Serie TV > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: portamjviadate    20/06/2019    1 recensioni
Alexander Lightwood ha ventidue anni e vive a Brooklyn. È iscritto ad un'università telematica della facoltà di Psicologia e, nel contempo, per pagare i suoi studi, lavora in un bar.
Magnus Bane ha ventitré anni e vive nella medesima città di Alec. È un imprenditore e frequenta un’accademia di moda insieme ad Isabelle Lightwood.
«But there'll be oceans for us to tread
There'll be bridges for us to mend
But I'll stick through it
Oh, I swear».
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

C'è un qualcosa di particolarmente strano quel giorno 20 Giugno 2019 a New York. Forse è nell'aria, pensa Alec. O semplicemente non c'è nulla di strano ed è solo il suo orologio biologico che si è svegliato prima del solito e, per questo motivo, riesce a rendersi conto della tranquillità che sta traversando la città più grande del mondo a quell'ora. New York non dorme mai, o almeno così si dice. Però quella mattina è silenziosa. Molto silenziosa. E ad Alec questo silenzio piace. Lo rasserena. Per una volta, riesce a sentirsi compreso. Alec è una di quelle persone che parla poco, ma pensa tanto. La sua mente non è silenziosa, per niente. Non lo è nemmeno quando rientra nella sua piccola — ma confortevole — dimora alle tre di notte, reduce da un turno al bar di all'incirca otto ore. Da contratto dovrebbero esserne otto, ma può succedere che debba intrattenersi qualche minuto, o forse ora?, in più, per motivi non sempre chiari. Forse perché al proprietario del bar girano così ogni tanto, e Alec non se la sente di controbattere, perché in fondo la paga è più che ottima e non è costretto a spostarsi più in periferia per cercarsi una casa con un affitto un po' più vantaggioso. No, la sua mente non è silenziosa nemmeno quando ritorna tardi e l'unica cosa che vorrebbe fare equivarrebbe a gettarsi sotto il getto d'acqua caldo — perché Alec fa docce bollenti anche con cinquanta gradi all'ombra — e rifilarsi a letto per dormire almeno dodici ore. No, la sua mente non sa stare in silenzio. A volte è un bene, perché forse il suo casino mentale riesce a distrarlo dalla solitudine che si respira nella sua casa. Altre è un male, perché si rende conto di star impazzendo e vorrebbe solo un po' più di tregua e complicarsi un po' meno la vita. Ma in fondo no, lui la sua vita se l'è complicata sin da quando portava degli occhiali rotondi, orribili, suggerisce la sua dolce sorellina Isabelle. Erano così strambi, che spesso davano ad Alec l'aria di un pesce lesso. Stava continuamente ad alzarseli dal naso mentre si cimentava nelle lezioni di Trigonometria o di Matematica, o nella lettura di qualche romanzo che ha sempre adorato.

«Sempre stato un piccolo Einstein», suggerisce ancora Isabelle Lightwood. In fondo come darle torto? Alec era, ed è, davvero un piccolo Einstein. 

 

Maryse e Robert Lightwood avevano in mente un futuro brillante per il primogenito dei Lightwood, e Alec sperava altrettanto. Ma le loro idee non conciliavano, e non conciliano, per nulla. Non avrebbe mai fatto leggi. Non avrebbe mai preso parte nell'ambito della politica. Non saprebbe nemmeno da dove iniziare, nonostante avrebbe potuto seguire le orme del padre.

Alexander, nome di battesimo che ha sempre detestato — o meglio dire, gliel'hanno fatto detestare —, per quanto sia uno che parli poco, non significa che sia accondiscendente. Tutt'altro. Ha messo sin da subito in chiaro il fatto che lui con quell'ambito non c'entrasse nulla, prendendosi le sue responsabilità. Ne ha sentite dire di tutti i colori sul suo conto, ma la sua maturità gli ha permesso di capire che non ci fosse nulla di male nel non voler sottostare ai voleri degli altri. 

E proprio quel giorno, durante una terribile cena di famiglia, cui i peli del braccio di Alec si raddrizzano al solo pensiero, ha deciso di complicare ancora più le cose.

Complicarle ai presenti, però.

Lui si era sentito così maledettamente libero.

