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Autore: ok_keiladave    26/07/2019    1 recensioni
[Bellarke centric!]
"Clarke è saccente, è intelligente ed è proprio per Finn che non si è rivelata affatto stupida, che non si permette di farsi abbindolare con delle semplici frasi sdolcinate rubate da qualche libro scadente di aforismi. Con le sue risposte a tono è lei a incantare qualsiasi esemplare di maschio umano che abbia le caratteristiche stronze proprio come quelle di Bellamy Blake.
Non tanto pura come la sua Ophelia, come lui amava soprannominare Gina, la sua prima storia d'amore seria; non tanto volgare o frivola come le ochette che civettano in sua presenza. No. Non debole, non sfigata, non stupida, non pigra e alla fine, non etero. Clarke Griffin è lesbica, forse."
Genere: Fluff, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Gina, Lexa, Octavia Blake
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Brilla. 
Leggermente brilla. 
Leggermente euforica. 
Leggermente leggera. 
Forse un po' silenziosa. 
Spensierata. 
Leggermente felice.

Oh, i poteri del vino, cara Ophelia. 
Ti fa vedere le persone in una diversa prospettiva, scopri un lato di loro distaccato dal solito, che non sapevi esistesse. Le persone grazie al vino sorridono, lasciano naufragare via i problemi e si sciolgono. 
Si scioglie anche lui ma solo per quel momento, perdendo il suo sguardo in quel piccolo locale. Una piccola discoteca con annesso un ristorante, niente male per essere un luogo distante dalla città. 
Si risistema sulla sedia, lasciando che il peso del suo corpo cada interamente sulla schiena. 
Pensa a come avrebbe voluto che l'effetto di quell'alcolico non fosse solo istantaneo, ma duraturo. 
E ringraziato chiunque avesse inventato quella magnifica bevanda, Bellamy tranquilla-sono-sobrio Blake si mette a guardarla di sottecchi, estasiato, godendosi quel momento di tranquilla ubriachezza, imbambolato. 
Pensa poi, che lei è davvero la creatura più bella del mondo pur essendo leggermente brilla. 
Mentre lui, bé, una spugna di vodka, whisky incendiario e già che ci siamo, tè ai frutti di bosco (ringraziare Octavia e la sua visione malsana del cibo spazzatura e delle bevande di cui lui va tanto matto e che lo manderebbero in stordimento tutti i giorni della settimana). Lui, "la perfetta impersonificazione della solita mente confusa e bacata," - e Bellamy in quel preciso istante, può giurare di aver sentito nella sua testa nientemeno che il rimbombare alla lettera delle parole del poliziotto rompiballe della città, ovvero Marcus Kane, che ha assunto, inesorabilmente, nella sua vita, la figura più vicina e completa per definire un padre odioso con cui volentieri litigare -. "Sì la tua mente, priva di spina dorsale, amante del divertimento che per trovare un po' di consolazione cerca l'aiuto facile dell'alcol, con la speranza di dimenticare", - aspetta, dimenticare, come? Come può dimenticare? - scappando, fuggendo a gambe levate.

Codardo. "," Bellamy Blake, "i problemi si affrontano con la faccia e con le gambe."

Non con birra e vodka.

Perché?

L'ennesimo fiasco, l'ennesima volta in cui le altre preferivano qualcuno stronzo come lui a un bravo ragazzo; l'ennesima bimba viziata che cercava con i suoi rossetti fosforescenti, con il trucco pesante, con gli abiti facili, quelle nuove, corte e comuni gonne di adocchiarlo e sedurlo. 
E come suo solito, lui stava al gioco. 
Fin quando non si annoiava, le abbandonava sul marciapiede della loro casa e buttava giù scuse del tipo "devo andare da mia sorella", "mi sono ricordato di avere un impegno": perché a scaricarle come se fossero cani era stato un tempo, fin troppo bravo, perché a scaricarle come animali lui non si vergognava.

Come ha fatto con te, 𝓞𝓹𝓱𝓮𝓵𝓲𝓪.

