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Autore: vero_91    14/07/2019    2 recensioni
“Ciao Cas, sai penso che io e te ci conoscessimo già in un’altra vita; io cacciavo demoni e tu eri un angelo del Signore. Credo di essere innamorato di te da allora. La tua giornata invece com’è andata?”
(a Gabry, per il suo compleanno)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione, Nel futuro
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A Gabry per il suo compleanno, che ha aspettato questa storia con pazienza e non sarebbe mai nata senza i suoi plottaggi,
che ormai sono una garanzia e una certezza della mia esistenza.  
Con amore, 
Vero


N.B: per comprendere meglio la storia: le parti che iniziano con ------*------- e si concludono con --------------- sono autoconclusive e si riferiscono a universi alternativi, mentre le restanti compongono un'unica trama principale.



 
 
When you say it's gonna happen "now"
When exactly do you mean?
See I've already waited too long
And all my hope is gone.
(How soon is now? The Smiths)
 


Il vuoto che Dean sente al petto è talmente familiare da essere diventato quasi una parte di sé, come se ci fosse nato e si fosse rassegnato a conviverci per sempre. 

Le rare volte in cui ha la sensazione che può essere colmato è durante il sonno, quando viene investito da sogni di cerchi di fuoco, ali bruciate e occhi di un blu così nitido da sembrare reale, anche se in realtà non li ha mai incontrati. 

Ogni volta che si sveglia il vuoto che Dean sente nel petto è così grande che teme di venirne inghiottito. 

 
------- * -------
“Who are you?”

“I'm the one who gripped you tight and raised you from perdition."
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Dire che Castiel non è mai stato appassionato di macchine è un eufemismo. Non sa distinguerne i modelli o riconoscere a quale casa automobilistica appartengono o la differenza tra una berlina e una monovolume. Per Castiel le macchine sono sempre state degli utili mezzi di trasporto, e le uniche nozioni che gli interessa sapere sono quelle per guidare in sicurezza. 

Però c’è una macchina. Una sola, il cui rumore del motore riesce a riconoscere a metri di distanza, nonostante lui quell’auto non l’abbia mai guidata ne conosca qualcuno che la possieda; eppure sa che è lei – lei, neanche fosse così fanatico da definire una macchina come una persona.

È una Chevrolet Impala del 67, quindi per fortuna non sono in tanti ad averla, ma ogni volta che la sente avvicinarsi l’istinto lo porta a girarsi e a cercare qualcosa. 
Castiel non trova mai quello che sta cercando. 



-------- * ---------
“Castiel, che piacere incontrarti qui”.

“Dean”.

“Quindi non ti sei dato ancora per vinto?”

Castiel sa che se la sua anima si fosse rincarnata in un essere umano, in quel momento le cose sarebbe diverse – non sa quanto, ma sicuramente non ricorderebbe tutto così nel dettaglio. 

Ma a quanto pare il destino o Dio per lui non hanno ancora smesso di divertirsi un po’. 

“Non è la prima volta, giusto? Prima di diventare questo – Dean sbatte le palpebre, evidenziando le pupille totalmente nere – avevo solo qualche deja-vu, sogni per lo più. Ma da quando sono un demone ricordare è stato tutto più facile”. 

Castiel si avvicina mentre Dean resta immobile, lo sguardo che vaga tra gli alberi che li circondano. “Ti stavo cercando”. 

Dean ghigna, un sorriso che non ha niente a che vedere con quelli che appartenevano a un’altra vita e che Castiel ricorda ancora - non sa se questo sarà la sua fortuna o la sua rovina -. 

“Perché? Vuoi riprendere da dove avevamo interrotto?” Dean riporta lo sguardo su di lui, accorciando la distanza che li separa. Castiel lo lascia fare, non che abbia mai avuto molta scelta. 

“Non doveva andare così” e se non fosse così stanco Castiel si vergognerebbe della debolezza che traspare dal tuo tono di voce. 

Dean invece sembra trovare il tutto molto divertente. 

“Cas… Era Cas, giusto?” lo dice come se assaporasse quella parola per la prima volta, e alle orecchie di Castiel quel suono stride, intensificando il malessere che ormai lo pervade. 

Dean gli afferra la cravatta con una naturalezza che lo colpisce allo stomaco avvicinando i loro visi, e quando gli morde il labbro inferiore Castiel socchiude gli occhi in un gesto automatico; Dean intanto continua a fissarlo, come se volesse imprimersi nella memoria l’effetto che ha su Castiel. 

Castiel chiude gli occhi e asseconda Dean per quel poco che gli concede, prima di spostare le labbra sul suo collo. 

“Non abbatterti Castiel, magari in un’altra vita saremo più fortunati” mormora, con una nota di sfottò nella voce. 

Castiel gli affonda una mano nei capelli mentre l’altra va a posarsi sulla spalla di Dean, sui contorni di un’impronta che non ha bisogno di vedere per sapere che è ancora lì. 

Dean inspira tra i denti, mordendo piano il suo collo per trattenere un gemito. 

L’intensità del legame che percepisce però non è sufficiente per soffocare il senso di sbagliato che li circonda come un’aurea. 

Non voglio aspettare un’altra vita pensa, prima di cercare di nuovo la bocca di Dean, in un bacio che non ha nulla di simile a quelli che si sono scambiati in passato, ma che non può evitare di cercare. Nel profondo ha sempre saputo che la sua grazia è legata indissolubilmente all’anima di Dean Winchester, e questa sarà la sua condanna.
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Lisa l’ha trascinato a vedere una di quelle action commedy con una storia d’amore nel mezzo, dove si intuisce cosa succederà e come andrà finire solo guardando il trailer. Non che Dean sia un esperto, ovviamente. Solo che Lisa gli piace e non può iniziare a lamentarsi delle sue proposte già dal secondo appuntamento; così si rilassa sulla poltrona del cinema e si arrende al suo destino. 

È a circa metà film, quando Dean sta pensando a dove potrebbero andare a mangiare una volta usciti da lì, che una scena cattura la sua attenzione. La protagonista è accasciata a terra, mentre il ragazzo di cui è innamorata è in piedi davanti a lei, sovrastandola e puntandole una pistola alla tempia (da quanto ha capito il ragazzo è una spia russa mandato per ucciderla, ma essendosi anche lui innamorato di lei ha deciso di tradire la sua famiglia e stare con lei; per questo gli è stato fatto il lavaggio del cervello e ora lui sembra non riconoscerla). Nonostante la situazione sia critica, la ragazza non fa nulla per fermarlo, si limita a chiamare il suo nome più volte, poi allunga una mano verso di lui, afferrandogli un lembo della giacca. 

“Dimitri sono io… siamo una famiglia. Abbiamo bisogno di te. Io ho bisogno di te” e qualcosa sembra scattare nella mente del ragazzo, che arretra abbassando finalmente la pistola. 

Dean sbatte le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco la scena sullo schermo, perché improvvisamente la spia russa indossa un trench e quelle parole sembrano uscite dalla bocca dello stesso Dean. Si passa una mano sul viso facendo qualche respiro profondo, e quando riporta lo sguardo sullo schermo la protagonista è da sola in un seminterrato.

Dean riesce a sentire quel senso di solitudine nelle ossa, come se appartenesse a lui. 



-------- * ----------
Questa non è la prima volta che Dean va al mare. 

Ci è già stato da piccolo, quando suo padre caricava tutta la famiglia in macchina per una gita fuori porta, crescendo invece è lui stesso a portarci le ragazze in un impeto di romanticismo che finge di non possedere, e infine con i suoi amici come per la giornata di oggi, quando Charlie ha deciso di festeggiare la fine della scuola facendo alzare tutti prima dell’alba per andare in spiaggia. 

