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Autore: crazy lion    30/07/2019    3 recensioni
Rileggendo per la terza volta il libro di Dianna De La Garza, la mamma di Demi, dal titolo "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano (da qui l'avvertimento Spoiler!), mi sono commossa davanti alla nascita di ognuna delle sue figlie. In questa storia ho deciso di raccontare a parole mie quella di Demi, ampliando un po' il contesto e concentrandomi sulle emozioni che Dianna deve aver provato e che ogni mamma sente nel momento in cui mette al mondo il proprio bambino. Ma nonostante il momento felice, qualcosa andrà storto e, soprattutto, la donna non può dimenticare quello che è successo in passato.
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per tutti i personaggi di cui ho parlato.
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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RITROVATA
 
Quel 20 agosto 1992 ad Albuquerque il caldo era insopportabile. I vestiti, anche i più corti, si incollavano alla pelle e ognuno cercava in tutti i modi un po' di frescura. Dianna non faceva eccezione, e per quanto fosse felice, la sua situazione era resa ancora più difficile dal fatto che era incinta e il bambino era in ritardo di due settimane. Per fortuna tutto stava procedendo bene e aveva contrazioni, anche se irregolari, da qualche giorno, il che era un buon segno. La notte prima i dolori si erano fatti più ravvicinati e intensi. Proprio quella mattina lei e Patrick erano corsi in ospedale sperando che le inducessero il parto e così era stato. A volte queste cose vanno per le lunghe, ore o giorni, altre invece no. Dipende da donna a donna. In poche ore le acque le si erano rotte e le contrazioni erano diventate fortissime. Non ricordava quanto tempo fosse passato, non moltissimo probabilmente, ma a lei sembrava un'eternità. Da un po’ il dolore era insopportabile, ora non aveva quasi il tempo di riprendersi che ritornava, saliva, arrivava al picco massimo e poi scendeva proprio come come un’onda. Sudava e le uscivano dei versi disumani che non avrebbe saputo definire. Era sdraiata su quel letto della sala parto con il marito, Patrick, lì accanto. Lui continuava a stringerle la mano e ad accarezzarla. “Andrà tutto bene, tesoro mio” le sussurrava con dolcezza. “Respira piano e profondamente, coraggio.”
“Non posso, fa malissimo” mormorò lei prima che un’altra contrazione la colpisse e le desse la sensazione che qualcuno le stesse lacerando le carni. “Non riesco a immaginarlo, ma provaci. Sono sicuro che puoi farcela” disse, mentre una nota di apprensione velava la sua voce. Si sentiva stanco ma mai quanto lei, per cui non si lamentava e se si fosse guardato allo specchio avrebbe visto che era pallido come un cencio. Chiuse le mani a pugno per sfogare così l’apprensione ed incanalare l’urlo che avrebbe voluto lanciare. Avrebbe voluto condividere con lei quel dolore se solo fosse stato possibile. Lo straziava vederla così ma sapeva che dire “Mi dispiace” non sarebbe servito a nulla. “Facciamolo insieme, ti va?”
La donna annuì soltanto e i due iniziarono. Lui rispettava i tempi di lei, andava al suo stesso ritmo, e quando la contrazione arrivava le diceva di stritolargli pure la mano se questo le dava qualche tipo di aiuto. Lei lo faceva, si aggrappava a lui con una forza quasi disperata, non aveva mai stretto la mano di qualcuno così forte nella sua vita.
“Va bene così?” chiese a un tratto Dianna, dopo che la nuova fitta passò.
“Sì, stai andando benissimo. Inspira dal naso ed espira con la bocca, dentro e fuori, dentro e fuori, piano.”
La voce del marito era pacata e questo riuscì a tranquillizzarla un po’. Proseguirono a quel modo per un tempo che parve infinito, tra gemiti di dolore e urla, fino a quando i respiri di Dianna furono profondi e abbastanza regolari. Gli sorrise per ringraziarlo.
L’unica cosa che era riuscita a notare in tutto quel tempo erano state le lenzuola e le pareti bianche e il fatto che la camera fosse piuttosto piccola, tutte cose che la irritavano. Dianna si sentiva soffocare, ma non poteva chiedere di aprire la finestra o sarebbe entrato ancora più caldo. Il piccolo ventilatore appeso al soffitto faceva girare l’aria, ma non la aiutava.
"Ce la puoi fare, tesoro" le sussurrò l'uomo prendendole la mano.
Il suo viso era tirato. Non sapeva se la moglie se ne fosse accorta, ma sperò almeno che non si fosse resa conto del tremolio della sua voce. Doveva rimanerle accanto ed essere forte per e con lei.
"Ah, sta' zitto!" sbottò.
Non avrebbe voluto parlargli così perché lo amava, ma non riusciva a controllare le sue emozioni. Le pareva che qualcuno le stesse piantando un coltello nella pancia e che la lama arrivasse fino alla schiena, quindi non sapeva bene ciò che diceva.
Patrick le tolse una ciocca dalla fronte sudata e gliela asciugò con le mani, passandogliele poi anche sulle guance.
“Posso fare qualcosa per aiutarti?”
“Continua a tenermi la mano” gli rispose a fatica, con la voce che sembrava più quella di una bambina spaventata che di una trentenne.
"Dianna, cara" la chiamò la dottoressa Blake, l’ostetrica che l’aveva seguita durante tutta la gravidanza. "Tuo marito sta facendo un ottimo lavoro e anche tu sei bravissima. Adesso sei dilatata di dieci centimetri. Alla prossima contrazione puoi cominciare a spingere."
