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Autore: Antogno    11/08/2019    0 recensioni
George Foster e Philip Bell sono due pionieri della Pioneer-7, una delle stazioni partite dalla Terra in cerca di pianeti abitabili dall'uomo. Prossimi a scendere su K-24d, il quarto pianeta di un sistema molto simile a quello di origine della Terra, saranno costretti ad improvvisarsi collaudatori sul campo di BB-1, o più semplicemente Bob, un robot antropomorfo unico nel suo genere, che potrebbe dimostrarsi in grado di eseguire il lavoro dei pionieri meglio ed in meno tempo.
E mentre Foster non sembra davvero entusiasta all'idea, Bell ha la sensazione che un sogno nato quando era ancora bambino dalla passione del nonno per i racconti di fantascienza di uno scrittore dal nome dimenticato, si stia avverando...
Ispirato ai racconti di Asimov che hanno come protagonisti Gregory Powell e Mike Donovan, sempre alle prese con robot strampalati e i loro difetti, 'Fine ultimo' è un esplicito tributo personale al genio di Asimov e alla sua narrazione pulita e razionale, provando a riprodurne, senza però troppe pretese, la logica.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ufficio del direttore Collins non aveva mai avuto nulla che si potesse definire inusuale. Una scrivania perfettamente ordinata, una poltrona, qualche sedia scomoda per gli ospiti, una foto a massima risoluzione della Terra probabilmente scattata dalla Luna fissata alla parete metallica. Forse la vista di uno scorcio di nero punteggiato oltre il finestrone oblungo alle spalle del direttore seduto alla scrivania si poteva definire affascinante, in qualche modo bella, ma di certo non inusuale. Allo spazio, lì sulla stazione Pioneer-7, tutti erano abituati. Ma ora, proprio in quell’ufficio dove nessuno si sarebbe mai aspettato di trovare alcunché non fosse ordinario, c’era qualcosa che aveva spazzato via in un attimo quella aspettativa. Qualcosa che George Foster e Philip Bell non pensavano avrebbero mai visto in tutta la propria vita: un robot antropomorfo. Immobile accanto al dottor Rickmann che senza alcun dubbio ne aveva curato la costruzione, era una perfetta copia metallica dell’uomo, proporzionata in ogni sua forma e misura. Al solo vederlo i due pionieri avevano strabuzzato gli occhi per lo stupore, e Foster aveva involontariamente lasciato andare la mandibola, senza ricordarsi però di ripotarla su. Sul volto di Bell, invece, si era stampata un’espressione quasi fanciullesca che lanciava lampi di curiosità ed eccitazione sull’uomo di metallo.
Il direttore della Pioneer-7 aspettò qualche istante dopo che la porta si fu chiusa, poi invitò i due pionieri ad accomodarsi. Foster e Bell sedettero, faticando a staccare gli occhi dall’automa. Il dottor Rickmann e il robot rimasero in piedi.
«Dunque» iniziò, con i gomiti poggiati sulla scrivania e le dita intrecciate «in programma voi siete i prossimi a partire, ed è per questo che ora siete qui. La vostra missione su...» sbirciò velocemente su un foglio che teneva davanti a sé sulla scrivania «…K-24d sarà leggermente differente dalle normali missioni di rilevazione ed elaborazione dati. Ma non sarò io a fornirvi le delucidazioni, bensì il dottor Rickmann, che sicuramente conoscerete.» I due pionieri annuirono, mentre il direttore passava con un gesto la parola allo scienziato che tutti sulla Pioneer-7 conoscevano come il capo del laboratorio che si occupava delle complesse macchine elaboratrici e dei semplici robot domestici di cui la stazione era piena zeppa (e che, data l’evidenza, non si occupava soltanto di quello). I due pionieri si voltarono, giudicando però l’automa più degno d’attenzione di quanto non fosse l’uomo. Quest’ultimo sembrò accorgersene e sorrise.
