli spiegare, altrimenti non ne usciamo più!” Strano ma vero Tim, curioso di sapere la ragione della lite, era intervenuto a favore di Solon.

“Stai zitto, Tim! Che cazzo c’entri, tu?”, lo rimbeccò Shannon. Ed in breve tutti si misero a gridare uno contro l’altro: da una parte la premiata ditta Jared-Shannon e dall’altra la strana coppia Solon-Tim. Ed in mezzo Jane, che tentava di mettere ordine nella discussione, di calmare gli animi, ma faceva più confusione che altro.

E nessuno badava a Tomo e ad una emaciata Dana, ai quali sembrava di stare nell’ultima scena del primo atto del Barbiere di Siviglia di Rossini, dove tutti “cantano” sovrapponendo le voci e nessuno capisce cosa viene detto.

Dana si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore freddo e Tomo le strinse una mano, esasperato.

Doveva fare qualcosa.

Prese una sedia e vi salì sopra.

“ZITTI TUTTI! TUTTI!”, gridò, rivolto ai litiganti.

Il gruppo smise subito di urlare e tutti sgranarono un paio di occhi sorpresi sul chitarrista arrampicato su un trespolo.

“TU!” disse Tomo puntando il dito contro Jared. “E TU!” Poi spostò il medesimo dito contro Solon: “Chiaritevi. Picchiatevi. Uccidetevi. Fate quello che volete. Ma quando uscite di qui non dovete essere di ostacolo tra me e Dana. Per nessun motivo.  Io e Dana ci vogliamo bene, ci sposiamo presto e io NON voglio avere litigi e giuramenti sulla testa e, ogni volta che ci vediamo in tutti, finiamo per litigare. NON VOGLIO! NON LO ACCETTO, capito?”

Tomo, dopo averli squadrati in malo modo, scese dalla sedia e ritornò da Dana, mentre tutti si guardavano l’un l’altro perplessi. Jared incrociò le braccia davanti al petto come per volere tenere le distanze, Shannon e Tim si guardarono un po’ in cagnesco. E Solon abbassò la testa a fissarsi i piedi.

Allora Dana, in pigiama di flanella azzurro, si alzò lentamente dal letto, aiutata da Jane, si avvicinò a Solon e lo prese per una mano, guardandolo negli occhi: “Zio, è ora di fare pace. Tu ora hai i Great Northern, hai trovato il tuo equilibrio, non hai più bisogno dei 30 Seconds To Mars e loro non hanno più bisogno di te. Allora basta. Basta. Chiaritevi e fate pace. Fallo per me, per favore. Se mi vuoi bene, fallo per me. Ora. Adesso. Prima che sia troppo tardi…”

Solon scosse la testa: “Dana, io non posso. Non posso.”

La ragazza non capiva: “Ma perché? Cosa sarà mai di così grave? Dopo sei anni, cosa può essere?”

Solon sospirò, stringendole una mano: “E’ stato Jared. Jared ha fatto una cosa gravissima.”

Tutti si girarono nuovamente a guardare il leader dei 30 Seconds, che reagì immediatamente: “Ma non è vero!”

Ma Solon rimaneva delle sue convinzioni: “Sì che è vero! Una cosa che tra componenti dello stesso gruppo non si fa!”

“Ma cosa?”, la voce di Dana era supplichevole.

Solon si passò una mano sulla fronte e sospirò: “Mi… mi ha accusato di aver rubato una cosa.”

“Cosa? Una canzone, forse?”, l’ipotesi più probabile, tra  musicisti.

“No. Peggio…”

“Ma cosa?”

Jared intervenne: “Tuo zio ha rubato una cosa fondamentale. E dopo questo episodio, di lui non mi sono più fidato. Non potevo più fidarmi. Dopo quello, avrebbe potuto rubare qualsiasi cosa…”

“Cosa ha rubato, Jared, cosa?”

Solon scosse la testa: “Dana, io non ho rubato niente e… diglielo, Jared, cos’era questa cosa tanto fondamentale, così vedi che figura fai…”

Jared lo guardò con disprezzo: “Semmai la figura la fai tu, ladro…”

“Zio, per favore, cos’era questa cosa?”