Per questo non trova una giustificazione al grumo d’ansia che sente alla bocca dello stomaco, inizialmente pensa sia un residuo dello stress da esami a cui è stato sottoposto in queste ultime settimane, ma lo stato d’agitazione non si placa quando arrivano a destinazione. Come se avesse bevuto troppi caffè, non riesce a togliersi di dosso una frenesia che lo porta a rigirarsi senza sosta sull’asciugamano mentre cerca di prendere il sole, e neanche sfogarsi nuotando in mare sembra aiutarlo.

Alla fine si rassegna e decide di andare a prendersi una birra nel bar sulla spiaggia più vicino, nella speranza che l’alcol anestetizzi quel senso di disagio che non gli dà pace.

Prevedibilmente il locale è rumoroso e affollato, con una musica spagnola troppo alta per i suoi gusti; Dean si fa largo tra la folla per avvicinarsi al bancone del bar, mentre le mani iniziano a sudargli e quasi teme che gli stia per venire una sincope; si toglie il cappellino per farsi aria e per attirare l’attenzione del barista indaffarato davanti a lui, che per miracolo riesce a cogliere la sua ordinazione. 

Dean si passa una mano tra i capelli umidi, e la sensazione che qualcuno lo stia osservando dall’altra parte del bar lo colpisce come se questa persona avesse appena urlato il suo nome; Dean non sa chi sta cercando, ma lo capisce nel momento in cui incontra il suo sguardo: un ragazzo che avrà circa la sua età, con una massa disordinata di capelli neri – l’impulso di passarci le mani è così forte che Dean ha quasi paura di se stesso – e un paio di occhi blu che riesce a vedere anche a quella distanza. Il ragazzo continua a fissarlo immobile, inclinando un poco la testa in un gesto che a Dean appare dolorosamente famigliare, se non fosse che lui quel ragazzo non l’ha mai incontrato prima. Non avrebbe mai potuto dimenticarlo. 

Lo sconosciuto nel frattempo continua a squadrarlo, come se stesse cercando di ricomporre i pezzi di un puzzle che non comprende fino in fondo. Qualcosa però sembra scattare quando i suoi occhi si posano sulla cicatrice che Dean ha sul braccio - ce l’ha dalla nascita e ricorda vagamente l’impronta di una mano, Dean ha imparato a conviverci – non vi è però curiosità o giudizio nello sguardo del ragazzo, anzi i suoi occhi continuano a saettare dalla cicatrice al viso di Dean, con una frenesia che sarebbe preoccupante, se Dean non fosse così attratto da lui. 

Quando Dean si chiede perché continua a fissarlo a distanza invece di raggiungerlo, qualcuno lo strattona per la spalla: il barista gli porge in malo modo la sua birra, invitandolo a pagare e a spostarsi perché sta bloccando la fila; Dean gli lascia sul bancone le monete che aveva in tasca senza badare a quante siano, facendosi da parte per dirigersi verso l’altro lato del bar. 

Il formicolio alle mani e la sensazione di nausea che gli chiude la bocca dello stomaco sono tornati, come avvertimento che il tempo a sua disposizione sta per scadere; in quel momento qualcuno gli afferra di nuovo il braccio, non ha bisogno di voltarsi per sapere che non è la persona che sta cercando. 
Benny sta per dirgli qualcosa, ma l’espressione sul viso di Dean gli fa cambiare idea: “Amico, stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma”. 

Dean inizia a temere che sia così, perché del ragazzo tra la folla non c’è più traccia.  

Riesce solo a voltarsi un’ultima volta verso il punto che desiderava raggiungere prima che Benny lo trascini di forza fuori dal locale, obbligandolo a sedersi sui gradini del porticato e porgendogli una bottiglietta d’acqua fresca. 

“Dean mi senti? Sei pallidissimo”. 

Dean annuisce, mormorando qualcosa sulla troppa calca, il battito cardiaco che gli rimbomba nel cervello. Dean si preme i palmi delle mani sugli occhi fino a farsi male, nella speranza di cancellare l’immagine di quel viso dalla sua mente, perché ha la sensazione che ne sarà perseguitato a vita. 
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“I suoi occhi non sono abbastanza verdi” è un pensiero che lo colpisce all’improvviso fuori da ogni contesto, mentre guarda il ragazzo di fronte a lui che gesticola e gli parla del suo lavoro. 

Castiel non sa quale sia il metro di paragone, è già uscito con altri ragazzi con gli occhi verdi – ecco perché Kelly gliel’ha presentato, dicendo che sarebbe stato il suo tipo – ma nessuno gli è rimasto abbastanza impresso da poter essere poi paragonato a quelli successivi. C’è sempre qualcosa che stona - le sfumature non sono mai quelle giuste - e non sapere cos’è invece che potrebbe soddisfare le sue aspettative lo farà diventare pazzo, un giorno o l’altro. 

“Scusami, ti sto annoiando?”

Castiel riporta l’attenzione su David, che lo sta guardando imbarazzato.

“No, perdonami, mi ero distratto a fissare le tue… lentiggini” aggiunge, spostando lo sguardo sulle piccole macchie che ricoprono il naso del ragazzo. 

“Oh sì, sembra con andando avanti con gli anni non facciano che aumentare” David giocherella con il bicchiere di fronte a sé, poi aggiunge “Ti piacciono?”

E Castiel vorrebbe ammettere che ne è ossessionato fin da quando ne ha memoria, l’ennesima fissazione per cui Kelly lo prende in giro e per cui non riesce a darsi pace, ma che anche quelle sono sbagliate, perché non prova il desiderio di contarle né di seguirne la scia tracciando disegni immaginari con le dita. 

Castiel si rende conto di star rasentando ormai l’orlo della follia, così si limita ad annuire, soffocando la stretta ingiustificata che prova al petto con un sorso di vino.
 


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Non è la prima volta da quando ha iniziato il college che Dean si imbuca a una festa, ma di solito è in alloggi di fortuna, come i dormitori studenteschi, di certo non in una villa di quelle dimensioni. Non c’è dubbio però che il posto sia quello giusto: l’indirizzo che gli ha mandato Charlie è quello, e fin dall’esterno si percepisce la musica a tutto volume e il vociare dei partecipanti. 

Messaggio a Charlie: “Sei sicura che posso imbucarci così come se nulla fosse?”

Dean non si stupirebbe di trovare all’entrata un paio di bodyguard.

(Charlie) “Fidati di me, qui dentro è pazzesco”. 

Dean sospira e facendosi coraggio suona al campanello, e poco dopo un ragazzo con un boa rosa intorno al collo e una bottiglia di champagne in mano gli apre la porta. 

Dean non sa se è il proprietario di casa, ma lui si limita a squadrarlo per un attimo e poi lo invita a entrare “Benvenuto nella mia umile dimora, chiunque tu sia. Io sono Balthazar, comunque, grazie per essere venuto alla mia bellissima festa d’addio”. 

“Festa d’addio?” La cosa si fa sempre più sospetta.

“Per il mio amico Castiel. Ha deciso di andare a fare volontariato all’estero perché a quanto pare questa città non è abbastanza per lui”. 

Dean si sta chiedendo che problemi abbiano queste persone con i loro nomi di battesimo quando Balthazar afferra un ragazzo per le spalle, in testa ha un cappellino rosa con la scritta “Festeggiato” che gli schiaccia i capelli neri sulla fronte, ma non è sufficiente per nascondere gli occhi blu che si posano su Dean.