Ci mise qualche secondo a capire, il dolore le rallentava i pensieri a quanto pareva, ma poi annuì.
"Fa un male cane" mormorò con lentezza.
"Lo so. Ma tu sei forte, ce la farai."
"Ha ragione, sei coraggiosa" la rassicurò il marito, passandosi una mano tra i capelli scuri e sudati.
Ellie Blake le sorrise, e il luccichio nei suoi occhi azzurri la rilassò, assieme ad una carezza di Patrick lungo la sua guancia. La loro prima figlia, Dallas, era all'asilo. Aveva quattro anni e mezzo Dianna si emozionò al solo pensiero di quel che la piccola avrebbe provato una volta che avesse saputo della nascita del fratellino. La donna non aveva mai chiesto di che sesso fosse, ma credeva che sarebbe stato un bambino e aveva anche scelto il nome: Dylan.
"Hai chiamato i miei?" chiese a Patrick.
"Sì, arriveranno il prima possibile."
Erano in Texas, ci avrebbero messo alcune ore sempre che fossero riusciti a prendere un volo quel giorno. Anche se la donna non aveva un buon rapporto con loro, sarebbe stata felice di averli accanto, e soprattutto che sua madre le stesse vicina, ma non era stato loro possibile arrivare qualche giorno prima. Sospirò, ma la sua tristezza fu interrotta da quella famosa contrazione che stavano aspettando. Si aggrappò al letto con tutte le sue forze, mentre tutto le doleva.
"Vai, Dianna!" esclamò l'ostetrica. Lei annuì, continuando ad inspirare dal naso ed espirare, poi si leccò le labbra bollenti e riarse. I capelli castani erano legati in una crocchia disordinata e le guance rosse per il dolore.
Si sollevò leggermente con il busto, stritolando la mano del marito e il bordo di metallo del letto per darsi forza, poi ricadde sul cuscino e fu così anche con la seconda spinta.
"Non ce la faccio" mormorò poi, mentre alcune lacrime scendevano a bagnarle il collo e i vestiti.
Patrick la guardava e pensava che fosse bellissima, anche con le guance in fiamme e le lacrime per il dolore che provava. Le baciò la fronte e lei non si oppose. Mimò un “Ti amo” con le labbra, e quando lui glielo disse a voce alta lei si rilassò, anche se solo per un momento. Aveva la sensazione di essere appena entrata all'inferno. Eppure ci era già passata, e stavolta il travaglio era stato molto più veloce.
"Sono qui, amore" le sussurrò il marito, mentre lei gli stringeva ancora di più la mano fino a farlo gemere appena. "Ho paura!"
Lui stava per rispondere, ma Dianna chiuse gli occhi e lasciò passare la contrazione successiva.
A quel punto l'ostetrica fece il giro del letto per parlare faccia a faccia con lei. Le asciugò le guance con un fazzoletto e la accarezzò.
"Dianna, ascolta. Tra pochi minuti sarà tutto finito e quando avrai in braccio il tuo bambino dimenticherai questo inferno. Ma lui vuole nascere, okay? Deve uscire e bisogna che tu lo aiuti a farlo. Se lasci che le contrazioni passino senza spingere, questo non farà bene a nessuno dei due."
Lei inspirò ed espirò più volte e poi rispose con un leggero cenno d'assenso, facendo sorridere l'ostetrica che si riposizionò tra le sue gambe. C'era anche un medico lì presente che disse qualcosa, aveva parlato anche prima ma Dianna non lo ascoltò, troppo sofferente per farci caso.
"Respira" le disse la Blake e l'altra lo fece, affondando poi i denti nel labbro superiore e dopo in quello inferiore.
Provò dolore, ma non era niente in confronto a quello che stava sentendo alla pancia e alla schiena, che le pareva bloccata.
Patrick gliela massaggiò un po', ma quando arrivò l'altra contrazione ricominciò tutto daccapo. La sofferenza era così forte da annebbiarle la vista, dal fondo della sua gola uscivano suoni che non sembravano nemmeno appartenerle ed era così sudata che forse si sarebbe sciolta.
“Pensa a qualcosa di bello, tesoro” le suggerì Patrick.
“N-non riesco nemmeno a p-pensare, figurati a cose belle” disse lei fra i denti.
Le pareva un suggerimento molto stupido, e poi ecco, un’altra contrazione che sembrò una lama, più affilata delle altre e arroventata, che la bruciava e la trapassava da parte a parte.
“Quello che tuo marito intende non è sbagliato, Dianna. Concentrati su qualcosa che ti fa stare bene, un rumore, un avvenimento. Non serve che tu ce lo dica, basta che lo pensi.”
“L’o-o-oceano” riuscì a balbettare a fatica.
“Perfetto" mormorò Patrick con tono soave, "immagina l’oceano, pensa alle onde che si infrangono sugli scogli, e cerca di imitarne il ritmo regolare con il respiro. Vedrai che andrà meglio.”
Dianna si figurò nella mente tutto questo, il sapore dolciastro della salsedine in bocca, l’acqua che le lambiva le caviglie, il sole che le baciava la pelle nuda e il vento che ssapeva di mare che le scompigliava le ciocche, poi quando un’altra contrazione la colpì riprese a spingere, poi respirò e spinse ancora e ancora, cercando di ricordare il rumore delle onde.
"Sì, vedo la testolina!" esclamò ad un certo punto l'ostetrica, euforica. "Dai che ci siamo."
“I… capelli?" chiese Dianna mentre il marito sorrideva.
"Castani" le rispose la donna.