«Sono gay» ha annunciato improvvisamente, durante un tintinnio di calici di vino bianco. Lo sguardo di Isabelle fiero e orgoglioso di suo fratello probabilmente lo ricorderà fino al momento in cui cesserà di respirare.

Dio, se era orgogliosa di lui.

Izzy aveva capito tutto. A volte la maggiore tra i due sembrava proprio lei. 

Quelle due parole, apparentemente così semplici, erano il frutto di una lunga meditazione cominciata probabilmente sin da quando gli son iniziati a crescere i primi peli pubici. Ci ha impiegato qualche anno per prendere consapevolezza di sé stesso, per non nascondersi e per non colpevolizzarsi del fatto che non trovasse per niente attraente un seno. Poi ha capito. Ha capito che non c'era nulla di male. Che era sempre lui, maturato, ma era lui. Non era cambiato nulla. E Isabelle lo aveva capito prima di lui. Lei gli aveva teso la mano negli anni di confusione, e non gliel'aveva mai lasciata.

Alec sta sempre in silenzio, ma Dio, quanto avrebbe voluto dire a sua sorella che l'amava, così tanto che non riusciva nemmeno a quantificarlo. Però le parole gli si son sempre mozzate in gola. Allora ha sempre lasciato che parlassero le sue carezze sulla schiena, sui capelli, e il suo cuore che batte all'unisono con quello di Isabelle durante un abbraccio spacca ossa. 

O aggiusta cuore, vorrebbe dire.

 

Quella frase è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. O meglio dire, ha fatto traboccare la bottiglia di vino che Robert teneva con accuratezza tra le mani per versarne un po' ai presenti.

È stato un attimo che Alec si è ritrovato il mondo contro di lui. Tutti tranne Isabelle. E Isabelle era contro tutti. Tutti tranne Alec.

Avrebbe seguito suo fratello in capo al mondo. E lo faceva. Lo fa anche ora che vive ancora dall'altra parte della città per terminare la scuola di moda. Ma non appena ha un buco libero, prende le chiavi di scorta da sotto il tappeto — che Alec lascia appositamente per lei — ed entra a casa del suo amato fratellone. E quando Isabelle lo passa a trovare per il weekend, Alec può affermare di sentirsi a casa. Isabelle è casa. E Isabelle è l'unica casa in cui Alec vorrebbe abitare. 

 

Da quella cena, che doveva rappresentare un momento di unione della famiglia e che si è rivelato lo sfascio di una famiglia, sono passati già tre anni. Alec ora è sereno. Non è felice, perché ritiene che la felicità sia un momento, un attimo. Un attimo di cui vale la pena vivere a pieni polmoni. Adesso è sereno, e frequenta il terzo anno di un'università telematica. Non è proprio l'università dei suoi sogni, ma è l'unico modo per poter seguire un sogno e contemporaneamente per poter dedicarsi ad un lavoro che gli permetta di tenere un tetto sotto cui vivere. E parlandoci chiaramente, che gli permetta anche di pagare i suoi studi, visto che i soldi mica cadono dal cielo. 

Magari, pensa Alec con un sorriso, portando alle labbra una tazzina contenente del caffè nero. Gli occhi si assottigliano, la lingua fuoriesce flebilmente dalle labbra e la fronte si aggroviglia. Si è scottato. Dimentica sempre di soffiare un po' prima di portare la bevanda ale labbra. 

Non frequenta l'università dei suoi sogni, perché di certo quella telematica non equivale alla Columbia University, o alla Yale University. Però frequenta la facoltà dei suoi sogni. Psicologia. Perché in fondo ha sempre aspirato a questo. A scuola era bravo nelle materie scientifiche, ma mai nulla l'ha appassionato nel modo in cui lo ha appassionato la mente umana. E lui sorride ogni volta che pensa a quanto possa essere fantastica e tremendamente complicata. 