“Si parla del diavolo… Guarda Cas, anche lui è venuto a salutarti”.

“Grazie, lo apprezzo molto” il ragazzo lo dice con una solennità tale che Dean è piuttosto sicuro lo stia prendendo in giro. 

“Mi sembri ancora troppo sobrio per i miei gusti – Balthazar riempie di champagne il bicchiere mezzo vuoto che Castiel ha in mano, svuotando la bottiglia – dobbiamo rimediare!” aggiunge, dirigendosi verso la folla e lasciando lui e Castiel da soli. Quest’ultimo si limita a bere, gli occhi puntati sempre su Dean.

“Mi sembra una bella festa” dice alla fine, per colmare il silenzio imbarazzante almeno per lui.

“Sai qual è il tema?”

“… La tua partenza?” Dean non capisce se è una sorta di test. 

Castiel scuote la testa. “No, quella è solo una scusa per fare un party. Il tema è Titanic”. 

Ora è Dean a fissarlo. “Mi stai prendendo in giro?”

“Balthazar è un po’ fissato con quel film” risponde, come se fosse una giustificazione sufficiente. 

“Mi sembra un ottimo augurio per chi deve partire per un viaggio”.

Castiel sbuffa una risata, poi prende un calice di champagne da un cameriere che sta passando lì vicino, per darlo a Dean. Dean esamina per un attimo la bevanda, cercando di ricordare quand’è stata l’ultima volta che ha bevuto un vino così costoso. “Effettivamente questa ostentazione di ricchezza poteva essere un indizio per il tema scelto” commenta senza pensare, accorgendosi solo dopo che anche Castiel probabilmente fa parte dello stesso giro, e che potrebbe ovviamente offendersi. 

Sta per aggiungere qualcos’atro per rimediare alla gaffe, ma la risata di Castiel interrompe il suo tentativo sul nascere. Dean è colto alla sprovvista per quanto desideri sentire di nuovo quel suono.

Castiel torna a fissarlo, una luce di interesse negli occhi che Dean non riesce a ignorare. “L’avrai già intuito ma io sono Castiel, comunque. Puoi chiamarmi Cas”. 

“Io sono Dean”. 


Da come Dean sia passato a insultare velatamente lo stile di vita di Castiel ad essere premuto da quest’ultimo contro una porta mentre lo bacia togliendoli il respiro resta un mistero (in realtà Dean voleva essere baciato e toccato da Castiel dal primo momento che l’ha visto, ma ciò che lui desidera non è mai stato rilevante). 

Cas si spinge contro di lui portando una gamba tra quelle di Dean, provocandogli un po’ di quella frizione che Dean agogna, mentre inizia a scendere con le labbra baciandogli la gola e il collo. 

Dean appoggia la testa contro la porta, dandogli più spazio di manovra, e affonda le mani tra i capelli di Castiel. 

“Stupido cappellino” dice, obbligando Cas a staccarsi per un secondo così da poterglielo togliere, finalmente. 

Castiel sorride sulle sue labbra, posando la fronte su quella di Dean. “E io che pensavo provenisse da lì il mio fascino”. 

Dean accarezza la schiena di Castiel, sente i muscoli asciutti sotto la maglietta, e per quanto è possibile se lo porta ancora più vicino. Sembra non essere mai abbastanza. “Ti assicuro di no” dice, prima di cercare di nuovo le sue labbra. 

Cas lo asseconda, mentre le sue mani scendono per posarsi sulla cinta dei jeans. Si scosta di nuovo, stavolta per cercare lo sguardo di Dean come a chiedere il suo consenso. 

Dean è già a corto di fiato – ed è decisamente più eccitato di quanto gli piacerebbe ammettere – così si limita a slacciare anche lui i pantaloni di Castiel, facendogli capire l’antifona. 

Cas sembra cogliere il messaggio, perché ricomincia a baciare Dean, una mano sul suo viso mentre con l’altra prende le erezioni di entrambi in mano, iniziando a muoverla lentamente.

Dean soffoca i gemiti nell’incavo del collo di Castiel, finché quest’ultimo non gli passa una mano tra i capelli, allontanandolo quel tanto per guardarlo in viso. “Voglio sentirti” dice con voce roca, mandando una scarica di eccitazione direttamente all’inguine di Dean.

Castiel aumenta la velocità della sua mano, portando entrambi vicini all’orgasmo. Dean stringe la presa, toccando e aggrappandosi a ogni parte di Cas che può raggiungere perché sente già le gambe cedergli – e perché questa è l’unica occasione che gli verrà concessa, gli ricorda una vocina nella sua testa -. Castiel sembra fae altrettanto, la mano che è rimasta per tutto questo tempo sul viso di Dean scende accarezzandogli il collo, per poi posarsi e stringere sulla spalla - la stessa dove

Dean ha una vecchia cicatrice a forma di mano fin dall’infanzia – e il contatto, anche se breve e mitigato dal cotone della maglia, è sufficiente per far scattare qualcosa in entrambi, portandoli improvvisamente oltre il limite. Dean viene sulle mani di Castiel, davanti agli occhi dei flash troppo veloci da poter essere decifrati, e quasi delirante pensa che questa è la prima volta che un orgasmo gli dà le allucinazioni. 
 

È Castiel il primo a rompere il silenzio mentre si stanno dando una sistemata. 

“Io parto domani” dice, sottolineando l’ovvio e scavando ancora più in profondità il vuoto che Dean sente nel petto, il che è assurdo dato che si conoscono solo da un paio d’ore e non è la prima volta che Dean ha una sveltina con una persona sconosciuta e che non vedrà mai più. 

Cas deve star intrepretando il silenzio di Dean, perché aggiunge “Dean, se non fosse stato così io---” ed è qui che Dean lo interrompe.

“Cas, non ce n’è bisogno. Davvero, ti assicuro che non sono venuto a questa festa alla ricerca di un fidanzato. È stato divertente, e va bene così”. 

Castiel lo fissa, e Dean deve fare uno sforzo per sostenere il suo sguardo, perché non vuole proseguire questa conversazione. 

Alla fine annuisce, passandosi una mano tra i capelli e peggiorando ancora di più la loro situazione. 

“È stato più che divertente - dice, accennando un sorriso – temo mi tocchi davvero ringraziare Balthazar per questa festa”. Castiel si avvicina alla porta, togliendo la serratura; Dean era così preso dal momento che non si era neanche accorto che aveva chiuso a chiave. 

Quando fa per aprire la porta è Dean a fermarlo, posandogli una mano sul braccio. 

“Aspetta, Cas… - Dean non sa come spiegarlo, così gli passa una mano tra i capelli provando a dargli vagamente una forma, prima di rimettergli il cappellino da festeggiato – Ora sì che sei pronto per tornare in pista”. 

Castiel tocca lentamente il cappellino, senza distogliere gli occhi da Dean. Quando si avvicina per baciarlo nella mente di Dean risuonano sirene d’allarme, che ovviamente decide di ignorare. Ricambia il bacio con lo stesso entusiasmo di prima, ed è solo la suoneria del suo cellulare a riportarlo alla realtà. Non fa in tempo a rispondere al telefono – nel caso non fosse evidente, staccarsi da Castiel non è per niente facile – ma i messaggi di Charlie sono abbastanza chiari (“Dove sei finito?”, “Guarda che noi tra poco ce ne andiamo!”, “Come fai a tornare a casa senza il nostro passaggio?!?”, “DEAN??????????”). 

“Devo andare, i miei amici se ne stanno andando e sono con loro in macchina…” inspiegabilmente, Dean ha ancora il fiato corto. 