«Vedo che siete molto interessati a lui» disse, accennando al robot immobile «Ma le presentazioni dovranno attendere. Vorrei cominciare dall’inizio, dandovi così una visione d’insieme che vi permetta di capire perché siete qui.»
«Anni fa, sulla Terra, ero un ragazzo appena laureato in ingegneria che aveva cominciato ad interessarsi alla meccatronica, una disciplina che si concentra sulla progettazione e sulla realizzazione di sistemi di controllo automatico delle macchine. A quei tempi la meccatronica aveva già permesso la produzione di macchine utili a livello industriale, ma nonostante questo essa non era mai stata applicata in modo tale da essere utile alla vita domestica dell’uomo. Così mi chiesi: potrei fornire a degli utensili domestici dei sistemi di controllo automatici che possano rivelarsi utili alla vita dell’uomo? Mi risposi che potesse essere effettivamente possibile, ma soltanto se gli utensili in questione fossero stati forniti di apposite intelligenze a cui i sistemi di controllo facessero riferimento, a cui potessero cioè obbedire. È così che iniziai a lavorare alle intelligenze che mi hanno permesso di contribuire alla fondazione della ‘Automathome’, che oggi si occupa di costruire tutti quegli aspirapolvere, tostapane, e televisori intelligenti che è possibile trovare nella maggior parte delle case sulla Terra, strumenti di cui anche la Pioneer-7 è fornita»
«Nel passar di pochi anni però il mio lavoro esaurì il proprio potenziale. Fu allora che, riflettendo, mi resi conto che sarei potuto andare oltre. Non sarebbe stato possibile infatti progettare un’intelligenza in qualche modo simile a quella umana che potesse essere impiantata in qualcosa di più di un semplice utensile, bensì in robot più complessi che fossero addirittura simili all’uomo? Ancora una volta mi risposi che potesse essere possibile e che le possibilità d’impiego di automi del genere si sarebbero potute rivelare pressoché illimitate rispetto a quelle d’impiego dei piccoli utensili automatizzati, ed è forse proprio per questo motivo che mi trovai di fronte ad un vicolo cieco. I sindacati si opposero aspramente al progetto e lo stesso fecero movimenti che vedevano nella costruzione di un robot simile all’uomo una minaccia. Nemmeno le nostre campagne di sensibilizzazione si rivelarono capaci di convincere che l’uomo avrebbe potuto trarre nient’altro che benefici da un gemello di metallo, e così il governo vietò al progetto di andare in porto.» si concesse una breve pausa.
«Avevo ormai messo il sogno del robot antropomorfo nel cassetto quando fui contattato dalla Global Aeronautics and Space Administration, che sostenne di avere una proposta interessante. Ed è stata quella proposta a portarmi qui, ora, in questo ufficio con voi e con lui»
«La proposta fu quella di allestire un laboratorio che fosse capace di progettare e costruire un robot antropomorfo utile al progetto Pioneer, che contava in orbita più o meno lontano dal sistema solare già cinque stazioni. Mi assicurarono che nel caso avessi accettato i vertici dell’azienda avrebbero fatto in modo che il governo desse il via libera, ed effettivamente fu così, ma a patto che il tutto venisse tenuto segreto e lontano dalla Terra. Il laboratorio sarebbe stato cioè allestito su una delle stazioni in partenza, e l’azienda si sarebbe occupata di fornire tutto ciò di cui il progetto avesse bisogno. Tutto sommato mi sembrarono delle condizioni piuttosto ragionevoli, soprattutto considerando che se fossimo riusciti a costruire il robot e quest’ultimo avesse dimostrato di essere davvero utile al progetto Pioneer allora si sarebbero potuti convincere governo e soprattutto opinione pubblica che robot antropomorfi non potevano che essere utili all’uomo.»
«E siamo a metà dell’opera, direi.» disse il direttore sfruttando la pausa che lo scienziato aveva fatto per riprendere fiato.
«Sì.» confermò l’altro, sorridendo.