 

Adesso sorride, beandosi della pace che regna a Brooklyn per qualche strana ragione. Scrocchia il collo e si stropiccia l'occhio destro. È assonnato, e non ne ha idea di quante poche ore abbia dormito. Cerca il suo cellulare alla cieca, tentando di rimembrare dove l'ha lasciato stanotte, ma ad ogni tentativo sente le tempie pulsare. Tasta qualcosa di duro, e dalla grandezza riesce a collegare il fatto che sia il suo iPhone. Preme il tasto centrale. L'orologio digitale segna le sei e trentanove di Domenica mattina. Ha dormito a malapena tre ore e mezza. E adesso capisce il motivo per cui la città sia cullata da un silenzio benefico, che riesce quasi a tranquillizzarlo dai pensieri più tenebrosi. È presto, e in strada non c'è ancora lo smog tipico dell'ora di punta. 

Sa che potrebbe tentare all'infinito con tutte le tecniche possibili e immaginabili per cercare di farsi cullare nuovamente tra le braccia di Morfeo, ma sa anche che non ci riuscirebbe nemmeno con una canzone tipica del buddismo come sottofondo. 

Forse rimanere a contemplare la città non è una cattiva idea. È difficile sentire solo il fruscio del vento, senza vociari e auto che disturbano la natura. Ma è bello. Bello e appagante. E forse può essere anche un buon stimolo per prepararsi al suo prossimo esame. Ha ancora un po' di tempo per prepararsi a dovere, ma coincidere il lavoro e lo studio risulta sempre più complicato. E per questo quando riesce, approfitta delle ore di sonno mancate per poterle colmare con qualche ora di studio. E sicuramente il suo cervello è più produttivo all'alba che di notte. 

Si alza, scosta le tende color ghiaccio dalle finestre, e un pensiero non può non ricadere su Isabelle.

«Tetro» — aveva mormorato sua sorella, quando lo ha accompagnato per comprare gli arredi per la sua casa — «Ho un fratello tetro!». 

Alec ricorda quel giorno come uno dei più duri della sua esistenza, in cui la sua pazienza era probabilmente stata messa alla prova da qualcuno dall'alto. E la prova l'aveva superata a pieni voti. Era riuscito a non strangolare la sorella ad ogni commento che faceva sui suoi gusti. Che Alec avesse gusti un po' particolari, o abominevoli se vogliamo utilizzare un altro termine di Izzy, era risaputo. Ma non era necessario ripeterlo ogni volta che si avvicinava a qualcosa di grigio, blu o nero. 

Sorride, scuotendo il capo. Forse una chiamata gliel'avrebbe fatta. Quel weekend non è passata a trovarlo perché ha uno shooting importante da fare a Manhattan, e Alec sente la sua mancanza, ma decide che non glielo ammetterà mai perché non può risultare sdolcinato. Allora decide che rimane nella sua testa, da qualche parte nel suo emisfero celebrale, e probabilmente glielo comunicherà tramite un abbraccio non appena passerà a trovarlo. In cuor suo, spera che lo faccia il prossimo weekend... ma decide di non dire nemmeno questo. Trova il manuale che gli servirà per quest'esame se vuole davvero passarlo. 

E certo che Alec vuole passarlo. 

«E non vedo l'ora» — aggiunge nella sua mente. Ed è vero, non vede l'ora perché questa è la materia che meno lo entusiasma. Analisi dei dati. Ma se vuole un voto per cui ne valga la pena, è giusto che si impegni e cominci a fare qualcosa. 

Porta la mano alla bocca e sbadiglia. Beve il goccio di caffè, non più bollente oramai, che anima la tazzina, e apre la pagina sessantacinque del libro. Per essere un esame che dovrà sostenere il mese prossimo, deve ammettere di essersi portato avanti in maniera più che positiva. E sono queste le cose che riempiono di orgoglio Alec. Le piccole cose possono fare tanto. 

E sì, è sereno. È sereno nella sua piccola casa, con un libro aperto sulle sue gambe incrociate, con una tazza di caffè vuota sul suo comodino, e con il silenzio che lo circonda. 

Va bene così, pensa prima di cimentarsi in qualche ora di studio.

 

 

Spazio Autrice

Ciao a tutti! È la prima volta che mi cimento in una Fan Fiction sui Malec e spero tanto di esserne all'altezza. Spero che la storia possa entusiasmarvi. Cercherò di fare del mio meglio! Se mi lasciaste un commento per capire se come inizio è stato di vostro gradimento, ne sarei molto felice.

Un abbraccio!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: portamjviadate