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Autore: T00RU    02/07/2019    2 recensioni
[NCT]
Proprio in quel momento, come quasi a sentirsi chiamato, Jaemin arriccia il naso e stringe Jeno ulteriormente a sé, finendo per nascondere la testa nell’incavo del suo collo.
«Ti amo tanto» mugugna, la voce strascicata dal gran sonno che l’ha travolto non appena tornato a casa. Sempre con un gesto istintivo, si sporge in avanti leggermente per dare un bacio sulla pelle del più grande; si riaddormenta immediatamente dopo, solleticando la pelle del ragazzo con il suo respiro.
Jeno ora non lo può più guardare, quindi opta per tenere lo sguardo fisso sul soffitto nella speranza di riuscire ad addormentarsi; cerca di contare le pecore, di contare all’indietro partendo da mille, ma in un modo o nell’altro torna a pensare a Jaemin: a come le sue dita s’intrecciano perfettamente alle sue quando, nelle mattinate in cui si svegliano insieme, stanno sotto alle coperte a parlare del più e del meno tenendosi per mano sotto la luce del sole che entra dalle finestre, filtrata dalle tapparelle.

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[nomin centric]
[1.683 words]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Jeno si sveglia di soprassalto è ancora buio nella stanza; guarda il soffitto, cercando di riprendere fiato dopo l’incubo che lo ha appena fatto alzare. È ormai una settimana intera che si sveglia nel bel mezzo della notte, sudato e in preda al panico; questa volta, però, c’è un braccio buttato attorno alla sua vita e delle gambe avvinghiate alle sue.
Quando il suo respiro torna ad essere pressoché regolare, si gira alla sua sinistra da dove provengono piccoli sbuffi tranquilli, calmi.
Quel pomeriggio Jaemin è finalmente tornato a casa dopo essere stato a fare visita ai suoi genitori per dieci giorni; è tornato a casa stanco, avendo passato tutte quelle giornate di sole aiutando nel grande giardino della sua casa d’infanzia. È tornato a casa dopo un’ora e mezza di treno e la prima cosa che ha fatto appena entrato in casa è stato cercare Jeno e dargli un lungo bacio con tanto di schiocco sulle labbra, senza nemmeno togliersi le scarpe prima.
Jeno osserva attentamente la figura che sta dormendo al suo fianco; ha le labbra socchiuse, a volte i piccoli sbuffi si trasformano in lunghi sospiri, arriccia il naso e poi torna a dormire beatamente, gli occhi chiusi e le lunghe ciglia talmente vicine al viso di Jeno che sicuramente se solo ci si mettesse d’impegno sarebbe in grado di contarle.
Di tanto in tanto il ragazzo si lascia andare anche ad un russare leggero, che quasi gli ricorda le fusa che Bongshik fa quando gli si strofina sulla gamba; la sola vista di Jaemin, talmente sereno, è adorabile.
Bloccato nella sua presa, non riesce nemmeno ad aggiustarsi in una posizione più comoda senza avere paura di svegliarlo e disturbare la quiete di cui tanto ha bisogno, perciò si limita ad osservare il suo viso, con la testa girata verso di lui e i muscoli del collo che tirano, il peso del suo braccio sul proprio addome.
Gli bruciano gli occhi dalla stanchezza, sta finalmente iniziando ad abituarsi per bene alla fioca luce che c’è all’interno della stanza e che proviene dal balcone a cui Jaemin sta dando le spalle. Solo allora si accorge, nonostante la luce sia davvero poca -forse è perché sono talmente vicini che i piccoli respiri di Jaemin finiscono sulle sue labbra– che a stare sotto al sole per dieci giorni al ragazzo si sono rese leggermente visibili delle piccole lentiggini, che ora gli tempestano il naso e le guance; sono talmente piccole e leggere che per poco Jeno non le nota nemmeno, ma nel vederle si lascia sfuggire un sorriso: vorrebbe portare le dita sulla sua pelle e accarezzarlo con delicatezza, ma la paura di svegliarlo lo fa restare fermo, immobile in contemplazione di ciò che è sicuro sia il regalo più bello che l’universo gli abbia fatto.