Castiel annuisce, anche lui sembra essere nelle sue stesse condizioni. 

“Allora ciao… grazie per… la festa”.

“Grazie a te per essere passato, lo apprezzo molto”.

Dean accenna un sorriso, ricordando la loro conversazione di qualche ora fa. Vorrebbe aggiungere qualcosa – Prima o poi tonerai dal tuo viaggio, giusto? Nel caso possiamo sentirci, se ti va. Siamo nel ventunesimo secolo, la distanza non dovrebbe essere un problema. Voglio conoscerti. Voglio vederti di nuovo. Voglio…-   il cellulare squilla di nuovo, bloccando ogni desiderio sul nascere. 

Dean guarda il nome di Charlie comparire sullo schermo, poi riporta per un’ultima volta lo sguardo su Castiel, che è rimasto immobile a fissarlo, quasi in attesa di una sua mossa. Dean gli fa un cenno del capo come saluto, prima di uscire definitivamente da quella stanza senza voltarsi indietro.
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Dean ha capito che sarebbe stata una fregatura nel momento in cui Sam l’ha pregato di partecipare; e ha capito di essere fottuto quando suo fratello si è giocato la carta del “Non vorrai che Mary sia l’unica senza parenti, vero?” e Dean sache Sam stava per aggiungere qualche aneddoto sulla loro sfortunata infanzia ancora prima che riaprisse bocca, così eccolo lì, a un Tea Party organizzato dalla scuola materna di sua nipote, a fingere di bere da delle tazzine così piccole che a malapena riesce a tenere in mano, circondato per lo più da madri elettrizzate – Dean fatica a capire se lo siano davvero o se fingono molto meglio di lui -.

L’unica ancora di salvezza sembra essere il buffet a cui Mary lo trascina, sua nipote lo conosce molto bene, indicando i vari dolci che i genitori dei suoi compagni hanno preparato, tra cui i muffin cucinati da Eileen, che si affretta a infilarsene un paio in bocca prima che vadano a ruba. 

Mary nel frattempo si è fermata a parlare con un suo compagno di classe - a quanto pare i suoi genitori non sono ancora arrivati, come dargli torto -.

“Non preoccuparti Jack, vedrai che arriverà presto, vero zio Dean?” 

Dean si limita ad annuire perché non conosce i suoi genitori e per quanto ne sa lui potrebbero essere anche degli stronzi menefreghisti, ma quando vede che il bambino è sull’orlo delle lacrime si abbassa alla sua altezza offrendogli uno dei muffin: “Avranno sicuramente trovato traffico, vedrai che non farai in tempo a mangiare questo dolce e loro saranno qui”. 

Il bambino gli sorride grato, e dopo un paio di morsi al dolce Dean sente una voce roca chiamare il nome del bambino alle sue spalle; anche Jack sembra sentirlo, perché si volta e corre a abbracciare uno sconosciuto con un trench, che Dean collegherebbe in automatico a un maniaco dei giardinetti se non fosse per il senso di agitazione che ha iniziato a scorrergli nelle vene. 

È quando il ragazzo si solleva dopo aver preso in braccio Jack che Dean ha bisogno di appoggiarsi al tavolo dei dolci per mantenere l’equilibrio, perché quelli sono gli occhi che lo perseguitano da una vita e che ormai si era rassegnato di incontrare. Anche lo sconosciuto ora lo sta fissando, la bocca una linea sottile mentre stinge la presa su Jack, come se avesse bisogno di aggrapparsi a qualcosa. È lo stesso Jack ha riportare l’attenzione su di lui, posandogli una mano sulla guancia. “Cas, la torta! L’hai portata?” 

Cas sbatte un paio di volte le palpebre, e alla fine si costringe a distogliere lo sguardo da Dean. 

“Certo, tua mamma ha preparato la tua torta preferita, quella di mele” dice, posandola sul tavolo e scartandone l’involucro. 

“Veramente a me piace di più quella al cioccolato, questa è la tua torta preferita” sottolinea il bambino. 

“Anche allo zio Dean piace molto la torta di mele, vero zio?” si intromette Mary, tirandolo per una manica e obbligandolo a uscire dal trance in cui era caduto. 

“Sì confermo, sono il massimo intenditore di torta di mele in tutto lo Stato, ho anche scritto un libro” risponde, strappando una risatina ai due bambini. 

Anche lo sconosciuto gli sorride, indicando poi il dolce “Per favore, Kelly sarà curiosa di sapere cosa ne pensa un esperto come te”, Dean decise di ignorare la stretta allo stomaco che gli provoca il pensiero di questa Kelly, e si focalizza sulla fetta di torta che sta mangiando. 

Finge una grande concentrazione mentre mastica, poi dopo aver ingoiato l’ultimo pezzo si volta verso Jack e con voce solenne dice “Puoi dire alla tua mamma che questa è sicuramente la miglior torta di mele che io abbia mai assaggiato. Un primo premio assicurato”.

Jack esulta come se davvero avesse vinto qualcosa, poi prende Mary per mano e la trascina verso un gruppo di loro compagni, lasciando Dean e lo sconosciuto da soli; alla fine è quest’ultimo a rompere il silenzio. 

“Grazie per esserti occupato di Jack prima del mio arrivo, temevo di trovarlo in un angolo a piangere”. 

Dean distoglie lo sguardo dai bambini per riportarlo titubante su di lui, la sensazione di prima si è attutita ma resta costante. “Nessun problema, so cosa vuol dire avere a che fare con un bambino di cattivo umore. Sono Dean comunque, lo zio di Mary” aggiunge, quasi volesse giustificare la sua presenza lì. 

“Castiel, ma puoi chiamarmi Cas” e nonostante sia un nome che non ha mai sentito a Dean suona terribilmente famigliare. “Jack è ---" e come se l’avesse evocato Jack rispunta accanto a loro, con una tazzina di plastica in mano. 

“Cas, devi venire a bere il tea insieme a me!” 

Castiel annuisce, anche se per un attimo sembra che qualcosa lo trattenga – Dean immagina sia perché si sta prefigurando quello che lo aspetta, di certo non perché
deve interrompere la loro conversazione. 

“Scusami, devo...” 

“Figurati, il dovere ti chiama”. 

Cas fa in tempo a fargli un cenno di saluto con il capo, prima di essere trascinato su una poltroncina decisamente troppo piccola per lui. 
 

Per il resto della festa non riescono più a incontrarsi. Dean a un certo punto vede Castiel da lontano parlare con una maestra, tenendo in braccio Jack addormentato, mentre lui sta inseguendo Mary su uno scivolo ricordandole per la decima volta che devono andare a casa. 

È quando sono da soli in macchina che si decide a tastare il terreno. “Jack mi sembra un bambino simpatico, non te ne avevo mai sentito parlare prima”.

Mary fa spallucce, leccando lentamente il leccalecca che giurerà ai genitori di non aver mai mangiato. “È arrivato nella mia classe quest’anno, pare che i suoi genitori si siano trasferiti in città per lavoro”. 

“Quindi Castiel è suo padre?”

Mary ci riflette un attimo “Quasi, Jack dice che non è davvero suo padre ma è come se lo fosse”. 

Il nuovo compagno della madre quindi, questo spiega perché Castiel non porta la fede - non che Dean ci abbia fatto caso, è solo un particolare che ha casualmente notato -. 

Ora ha tutte le informazioni necessarie per mettersi il cuore in pace e archiviare definitivamente quell’incontro e le sensazioni a esso connesse. 
 