Ma a differenza delle altre che forse lo meritavano, Bellamy scusami-ma-sapevi-che-ero-uno-stronzo Blake si è preso gioco di un'anima pura, candida, semplice tanto che lui arriva a pensare di non meritarsi più una ragazza di quel calibro, essendo stato quello che Raven Reyes avrebbe definito certamente un maestro in campo di stronzaggine, con laurea di imbecillità, professione: cretino magistrale. Cretino divino, cretino supremo, il più grande dei cretini.

Povera Gina, Blake.

Il cuore rotto della sua ex gli compare ogni volta che pensa a lei, alla sua nemesi, quella ragazza che ama punzecchiare e di cui le risposte di quest'ultima riescono infallibilmente a tenergli testa; alla ragazza che definisce Principessa con la P maiuscola per gli stereotipi che la circondano (che includono i suoi modi di conversare, da dove viene, cioè il bel quartiere in cui vive e perché è semplicemente ricchissima), che li ha scolpiti con un semplice schiocco di dita e poi con un'altrettanto semplice frase: "eppure frequento gente come te" e non per questo meno Principessa di quel che è. Alla ragazza Principessa che vuole avere tutto sotto controllo, la sua mania per i dettagli, la gente che pende dalla sua empatia, dalla sua freddezza in situazioni gravi, dalla sua tenacia e della sua capacità di leadership; alla stronza amica di sua sorella che ragiona solo con la testa eppure che riesce a comprenderlo col solo sguardo, quella intesa che non sa spiegarsi e che lo distrugge ogni volta che si ritrova con quel dannato impulso di sfiorarla; quella ragazzina amante delle cose armoniose e sfortunata in amore, bé, anche solo perché un tipo come lui si è innamorato di una tipa come lei. 
"Bellamy Blake innamorato?" avrebbe riso John Murphy se solo due mesi fa gli avessero posto questa domanda inerente al suo migliore amico. 
L'unico amore di Blake, degno di quel nome era stata Gina e soltanto. Da quel momento, Bellamy si era chiuso a riccio evitando qualsiasi rapporto che comprendesse qualche tipo di entità lontanamente amorosa. Anche perché l'unica ragazza che amava...

Forse la risposta di adesso avrebbe sconvolto lo scarafaggio.

È Sì. Forse per sbaglio, lentamente, come un gioco, uno dei quali l'altra parte, lei, non si è mai rifiutata di partecipare: vuoi che la Griffin si trovi sempre a casa sua, vuoi che Octavia si porti la Griffin in qualsiasi festa lui venga invitato, vuoi che ad ogni sua uscita lei si trovi in macchina al posto affianco al suo, lui che guida e lei a disagio mentre Octavia nel sedile posteriore a discutere con Jordan e in fine, vuoi anche che sua sorella lo costringa a portare la sua migliore amica tutti i giorni a scuola, pure quando la minore Blake è malata.
E lentamente, Bellamy, in questo tortuoso ultimo anno, ha ammesso a sé stesso i sentimenti da sempre avuti per nientemeno che la Griffin. 
Proprio la Griffin.

Clarke Griffin.

Non tanto pura come la sua Ophelia, come lui amava soprannominare Gina, la sua prima storia d'amore seria; non tanto volgare come le ochette che civettano in sua presenza. No. Non debole, non sfigata, non stupida, non pigra e alla fine, non etero. Clarke Griffin è lesbica, sapeva fino a qualche giorno fa. Smentita questa bufala da Raven Reyes, Clarke in realtà è bisessuale, nonostante la delusione di quel pezzo merda di Collins, Clarke riserva ancora qualche speranza nei ragazzi.