Jaemin non è un tipo facile; litigano sempre, ogni volta è lui ad iniziare le discussioni per motivi stupidi ed inutili che Jeno ignorerebbe anche, se non fosse per il fatto che se Jaemin si mette in testa di litigare, nessuno lo può più smuovere.
Jaemin è un uragano; è disordinato, solo qualche ora prima, al momento di mettersi a dormire, si è tolto la maglietta a maniche corte bianca che aveva indosso e l’ha lanciata nella direzione approssimativa della sedia senza nemmeno curarsene -è caduta per terra, l’ha raccolta Jeno-.
Jaemin è il tipo di ragazzo che vuole sempre avere ragione, anche quando ha torto e lo sa.
Jaemin è il ragazzo che quando si sveglia e si prepara per le lezioni di università, lo fa incurante di chi sta dormendo: più e più volte Jeno è stato svegliato dal suono di numerose bottiglie di shampoo e bagno-doccia cadute nella vasca da bagno, seguite da un’imprecazione da parte dell’altro, o da porte sbattute e canzoni canticchiate distrattamente.
Jaemin non è un tipo facile, soprattutto in una relazione: anche ora che sta dormendo gli tira un calcio involontariamente, facendolo quasi sobbalzare. Nonostante i suoi scatti improvvisi quando dorme è finalmente tranquillo, in pace con se stesso e con il mondo; sbuffa ad ogni respiro, con quelle labbra socchiuse che Jeno tanto ama baciare dopo averle viste tirare fuori gli insulti peggiori durante i loro litigi che, per fortuna, non lasciano mai l’amaro in bocca per troppo tempo.
Proprio in quel momento, come quasi a sentirsi chiamato, Jaemin arriccia il naso e stringe Jeno ulteriormente a sé, finendo per nascondere la testa nell’incavo del suo collo.
«Ti amo tanto» mugugna, la voce strascicata dal gran sonno che l’ha travolto non appena tornato a casa. Sempre con un gesto istintivo, si sporge in avanti leggermente per dare un bacio sulla pelle del più grande; si riaddormenta immediatamente dopo, solleticando la pelle del ragazzo con il suo respiro.
Jeno ora non lo può più guardare, quindi opta per tenere lo sguardo fisso sul soffitto nella speranza di riuscire ad addormentarsi; cerca di contare le pecore, di contare all’indietro partendo da mille, ma in un modo o nell’altro torna a pensare a Jaemin: a come le sue dita s’intrecciano perfettamente alle sue quando, nelle mattinate in cui si svegliano insieme, stanno sotto alle coperte a parlare del più e del meno tenendosi per mano sotto la luce del sole che entra dalle finestre, filtrata dalle tapparelle.
Il ragazzo che ora sta dormendo al suo fianco gli ha rubato anche i pensieri, ora pieni di Jaemin, Jaemin, Jaemin.
Senza nemmeno rendersene conto, ha iniziato ad accarezzare con delicatezza il braccio che ha appoggiato attorno al suo addome; con il pollice disegna piccoli cerchi immaginari sulla sua pelle, beandosi del suo profumo di bagno-doccia alla vaniglia e del solo pensiero di essere talmente fortunato ad averlo nella propria vita.
Perso nei suoi pensieri, Jeno non si accorge nemmeno che Jaemin sta iniziando a svegliarsi; si stiracchia, allontana il viso dall’incavo del collo del più grande. Sta ad osservarlo mentre guarda attentamente il soffitto, come a cercare la risposta ad una domanda importante.
«Jeno-ah» dice, la voce roca ed impastata dal sonno. Jeno volge il viso verso di lui, guardandolo negli occhi; si guardano per qualche secondo, sotto la luce della luna che riempie la stanza e che le dona una certa malinconia. «Un altro dei tuoi incubi?» Jaemin gli afferra la mano, stringendola forte; nemmeno a farlo apposta, Jaemin segue il treno di pensieri di Jeno e intreccia le loro dita, gesto ormai istintivo.
Jeno annuisce. «Sono tanto stanco, Jaem» sospira, passandosi la mano libera sul viso in un gesto sconsolato. L’altro si mette seduto, tenendogli stretta la mano; si sporge in avanti per lasciargli un bacio all’angolo della bocca e poi si toglie le coperte, scendendo dal letto. Jeno osserva come attraversa la stanza, solo i pantaloni del pigiama indosso e fa per indicargli di rimettersi la maglietta a maniche corte.
«No, Jeno. Non ho freddo».