Non seppe quante altre spinte la moglie diede o quante urla terrificanti tirò, ma Patrick si sentiva impotente perché non aveva modo di aiutarla né alleviarle nemmeno in minima parte quel dolore.
Il resto del corpicino uscì piuttosto velocemente, così tanto che alla donna sembrò quasi una passeggiata, e subito dopo il più dolce dei suoni riempì la stanza. In realtà era un pianto forte e chiaro com'era stato quello di Dallas, ma sia per Dianna che per Patrick sarebbe sempre stata una musica meravigliosa.
"Congratulazioni!" disse loro l'ostetrica. "E' una femmina."
Whew pensò Dianna, non per disgusto, ma per sorpresa. Almeno so cosa fare con le bambine.
Si era convinta al cento per cento che sarebbe stato un maschio. Per una femminuccia non avevano scelto nessun  nome, infatti si guardarono come a chiedere:
"E adesso che facciamo?"
La piccolina strillava a più non posso mentre un'infermiera, dopo averla ripulita un po', la avvolgeva in un lenzuolo bianco.
Come si chiama?” domandò Patrick.
Era chiaro dal suo respiro corto che era in panico quanto lei a riguardo.
Mi faccia vedere com’è. Voglio qualcosa di molto speciale” disse Dianna ad un’altra infermiera che la teneva.
Si innamorò subito dei suoi occhi color marrone scuro, l’unica cosa che poteva vedere dalla copertina.
Dopo aver ripulito un altro po’ la piccola e anche la madre, l’ostetrica disse che c’erano visite. Entrò un uomo con i capelli ricci. Era Ricky Mitchel, il fratello di una delle più care amiche di Dianna e che stava da loro da un po’. Da quando era arrivato, il matrimonio tra lei e Patrick era andato meglio. Avere lì con lei qualcuno del Texas le faceva sentire meno la nostalgia di casa.
“Ho sentito che abbiamo una bambina!”
"Vuole tenerla?" gli chiese l’infermiera.
“Adesso?” Quando l’ebbe fra le braccia, con gli occhi pieni di lacrime, continuò: “Piacere di conoscerti.”
Dianna ci rimase male. Insomma, era lei la madre, avrebbe dovuto stringerla fra le braccia per prima e invece quella donna l’aveva data ad un loro amico.
“Be', dovrei lasciare che tuo papà ti tenga ora” constatò ancora Ricky e tutti risero, poi uscì assieme all'ostetrica, al medico e alle infermiere per dare loro un po' di privacy.
L’uomo si appoggiò la bambina sull'avambraccio, sorridendo come un idiota nel guardarla ma sapendo che in realtà si comportava così perché traboccava di amore per lei. Il suo cuore stava facendo le capriole nel petto, mentre si innamorava di quella creatura ogni secondo di più. Avrebbe voluto salutarla, dirle qualcosa, ma le parole gli morivano in gola e i suoi occhi si inumidirono.
“Ciao, amore” riuscì a sussurrare infine. "Sei stupenda! E avrai un bellissimo nome."
Dianna li stava guardando con un gran sorriso. Era stanca ma felice e i suoi occhi gonfi e rossi si riempirono presto di lacrime. Tossì appena per ricacciarle indietro, ma qualcuna le sfuggì. Allungò una mano e il marito fece un passo verso di lei, poi le appoggiò la bambina sul petto, con il lenzuolo che non la avvolgeva ma appoggiato sopra di lei con la testolina che faceva capolino, in modo da favorire il contatto pelle a pelle come gli disse di fare l’ostetrica, rientrata un secondo per controllare. Bastò quel primo tocco perché la donna sentisse il suo cuore e la propria anima invase da un calore immenso che le fece correre un brivido lungo tutto il corpo. Traboccante d'amore, baciò la bambina sulla testina e su una guancia, annusando l'odore di sangue e di vita che il suo corpicino emanava.
"Ciao" le disse, mentre la voce le si spezzava. "Hai un pianto potente, eh? E ti sei fatta attendere."
A quelle parole, la bimba si calmò all'istante, facendo solo qualche gorgoglio.
"So che è una frase fatta, ma la mamma è sempre la mamma" disse il medico, rientrato per vedere come procedevano le cose e che in quel momento stava scrivendo qualcosa su di fogli e tutti risero.
Agitando le piccole braccia, la bambina toccò con la mano quella della mamma, che la prese nella sua. Non avrebbe mai finito di intenerirsi di fronte ad una semplice verità: i neonati sono piccoli ma perfetti, il loro corpicino ha già tutto. Ma soprattutto, il contrasto tra la sua mano, così grande rispetto a quella minuscola della figlia, la commosse oltre ogni dire e gliela fece adorare ancora di più. Quel contatto continuò, come se anche per la bambina fosse la cosa più importante. Più la teneva con lei più Dianna sentiva il suo viso aprirsi in enormi sorrisi ed era leggera e libera. Toccava davvero il cielo dalla felicità com'era stato con Dallas, e non le importò di aver pensato una cosa banale perché era la più vera che provasse in quel momento, assieme all’amore sconfinato per la sua piccola. Cresceva e cresceva nel suo cuore e sarebbe stato così per sempre. Dallo sguardo di Patrick, uno dei più dolci che gli avesse mai visto fare, e dai suoi occhi sempre lucidi, capì che era lo stesso anche per lui. Non c’era bisogno di parole.
“È così bella” sussurrò, mentre qualche lacrima le rigava il volto. Ma era un pianto di gioia e lei ne fu felice, visto che nella sua vita l’aveva sperimentato poche volte. “È calma e sembra sorridere.”