 
Quella notte Dean sogna Castiel in un vecchio casolare, due ali nere che si stagliano dietro di lui. 

Quando si sveglia, madido di sudore e il cuore che gli rimbomba nel petto, l’impronta che ha sul braccio brucia per la prima volta, come se qualcuno l’avesse appena marchiato a fuoco. 
 
I sogni, con il passare dei giorni, non accennano a diminuire; sono così nitidi da sembrare reali, e ogni volta Castiel è presente. Castiel che gli rinfaccia di aver fatto tutto quello per lui, Castiel intrappolato in un cerchio di fuoco e un sentore di tradimento nell’aria, Castiel sporco e con la barba sull’orlo di un precipizio prima di lasciar andare la sua mano, Castiel che viene pugnalato davanti ai suoi occhi. Dopo ogni risveglio Dean deve ricordare a sé stesso che nulla di tutto ciò è reale, che Cas in quel momento starà dormendo beato nel letto che divide con la sua compagna. Diventa però sempre più difficile ignorare la sensazione di pressione che sente al petto, come se l’aria faticasse ad arrivare ai polmoni, e alcune notti il bruciore alla cicatrice è così forte da impedirgli di riprendere sonno. 
 
Anche per questo, quando Jo una sera gli chiede di dargli una mano con il bar perché Ellen non si sente bene, Dean accetta subito, nella speranza di stancarsi così tanto da poter svenire poi a letto una volta tornato a casa. 

Il locale quella sera è prevedibilmente pieno come ogni venerdì e Dean ha a malapena il tempo di pensare tra un’ordinazione e l’altra. È verso la fine della serata, quando la maggior parte delle persone è seduta al proprio tavolo soddisfatta con una birra in mano, che vede avvicinarsi al bancone un volto familiare – e per un attimo Dean si chiede se anche questo si tratta di un sogno, o se ormai soffre di allucinazioni. 

Castiel gli fa un cenno di saluto con la mano, un gesto che sembra quasi estraneo alla sua figura, come se volesse nascondere l’imbarazzo. “Dean, ciao”.

“Ehi Cas, non ti ho mai visto da queste parti” dice pentendosene subito, perché lascia intendere che nel caso Dean l’avrebbe notato, il che è la verità. 

Castiel però sembra non farci caso. “No, infatti. Mi sono trasferito qui in città da qualche mese, e mio fratello vive in zona” aggiunge, indicando un piccolo tavolo a pochi metri da loro, dov’è seduto un ragazzo più basso di Castiel con i capelli biondo cenere che li fissa con uno sguardo mellifluo che non promette nulla di buono. 

“Tu invece, lavori qui?”

Dean scuote la testa. “Do solo una mano al bar quando hanno bisogno. La proprietaria, Ellen, è di famiglia. A tal proposito, cosa posso servirti?” 

“Per me una birra chiara, mentre per Gabriel - Castiel abbassa lo sguardo, come se fosse improvvisamente imbarazzato e Dean non dovrebbe trovarlo così adorabile - il cocktail più colorato che hai, se è blu meglio” conclude, riportando gli su Dean. 

“Non stai scherzando, vero?”

“Purtroppo no, mio fratello è un tipo originale e con gli anni ho imparato che è meglio assecondarlo piuttosto che contraddirlo”, dice, con un sospiro. 

Dean trattiene a stento una risata, mentre inizia a preparare le sue ordinazioni. “Vai tranquillo, anch’io ho un fratello minore e per questo hai tutta la mia comprensione”.

“Il padre di Mary, giusto?”

“Esatto, anche se la bambina per fortuna ha preso tutto dallo zio”.

Castiel sorride e si accomoda al bancone, come se non fosse per nulla intenzionato ad andarsene. 

“Anche Jack sembra un bravo bambino, Mary mi ha detto che è arrivato nella sua classe quest’anno, non dev’essere stato facile per lui integrarsi”. 

Castiel annuisce, sorridendo di gratitudine quando Dean gli passa la birra richiesta. “Kelly ha richiesto il trasferimento al lavoro per vivere più vicino ai sui genitori, ma una volta che gliel’hanno approvato abbiamo dovuto aspettare ancora qualche mese perché anch’io riuscissi a trasferirmi, e nel frattempo Jack aveva già iniziato la scuola nella nostra vecchia città”. 

Dean si limita ad annuire, una serie di domande su lui e Kelly che gli muoiono in gola perché non sono affari suoi. “Se può esserti d’aiuto, Mary adora Jack e dice che anche gli altri bambini la pensano così”.

“Grazie Dean, lo apprezzo molto” Il sorriso che gli riserva Castiel è qualcosa che purtroppo Dean nei suoi sogni non ha mai avuto la fortuna di vedere, ma è così familiare che gli viene quasi da piangere. “Senti, ti sembrerà stupido ma —“

“Che cosa è stupido?” 

Dallo spavento Dean per poco non fa cadere il cocktail che sta preparando. 

“Cassie, smettila di distrarmi il barista che di questo passo il mio cocktail si sarà trasformato in acqua con il tempo che ci stai impiegando. Ah io sono Gabriel, comunque - aggiunge, allungando la mano verso Dean - scusate se vi ho interrotto, ma stavo morendo di sete”. 

“Se le tue richieste fossero come quelle di tutte le persone normali forse non dovresti aspettare così tanto per un cocktail” gli risponde Castiel, mentre Gabriel gli passa un braccio intorno alle spalle “Fratellino non c’è bisogno di fingersi infastiditi, che scusa avresti trovato altrimenti per fermarti qui a parlare?” 

Dean finge di non notare il rossore sulle guance di Cas, e allunga la bevanda di un azzurro elettrico a Gabriel, nella speranza che quest’ultimo se ne ritorni al suo tavolo e lo lasci di nuovo solo con Castiel. 

Ma a quanto pare il divertimento per Gabriel non si è ancora concluso, e nonostante Cas cerchi di divincolarsi dalla presa, Gabriel gli passa una mano tra i capelli, arruffandoglieli. “Dai non c’è bisogno si imbarazzarsi, è da giorni che ti dico che —”

“Ok Gabriel, ora credo sia ora di tornare al tavolo perché Dean qui devo continuare a lavorare” lo interrompe Castiel, spingendo il fratello giù dallo sgabello su cui si era già posizionato. 

Dean non può fare a meno di notare che i capelli di Castiel sono ancora spettinati a causa di Gabriel, e sente di nuovo quel prurito alle mani, una sensazione che seppur estranea sembra appartenergli da una vita, per questo deve usare tutta la sua forza di volontà per trattenersi dal passare la mano tra quei capelli e dargli una sistemata, come facevo un tempo. Il pensiero lo colpisce così violento che a malapena si rende conto che Castiel lo sta fissando con sguardo interrogativo, e ancora prima che se ne accorga Castiel è uscito dal locale insieme al fratello. 
 

Le ore successive Dean cerca di annegare quella sensazione di mancanza spillandosi delle birre per sé, ma non appena chiude gli occhi, disteso nel suo letto, l’immagine del corpo di Castiel, disteso sopra di lui mentre Dean gli sposta una ciocca di capelli dalla fronte sudata è così nitida e dolorosa che Dean riesce a malapena ad arrivare in bagno prima di essere scosso dai singhiozzi. 
 