Solon sospirò per l’ennesima volta: “Lo dico solo per te, Dana. Solo perché tu ti renda conto con che gente hai a che fare. Era il suo… smalto nero per le unghie.”

Tutti rimasero impietriti.

“COSA?”, dissero tutti in coro, dopo un attimo di smarrimento.

“Solon ha rubato il mio smalto nero per le unghie e questo era un affronto che non potevo perdonare.”, declamò convinto Jared.

Dana era senza parole, Tim si sedette pesantemente sul letto, Jane soffocò una risatina, e invece Tomo si stava adirando di brutto, sconvolto che una banalità del genere avesse messo a repentaglio il suo rapporto con Dana: “COSA? Voi avete litigato per questa cazzata, vi siete quasi sciolti e siete arrabbiati da sei anni per una boccetta di smalto per le unghie del valore di due dollari? E non ci sono altre ragioni musicali o che so io?”

“Embeh?”, disse Jared, facendo spallucce, per il quale era normale che nessuno dovesse toccare le sue cose, pena punizioni esemplari ed esagerate.

Tomo si rivolse allora a Shannon, stranamente silenzioso e in disparte, mentre Solon scuoteva la testa e Tim si diceva che lui aveva la sua boccetta di smalto al sicuro, per fortuna: “E tu lo sapevi, Shan? E hai accettato che questa immensa cazzata continuasse per anni?”

“No, Shannon non lo sapeva.”, disse subito Jared.

Il batterista aveva una strana voce: “Ehm… Infatti… Io credevo avessero litigato per questioni musicali, su come fare il secondo album, non… non sapevo… ma…”, Shannon si grattò la testa, come sempre faceva quando era  in imbarazzo, “Ehm… la faccenda della boccetta è successa quella volta che abbiamo fatto il concerto qui a Los Angeles, vero? Nell’autunno del 2002?”

Solon e Jared cominciarono a guardarlo male e tutta l’attenzione dei presenti si spostò su Shannon. Se non ne sapeva niente, com’è che invece ne sapeva? “Sì. Perché lo chiedi?”, gli disse il fratello, immediatamente insospettito.

Shannon indietreggiò di un passo: “Ehm… Jared… ehm… per caso quel giorno la boccetta l’avevi lasciata nel furgone degli strumenti, dentro il  vano portaoggetti?”

Jared annuì: “Sì, perché?”

“Ehm…”, Shannon si spostò verso la porta, “Ehm… l’ho presa io… e l’ho usata per…”, il batterista era sulla soglia della stanza, “… per  dipingere la marmitta della mia vecchia moto. Non avevo soldi per comperarla nuova, si era graffiata contro un cassonetto e così ho adoperato il tuo smalto senza dirtelo… E Solon non c’entra niente…”, disse, tutto d’un fiato, diventando piccolo-piccolo, come quando da bambino era costretto a confessare una marachella alla mamma.

Jared invece diventò paonazzo, spalancò gli occhi e si diresse verso suo fratello: “COSA HAI FATTO?”

Shannon uscì di corsa dalla stanza dicendo: “Ci ho dipinto la marmittaaaaaa…”

Jared uscì a sua volta di corsa inseguendo il fratello e dicendo, nel bel mezzo della sua personale sceneggiata: “Come hai potuto??? Come hai potuto farmi questo affronto? Con tutto quello che ho fatto per te!!! TU, SANGUE DEL MIO SANGUEEEEEE….”

Jane, Dana, Tomo, Solon e Tim rimasero a fissare la porta spalancata e i Leto che scendevano le scale di legno come potrebbe fare una mandria di bisonti imbufaliti, poi si guardarono un attimo uno con l’altro e scoppiarono a ridere.

“Se non se ne fossero andati, quei Leto, avrei chiamato il manicomio...”, disse per prima Jane, sentendo la porta di casa chiudersi sbattendo dietro ai due fratelli, “Perché qui siamo all’assurdo. Al delirio.”