Sapeva che non era possibile, che se quel movimento delle labbra era un sorriso si trattava di un riflesso senza alcun contenuto emotivo, cosa che i bambini fanno dalla nascita fino a un mese di età soprattutto durante il sonno, ma se si era emozionata così tanto per questo, chissà come sarebbe stato vederla sorridere davvero.
Patrick si chinò su di loro e diede ad ognuna un bacio. Dianna si ritrasse appena, ma fu un movimento così delicato che lui non lo notò.
"È bella come te. Amo così tanto entrambe” sussurrò.
"Grazie."
Stava per darle un bacio dato che Ricky era uscito un attimo per lasciar loro un po’ di privacy, ma un pianto della bambina li costrinse a separarsi.
"A quanto pare ti vuole tutta per sé" ridacchiò l'uomo e lei sorrise appena, felicissima ma sfinita.
Poco dopo Ricky tornò e l'ostetrica disse che avrebbe dovuto portar via la piccola per un po' per pesarla e farle degli esami, mentre un'infermiera avrebbe dovuto mettere una flebo a Dianna che aveva bisogno di ristabilirsi.
"Potrete darci il nome domani, ma non oltre" disse il medico, "e dovremo anche fare una foto per l'ospedale. Qui lo facciamo sempre per tutti i bambini."
Quel giorno fu pieno di coccole e di tanto amore, quel sentimento speciale che in questi casi solo un genitore può capire, e che è il più grande al mondo.
Prima di addormentarsi, quella sera, Dianna vide Ricky chinarsi sulla culla e dire piano:
“Baaambina. Diventerai qualcuno di mooolto speciale in questo mondo. Lo
seeento.”
Il mattino dopo, alle cinque, una giovane infermiera entrò in camera di Dianna che, sveglia, la aspettava.
"Pronta per la sua bambina?" chiese.
"Certamente."
L'aveva allattata il giorno prima e le era stato detto che gliel'avrebbero portata per la poppata seguente e per la foto.
La ragazza mise la culla accanto al letto. La piccola guardò la madre.
"Ciao" la salutò la donna, usando quella voce un po' scema che si utilizza con i piccini. Anche se, pensò, dire così era riduttivo o forse sbagliato. Quando si parla ai bambini, usare un tono di voce normale sembra troppo. Con quegli angioletti ci vuole dolcezza, bisogna accarezzarli con la voce e sorridere loro non solo con gli occhi ma anche con le parole. "Come stai? Hai fatto la brava?"
Lei rispose prendendole un dito con la manina e cercando di stringerlo, salvo poi perdere la presa. Dianna rise intenerita.
“Sa che la manderanno a casa presto. Ha scelto un nome?”
“Ci sto lavorando” rispose.
Si augurò che lo staff non la prendesse in giro per essere tanto indecisa.
“Questo potrebbe aiutarla”
 disse la donna dandole un libro. “Sarebbe sorpresa di sapere quante volte l’ho tirato fuori. Lo guardi mentre faccio un bagno a questa piccolina.”
Cominciò a sfogliare. Voleva un nome che stesse bene con Dallas. La lista era lunghissima e si disse che doveva iniziare per D. Una volta arrivata a quella lettera iniziò a leggere più attentamente. Daria, Delaney, DeeDee. No, non le piacevano. E alla fine lo vide: DEMETRIA. Le trasmetteva forza e fu per questo che lo scelse.
Ti chiamerò Demi per abbreviare pensò.
Disse ad un’altra infermiera, che l’aveva informata dell’urgenza di scrivere il certificato di nascita, che il nome completo sarebbe stato Demetria Devonne. Non proseguì, ma l’aveva deciso perché la ex moglie di Patrick aveva una figlia che si chiamava Amber Devonne ed era sicura che il marito ne sarebbe stato felice.
Una volta fatto, prese sua figlia in braccio per allattarla. Controllò che la posizione fosse giusta, in modo che la piccola si attaccasse bene e riuscisse a respirare dal naso senza problemi. Tutto andò bene, salvo che non sembrava avere fame, così per quanto fosse strano, la donna si arrese e decise che ci avrebbe riprovato più tardi. La cambiò mettendole un vestitino che aveva portato da casa e aspettò che qualcuno venisse a fotografarla, calmando la figlia quando si mise a piangere. Fu in quel momento che si accorse che la targhetta sul braccialetto diceva MARTINEZ.
Cosa? pensò. Che sta succedendo?
Il suo cuore perse un battito e per qualche attimo non respirò. La vista le si annebbiò. Era tutto confuso. La sua testa pareva una macchina infernale che non faceva altro che andare avanti, avanti, avanti ed era più veloce di lei. Ricontrollò, sperando con tutta se stessa di essere così stanca da vedere male e invece no, il cognome Lovato lì non c’era. Quella non era sua figlia. Rimase immobile per quelli che le parvero minuti, o forse ore, sospesa tra lo shock e la sua parte razionale che le diceva di fare qualcosa e subito. Ma non ci riusciva, se provava a tirarsi su si sentiva gelare l’anima, con gli occhi fissi su quel cognome estraneo. La sensazione di essere sospesa iniziò a darle la nausea e dovette far ricorso a tutte le sue forze per non vomitare; poi, come d’improvviso si era immobilizzata, allo stesso modo si riscosse. Prima che se ne accorgesse era già balzata in piedi, con la bambina che si agitava tra le sue braccia. Corse alla porta, anche se una parte di lei avrebbe voluto crollare a terra. Il corridoio era vuoto. Non si udivano voci o rumori. Niente. Respirare era difficile, non c'era abbastanza aria.