 
Se Dean pensava che sognare Castiel in situazioni random fosse difficile, dal loro secondo incontro è perseguitato da immagini di una domesticità tanto reale quanto lancinante è il dolore che prova ogni volta che si risveglia in un letto vuoto, da solo. Nei suoi sogni Castiel dorme con lui, abbracciandolo da dietro e baciandogli delicatamente la nuca durante il dormiveglia; gli accarezza piano i capelli quando è scosso da un incubo, sussurrandogli parole in una lingua sconosciuta all’orecchio; altre volte Castiel è sopra di lui e lo bacia come se ne andasse della sua vita, mentre Dean si aggrappa alla sua schiena e spinge il bacino contro quello di Castiel, agognando una frizione tra i loro corpi nudi. Dopo questi sogni Dean si sveglia con un’erezione così pulsante che l’orgasmo che ne segue è quasi doloroso, oltre a lasciare Dean in uno stato d’infelicità che si trascina per tutto il giorno. 

Non solo quindi il suo subconscio sembra non accettare il fatto che Castiel abbia già un’altra famiglia con cui vive felicemente, ma decide di mostrargli senza sosta ciò che Dean desidera e che non potrà mai avere. E Dean non crede di aver mai desiderato così tanto qualcosa in vita sua.
 
Era solo questione di tempo prima che accadesse. Le notti insonni e il dolore pulsante alla spalla gli impediscono di essere completamente concentrato sul lavoro da giorni, e se sei un vigile del fuoco non è mai un buon segno. Un errore di valutazione lo porta a respirare più fumo del dovuto, e fa appena in tempo a trascinarsi fuori dal seminterrato in fiamme prima di accasciarsi privo di sensi nel giardino. Per fortuna riprende conoscenza dopo pochi minuti, ma Benny l’ha già fatto caricare in barella e anche Garth, che sale in ambulanza con lui, sembra sordo alle sue lamentele.

Alla fine smette di dire di stare bene e si arrende al suo destino, almeno può approfittarne per farsi visitare l’impronta sulla spalla – come Sam ha più volte suggerito – anche se Dean dubita si possa fare qualcosa al riguardo. 

Quando arriva al pronto soccorso viene fatto passare in emergenza, e dopo un paio di esami e qualche domanda da parte di un’infermiera a cui Garth si premura di rispondere come se lui non fosse lì, gli viene chiesto di aspettare qualche minuto in attesa del medico. 

Mentre Garth ne approfitta per andare a prendersi qualcosa da mangiare alle macchinette – e Dean sospetta per provare ad attaccare bottone con la suddetta infermiera – la tendina della sua postazione si scosta e ne emerge Castiel in camice bianco, (nell’assurdità del momento Dean pensa che questa visione effettivamente tra i suoi sogni gli mancava). 

Quando Castiel lo riconosce sul suo viso passano una serie di emozioni che Dean fatica a decifrare, soffermandosi infine su un cipiglio preoccupato mentre si affretta a prendere la cartella ai piedi del letto. 

“Dean, che cosa è successo? Come ti senti?” 

“Non sapevo fossi un dottore”. 

“Cosa?” Castiel interrompe la lettura frenetica, riportando lo sguardo su Dean alla ricerca di qualche ferita. 

“No, dicevo che sto bene. Ho solo respirato troppo fumo, un errore da principianti”.

Castiel annuisce, rimettendo poi la carpetta al suo posto. 

“I valori sono buoni, ma ti farò fare comunque qualche esame in più per sicurezza. Ti gira la testa? Fai fatica a respirare?” e Dean vorrebbe rispondere che sì, è da quando si sono incontrati che Dean ha la sensazione che gli manchi il respiro e solo la presenza di Castiel sembra placare quel senso di apnea. Ma la situazione è già abbastanza patetica senza che lui ci aggiunga i suoi tormenti di cuore, così si limita a scuotere la testa. 

“Te l’ho detto, sto bene. Non era neanche necessario che mi portassero qui”.

“Invece hanno fatto la cosa giusta, considerando anche il lavoro pericoloso che fai”. 

Dean fa spallucce, come a voler schivare il complimento. “Di certo non un lavoro di prestigio come” dice, indicando con un cenno del capo il badge di Castiel. 

“Non così di prestigio come voleva la mia famiglia, credimi. A proposito, vuoi che ti chiami qualcuno? Tuo fratello Sam?”

Dean scuote la testa. “Non voglio fargli venire un infarto per una cosa da niente come questa, prenderò un taxi per tornare a casa”. 

“Dean, non ho intenzione di dimetterti se non c’è qualcuno che possa accompagnarti a casa”. 

“Cas, ti ho detto che sto bene”.

“Non mi sembra sia tu il medico qui”. 

Dean si passa una mano tra i capelli, indeciso se essere lusingato o esasperato per quelle attenzioni. “Sono qui un collega, va bene se mi accompagna lui?”

Dean vorrebbe odiare il sorriso vittorioso con cui gli risponde Castiel. “Mi sembra accettabile”. 

Nonostante le sue rimostranze Castiel gli prescrive comunque due giorni a casa di malattia, così che possa approfittarne per rimettersi in forze e riposarsi.

È quando fa per scendere dal letto che il dolore alla spalla lo colpisce in pieno, ed è così improvviso che Dean non riesce a trattenere il gemito di dolore che gli scappa dalle labbra, mettendo Castiel subito all’erta.

“Che cos’è successo? Cosa ti fa male?” 

“La spalla, ma non ha a che vedere con il mio ricovero di oggi, fa così da qualche settimana”.

“Fammi vedere”, dice Castiel, bloccandolo a sedere sul lettino.

Dean sospira, mentre Castiel gli solleva delicatamente la manica della t-shirt. “È un segno che ho fin dalla nascita, sembra una cicatrice ma i medici non hanno mai saputo dire da cosa dipenda. Comunque non mi ha mai fatto male, fino a --- quando ho incontrato te --- qualche settimana fa”, conclude. 

Castiel però sembra non ascoltarlo, gli occhi fissi sull’impronta. 

“Ehi Cas, tutto a posto? Devo preoccuparmi?” 

“Posso toccarla?” chiede tutto d’un fiato, come se temesse un rifiuto.

“Certo…”. 

Cas non distoglie lo sguardo mentre prima ne delinea i contorni con una delicatezza quasi reverente, per poi posare lentamente il suo palmo sull’impronta, ricoprendone l’intera ampiezza. Nel momento in cui la mano di Castiel e la sagoma sulla spalla di Dean combaciano il dolore viene sostituito da una sensazione altrettanto intensa che Dean non riesce a esprimere a parole, è come un legame di appartenenza che va ben oltre l’attrazione fisica che prova per Cas. La sensazione è così forte che è costretto a chiudere gli occhi, e davanti a sé rivede tutte le scene che ha vissuto in quei giorni più volte nei suoi sogni, solo che stavolta sembrano pezzi di un puzzle destinati a incastrarsi, e il risultato finale acquista finalmente un senso. 

Quando Dean riapre gli occhi Castiel è ancora immobile, e solo quando Dean si scosta sembra riportare la sua attenzione su quest’ultimo. 

Entrambi restano a fissarsi, il fiato corto come se avessero corso una maratona; è Dean infine a rompere l’impasse. “Io… sarà meglio che vada” dice, alzandosi velocemente dal lettino e oltrepassando le tende divisorie prima che Castiel abbia modo di rispondergli. 

Solo quando è sul taxi, con Garth seduto di fianco a lui e la fronte posata sul finestrino, ricomincia a respirare normalmente. 
 

 
Nei giorni seguenti Dean prova con tutte le sue forze a trovare una spiegazione razionale a quello che gli sta accadendo – va in biblioteca, fa ricerche online, si iscrive a forum di dubbia natura – ma alla fine non può fare altro che rassegnarsi e accettare che il tutto va ben oltre ogni logica (A meno che non stia diventando pazzo, questa è un’ipotesi che non si sente assolutamente di scartare). 
 