Foster aveva ascoltato con attenzione, e per quanto ci avesse provato non era proprio riuscito ad immaginarsi come quel robot potesse essere utile al loro lavoro. Forse Bell aveva pensato a qualcosa di simile, ma non pareva proprio gli avesse dato troppa importanza. Anzi, nessuna. La sua era quasi l’espressione di un bambino che aspetta paziente una manciata di caramelle.
«Ma passiamo alle cose pratiche. Lui è BB-1, il primo di quella che spero potrà essere una lunga serie. Io lo chiamo semplicemente Bob.»
Il robot non si mosse al pronunciare del proprio nome, restando immobile al pari di una statua cromata.
Lo scienziato fece per aprire bocca, segno del fatto che stesse per riprendere a parlare ma Bell, in evidente stato di eccitazione, lo anticipò.
«È capace di parlare?»
«Oh sì. Vero Bob?»
«Sì signor Rickmann.» La voce era metallica e priva di tono, ma sembrava comunque in qualche modo cordiale.
«Loro sono i pionieri George Foster e Philip Bell.»
«È un piacere conoscervi, signori.» disse, voltando la testa verso i due pionieri.
«Magnifico.» disse Bell rapito.
«Le piace?»
«Eccome.»
«La ringrazio signor Bell.» disse il robot.
Rickmann sorrise.
«Ma veniamo al dunque. Bob è stato costruito per uno scopo ben preciso. Lasciate che vi spieghi.
Oggi i pionieri si occupano di effettuare su pianeti extra-terrestri rilevazioni strumentali tali da restituire dati la cui elaborazione da parte dei computer della stazione, in combinazione ai risultati di valutazioni di altri tipi che possono essere condotte facendo a meno in parte degli strumenti, permettano di verificare se il pianeta sia adatto o meno ad ospitare l’uomo. E tutto questo può durare più o meno tempo, a seconda del periodo di rotazione e di rivoluzione del pianeta in questione. Ora immaginate di avere strumenti di rilevazione dotati di una sensibilità, una portata e una prontezza di cento volte superiori a quelle degli strumenti attualmente in dotazione, e immaginate di avere a bordo della nave un computer dalle capacità di elaborazione cento volte superiori a quelle delle macchine di cui disponiamo ora. Riusciremmo a rilevare dati in maniera più precisa e più veloce, e la loro elaborazione sarebbe molto più efficace. Sarebbe proprio un bel passo avanti per l’intero progetto Pioneer.» annuì, come se le proprie parole lo avessero convinto.
«Ma» obiettò poi, alzando un dito con cui cominciò ad accompagnare il proprio discorso «immaginate di avere la possibilità di bypassare questa tappa per passare direttamente a quella successiva. Immaginate cioè di poter costruire un robot dotato di tutta la strumentazione di cui abbiamo appena parlato e di poterlo dotare di un cervello la cui intelligenza artificiale sia capace di elaborare istantaneamente i dati fornitigli da quegli strumenti, e di farlo meglio di quanto possa fare il più sofisticato dei computer che ora abbiamo a disposizione. E immaginate addirittura che lo schema di circuiti del suo cervello possa essere costruito sulle solide basi fornite dalle neuroscienze umane, in modo da rendere il robot capace di controllare un corpo antropomorfo e che lo renda addirittura capace di simulare il pensiero e mimare il comportamento umano, prerogative indispensabili perché sia possibile per il robot effettuare quelle valutazioni per le quali i pionieri non si affidano completamente alle strumentazioni. In questo modo si potrebbe fare a meno di pionieri umani, restringendo i tempi e riducendo enormemente i costi.»
«In teoria» fu il direttore a parlare dalla sua scrivania. Il suo era il tono di chi avesse ascoltato quelle spiegazioni già altre volte, e sapesse già tutto sull’argomento.