Clarke è saccente, è intelligente ed è proprio per Finn che non si è rivelata stupida, che non si permette di farsi abbindolare con delle semplici frasi sdolcinate rubate da uno scadente libro di aforismi. Con le sue risposte a tono è lei a incantare qualsiasi esemplare di maschio umano che abbia le caratteristiche stronze proprio come quelle di Bellamy Blake.
Bella merda, 𝓞𝓹𝓱𝓮𝓵𝓲𝓪, dopotutto. 
"Non vorrei fare la guastafeste ma sarei più felice se quello lo offrissi a me" esordisce la bionda spezzando così la tregua del silenzio del suo amico, afferrando senza preavviso il bicchiere colmo di liquido rosso dal tavolo. Lo ingurgita metà in pochi secondi mentre Bellamy fissandola, sente il cuore saltargli come un cavallo al galoppo. 
"Da quando ti conosco..." inizia il ragazzo con la voce inclinata, la testa bassa, un malinconico sorriso a incurvargli le labbra, cercando di afferrare la lucidità almeno nelle sue parole.
Non riesce a continuare, non riesce ad esprimerlo e dopo essersi bloccato quell'attimo per riprendersi dal groviglio che regna nel suo cuore, decide di cambiare tattica. 
"Non ho mai preso ordini da te e mai lo farò, Principessa" conclude rialzando il capo, esibendo quel suo sorriso beffardo a trentadue denti con le mani che tremano e si intrecciano. Ma la sicurezza svanisce ben presto poiché l'occhiata di lei lo fa riabbassare la testa, un tentato moto di ribellione di cui il moro si pente subito dopo che ha nuovamente scambiato il bicchiere, finendo il suo contenuto. Singhiozza. 
Sono passati quasi trenta minuti da quando sono arrivati in quel locale. Lui ha passato il tempo facendo le solite battutine, sciogliendo quella tristezza camuffata della Griffin e passandole semplicemente quel bicchierino di vino rosso, che sapeva lui le piacesse tanto. 
"Bellamy?" e il suo nome pronunciato da lei gli provoca la normale scarica elettrica a cui ormai ci aveva preso abitudine. 
"Mh?" risponde distratto accompagnato da un grugnito, il capo ugualmente abbassato, la mano che stritola nervosa il bicchiere di vetro. E la ragazza pensa che è un movimento così discosto dal Bellamy Blake che conosce dai tempi lontani. Clarke crede che probabilmente non è nemmeno riuscito ad ascoltare la sua voce. E come può, ridotto in quello stato? La sua metà faccia è ricoperta da qualche graffietto, però lei sa, il ragazzo ha sempre ammesso di avere problemi nel farsi la barba, anche se questa volta il viso non è pienamente ripulito, infatti c'è qualche accenno appena sotto il baffo. Gli occhi, spesso lucenti, sono un po' rossi, dovuto forse alla stanchezza di quei giorni. Poi, pensa Clarke, che è meglio non focalizzarsi molto su quelle occhiaie e il naso raffreddato che lo rendono quasi scialbo, non che sia pallido, solo che oggi le sue lentiggini sembrano più semplici da notare. Poi, dobbiamo per forza parlare della sua postura? La ragazza ha solo paura che questo modo di tenere la schiena lo influenzerà negativamente in futuro. 
È un straccio, è nervoso, è stanco. È accigliato. Peggio di quando Jasper rischia un overdose, prende una sbronza e spara cazzate sulla fine del mondo. E Clarke non capisce davvero cosa stia dannando così tanto il suo migliore amico, cosa gli stia succedendo. Quell'amico di cui lei, in momenti come quelli, ha un disperato bisogno. E non ha il diritto di ubriacarsi, di comportarsi come un alcolista accanito senza dirle niente, senza farla partecipe dei suoi dolori. È lui che deve parlare, è lui che sta male e necessita di un'amica, è lui che deve intavolare un discorso sui suoi sentimenti e sul suo aspetto, perché se lui non si muoverà, sa già che lo farà lei al posto suo.