Messaggio a Charlie: “Tu credi nella reincarnazione?”

“Certo, sono piuttosto sicura di essere stata una regina elfica in un’altra vita. Perché tu no?”

“Non direi”. Almeno fino a qualche giorno fa. 

Dean cancella e riscrive lo stesso messaggio più volte, finché non è Charlie a toglierlo dall’impaccio. “Se ti stai chiedendo se in un’altra vita saremmo stati amici, la risposta è ovviamente sì”.

Dean sorride, e si convince a mandare il messaggio che più lo spaventa. “Quindi credi che, se due persone sono destinate a incontrarsi, troveranno alla fine un modo per farlo?” 

“Perché, non è quello che è successo anche ai tuoi genitori?”

Dean sorride, nonostante tutto. 
 

 
Potrebbe procurarsi il numero di Castiel, se volesse. 

Basterebbe chiedere a Sam o Eileen, e a parte le prese in giro che lo perseguiterebbero per il resto della sua vita, è piuttosto sicuro che uno dei due riuscirebbe nell’intento. Il punto è che cosa dovrebbe dirgli una volta che lo contatta. 

“Ciao Cas, sai penso che io e te ci conoscessimo già in un’altra vita; io cacciavo demoni e tu eri un angelo del Signore. Credo di essere innamorato di te da allora. La tua giornata invece com’è andata?”

Dean suona pazzo alle sue stesse orecchie, ma non può pensare di contattare Castiel senza rivelargli la verità. 

Alla fine, contro ogni aspettativa, è Castiel stesso a cercarlo. 

“Come hai fatto ad avere il suo numero?” chiede a Jo all’altro capo del telefono. 

“È venuto qui al locale ieri sera, ti stava cercando. Mi ha chiesto se potevo almeno riferirti che era passato e mi ha lasciato il suo numero, nel caso volessi contattarlo.

Cosa che farai, vero Dean?”

“Io… credo di sì”.

“Credi? Dean, non sei diventato cieco in queste ultime settimane, giusto? O per caso è uno stalker pazzo?” aggiunge, un filo di allarme nella voce. 

No, credo sia solo la mia anima gemella e questo mi spaventa a morte. 

“No, Jo non sono cieco e non è uno stalker. Grazie per il messaggio e per la discrezione che ti contraddistingue”.

“Richiamalo” dice Jo prima di attaccare il telefono, lasciando Dean a rigirarsi tra le mani il biglietto con il numero di Castiel. 
 

 
Decidono di incontrarsi per un caffè in centro, il locale è piccolo e tranquillo, ma è comunque un posto abbastanza frequentato da impedire scenate di alcun tipo,

Dean infatti ha paura della piega che il discorso potrebbe prendere.

Dean sta camminando nervosamente avanti e indietro sul marciapiede quando Castiel scende dal taxi con il solito trench, un completo da esattore delle tasse e una cravatta un po’ storta che Dean ha l’istinto di sistemare ancora prima di dirgli “Ciao”. Almeno ora sa da dove quel desiderio deriva, e si chiede quante volte in passato
ha avuto l’opportunità e la fortuna di farlo. Chissà se ora è Kelly a farlo al posto suo. 

“Scusa il ritardo, gli ultimi pazienti sembrano essere sempre quelli più complicati”. 

Dean scuote la testa, mentre si accomodano a un tavolino appartato. “Non preoccuparti, anch’io sono appena arrivato”. 

La cameriera li serve subito, portando ed entrambi un caffè, anche se Dean in quel momento ha tutto fuorché bisogno di qualcosa che lo agiti ancora di più. 

È Castiel, come sempre, a fare il primo passo. “Grazie per avermi contattato, temevo di essere stato troppo invadente”. 

Dean prima di quell’incontro si è ripromesso che avrebbe abbandonato ogni maschera e cazzata, quindi tanto vale vuotare il sacco fin da subito. “Anch’io volevo chiamarti”. 

Castiel non sembra così sorpreso. “Dopo il nostro ultimo incontro all’ospedale non sapevo se avresti accettato di rivedermi”. 

Dean avrebbe dovuto ordinare dell’acqua, almeno ora non avrebbe la gola così secca. “So che quello che sto per dirti ti sembrerà completamente assurdo e penserai che io sono pazzo, ma è dal nostro primo incontro che ho la sensazione di averti già incontrato e ---”

 “Anch’io ho la stessa sensazione”.

Dean riporta lo sguardo su Castiel, non si era neanche accorto di averlo distolto. Fa un cenno del capo, come per incitarlo a proseguire. 

“Prima erano solo sogni, immagini e scene frastagliate a cui non riuscivo a dare un senso, sembravano il frutto di una mente delirante. Ma dopo quella volta in ospedale, quando tu mi hai toccato l’impronta – in un gesto automatico Dean si sfiora la cicatrice, quasi a voler rievocare la sensazione provata in quel momento e di cui continua a sentire la mancanza – tutto sembra combaciare. Quelli che vedevo non erano sogni, ma ricordi” di un’altra vita

Dean lascia l’ultima parte sottintesa, perché non ha idea di come Castiel stia prendendo la cosa. Lui resta lì a fissarlo, in silenzio, senza dar alcun segno di turbamento; poi sospira, e stavolta è il suo turno di abbassare lo sguardo. 

“È da tutta la vita che sono perseguitato dalla tua immagine, solo che non sapevo fossi tu finché non ci siamo incontrati quella prima volta a scuola. Ora capisco perché sono sempre stato così ossessionato da gli occhi verdi e le lentiggini” aggiunge, riportando lo sguardo sul viso di Dean. 

Dean sa che non è un complimento ma un dato di fatto, ma arrossisce come se lo fosse. 

“Quindi anche tu credi che in un’altra vita….?” Dean vuole che sia Castiel a concludere la frase, per capire se anche lui è arrivato alle stesse conclusioni. 

“Anche per me inizialmente erano solo sogni. Quando non riguardavano te personalmente, e questi erano la maggior parte, sognavo di volare e di assistere da quella visuale alla creazione del mondo. Credo che il fatto di aver toccato l’impronta abbia permesso di ristabilire il legame che ala mia grazia aveva con te da quando ti ho salvato all’Inferno; ecco perché sono ritornati a galla i nostri ricordi”. 

“E ti sembra una cosa normale? Tutto questo, dico” Dean non sa come faccia a parlarne in quel modo tranquillo, come se stessero discutendo del meteo.

“Non direi, ma di certo la reincarnazione non è un tema nuovo. Il fatto che io nella mia prima vita fossi un angelo può aver complicato un po’ le cose”. 

Dean si passa una mano sul viso, un principio di mal di testa che inizia a pulsargli sulle tempie. 

“Quindi dici che i ricordi sono rimasti sopiti ma intatti tramite la tua grazia che ci lega, e dopo il nostro contatto si sono risvegliati – Dean ci riflette un momento – sembra uscito da un romanzo di Stephenie Meyer, ma è così assurdo che potrebbe avere senso”. 

“Chi?”

“La Meyer, l’autrice di Twilight.”

Castiel continua a fissarlo accigliato.

“Non posso credere che neanche in questo universo riesci a cogliere le mie citazioni”. 

A entrambi la battuta strappa un sorriso, prima che percepiscano il reale peso di quello che sottintende. 

“Quindi prima un angelo, poi un dottore, sembra che sia nella tua natura il voler aiutare le persone”. 

“Potrei dire lo stesso per te. L’incendio della tua casa… è avvenuto anche qui?”

