Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Lady A    03/07/2019    3 recensioni
|What if? Jaime/Brienne| Post Ottava Stagione|
Dal primo capitolo:
“Lasciò che i battiti del petto si confondessero in quella quiete, con la voce del mare in lontananza; la mente volta a scacciare quei brandelli di passato che a volte, ancora tornavano in vita. Ombre oscure che inseguivano ogni suo passo e respiro, e poi, si ritraevano sole e miserabili nell’oblio, cacciate a forza, a mani nude, senza armi né armature. Nient’altro che spettri di cenere e sangue, che avevano voce e un volto e un nome. Jaime. Il mio nome è Jaime. Li aveva combattuti a lungo ad Approdo del Re, tra le mura e le macerie della Fortezza Rossa, tra i ruvidi fogli del Libro Bianco e le spoglie dei corpi carbonizzati. Li aveva lasciati indietro, senza più voltarsi, incapace di sostenere quell’eterna lotta solitaria e interiore […] E tra le fiamme di quel tormento, Brienne si era ridestata: pallida, viva e imperfetta e aveva continuato a camminare, sorretta dalla proprie gambe."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister, Nuovo personaggio, Podrick Payne, Tyrion Lannister
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1. 
Giuramenti



Tutto era mutato intorno a lei e dentro di lei. Tutto, eccetto Tarth, con le sue acque di zaffiro, le cascate scroscianti e i verdi prati cinti come in un abbraccio da ontani bianchi, pioppi neri, ginepri rossi ed oleandri; le valli rigogliose di campi di rose, ginestre, cedri e alberi da frutto; le montagne frastagliate: uno scudo imponente e silenzioso sulla vita degli uomini delle Terre della Tempesta. Culla di un’infanzia spoglia e solitaria, di un’aspra giovinezza inghiottita nell’inadeguatezza e dalla rigidità di un’armatura che difendesse la sua anima oltre che il suo corpo acerbo e sgraziato.
Non sono una lady, aveva ripetuto una, diecimila volte: la voce brusca, lo sguardo duro e impassibile come un’arma in acciaio di Valyria, con quei profondi occhi azzurri in grado di perforare la carne come la lama di una spada.
Non poteva essere una lady. Quel pensiero strappava duramente il suo respiro, e ogni volta Brienne si ritrovava a mordere ferocemente le labbra, contraendo dolorosamente i muscoli di quel viso dai lineamenti tozzi e sbagliati. Impossibile risanare quell’agonia, quel tocco straziante di umiliazione e dolore che fedele nel tempo, si era nutrito come un bambino dei battiti del suo petto. Attraversando la sua carne e le sue ossa come uno spettro, e mordendo, scalciando e graffiando come una belva digiuna e orrenda.
Era troppo alta, troppo robusta, troppo sbagliata, nient’altro che una grande bestia impacciata, capace di impugnare una spada piuttosto che affrontare con disinvoltura, la vita di una donna. Per meritare l’amore sincero di un uomo, per muovere in lui il desiderio, per essere accettata senza derisione alcuna.
Aveva amato un uomo in passato.
Oltre Renly.
Sembrava trascorsa una vita da allora.
Aveva goduto della sua stima e fiducia, in lui aveva annegato il suo cuore e il suo corpo per la prima volta. 
Sei mai fuggita da una battaglia?
Affondò i piedi nella sabbia chiarissima, carezzata fino alle caviglie dall’infrangersi continuo delle onde, là dove le sue impronte si disperdevano tra i sussurri eterni del mare.
Brienne la Bella, la Vergine di Tarth, l’ultima figlia rimasta in vita di lord Selwyn, la ragazza più brutta che esista, colei che nessuno vorrebbe mai sposare se non per ereditare Evenfall, colei che per sfuggire da tale disonore e vergogna aveva rinunciato al titolo di erede di Tarth per vivere tra un giuramento e l’altro, saltando di sovrano in sovrano. La prima donna ad essere investita della carica di Cavaliere e a divenire Comandante delle Guardie Reale dei Sei Regni, per servire a vita Re Bran lo Spezzato, rinunciando per tradizione, a possedere terre, a sposarsi e generare figli.
Giunse l’alba, s’impose sulle tenebre, ne squarciò il ventre e nacque senza rumore, come in punta di piedi. Scivolò nel cielo: un mosaico antico che estinse l’ombra.
Aveva infranto quell’ultimo giuramento otto anni prima, dopo solo due anni di servizio, congedandosi da quell’incarico senza conseguenze, graziata dal Re.
Le mani incolori del vento si posarono sul suo corpo, tra i fili mossi dei capelli ricadenti lungo le spalle in piccoli ricci color paglia. Le lunghe dita si strinsero attorno all’impugnatura della spada che pendeva al suo fianco, accanto alla cintura di cuoio che chiudeva l’elegante tunica blu con gli orli in oro e gli scuri calzoni aderenti.
E’ tua. E sarà sempre tua.
Una testa di leone come pomo, con rubini incastonati. Ispirò profondamente, estraendola.
Resta qui, resta con me, ti prego. Resta.
Divaricò le gambe, allineandole con le spalle. Fendenti e rapidi affondi tagliarono l’aria dinanzi a lei: i piedi ben saldi sulla superficie sabbiosa, la mente sgombra da ogni pensiero, ricordo o rimpianto.
Lei è spregevole, e lo sono anch’io.
Continuò sotto il sole nuovo, fino a spegnersi come un fuoco, senza più fiato, con i muscoli doloranti e il sudore salato impresso sulla pelle bianca.
Le spade migliori hanno sempre un nome, qualche idea?
Una mano allontanò i capelli della fronte mentre l’altra, con un gesto rapido, rimise Giuramento nel fodero. Avanzò di qualche passo, tra l’acqua di cristallo e la schiuma lieve, a disperdere le caviglie e la ragione. Socchiuse gli occhi, bagnata dalla luce e dal mare, dalle memorie impresse con il ghiaccio e con il fuoco delle battaglie vissute.
Sorgi Brienne di Tarth, adesso sei un Cavaliere dei Sette Regni.
Lo sguardo ardente si aprì di scatto, le labbra strette e incurvate in un’espressione indefinita, lucida e distante. Voltò le spalle al sole, rigidamente, il cuore scosso da un tremore intimo e inquieto; ripercorse i propri passi, le lunghe gambe e le braccia ciondolanti sui fianchi.