«Si, in teoria» fece eco lo scienziato. «Vedete, come credo abbiate capito siamo riusciti a costruire quel robot. Il problema è che Bob ha bisogno di un collaudo sul campo che ci permetta di sapere se sia in grado di fare o meno quello per cui è costruito, e di capire cosa dovremmo fare per costruire un robot che possa farlo davvero nel caso lui non ci riesca. Mi seguite?»
«Si.» risposero in coro i due pionieri.
«Avete bisogno che collaudiamo il robot.» aggiunse Bell, in un tono per qualche ragione sempre più eccitato.
«Esattamente, signor Bell.»
«Cosa dovremmo fare, precisamente?»
«In teoria una volta sulla superficie del pianeta Bob dovrebbe essere capace di eseguire da solo tutte le rilevazioni necessarie nell’arco di un giorno, che ho appurato debba durare all’incirca trentadue ore. Inoltre una volta raccolti tutti i dati Bob dovrebbe essere capace di elaborarli pressoché istantaneamente.»
«Un giorno solo?» esclamò Foster, incredulo.
«Un giorno solo. Come ho detto Bob è dotato di strumenti più sofisticati di quelli che avete a disposizione attualmente, e quegli strumenti gli permetteranno di evitare certi lunghi tempi di attesa a cui sono sicuro voi non siate mai riusciti ad abituarvi. Inoltre il suo cervello ha a disposizione una grande quantità di programmi che dovrebbero permettergli di incrociare e combinare una buona parte dei dati più semplici ricavando così dati complessi senza doverli rilevare successivamente, cosa che con la strumentazione attualmente in dotazione voi non potreste fare. È per questo che prima parlavo di restringere tempi e costi»
«In tutti i casi, basta che lasciate Bob sulla superficie del pianeta e aspettiate. Nel frattempo potrete allestire il campo ma non potrete iniziare le rilevazioni: alcuni degli strumenti interferirebbero con quelli di Bob restituendo dati falsati sia a voi che a lui. Avrete a disposizione un sistema di segnalazione radar per tenere sempre sotto controllo la sua posizione, e faremo in modo che vediate quello che veda lui. Avrete anche a disposizione un canale di comunicazione che vi permetterà di mettervi in contatto con lui quando vorrete o a lui di mettersi in contatto con voi per qualsiasi motivo. Ma se tutto dovesse andare come previsto non avrete bisogno di nessuna di queste cose. Ammettendo infatti che Bob sia davvero capace di fare quello per cui è costruito e che non vi siano intoppi tornerà alla nave dopo più o meno un giorno, come ho detto. Allora voi potrete dare il via alle vostre rilevazioni, così che i dati possano essere poi elaborati dalle macchine della stazione come sempre viene fatto al termine di ogni missione, per confrontare i vostri risultati con quelli di Bob. Certamente anche i dati verranno messi a confronto per verificare presenza o assenza di incongruenze così che possiamo capire come migliorare Bob e costruire eventualmente successori più sofisticati. Vorrei far presente che durante la missione Bob non vi fornirà nessuno dei dati da lui rilevati e nemmeno i risultati dell’elaborazione. Questo è necessario affinché le vostre rilevazioni prescindano da dati e risultati preesistenti, che, per quanto ci riguarda, hanno la stessa probabilità di essere corretti o errati. Questo nel caso in cui tutto vada come previsto.»
Fece una pausa, come per dare il tempo ai pionieri di memorizzare bene tutto. Poi inspirò e riprese.
«Nel caso in cui qualcosa dovesse andare storto, invece…»
 
Il dottor Rickmann portò avanti la sua dissertazione per un’altra mezz’ora, e quando sembrò stesse per concludere il direttore aveva già abbandonato l’ufficio da un pezzo. E mentre Bell non pareva aver perso il suo febbrile interesse Foster si sentiva la testa pesante, piena di ‘tali cose da fare o non fare nel caso altre tali cose fossero o non fossero accadute’. Ma tra tutte quelle cose emerse un tarlo, e il pioniere non perse tempo a sputarlo fuori.