Dean annuisce. “Mia madre è morta quando avevo quattro anni, io e Sammy siamo cresciuti con nostro padre”. 

“Mi dispiace. Mi piacerebbe incontrare Sam, un giorno” aggiunge. 

“Sono sicuro che anche qui andreste d’accordo. Magari con lui saltiamola la parte della reincarnazione e che in un’altra vita cacciavamo demoni, vorrei evitare di essere internato”. 

Castiel sorride, bevendo per la prima volta il suo caffè ormai freddo. 

“C’è solo una cosa non mi torna – prosegue Dean – ricordo a grandi linee la morta mia e di Sam. Entrambi abbiamo perso la vita nella battaglia contro Chuck, ma eravamo certi che il nostro sacrificio avrebbe salvato la situazione; e sono sicuro che tu fossi ancora vivo. Cos’è successo dopo? Gli angeli possono rincarnarsi, quindi?” 

Gli angeli però hanno una grazia al posto dell’anima come gli esseri umani, quindi c’è qualcosa che non torna…

“No, non possono - Castiel ha lo sguardo rivolto verso la strada oltre la vetrina del bar, come se in realtà davanti a lui si stesse svolgendo un’altra scena - Ho potuto rincarnarmi perché ho rinunciato alla mia grazia e sono morto da umano”. 

Dean non è sicuro di aver capito bene. “Cosa?”

Castiel riporta gli occhi su di lui e lo fissa, permettendo a Dean di cogliere il tormento sul suo viso. 

“Quando? Perché? Chi ti ha obbligato a farlo?”

Dean non ricorda tutto perfettamente, ma ha memoria della sensazione di spaesamento e fragilità di Castiel per quel poco tempo che era stato condannato a vivere
da essere umano sulla terra. Non può credere che ha dovuto riaffrontarlo di nuovo, stavolta da solo.

“È stata una mia scelta, nessuno mi ha costretto”. 

E qui Dean è sicuro di non aver capito bene. “Di cosa stai parlando, Cas? Io non ti capisco”. 

Castiel fissa Dean in silenzio per una manciata di secondi – ormai Dean si sta riabituando a questa cosa – poi abbassa di nuovo gli occhi, come se non riuscisse a sostenerne la vista. 

“È successo qualche mese dopo la vostra morte. Mi serviva quel periodo per assicurarmi che davvero tutto fosse risolto, e ne ho approfittato per assicurarmi che ci fossero degli altri cacciatori preparati e informati dei fatti, nel caso ci fossero altri problemi. Una volta sistemato tutto, come ti ho detto, ho rinunciato alla grazia e sono morto da umano”. 

Dean sente il caffe risalirgli come acido su per la gola. “Perché l’hai fatto, Cas?” 

Castiel sospira, come se non fosse ovvio. “Perché non potevo sopportare di vivere un’esistenza senza di te”.

E Dean non sa come rispondere, perché nessuno gli ha mai detto una cosa del genere, ma Castiel prosegue. “Già il resto di una vita sarebbe stata dura, ma un’eternità, Dean, tu non hai idea di che cosa significhi. Solo il pensiero mi faceva impazzire, e un dolore di quell’entità, io non –” Castiel si interrompe, come se solo il ricordo gli facesse un male fisico, e Dean allunga d’istinto la mano, andando a stringere quella di Castiel. Il contatto gli provoca una sensazione di pace che non finge nemmeno di ignorare. 

“Sto bene, Cas, sono qui” e le sue parole sembrano funzionare, perché Castiel dopo un attimo sembra rilassarsi e ricambia la sua stretta. 

“Noi non stavamo insieme” Dean non sa perché l’ha detto, ma è un pensiero che lo tormenta da quando sono riaffiorati i ricordi. 

Castiel accenna un sorriso, e improvvisamente sembra molto stanco. “Per me all’epoca non aveva importanza. Io ti amavo, e questa era l’unica cosa che contava”. 
Dean sa che non si sta riferendo a lui in quel momento né alla loro relazione attuale, ma è come se fosse così, considerando la reazione che gli scatena. 

“Scusami, non volevo metterti a disagio” aggiunge. 

Dean abbassa lo sguardo sulle loro mani ancora intrecciate, e quando Castiel fa per ritrarre la sua come per toglierlo dall’imbarazzo, Dean lo trattiene. “Quindi significa che anche in questa vita alla fine non siamo destinati?” chiede, il rossore che sente propagarsi dalle guance fino alla punta delle orecchie. 

Dean è preso in contropiede dall’espressione sofferente che appare improvvisamente sul viso di Castiel. “Ovviamente no, se tu non lo desideri”.

Questa è l’ennesima risposta che Dean non si aspettava. “Sto parlando di Kelly, Cas. La tua compagna con cui stai crescendo un figlio” aggiunge, temendo che tutta questa storia abbia mandato Castiel un po’ fuori di testa. 

“Kelly non è la mia compagna, e Jack non è mio figlio. Certo, me ne sto prendendo cura come se fosse tale ma io e Kelly non stiamo insieme, siamo solo molto amici e l’ho aiutata quando era una ragazza madre. Io sono gay, Dean”. Aggiunge sillabando bene le parole, come se fosse Dean in realtà quello che non ci sta più con la testa. 

“Ok, non l’avevo capito”. 

“Spero che ora sia tutto chiaro, invece”.

“Splendente”. 

“Dean”.

“Cosa?”

“Non so cosa sarebbe successo senza tutta questa storia della reincarnazione e dei ricordi ritrovati, ma ti assicuro che in qualsiasi altro universo, in qualunque altro modo, avrei desiderato conoscerti, senza eccezione. Poi non so se siamo destinati a stare insieme o se ci stancheremo l’uno dell’altro già da domani, so solo che vorrei comunque provarci, se anche tu sei d’accordo”. 

Dean riporta lo sguardo sulle loro mani intrecciate, e nota con piacere che la cicatrice ha smesso di pulsare. 
 

Quando escono dal bar il sole sta tramontando, e Castiel dà un’occhiata all’orologio. 

“Mi dispiace ma devo rientrare in ospedale, il mio turno inizia tra mezz’ora” dice, cercando un taxi da fermare sulla strada. 

“Posso darti un passaggio io se vuoi, ho la macchina qui dietro” Dean indica con un cenno del capo Baby, parcheggiata a pochi metri di distanza. 

Cas segue la direzione del suo sguardo, e quando vede l’Impala alza gli occhi al cielo. “Avrei dovuto immaginarlo, è da quando ho memoria che sono ossessionato dal rumore del motore di questa macchina” dice, toccando delicatamente il tettuccio. 

Dean si avvicina, accennando un sorriso. È forse la prima volta che lui e Castiel sono così vicini. “Beh poteva andarti peggio, come l’ossessione per i trench, ad esempio”, Dean gli afferra un lembo della giacca, passandosi il tessuto tra le dita.

Castiel sbuffa una risata, appoggiandosi contro l’Impala. “Ora che ci penso a me la torta di mele non fa neanche così impazzire, credo fosse più un riflesso automatico”.

“Attento con le eresie, mi sembra che tu stia esagerando”. 

Cas gli posa una mano sul viso, accarezzandogli la guancia con il pollice. Dean sa che l’attenzione è sulle sue lentiggini, e l’adorazione che vede sul viso di Castiel è tale che lo costringe a chiudere gli occhi. Castiel lo bacia solo una volta, lentamente, poi appoggia la fronte contro la sua, continuando ad accarezzargli il viso.
Quando Dean si decide a riaprire gli occhi, Castiel lo sta ancora guardando. 

“Ehi”.

“Ciao, Dean”. 
 
  
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