Massiccia mura di pietra pallida a gradoni, avvolte d’edera bianca e stendardi, circondavano Evenfall, con le sue torri cilindriche merlate e le feritoie. All’interno, in cortili ombrosi con ortensie blu, ampie fontane e arcate in marmo di Tarth.
Si sottrasse alla luce, ai piedi antichi di un gelso. La schiena bagnata premuta contro la durezza del tronco, al disotto della sua chioma ampia, dalle foglie irregolari. Lasciò che i battiti del petto si confondessero in quella quiete, con la voce del mare in lontananza; la mente volta a scacciare quei brandelli di passato che a volte, ancora tornavano in vita. Ombre oscure che inseguivano ogni suo passo e respiro, e poi, si ritraevano sole e miserabili nell’oblio, cacciate a forza, a mani nude, senza armi né armature. Nient’altro che spettri di cenere e sangue, che avevano voce e un volto e un nome.
Jaime. Il mio nome è Jaime. 
Li aveva combattuti a lungo ad Approdo del Re, tra le mura e le macerie della Fortezza Rossa, tra i ruvidi fogli del Libro Bianco e le spoglie dei corpi carbonizzati. Li aveva lasciati indietro, senza più voltarsi, incapace di sostenere quell’eterna lotta solitaria e interiore, di ascoltarne i sussurri infiniti, parole indistinte, respirate contro il suo orecchio, lungo il collo e la schiena. E tra le fiamme di quel tormento, Brienne si era ridestata: pallida, viva e imperfetta e aveva continuato a camminare, sorretta dalla proprie gambe. Lasciando che il cuore pungesse di sale fino a disperdersi tra le pieghe del tempo, fino a confondersi e mischiarsi con il mare e il cielo.
Era ritornata a Tarth, sfiorando nuovamente dopo anni, la superficie salmastra e increspata delle sue acque, saziando il petto di sopravvivenza e d’inizi. Alla morte di lord Selwyn, nuovi giuramenti avevano racchiuso i suoi polsi d’aspre e immobili catene.
L’ultima figlia rimasta in vita, l’unica erede. Lady di Evenfall, Protettrice dell’isola degli Zaffiri.
«Non sono una lady, padre, e mai lo sarò. Non m’interessa esserlo. Ci ho provato e ho fallito tanto tempo fa. Mi dispiace!». La voce accesa di rabbia e frustrazione, i pugni stretti e la pioggia nel suo sguardo.
«Per tutti i Sette Dèi Brienne, non rinnegare la tua gente un'altra volta! Sposa un bravo nobile, sposalo, diventa la madre dei suoi figli e mantieni alto il nome della famiglia! E’ un tuo dovere. Un Cavaliere non si tirerebbe mai indietro. Fa’ che io sia fiero di te ancora».
Un ultimo respiro prima di essere sottratto alla vita e restituito al mare. E ancora una volta, la lealtà, l’orgoglio e l’onore l’avevano trattenuta a sé nella loro cruda interezza.