"DOV'È LA MIA BAMBINA?" gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Oh mio Dio, qualche altra madre probabilmente sta allattando la mia bambina.
Ma dov’era? Perché nessuno se ne rendeva conto? E se gliel’avessero portata via e non fosse più riuscita a ritrovarla?
"Qualcuno mi aiuti!" urlò ancora più forte.
E poi gridò altre cose, parole e frasi senza senso, finché la gola le fece male.
“Nooo! La mia bambina” era quello che urlava di più, battendo i pugni sul letto e i piedi per terra, così forte che le caviglie iniziarono a dolerle e stringendo tanto le mani che le nocche le divntarono bianche.
Vide infermiere correre di qua e di là, ma la sua piccola non si trovava. Avrebbe voluto piangere ma proprio non riusciva, continuava a gridare forte nella speranza di farcela, di buttare tutto fuori, ma niente. I suoi occhi erano asciutti.
La bimba che aveva in braccio si mise a piangere e Dianna provò un forte senso di colpa per aver urlato così tanto, ma durò solo un momento perché era troppo spaventata per pensarci. Un'infermiera, accorsa con tante altre, gliela tolse dalle braccia. Dianna si sentì come se le stesse portando via la sua bambina, ma si disse che non lo era. Comunque, era una bimba a cui aveva parlato, che aveva creduto sua e amato, anche se per poco. Ma era giusto così, lei doveva tornare dalla sua mamma. Dov’era Demi, allora? Quella donna prese a rassicurarla.
"Vedrà che la troveremo subito, stia tranquilla." “Solo uno s-scambio” disse ancora, e il suo balbettio e la parola “solo” ebbero su Dianna l’effetto contrario.
Che cosa credeva quell’infermiera? Che si trattasse di una questione di poco conto da prendere alla leggera? Immobile sul letto, con le mani al volto, sentiva le donne correre verso la nursery e gridare, chiamarsi, darsi informazioni, fare domande, e tutto ciò la terrorizzò ancora di più. Stava respirando o no? Non lo sapeva, non capiva più niente ormai. Non riusciva nemmeno a comprendere le sue emozioni, era un mix troppo potente. Aveva una paura che non avrebbe saputo nemmeno descrivere ma ne sentiva l'odore, pungente, metallico quasi, come quello del sangue, e poi in lei c'era il vuoto. Era svuotata di ogni energia fisia e, credeva, anche psicologica, perché più i secondi e i minuti passavano più perdeva le speranze, cadendo in un baratro sempre più profondo di disperazione e sofferenza. Ma una fiammella ardeva ancora in lei. Era piccola e forse presto si sarebbe spenta, ma era ancora presente. Per questo non si arrendeva e continuava a voltare lo sguardo da una parte all’altra. Le infermiere non erano molte, ma c’era una tale confusione che alla donna parevano tantissime e non riusciva a seguire il filo di un discorso che se ne inseriva un altro. Le sembrava che non sapessero nemmeno loro che direzione prendere, dove cercare. Doveva fare qualcosa, cercarla da sola. Sarebbe entrata in ogni stanza, avrebbe fatto l’impossibile. Provò ad alzarsi, fece alcuni sforzi e ci riuscì, ma quando si ritrovò in piedi era già stanca. Le gambe le tremavano tanto che dovette risedersi subito. Non aveva più la forza di urlare, né quella di iniziare a pregare. Era bloccata.
Non può stare succedendo a me, pensò. Queste cose accadono nei film, non nella realtà. Giusto?
No, sbagliato. Purtroppo non si trattava di una ripresa, ma della vita vera. Aveva letto storie su bambini scambiati alla nascita, con i genitori che se ne rendevano conto dopo anni. Ringraziò Dio di essersene accorta in tempo. Scoprire dopo anni che hai cresciuto un figlio non tuo e che il tuo bambino vive con un’altra famiglia, e allo stesso tempo amare colui che hai considerato parte di te dev’essere devastante e lei non riusciva nemmeno ad immaginare quale tragedia immane fosse per le famiglie che purtroppo ci passavano. Pensò che se non avssero trovato Demi avrebbe dovuto avvertire la polizia e forse anche il suo avvocato… oh, non ce la faceva più. La cosa positiva era che, almeno così sperava, sua figlia era ancora lì dentro. Da qualche parte doveva pur trovarsi. Si aggrappò a quella speranza con tutta se stessa, perché se non avesse avuto un appiglio al quale tenersi sarebbe crollata definitivamente e non avrebbe retto. I suoi pensieri, ormai, erano un grovilio inestricabile senza alcun filo logico. Quanto tempo era passato? Secondi? Minuti? Si sdraiò sul letto esausta e non sapeva perché non stava piangendo. Le pareva che qualcuno o qualcosa stesse artigliando il suo cuore fino a farlo sanguinare. In lei c’era un enorme buco, un vuoto che andava ingrandendosi sempre di più ogni secondo e che le provocava delle forti fitte alla testa e allo stomaco.
“L’ho trovata!” disse un’infermiera in fondo al corridoio. “Era nel letto della Martinez.”
Ci mise un attimo a comprendere quelle parole e si tirò su di scatto. Quando poté prendere Demi fra le braccia, tirò un sospiro di sollievo e subito dopo scoppiò a piangere, mentre le infermiere dicevano che le avrebbero lasciate sole per un po'.
"Oh Demi, mi dispiace così tanto” iniziò. “Non ti perderò mai più. Mai più! Ti prometto che ti proteggerò sempre" le disse fra i capelli, baciandola e abbracciandola.