«Mi scusi dottore. Non è possibile che Bob, bè…» cominciò, lanciando un’occhiata all’automa e abbassando la voce quasi per evitare che sentisse e si facesse venire qualche idea strana «Non potrebbe, non so, saltargli un circuito…insomma…c’è mica qualche possibilità che dia di matto e…»
«Oh no, no Foster» replicò divertito lo scienziato, che sembrava aver intuito dove volesse andare a parare il pioniere. «Abbiamo impresso nei circuiti di Bob delle istruzioni molto specifiche riguardo l’incolumità degli esseri umani con cui entra in contatto. Non potrebbe mai nemmeno immaginare di farvi del male, né di lasciare che subiate qualche danno a causa del suo mancato intervento.»
«La prima legge.» annuì Bell assorto, ma né Foster né lo scienziato capirono cosa volesse dire.
«Come scusi?»
«Intendevo: si tratta di una sorta di legge.»
«Parlerei più di un insieme di istruzioni operative. Ma sì, immagino che per certi versi si possa parlare di una legge.»
«E mi dica, dottor Rickmann, nel cervello di Bob sono per caso impresse delle istruzioni riguardo l’obbedienza agli esseri umani?»
«Sì, e infatti...» stava cominciando, ma Bell non gli diede il tempo di continuare.
«Immagino allora che gli abbiate fornito anche istruzioni riguardo l’autoconservazione, ed anche istruzioni che lo rendono capace di capire quando una legge…voglio dire un gruppo di istruzioni ha la priorità su uno degli altri tre.»
«È proprio così» confermò Rickmann, sbalordito «Ma lei come…»
«Intuito.» tagliò corto Bell, con un’espressione da vincitore della lotteria.
«E che intuito.» disse lo scienziato, anche se non sembrava del tutto convinto. Lo stesso valeva per Foster.
«Oltre questo non credo ci sia altro da dirvi.» disse dopo una breve pausa lo scienziato, fermandosi poi assorto forse a riarrotolare il nastro della discussione per verificare di non aver tralasciato niente. Ma qualcosa sembrò inceppare il meccanismo. «Oh, sì. Vorremmo che l’esistenza di Bob rimanesse celata ancora per un pò, almeno fino a quando non possiamo essere sicuri che funzioni a dovere.»
I due pionieri annuirono.
«Era davvero l’ultima cosa. Ci vedremo dopodomani alla piattaforma di lancio.» sorrise, facendo loro cenno di alzarsi.
I pionieri si misero allora in piedi, congedandosi dallo scienziato con una stretta di mano.
Ma sebbene Foster prese ad avviarsi verso la porta senza preoccuparsi di salutare l’automa, non per qualche motivo in particolare ma semplicemente perché l’idea di salutare una macchina non lo sfiorò nemmeno, Bell invece vi si avvicinò.
«A rivederci, Bob» disse tendendogli la mano, incerto su quale sarebbe stata la sua reazione.
E con un gesto inaspettatamente umano, come Bell da qualche parte nel profondo aveva sperato, il robot gliela strinse. «A rivederci, signor Bell.»
 
«Ti piacerebbe spiegarmi come facevi a sapere tutte quelle cose?» chiese Foster più tardi in mensa, non prima di essersi dato un’occhiata intorno per verificare che nessuno fosse troppo vicino per sentire.
«Tutto cosa?» chiese Bell disinvolto, ficcandosi in bocca una cucchiaiata di pasticcio.
«Non fare il finto tonto, Philip. Mi riferisco alle leggi, alle istruzioni operative del…» diede un’altra occhiata in giro «…del robot.» affondò poi il cucchiaio nel piatto e lo tirò fuori, ma prima che arrivasse alla bocca lo abbassò. «E magari già che ci sei potresti anche spiegarmi com’è che sembravi così eccitato. Voglio dire…lo ero anch’io, certo, il robot e tutto quanto…Ma tu…»
Bell lo fissò con le sopracciglia alzate e con stampato sul volto un abbozzo di sorriso.