«Vieni pure avanti Ser Piper».
Prima di parlare, l’anziano maestro d’armi, attese che la porta d’ottone e legno di quercia fosse richiusa alle sue spalle. «Mia Signora so a cosa stai pensando», un sorriso paterno accompagnò quei lineamenti marcati, le labbra di Brienne si contrassero appena, impercettibili; sedeva sull’elevato scranno della Sala Grande, cinquanta torce diffondevano luce tra le fredde pareti di marmo antico, screziate di blu e pallido grigio. «Ricorderai sicuramente lord Sgwahort, un brav’uomo, leale, diverso dai tuoi precedenti pretendenti. Non ha successori, ed è vedovo da tempo. Negli anni della tua assenza, si è mostrato un fedele amico e alleato di tuo padre. Tarth non potrebbe chiedere di meglio che la vostra unione». Brienne si limitò ad annuire, il volto impassibile e il cupo gelo dei lupi del Nord vivo nel suo sguardo.
Con la guardia alta e la diffidenza nel cuore, aveva lasciato Jaime nel passato e mantenuto fede al giuramento; da roccia era mutata in ferro ed era andata avanti, senza di lui, fedele a sé stessa e ai suoi doveri.
Giuramenti. Qualsiasi cosa tu faccia, finirai sempre per infrangerne uno.

La fredda aria del mattino giunse alla penombra del gelso, a mordere la sua pelle bagnata di sale. Rabbrividì con quel vago sentore d’angoscia a strisciare in lei come un serpente, da strattonarle le viscere e i sensi. Oltrepassò i cortili macchiati d’ombra e silenzio per immergersi nel ventre fitto del castello, nei suoi quartieri privati. Risalì le scalinate di marmo grigio, facendosi strada fino ad un lungo corridoio dalle pareti di pietra, con le alte finestre ad arco chiuse da pesanti tendaggi e una lunga fila di specchi circolari istoriati d’argento.
Trovò sollievo nel tepore dei suoi appartamenti dai soffitti a volta e le armature d’oro alle fiancate. Nel mezzo, un grande camino in marmo dalle fiamme vive e ondeggianti come fili d’erba scarlatti scossi dal vento. Un’ancella dalla pelle olivastra, il volto rotondo e sorridente allestì la sua vasca. Oli profumati di Dorne ed essenze d’erba e fiori delle Isole dell’Estate si fusero nell’abbraccio d’acqua fumante.
Brienne s’immerse. Da sempre a disagio nell’esporre le proprie goffe nudità agli sguardi altrui, congedò la donna con un lieve cenno del capo. Strofinò ogni lembo del proprio corpo da sola, sfiorando e percorrendo con i polpastrelli ogni singolo livido e cicatrice; i seni acerbi divenuti piccole bianche colline: li scoprì alieni, quasi imbarazzanti in quel loro fragile accenno di femminilità.
Fanciulla. Guerriero. Madre.
Lavò e pettinò la paglia aggrovigliata dei capelli, lasciando solo a quel punto, che le mani esperte dell’ancella, li acconciassero in onde morbide, libere di danzare tra le scapole dell’ampia schiena. Indossò una lunga veste di seta azzurra con un gilè in cuoio, due mezze lune e un sole filigranate in oro sul petto. Un mantello di lana scuro, con il fermaglio d’argento della folgore di Casa Sgwahort, venne racchiuso sulla spalla sinistra. Sistemò Giuramento al fianco destro.
Gli occhi esitarono a lungo su una pergamena dispiegata, abbandonata su un lungo tavolo in legno d’albero-diga bianco come la neve, tra le candele morenti e i blocchi di ceralacca. Si mosse silenziosa, con il respiro lento, le dita nude ne incontrarono la consistenza ruvida e sciupata. Riarrotolò il messaggio e per un attimo parve tornare intatto; il sigillo ridotto ad un grumo indistinto. Infilò i guanti neri in pelle, come gocce d’ossidiana scivolarono lungo le sue mani callose. Prima di dirigersi ai suoi doveri nella Sala Grande, il suo ultimo sguardo fu per la pergamena e nient’altro.