Dana, ridendo, con lo stesso panno con cui Jane le asciugava la fronte, si tolse lo strato di cipria chiara che si era messa per sembrare pallida, poi abbracciò Tomo, ricambiata. “E’ finita, amore mio!”, gli disse, felicissima.

Tomo quasi la alzò di peso: “Sììììììì!! Hai visto che era meno peggio di quello che credevi, eh?”

Solon si mise in mezzo, perplesso: “Scusate, ma… ma tu… tu non avevi la maledizione del faraone?”

Dana fece un sorriso furbetto: “No. Era per finta. Per farvi fare pace.”

Solon si passò una mano sulla fronte e si sedette sul letto vicino a Tim, respirando finalmente normalmente: “Pfiù, meno male, ho preso uno spavento!”

Dana gli si avvicinò e gli accarezzò la testa: “Scusa, zio, ma non sapevamo come fare… Perdonami per la messinscena.”

Solon scosse la testa: “Vabbè, fa niente… è anche vero che dopo sei anni era una cosa ridicola che andasse avanti questa situazione… quasi mi vergognavo a dirla… per una sciocchezza del genere, poi…”

Tim si alzò, si avvicinò a Dana e le diede un bacio su una guancia, rasserenato pure lui, prima di stringere la mano a Tomo: “Sono contento che fosse tutto finto! Meno male… E ora… vado a vedere di recuperare i due Leto, prima che si ammazzino!”

Tomo scoppiò a ridere: “Ma no… tra di loro si perdonano sempre tutto. Sono fratelli. Litigheranno un po’ e poi Shannon chiederà scusa a Jared che lo perdonerà e torneranno inseparabili. Succede continuamente.”

“Dici?”, chiese Tim, “O mi devo trovare un altro posto di bassista da qualche parte?” e poi ridendo, uscì dalla porta anche lui.

“Sentite che ne dite se faccio un po’ di thè e ci mangiamo la torta di mele che ha fatto Tomo? Mi aiuti, Solon?”, chiese Jane escogitando su due piedi  una manovra per lasciare soli Tomo e Dana.

“Certo.” ‘Zio’ Solon capì al volo e la seguì facendo l’occhietto a Dana e i due innamorati rimasero soli.

“Allora?”, chiese Tomo sorridendo e guardandola negli occhi, “Sei contenta?”

“Sì, tanto!” gli rispose Dana, abbracciandolo. “E…”

“Cosa?”

“Ho una sorpresa per te.” Dana sciolse l’abbraccio e si spostò verso la parete in cui campeggiavano i poster ormai consunti di Omar Rodriguez-Lopez ed Albert Einstein. Li staccò entrambi e li arrotolò, mettendoli da parte. Poi, mentre Tomo la guardava senza capire, tirò fuori da sotto il letto un altro poster, ma inserito dentro un quadro, e lo appese alla parete.

Tomo sgranò gli occhi, sorpreso: era una sua foto presa durante un concerto. Una gigantografia in cui compariva con la Gibson al collo (http://leto30stm.com/tomo.jpg), le cuffiette agli orecchi, il ciuffo di capelli neri lisciato e un residuo di smalto nero. “Ora sei tu il mio chitarrista preferito.”, disse Dana contemplando la foto e poi girandosi verso Tomo. “Non esiste niente e nessun altro per me…”

Tomo era al settimo cielo, quasi aveva le lacrime agli occhi. “Nemmeno per me…”, disse, in un soffio. Poi si avvicinò a Dana, le si mise davanti, prese un qualcosa dal taschino della camicia, agguantò la mano sinistra di Dana e le mise un anello al dito. Il più classico e romantico degli anelli da fidanzamento, d’oro e con il diamante. “Ora che sei miracolosamente guarita dalla maledizione del faraone, va bene il week-end del primo maggio per il nostro matrimonio?”

Dana passò lo sguardo dall’anello agli occhi scuri di Tomo, che brillavano tanto quanto il diamante e gli accarezzò una guancia, contentissima: “Sì, va benissimo e…”

“Cosa?”

“Invitiamo tutti? Anche i Leto?”