Continuò a singhiozzare convulsamente, tenendola anche troppo stretta con il terrore di perderla di nuovo. I suoi occhi sembravano un fiume straripante, tutte le emozioni che prima non era riuscita a sfogare con il pianto ora si stavano riversando fuori. Controllò più volte la targhetta, domandandosi come avesse fatto a non accorgersi subito dell’errore, semplicemente guardando l’altra creatura. Una forte pressione al petto le fece capire che si sentiva in colpa, come se fosse stata lei a sbagliare.
“Demi, mi dispiace. Non so come sia potuto succedere. Perdonami!” esclamò ancora e continuò a ripeterlo infinite volte, cullandola, mentre le lacrime la inzuppavano. “Stai tranquilla, adesso va tutto bene. Sei con la mamma e non ti può succedere nulla di male, capito?”
Sentendo l’agitazione della mamma, la bambina si lamentò più forte, poi allungò una mano e le toccò il viso. Fu una carezza dolce, non come quelle che di solito danno i bambini piccoli, simili a leggerissimi schiaffi, perché non hanno ancora il pieno controllo dei loro gesti.
“Non è colpa tua. Ti voglio bene” sembrava voler dire.
E fu soltanto allora che Dianna sorrise. Il suo fu un sorriso appena accennato, ma che la aiutò a sentirsi subito meglio. Quel che era accaduto era stato un vero e proprio shock che non avrebbe più dimenticato. Per fortuna era tutto finito, ma le orribili sensazioni che aveva provato fino a poco prima non ne volevano sapere di andarsene. Erano ancora così terribilmente reali. Prese un profondo respiro e continuò a coccolare la bambina. Erano insieme, adesso. Anche questo era reale ed era bellissimo. Patrick sarebbe arrivato a momenti, Dallas nel pomeriggio e tutto sarebbe andato benissimo. Forte di quella consapevolezza, la donna pensò al futuro che aspettava tutti loro.
Fu quando Demi si mise a piangere che capì che era arrivato il momento di lasciar andare le emozioni negative, o almeno di provarci, e concentrarsi su di lei.
Cominciò ad allattarla, ma la piccola fece fatica ad attaccarsi al seno e, quando ci riuscì, sembrava non essere capace di succhiare. Dianna scoprì che non era attaccata bene e la mise in una posizione più comoda. Demi allungò le manine fino a prenderle il seno e poi fece un cerchio perfetto attorno al capezzolo iniziando a succhiare. Dianna si lamentò per il dolore. Più il tempo passava, però, più si sentiva rilassata. La bambina era tranquilla e lei avrebbe voluto fare i salti di gioia. Un intenso calore le invase il corpo e le toccò l'anima. L'aveva già vissuto con Dallas: sapeva che durante l'allattamento il legame tra madre e bambino si intensifica. Adesso, però, le sembrava di stare vivendo tutto quanto come se fosse la prima volta.
Dopo aver fatto la foto con la piccola, la madre chiese di poterla tenere ancora un po', permesso che le fu concesso soprattutto visto quanto accaduto. Le accarezzò i capelli setosi, scese sulle guance e le adorò, le toccò prima con le punte delle dita e poi con i palmi e fece lo stesso con le manine e con i piedini.
“Sei perfetta” mormorò.
La consapevolezza di avere un’altra creatura da proteggere, bisognosa di lei per tutto, la fece sentire più grande, come se fosse ancora più donna ma soprattutto più mamma. Trasse un profondo respiro. Avere un’altra figlia significava doppie responsabilità, che per un genitore sono enormi, e non sarebbe stato facile, ma voleva anche dire doppia gioia.
Demi le si addormentò in braccio con una manina che le stringeva appena un dito, l'anulare della mano sinistra. Quel dito. Alla donna scappò un singhiozzo e il volto le si accartocciò in una maschera di sofferenza. Demetria era troppo piccola per capire che non era tutto intero, che mancava una piccola parte; e chissà cos'avrebbe provato o pensato se avesse saputo com'era accaduto. Be', Dianna poteva solo immaginarlo. Da alcuni mesi le cose tra lei e Patrick avevano cominciato ad andare meglio e si era imposta di non piangere più, di dimenticare il passato, di essere felice perché forse, finalmente, era riuscita a cambiarlo e a tirare fuori il buono che c'era in lui. Era sempre stata convinta di potercela fare. Ma la sua bambina, con quel gesto innocente, le aveva fatto tornare alla mente mille paure e dubbi. Sarebbe davvero andata così o era solo un'illusione? Sarebbe ricominciato l’inferno? No, stavolta no. Lui era diventato dolce, era diverso. Ma ciò non significava che lei ce l’avrebbe fatta a dimenticare.
Quasi un anno prima, durante una furiosa litigata a causa del fatto che lui beveva, non aveva un lavoro stabile e non avevano più soldi nel conto, Patrick l'aveva letteralmente lanciata via e lei era caduta sul pavimento, sentendo forse più dolore anche a causa del fatto che era particolarmente magra. Non mangiava mai un granché, già da molto tempo aveva problemi di anoressia ma li camuffava in ogni modo possibile e poi pensava di stare bene, che fosse giusto mangiare poco, non farlo affatto oppure nutrirsi e vomitare, perché doveva essere perfetta e questo la aiutava ad avere più controllo su se stessa e sulla sua vita. Non si sentiva malat, non credeva di avere un problema. Dopo essere precipitata sul pavimento la sua faccia aveva sbattuto contro una gamba del divano e quel colpo le aveva provocato minuscole fratture lungo la mandibola. Terrorizzata, Dianna aveva cercato di scappare fuori.