Un tramonto di antico fuoco danzò nel cielo, con il Sole simile ad un volto in fiamme: umano, inerme e stremato, divorato nella carne dall’eterna condanna degli Dèi. Divenne cenere e poi fu inchiostro nero, senza stelle. Rinacque in Luna, pallida e scarnita come l’osso o l’occhio morto di un gigante. Calò sul mondo e sul mare, si disperse tra le maree. Tra le sue ombre cieche, lucciole sussultavano a intermittenza come piccole candele lontane, sospese tra il sale e l’aria di Tarth.
Tiepidi tocchi di luce scivolarono contro il suo corpo, infrangendosi come schiuma di mare, tra l’oro e il broccato rosso della sua veste da camera. Brienne sedeva su una pila di cuscini, tra le stoffe morbide del letto con le cortine aperte. Un anello di torce nei loro supporti, circondava ogni angolo delle pareti, assieme ai colorati arazzi di seta di Lys. Tra le mani reggeva uno spesso libro rilegato in cuoio. Rigirò con cura le pagine contenenti documenti contabili da lei stessa stilati. Respirò piano, muovendosi appena per riporre il pesante volume sul ripiano accanto al letto. Due respiri quieti, lievi come acqua e piuma, circondavano i suoi fianchi, come edera d’estate, rigogliosa e fiera. Il suo corpo come un appiglio dolce; un tronco bianco e grezzo in cui scorreva la vita. Baciò piano la loro fronte, scivolando delicatamente con le dita a scostare onde di capelli d’oro rosso dal viso di Alec e boccoli d’oro puro, da quello di Alma.
Due gemelli, nel loro quarto anno di vita, l’uno dagli occhi di giada e l’altra di zaffiro. Un sorriso accompagnò le sue labbra e si estese al cuore, quasi fino toccarlo.
Una porta d’ebano e acero venne aperta alle sue spalle, d’improvviso; una piccola crepa in quel fitto silenzio. I tappeti di Myr ne attenuarono i passi imponenti, quasi a inghiottirne il suono. Eppure Brienne non ebbe bisogno di volarsi. Incontrò la bocca dell’uomo ancor prima del suo sguardo di giada ed erba estiva.
Una lunga cicatrice gli attraversava il viso come una cometa, assieme ad una lieve barba striata d’argento e oro rosso, come i suoi capelli.
Jaremy aveva quasi cinquant’anni, una mente arguta, spalle larghe e una corporatura abbondante. Un naso adunco e un sorriso amabile, sempre pronto alla risata. Indossava una palandrana di velluto nero, con una cintura in pelle intrecciata da fili d’argento e piccoli smeraldi.