"Perché lo stai facendo? E per favore, metti dritta quella schiena!" E Clarke, stufa quanto lui, si decide a dar voce ai suoi pensieri prima che sia troppo tardi. Osservando scocciata il mutismo e l'indifferenza del amico al suo consiglio, inclina di poco il capo e cerca di scrutarlo anche da quella postura scomoda e l'aria di un barbone. È teso, le sue mani tradiscono il suo solito e beffardo ghigno. E... Anche le sue labbra lo tradiscono. Tremano, poco e inconsapevolmente. Un singhiozzo. 
Quell'accenno di barba e i graffi lo renderebbero quasi più attraente se non fossero per le occhiaie e quella schiena piegata in ostinazione. 
La musica in sottofondo riempe il silenzio di quei due. La gente balla, fischia, beve e si sbronza. Mentre loro invece sono seduti nell'angolo più isolato del bar, a guardarsi negli occhi, a trovare un briciolo di risposte e a cercare di comprendersi nonostante tutti i battibecchi e le incomprensioni. Quell'incomprensione che non è mai esistita fino a quel punto. 
Quegl'occhi ossidiana così spenti e discordanti dai suoi che riflettono il cielo, da rimanerne frastornata. Come se un pezzo di sé si stia dissolvendo. 
"Perché? Perché amo una ragazza, Clarke, è semplice". Risponde lui, un po' ubriaco, senza giri di parole dopo una lunga pausa, spezzando di nuovo la tregua del silenzio. Gli occhi stanchi, le mani che non sanno cosa fare. "E qual è il problema? Và da lei e diglielo, no?" Lei sì che ha sempre la soluzione a portata di mano, o almeno pensa sempre di averla.

"Non mi crederebbe".

"A giudicare dalla tua situazione, nemmeno io lo farei".
Ecco. Quelle parole che ha aspettato, eccome se le ha aspettate. E ora non hanno fatto altro che intristirlo di più.

Di lì a qualche giorno sarebbe passato esattamente un anno dalla morte di sua madre ed è facile che ricada nel dolore. Che pensi a lei mentre gli raccomandava di portare più rispetto verso le donne. Che gli raccomandava di trovarsi un buon lavoro dopo aver completato gli studi, il lavoro che gli piaceva, perché lui doveva essere felice, lei gli rincuorava. 
Ma Bellamy non aveva fatto nulla che la madre gli avesse raccomandato, perché dopo la sua morte, il suo unico punto fisso era stato ed è uno e soltanto: Octavia. Octavia deve essere felice, non lui. Octavia ha bisogno del college e di un buon lavoro. Octavia deve essere rispettata in quanto vera donna, in quanto ragazza piena di sofferenze e con grossi carichi alle spalle che, di lì in poi, solo Bellamy Blake avrebbe portato. Quindi i quattro lavori a tiro e garantire a Octavia l'unica cosa importante: un futuro. 
Lo aveva promesso a sua madre in punto di morte: un solo ragazzo di appena ventun anni contro ogni cosa e il mondo. E allora, le ragazzine viziate che di donne avevano solo l'aspetto potevano farsi fottere, i suoi sogni cancellati per l'unico fine: mia sorella, mia responsabilità. 
"Ehi Bell... Che ti succede?" Clarke gli prende le mani, le intreccia alle sue e cerca di guardarlo negli occhi. Ma lui mutismo assoluto. Evita il suo sguardo ora preoccupato. 
E in quell'anno decisamente pessimo, di merda fino alle orecchie e ripieno di lavoro, solo una persona che detestava da morire, l'ultima persona con cui immaginava di voler trascorrere del tempo sulla terra lo aveva veramente aiutato. E quando lo pensa non si riferisce ad Atom, Miller o Murphy che sono i suoi migliori amici dall'asilo e lo portano dovunque loro vogliano per svagarlo. Né Raven che lo ha aiutato con le spese e la casa. Né Jasper e Monty con le loro droghe leggere e le loro bevande analcoliche leggermente modificate. E nemmeno Echo, alla fin fine, che era la sua amica con benefici e lo distraeva talvolta dalla realtà. 
Forse un po' Lincoln perché aveva incontrato sua sorella e lei s'era persa, perdutamente innamorata e ricambiata. 
E Gina, di lui, alla fin fine non ne voleva sapere più nulla. La ragazza aveva cambiato paese per non sorbirsi i suoi occhi feriti che ogni giorno si incrociassero. Gli aveva riservato disprezzo dopo la fine della loro storia. 
Solo dopo che si era conclusa Bellamy si era reso conto di quanto effettivamente gli mancasse la sua Gina. Quella ragazzina pura e che quando gli sorrideva sembrava che il mondo non ce l'avesse con lui. 
Ma Gina non c'era, non gli aveva sorriso, dopo sua madre. Gina gli aveva voltato le spalle dopo che Bellamy aveva rovinato tutto con il suo caratteraccio e, quando proprio ne aveva bisogno della sua purezza, dei suoi sorrisi timidi, Gina per lui non c'era più. E il mondo in quei giorni, ce l'aveva pesantemente con lui.