 

E così si trovano entrambi seduti al tavolo della cucina, illuminati dalla lampada che Jaemin ha pensato di accendere per non avere una luce troppo forte a fargli sparire il sonno; Jeno ha tra le mani una tazza di camomilla su cui sta soffiando, Jaemin gli accarezza un braccio come a confortarlo mentre cerca di bere la bevanda bollente.
«Amore» gli sussurra, sporgendosi in avanti. «Ti va di parlarne?».
Jeno scuote la testa; appoggia la tazza sul tavolo e si copre il viso con i palmi delle mani. Spesso e volentieri dopo mezz’ora gli incubi che fa se li dimentica anche, ma rimane sempre la sensazione di disagio che accompagna lo svegliarsi di soprassalto, spaventato da qualcosa che nemmeno ricorda ma che l’ha sconvolto a tal punto da non farlo più riaddormentare. «Già mi sono dimenticato quello che ho sognato stanotte» dice, girandosi verso l’orologio elettronico sul bancone della cucina; 3:43.
Jaemin annuisce, comprensivo; nonostante il suo carattere impaziente e da attaccabrighe, sta con lui in cucina e aspetta che finisca la camomilla, raccontandogli di quello che ha fatto in quei dieci giorni in cui è stato lontano da casa -Jeno si chiede se sia questo il vero amore: Jaemin che, nonostante il sonno, gli fa una camomilla e passa la nottata con lui in cucina senza mettere in dubbio le proprie azioni nemmeno per un secondo… si dice che sì, è questo il vero amore-. Gli racconta di sua cugina Chaewon, di com’è caduta in giardino mentre stava giocando con lui e si è sbucciata il ginocchio, della sua espressione meravigliata quando le ha detto che aveva un ragazzo e le ha fatto vedere una loro foto, insieme. Si ferma a metà discorso per andare in camera, e quando ritorna in cucina indossa la famosa maglietta a maniche corte che si era rifiutato di mettersi solo mezz’ora prima.
Jeno sorride nel sentirlo parlare, gli chiede dei suoi genitori, se stanno bene, e quando finisce la camomilla tornano in camera sotto le coperte.
Nessuno dei due si riaddormenta, stanno abbracciati; ora è Jeno a stringere Jaemin a sé con un braccio attorno alla sua vita, si guardano e parlano. Jeno gli racconta di come Donghyuck ha preso monopolio del loro appartamento mentre è stato via e di come, appena tornato da una lezione, se l’è trovato seduto sul divano a guardare la TV e ha pure fatto l’offeso quando gli è stato chiesto di andarsene.
-«Certo che sei proprio una merda» Jaemin sbuffa una risata, roteando gli occhi. Jeno alza un sopracciglio.
«Dovevo studiare per l’esame di storia della musica!».-
E Jaemin ridacchia, arriccia il naso e Jeno gli chiede delle lentiggini che gli sono spuntate sulla pelle.
«Ah, sì» porta le dita a toccarsi le guance. Sorride. «Non sapevo nemmeno di averle. Mi stanno bene?» ma i baci che Jeno si sporge per lasciargli sulla punta del naso, sulle guance, e infine sulle labbra sono una risposta più che convincente.
E finiscono per addormentarsi verso le sette del mattino, con la luce che entra prepotentemente nella stanza ma di cui nessuno dei due si accorge, entrambi troppo stanchi per curarsene.
Ma va bene così, perché tanto è domenica; e le domeniche, si sa, sono fatte per essere passate a letto, sotto le coperte.



Marina non amare i nomin più di qualsiasi altra cosa o persona al mondo challenge: failed
Lo so che Jaemin è tornato da più di un anno ma sono ancora al settimo cielo ogni volta che ci penso, proprio non riesco a fare a meno dell'amicizia tra lui e Jeno :(
Questa piccola os dovrebbe fare parte di una serie che ho per la testa, spero di riuscire a combinare qualcosa e di non fare il pagliaccio, una volta tanto.
Spero la lettura di questa os vi sia stata gradita, e se vi va lasciate pure una recensione, un po' di feedback è sempre gradito uwu
Alla prossima!
mar.

   
 
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