Non andrai via da me stavolta” l’aveva minacciata il marito.
Con la porta già aperta, sentendo il suo respiro sul collo e la sua rabbia che riempiva l’aria, la donna si era tirata un po’ indietro. Chiudendo la porta lui le aveva schiacciato la mano sinistra, che non era riuscita a togliere in tempo, e ciò aveva fatto sì che l’anulare e il mignolo si staccassero proprio sopra la seconda nocca e cadessero a terra. Dianna non avrebbe mai scordato le scuse del marito, le sue urla, tutto quel sangue in ogni direzione e il fatto che in quel momento non sentisse dolore tanto era sotto shock.
Una volta in ospedale, Patrick aveva convinto la polizia che si era trattato di un incidente e anche lei, nonostante lo scetticismo dei poliziotti e le loro mille domande, aveva detto lo stesso, spiegando che il vento aveva fatto muovere la porta e che la sua mano si trovava proprio lì. Il medico le aveva curato solo le dita, non l’aveva visitata ulteriormente e Dianna si sarebbe accorta del problema alla mandibola solo anni dopo. Il chirurgo era riuscito a riattaccarle solo il mignolo, l’anulare era troppo danneggiato.
Dianna non avrebbe mai ammesso di essere vittima di violenza fisica e psicologica da parte del marito.
Era iniziato tutto anni prima, dopo il loro matrimonio. Si erano sposati poco dopo essersi conosciuti, lui lavorava come produttore musicale e lei cantava nei club, e una volta terminato facevano festa godendosi la vita notturna e provando alcol e varie droghe. Sì, anche lei aveva fatto degli sbagli. Smetteva un po’ prima di uno spettacolo, così la sua voce non sarebbe stata influenzata. Non sapeva come fosse riuscita a non diventare dipendente da quello schifo, ma ce l'aveva fatta. E poi aveva iniziato a mangiare sempre meno, a volte a digiunare, perché voleva essere perfetta e pensava che in questo modo Patrick l’avrebbe amata di più. Suo marito aveva continuato a bere e a drogarsi, iniziando anche con gli insulti, soprattutto quando erano stati in difficoltà economiche, lui si era ritrovato con dei debiti, non era riuscito più a trovare un lavoro fisso e lo stesso era valso per lei. Le cose erano migliorate e poi peggiorate di nuovo e in quel periodo Dianna era rimasta incinta, riprendendo a mangiare normalmente per il bene del bambino. Mesi dopo era nata Dallas. Anni dopo Patrick era andato ad un appuntamento degli alcolisti anonimi ma non era nemmeno entrato, ed era sempre tornato al punto di partenza. Eppure non esagerava mai fino a farsi vedere dagli altri in quello stato. O almeno, nessuno aveva mai fatto domande o detto nulla. I vicini sentivano le urla e le litigate, ma i due avevano sempre spiegato che i loro rapporti non erano proprio pacifici e che purtroppo litigavano spesso. Joyce, una vicina che era anche sua amica, aveva cercato di capirne i motivi e Dianna aveva dato la colpa al fatto che il marito non riuscisse ad avere mai un lavoro stabile e ad altre cose che ora non ricordava. Lei li aveva esortati a far pace per il bene delle bambine e a volte li aveva aiutati a riavvicinarsi.
Ad ogni modo, quello delle dita era stato solo un episodio di una lunga serie di violenze soprattutto psicologiche. Quando lui la tormentava le faceva capire che era inutile, stupida, che si meritava tutti quegli insulti. E lei aveva finito per crederci, altrimenti non le avrebbe fatto niente. Era colpa sua. Lui le faceva del male perché capisse che aveva sbagliato e perché la amava, e anche se Dianna in quelle situazioni era a dir poco terrorizzata, quando lui si scusava e le prometteva che non lo avrebbe fatto più diceva comunque di essere innamorata di lui. Non si rendeva ancora conto che il loro fosse un amore ormai diventato una relazione abusiva, e che se lui la amava lo faceva in modo sbagliato. Ma negli ultimi mesi le cose erano andate meglio. Lui non beveva più molto, non si drogava, era diventato dolce. Era più spesso a casa, giocava con Dallas e aveva aiutato lei a preparare tutto per l’arrivo della bambina. A volte le portava la colazione a letto o dei fiori, la coccolava e le diceva che la amava. Certo ogni tanto discutevano, ma non più come prima. Sicuramente avrebbe continuato ad essere così.
"Ciao."
La voce del marito la riportò al presente. Era sbarbato di fresco, si era vestito elegante con jeans, giacca e cravatta e sorrideva.
"Ciao" lo salutò la moglie pensando che sì, era davvero cambiato; lo si vedeva anche dal suo abbigliamento.
Prima non curava molto il suo aspetto, indossava ciò che capitava, pulito o sporco che fosse e i suoi vestiti puzzavano di alcol.
"Come vi sentite?" chiese con dolcezza.
"Stiamo bene, grazie."
Ma prima che potesse raccontargli i momenti di panico che aveva vissuto, lo guardò con attenzione. Dietro quel sorriso, nel più profondo dei suoi occhi che, si rese conto, brillavano sinistramente, vide una ferocia e una rabbia che purtroppo le erano familiari. Le mancò il fiato e tremò con violenza, pensando che forse aveva visto male condizionata da tutto quello che le era successo in passato. Ma sapeva, ancora inconsciamente, che lui era sempre lo stesso: buono nei momenti di tranquillità, un mostro in tutti gli altri. Un mostro che lei amava e dal quale, anche se a volte pensava di farlo, non riusciva mai a scappare. Si chiese se la loro vita sarebbe stata diversa in positivo o in negativo. Pur volendo credere alla prima, non riuscì a darsi una risposta.