"Succede che... È strano Clarke, perché lei mi fa dannare. So che stai con Lexa e so che puoi capirmi, ed è tutto così complicato quanto ti innamori per la seconda volta ma non vuoi ferirti o ferire la persona con cui hai questa amicizia che non scambieresti con nessuno."

"Quindi questa ragazza è una tua amica?"

Questa ragazza è la ragazza che lo aveva aiutato nel periodo più folle della sua vita, in cui la priorità era il lavoro, il pazzo e disperato lavoro. Il mantenimento della loro casa, assicurarsi di pagare l'affitto e le spese che comportavano, cercare di soddisfare tutti i bisogni della sorella. Incondizionatamente. 
Questa ragazza, a quattro mesi dall'episodio, lo aveva schiaffeggiato, lui aveva ricevuto tanti di quei pugni in un giorno di temporale, sotto la pioggia, a cielo aperto, a marzo, quando lo aveva trovato su un marciapiede, dolorante, che non riusciva a camminare per via dei suoi cinque lavori. Lei gli aveva detto che non poteva continuare così, ammazzarsi di fatica, tenersi tutta la giornata impegnato per non pensare ed essere un fantasma nella vita sua e di sua sorella proprio in quell'istante, in quel periodo che Octavia necessitava solo della sua compagnia. Gli aveva detto che non doveva tenersi tutto dentro e fingere di non soffrire. Gli aveva detto che non aveva bisogno di essere così dannatamente forte e che doveva semplicemente ammettere le sue debolezze. Perché solo quando queste erano ammesse, solo quando si fosse scontrato col dolore e lo avesse mandato via con un sonoro fanculo, lei era certa, lui non gli avrebbe dato più peso. Vaffanculo, io sono ancora vivo. 
A Bellamy gli si stringe il cuore quando ricorda le sue parole, le stesse che lui le aveva rivolto quando era morto il suo di padre. Il padre di lei. Cinque anni fa. Dopo qualche mese che l'aveva conosciuta. Una Clarke al tempo quindicenne, bisbetica e saccente. Insopportabile. 
Mentre, a marzo di quattro anni dopo, lei aveva argomentato quanto la loro compagnia avesse bisogno di lui, quanto ne avesse bisogno sua sorella e perché no, si era lasciata sfuggire, anche lei. Poi Clarke fece una cosa che non avrebbe mai immaginato: lo abbracciò, meglio dire, lo stritolò. Dopo i pugni patetici, ma che lui non era riuscito a bloccare, a impedire, lei gli aveva buttato le mani al collo, zuppa d'acqua, come del resto anche lui e lei aveva cominciato a piangere dicendo "visto? Mi ricordo le tue parole". Allora lui aveva ricambiato l'abbraccio con lo stesso trasporto, anche lui a piangere come un bambino, nascosto nelle sue spalle, inebriato dal profumo dei suoi capelli. Per molti minuti, lui, i suoi lamenti e i singhiozzi, fin quando la ragazza non aveva cominciato a starnutire. 
Arrivati in macchina, andarono a casa di Clarke, fortuna loro che non c'era sua madre, era in viaggio di nozze con Marcus. Avevano dormito insieme, abbracciati perché Clarke glielo doveva. Perché lui aveva fatto esattamente questo quando Jake Griffin era morto di leucemia, a differenza di sua mamma. Lei in un incidente stradale.

"Quando l'ho vista la prima volta ero arrabbiato con lei perché aveva un'aria così odiosa... Saccente, l'aria di ragazzina viziata e ricca, oh... quanto mi sono sbagliato" si perde nei ricordi di quando l'aveva incontrata, forse meglio dire, scontrata per la prima volta. E lei era davvero antipatica. E scorbutica. Ed era la migliore amica di Octavia anche se le differenziavano un anno di differenza, dopo conoscersi da poco, pochissimo.