«Sapevo di trovarti qui…» parlò piano, quasi sottovoce, chinandosi di fianco al letto per stringere nella propria mano quella di Alec, allungando gentilmente l’altra per sfiorare il delicato profilo di Alma. Raccolse la bambina ancora profondamente addormentata; come raggi di sole, l’oro scomposto dei capelli ricadde su quel piccolo viso dalle guance calde. L’accostò contro il petto, in una prese salda eppure incredibilmente gentile e attenta. La porta venne aperta ancora; dalla soglia, Maestro Darrell giunse al lato accanto. Sollevò Alec con le sue braccia esili e raggrinzite dagli anni. La schiena ricurva, aggravata dal peso dei vari metalli delle sue catene, il volto saggio e il sorriso bonario.
Nella premura di quegli abbracci, i gemelli abbandonarono i suoi appartamenti, persi nella quiete innocenza dei loro sogni privi di ombre e passato.
 


“Cara Lady Brienne, spero che tu stia bene, vorrei poter scrivere tutto in quest’unica missiva, seppur abbia giurato di non farne parola con altri. Sono a conoscenza di una verità che so alleggerirebbe il tuo cuore, ma al momento, ho il forte il presagio che una tale informazione possa finire in mani sbagliate. Spero di fornirti più dettagli quanto prima.
Ser Podrick Payne.”


La pergamena incontrò ancora le sue dita. Venne ai suoi occhi sciupata e scolorita; un fiore morto, divorato dalla siccità ostile e grezza, un’ala spoglia che mai più avrebbe ripreso il volo. Era giunta con un corvo messaggero, un mese prima. S’impose di leggere le parole ancora una volta. Spinse vie le coperte. Racchiusi nelle torce alle pareti, spettri di fuoco s’agitavano attorno come anime dannate, pronte a tornare in vita. Socchiuse gli occhi, lasciando che quell’ansia mutasse nuovamente in angoscia fredda e strascicante.
Quando li riaprì, il materasso di piume s’inclinò al di sotto dell’imponente peso di suo marito. Jaremy le avvolse una spalla, spingendola contro il suo petto ampio e caldo. Brienne si costrinse a sorridere e a sostenerne lo sguardo chiaro. Quasi arrossì. La pergamena ancora dispiegata tra le mani.

«A cosa pensi si riferisca? Cosa alleggerirebbe il cuore della mia signora?» chiese in un sussurro contro il suo collo, scostandole alcuni capelli dal viso per poi giungere alle sue labbra. «Temo di avere una notizia che so, l’appesantirà» aggiunse, con il respiro lieve nel petto. Sollevandole il mento con una mano, cercò nuovamente la sua bocca. Nell’ombra di quelle parole Brienne si sottrasse, pallida e tesa come la corda di un arco. Jaremy sorrise divertito, sfiorandosi la barba screziata d’argento. «Mia sorella Falena è prossima a raggiungere Tarth. Prima del tramonto di domani sarà qui, probabilmente. So che a volte è detestabile, ma non si tratterrà a lungo» rise e la baciò ancora. «Maestro Darrell mi ha dato questo messaggio».
Una pergamena strettamente arrotolata scivolò nelle sue mani. Brienne si mise a sedere. La dispiegò, trattenendo il respiro; le dita tremarono, così il suo cuore e le viscere.
Alcune fiamme attorno a lei, incontrarono la morte.

“Cara Lady Sgwahort, credo sia giusto informarla della scomparsa in circostanze misteriose di Ser Podrick Payne, membro della Guardia Reale di Re Bran lo Spezzato. Nella speranza di darle al più presto liete notizie. 

 
Gran Maestro Samwell.”