 
 
 
NOTE:
1. ci sono vari modi per indurre un parto, cioè far iniziare il travaglio artificialmente. Uno dei motivi per cui lo si induce è che la donna supera le quaranta settimane di gravidanza. Dato che Demi è nata con due settimane di ritardo, era proprio questo il caso. Qui non ho spiegato quale tecnica è stata usata perché non era importante. Dianna stessa non lo scrive nel libro. Dice solo che sperava le inducessero il parto e che tutto è avvenuto molto velocemente.
2. Forse è inutile scriverlo, ma non so se fossero le cinque di mattina quando hanno portato la bambina a Dianna, ma ricordo che anni fa mia zia mi ha detto che aveva allattato la mia cuginetta a quell'ora. Nella storia c'è scritto che quando stava scegliendo il nome Patrick stava per arrivare in ospedale.
3. Alcune delle frasi in corsivo (di Ricky, delle infermiere, di Dianna, anche i nomi tra i quali era indecisa, i suoi pensieri riguardo il saperci fare con le bambine e il chiamare la figlia “Demi” per abbreviare e che qualcun altro la stesse allattando) sono tratte dal libro di Dianna, “Falling With Wings: A Mother’s Story” (e tradotte da me), che ho utilizzato per scrivere alcuni passaggi di questa storia. Dato che sono un po’ e che qualcuno potrebbe annoiarsi leggendole in inglese, ho deciso di non riportare le originali stavolta. Ne scrivo solo una, prima della frase iniziale di Ricky, perché non sapevo come tradurla e non ho scritto niente. Credo sia un modo di dire texano o qualcosa del genere.
“Well, slap me silly and bury my clothes.”
La frase "Dov'è la mia bambina?", il cognome Martinez e il nome Demetria sono in maiuscolo nel libro, per enfatizzare il fatto che la donna stesse urlando e che quello non era il cognome di sua figlia, mentre la seconda frase del grido è in minuscolo. Io non scrivo mai in questo modo, ma dato che erano così nell'originale li ho riportati tali e quali.
4. Ricky Mitchel è comparso pochissimo nel libro. Non è nemmeno descritto fisicamente, se non appunto per i capelli ricci. Ma da quel poco che ne ho letto sembra molto simpatico.
5. È vero. Il mattino dopo avevano portato a Demi un’altra bambina che aveva il cognome Martinez. La scena nel libro è stata descritta in poco tempo, io l’ho ampliata perché, oltre a riportare i dialoghi, volevo anche analizzare bene le emozioni che Dianna poteva aver provato e anche farle dire qualcosa in più rispetto alle due frasi riportate nel memoir.
6. La parte sul passato di Dianna e Patrick prima del matrimonio è reale, anche riguardo ai problemi alimentari che ha avuto per molti anni negando a se stessa (e per molto tempo anche agli altri) di avere un disturbo. L’ho riassunta rispetto a quello che veniva detto nel libro. Mi serviva per spiegare come questo aveva portato alle violenze. C'è anche da dire che Patrick era stato anche un costruttore e una volta, mentre degli uomini stavano lavorando ad un suo progetto, c'è stato un incidente e uno è morto. Dianna scriveva che a volte lo vedeva fissare il vuoto, come se non si rendesse conto che lei era lì e si domandava se pensasse a quello che era successo. Aggiungeva che, se avesse saputo quello che sa ora, l'avrebbe portato in una clinica, ma a quel tempo non si parlava del disturbo post traumatico da stress, di cui probabilmente soffriva assieme ad altri disturbi. Quindi, benché io non lo sappia con sicurezza, è probabile che anche questo abbia contribuito a farlo diventare l'uomo che è diventato (non c'era scritto quando è avvenuto l'incidente, non so se prima o dopo che conoscesse la moglie), o a portarlo a peggiorare. Non ho voluto dare di lui un'immagine completamente negativa perché non so tutto e non sarebbe giusto e poi, come ho scritto nel disclaimer, non sono qui per offendere e non mi permetterei mai. Personalmente credo che lui abbia provato a fare il buon marito e che ce l'abbia fatta per molto tempo (i due sono stati felici per alcuni anni), poi non ci è più riuscito, e il buon padre. In parte penso lo fosse, ma lanciare oggetti, urlare, tornare a casa ubriaco, insultare la moglie mentre le figlie lo vedevano a mio avviso è comunque sbagliato. Di certo Dallas e Demi lo amavano, ma il rapporto di amore-odio che la cantante ha avuto con lui, che traspare anche dalle sue canzoni, la dice lunga.
7. La scena di violenza è tratta dal libro, è successa veramente ed io l’ho riportata a parole mie. Dianna ha scoperto anni dopo di avere la mandibola fratturata, quando è andata dal dentista e lui le ha fatto dei raggi. Non so come mai la polizia non abbia indagato ulteriormente ma forse, essendo il 1992, non avendo tutta la tecnologia odierna, non sarebbero riusciti a scoprire se si era trattato di un incidente o di violenza domestica.
È vero che quando è nata Demi le cose tra marito e moglie andavano meglio, ma anche che nessuno sapeva degli abusi. Il mio obiettivo era far capire che non credo che Dianna avesse dimenticato quello che era successo. Chi ci riuscirebbe, con tutto quello che ha passato? E lo sguardo del marito, sempre inventato da me, le fa capire ciò che in realtà è successo pochi mesi dopo: gli abusi sono ricominciati.
   
 
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