“Certo! E come bomboniera possiamo fare i classici confetti con in più una boccetta di smalto nero, va bene? Così ognuno ha la sua e nessuno rompe, OK?”

In quel momento, mentre Dana rideva a crepapelle, il cellulare di Tomo segnalò l’arrivo di un sms. Il chitarrista lo prese dalla tasca. Era un sms di Jared che Tomo lesse a voce alta.

Diceva: “TOMO HAI PRESO TU LA MIA MATITA NERA PER GLI OCCHI?????!!!”

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

                P.S. In nessun modo e su nessun sito sono riuscita a trovare una ragione ‘sfiziosa’ per cui Solon Bixler abbia lasciato i 30STM nel marzo del 2003. Inizialmente avevo pensato che il motivo fosse di ordine musicale: Solon, che ai concerti e nelle interviste mi pareva piuttosto punkettaro, poteva essere contrario all’idea dei 30STM di fare un secondo album meno rock del primo. Cosa assolutamente smentita dagli album dei Great Northern che di rockettaro non hanno praticamente niente e dal fatto che il secondo album dei 30STM è uscito parecchio tempo dopo l’abbandono di Solon, e gli album dei Great Norhern ancora più tardi. Inoltre, nonostante suonasse durante i concerti dal vivo, Solon (e anche Matt) ha partecipato soltanto marginalmente alla registrazione del ST che, come dice anche Jared al cap.22 di questa ff, è stato davvero scritto e suonato praticamente tutto dai due fratelli Leto con dei musicisti di supporto (http://en.wikipedia.org/wiki/30_Seconds_to_Mars_(album)). Per di più, da tutti, Solon viene descritto come una persona assolutamente tranquilla e posata, che non ha mai avuto niente da ridire con nessuno, tantomeno con i Leto. In definitiva, secondo me il motivo per cui Solon se n’è andato è davvero quello scritto nella dichiarazione ufficiale rilasciata a suo tempo: solo che per la ff era troppo poco divertente, una ragione del genere… per cui ho dovuto ricorrere a buttarla sul ridicolo, altrimenti non ne uscivo più! Spero che così vi sia piaciuta comunque.

                E ora, parto con i ringraziamenti di rito.

                Prima di tutto le mie Beta-Readers, Tannaca e Folleria, che qualche volta cercano di farmi cambiare idea sui contenuti dei capitoli e non ci riescono mai, ma le cui ‘critiche’ mi sono utili per rivedere dialoghi e/o caratteri dei personaggi. Alla mia Beta Cromia che ‘fisicamente’ mi ha ispirato il personaggio di Dana. Inoltre, un ringraziamento a parte a JCP: carissima, se anche per un momento queste cose che scrivo ti consentono di scordare il mondo esterno, per me è un onore scriverle: grazie per  le tue belle parole e per il tuo incoraggiamento.

                Un grazie immenso a tutte le persone che ‘perdono’ il loro tempo a leggere e a quelle che hanno lasciato commenti e recensioni e che mi scrivono: Folleria, madiris, sally10989, BlueAndYellow, candidalametta, Revolve90, Jaredina71, Cromia, TaccaH, Martunza, princes_of_the_univers, Black Violet, Dying Atheist,pixie, StephenKing, Artemide82, PrinzexKikka, jcp, Blue_moon, LittleDarkVampire.

                Per terze, ma non per importanza, un grazie gigantesco a tutte le persone che hanno messo questa ff tra le preferite e seguite e che sono: alice_echelon, alice_chan, araya, BlueandYellow, Blue_moon, candidalametta, caporalez, Cromia, Dying Atheist, fteli, giugina2004,  GothicGirl, LittleDarkVampire, Lostwhite, LunaBlu89, madiris, Martunza, pixie, princes_of_the_univers, PrinzexKikka, Revolve90, sally10989, StephenKing, taccaH, The Fantasy, Titti_b, The Queen, _Sophy_xX.

                Spero di non avere scordato nessuno!

                Un abbraccio forte a tutti  e alla prossima!

                Baci e buona estate!

                :-***

                Shanna

   
 
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