"Bellamy perché mi hai chiamato questa sera?" ma lui la ignora, perso ancora nell'album dei ricordi. Nostalgico.

"Ma questa ragazza è fidanzata e sono certo che non ricambia."

"Bellamy dimmi la verità."

"Ti ho chiamato perché ho bisogno così tanto di un'amica Clarke, perché ho così tanto bisogno di qualcuno che mi capisca come fai tu. Mi basta dire una parola e tu sai esattamente interpretare il mio stato d'animo, quelle cose che nemmeno io capisco. È abbastanza?" ma la ragazza non è soddisfatta. È in pensiero. 
Dopo essersi incontrati la prima volta non era passato nemmeno un giorno in cui Clarke Griffin e Bellamy Blake non avevano dedicato a farsi guerra. I due erano diventati amici, migliori amici solo dopo la morte di Aurora. E nemmeno alla morte di Blake perché Bellamy (dopo che lei si era allontanata dal loro paese per un periodo di tre mesi) era troppo imbarazzato per parlarne e lei non sembrava ancora essere ritornata la stessa di sempre. 
Passarono ad ignorarsi per un lungo periodo, fin quando non scoccò di nuovo la scintilla e la pace smise nei loro sguardi. Però avevano decisamente migliorato il loro tipo di rapporto negli anni. Non si offendevano, ma erano confidenti.

Ma da quando è avvenuto marzo, Bellamy non riesce più a separasi da Clarke.

"Echo?".

"Eh?"

"Ti sei innamorato di Echo?"

"Come fai a dirlo?"

"Ho sempre pensato, - dopo Gina -, che ti piacessero le ragazze forti, con un bel caratteraccio, che sappiano tenerti testa. Echo è una di queste e non ti biasimo se-" la ragazza continua a parlare, ma lui è stanco, davvero stanco e ha bisogno di togliersi quel macigno dal petto e urlarle in faccia i suoi sentimenti.

"No, ma perché devi essere sempre così ottusa di cervello? Non l'hai capito?" Bellamy esclama e domanda esasperato, ormai allo stremo.

"Aspetta! Cosa devo capire? Non è Echo? Chi è allora?"

"Niente. Va bene così."

E a Bellamy Blake va veramente bene così: quell'amicizia, quella fondamentale amicizia che non vuole in alcun modo rovinare, per nulla al mondo rompere, perché a lui va bene guardare Clarke anche solo di lontano, magari nella mano di Lexa o di chiunque altro - tranne che di Finn o i pugni che gli avrebbe sferrato per averla illusa solo la prima volta -, a lui va bene così. Va bene così dopotutto, la sua felicità. Perché a lei la felicità calza alla perfezione, non quelle lacrime che lui stesso una volta le aveva asciugato. Non la seccatura di quando sente prendersi in giro o il cuore spezzato di quando sente nominare suo padre. L'ha detto stesso lui: senza l'amicizia di Clarke lui non riuscirebbe a sopravvivere e rovinare tutto per dei sentimenti che può reprimere è una gran cazzata, dopotutto. La cosa peggiore che potrebbe capitargli, in effetti. Forse reprimendosi fa la scelta più coraggiosa della sua vita, facendo spazio alla mente, mettendo in un angolino il cuore. E se deve osservarsi Clarke da lontano, preferisce farlo in compagnia. Ha perdonato Echo, in fondo, sperando che un giorno la sua Gina perdoni lui.

Oh, Ophelia
Sei stata nei miei pensieri, ragazza, dopo il diluvio. 
Oh, Ophelia
Sei stata nei miei pensieri, ragazza come una droga. 
Oh, Ophelia
Il cielo aiuti lo stupido che si innamora.

Sperando che Ophelia aiuti davvero lo stupido che si innamora.

nota autrice:
Salve a tutti, polpettoni e polpettine. 

Volevo solo dire che questa One Shot è anche su wattpad. Sono Okalsa e condivido questo account efp con un altra'utente sempre di wattpad.
Bene, questa One shot non è altro che il prologo della mia storia, intitolata, appunto, Ophelia. Se vi è piaciuta non posso far altro che consigliarvi la lettura della mia storia. 

   
 
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