 
«Podrick…»
Quasi non distinse la sua voce, un rantolo spento e opaco, giunse straniero alle sue stesse orecchie. Si alzò di scatto ai piedi del letto, il messaggio rudemente stretto in pugno, il volto duramente contratto e gli occhi blu spalancati in un’espressione di tagliente terrore.
Dèi Misericordiosi fate che non sia… rabbrividì.
«Devo tornare alla Fortezza Rossa, devo fare qualcosa! Qualcuno potrebbe averlo imprigionato o…» parlò, feroce come una fiera; la gola resa arida e il respiro pesante.
La quiete non abbandonò il volto di Jaremy, così come la gentilezza impressa nei lineamenti squadrati dalla forte mascella. Con un lieve sospiro d’apprensione, scendendo dal letto, giunse verso di lei. Imponente come una montagna, la superava d’altezza. Furono uno di fronte l’altra, come avversari in un duello. Brienne sollevò il mento con gelida arroganza, quasi a sfidarlo.
«Appena sarà giorno ne discuteremo con Maestro Darrell e Ser Piper e decideremo. Faremo tutto il possibile» le disse conciliante, posando entrambe le mani sulle sue spalle rigide. Brienne si sottrasse, quasi irritata da quel contatto. Indietreggiò appena, lo sguardo affilato come la lama di una daga.
«Conosco Approdo del Re e la Fortezza Rossa meglio di chiunque altro a Tarth. Ci vorranno settimane per raggiungerla. Prima di essere un membro della Guardia Reale, Podrick è stato il mio scudiero, mi ha aiutato nella ricerca di Sansa Stark e ha combattuto con onore contro l’esercito dei Non-morti a Grande Inverno» parlò con durezza, sostenendo senza indugi lo sguardo serio di suo marito. «E’ come un fratello e temo per la sua vita» concluse in un sussurro incrinato.
Jaremy versò del vino al miele in una coppa intarsiata d’argento, avvicinandola alle labbra. Bevve continuando ad osservarla. L’apprensione si fece spazio in lui, smorzandone la quiete. Avanzò di qualche passo, stringendole con delicatezza il viso tra le mani, poggiando la propria fronte contro quella di lei.
«Verrò con te, porteremo i nostri uomini migliori. Ti prego perciò di non essere impulsiva. Anch’io ho dei doveri, proteggere la donna che ho sposato, la madre dei miei figli. Domattina il nostro primo pensiero sarà pianificare il viaggio per la Capitale» le disse, guardandola con un sorriso.
Le dita discesero a serrarle i fianchi, spingendola delicatamente contro il proprio corpo, caldo come l’estate. L’inverno giunse negli occhi di Brienne. Ferma in quell’abbraccio, contenne il respiro e l’impeto intimo della tempesta.
Sfumò in schiuma pallida e vaga, pronta a rinascere violenta e mortale, per sommergere ogni granulo di terra.
Con il cuore in fiamme, accompagnò e inseguì i baci di Jaremy. Lasciò che le mani di suo marito scivolassero lungo le imperfezioni sgraziate del suo corpo. Le veste da camera d’oro e broccato rosso ricadde silenziosa sul tappeto.
Nuda e pallida come cera, fu donna, moglie e amante.


Attese che Jaremy giungesse tra la nebbie fitte del sonno. Si rivestì con lentezza estrema tra le ombre cieche, indossando una semplice tunica scura damascata, con stivali alti, in pelle e fibbie d’argento. Collocò Giuramento al fianco destro, e una daga affilata a quello sinistro, assieme a sacche colme di monete. Un mantello da viandante di grezza lana nera, scivolò lungo le sue spalle. Per un tempo indefinito, rimase gelida e immobile, seduta sul pesante baule d’acciaio ai piedi del letto, ad ascoltare il respiro quiete dietro di lei.
Devo andare, non posso sottrarmi, né ho intenzione di farlo. Ho bisogno di conoscere la verità, di sapere Podrick vivo e al sicuro. E’ accaduto qualcosa di grave, me lo dice il mio cuore. Affronterò ogni crepa del mio passato da sola, a testa alta e con orgoglio; costringerò ogni spettro antico alla resa. Lo lascerò indietro con il suo dolore. Sopravvivrò come sempre. Prometto che tornerò. E’ un giuramento.
Quando fu in piedi, esitò in un ultimo sguardo.
Reggendo tra le mani una candela morente, ripercorse scale e infiniti corridoi.
Abbandonò Evenfall uscendo dal dorso secondario.
Inghiottita dalla notte, calò il cappuccio sul viso, diretta tra gli scafi approdati tra le braccia delle acque. Quando il cielo si destò lieve e azzurro, l’Isola degli Zaffiri era ormai un’ombra lontana e sperduta tra le increspature del mare.







*Alcune frasi in corsivo sono tratte dagli episodi delle varie stagioni della Serie TV.
  
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