«Insomma...non eri solo eccitato, sembravi proprio felice come una pasqua.»
Il sorriso di Bell si allargò.
«Ricordi nonno Anthony?» chiese, dopo aver svuotato un bicchiere d’acqua.
«Tuo nonno?» fece Foster perplesso.
Bell annuì.
«Si, me ne hai parlato qualche volta. Ma cosa c’entra ora?»
«Quando ero bambino mi leggeva sempre delle storie. A volte erano racconti, altre volte romanzi, ma tutti scritti dallo stesso autore, di cui però non ricordo il nome. Aveva tutte le sue opere, proprio tutte. Penso che le avesse lette più di cento volte ognuna, e se non se ne fosse andato così presto forse le avrebbe lette altre cento volte ancora. Gli piacevano proprio tanto, e in poco tempo finii per appassionarmi anch’io. Erano tutte storie di fantascienza, e spesso i protagonisti erano robot antropomorfi. Un peccato che non ricordi chi fosse l’autore.»
«Quindi era questo a renderti così eccitato» constatò Foster «Hai passato l’infanzia a fantasticare sui robot e oggi te ne sei trovato davanti uno vero.»
«Diciamo di sì. C’è anche dell’altro però. Alcune di quelle storie parlavano di due esperti che avevano il compito di collaudare robot, e molte volte quei robot erano antropomorfi. Capisci ora? È proprio come se fossimo finiti in una di quelle storie, come se io e te fossimo gli esperti e Bob il robot da collaudare. È per questo che sono così eccitato e felice.» e il sorriso stampato sul volto luminoso del pioniere sembrava confermarlo.
«Bè, ha senso.» ammise Foster.
«Certo che ha senso. Pensavi forse che mi fosse saltata qualche rotella?»
«Non si può mai sapere, Philip. Non sei mai stato un tipo tanto a posto.» scherzò George Foster.
«Che collega simpatico che ho.» sorrise Philip Bell, mentre l’altro si lasciava scappare una risata.
Seguì una breve pausa, durante la quale un secchio per l’immondizia automatizzato e su rotelle, una delle creature del dottor Rickmann, si avvicinò al tavolo e alzò la tavola cromata. Bell disse che non avevano ancora finito e quello chiuse il vano immondizia, allontanandosi.
«E le istruzioni operative? Ancora merito delle storie di robot?» chiese poi Foster.
«Sì.»
«Vuoi dirmi che hai trovato le istruzioni che Rickmann ha impresso nei circuiti di Bob in una storia?»
«No, non in una sola storia. In un bel pò di storie.»
«Tu vuoi scherzare.»
«Affatto. L’autore ideò tre leggi della robotica, e ogni robot di cui parlava le aveva impresse nel cervello. Era proprio sulle aberrazioni di queste leggi che era costruita ogni storia. Sono passati molti anni, ma le ricordo chiaramente tutte e tre.»
Si preparò così ad enunciare le leggi una ad una, contando sulle dita della mano destra. «Legge numero uno: un robot non può recare danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Legge numero due: un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla prima legge. Legge numero tre: un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la prima o con la seconda legge.»
«Mi prendi in giro.»
«Ti dico di no.»
Foster si portò una mano al mento per accarezzarsi la barba corta.
«Bob quindi obbedirebbe a queste tre leggi.» era più un’asserzione che una domanda.
«Si, hai sentito anche tu Rickmann.»
Foster annuì. «Ma come è possibile? Insomma, hai per caso idea di quanto tempo fa sia vissuto l’autore di cui stiamo parlando?»
«Ricordo che il nonno diceva che sia nato prima che l’uomo mandasse il primo satellite nello spazio, e che abbia scritto molte storie prima che mettessimo addirittura piede sulla luna.»
«L’età della pietra praticamente!»
«Già. L’età della pietra.» confermò Bell.
«Assurdo.» asserì Foster «Come può aver formulato le leggi che Rickmann ha usato per programmare buona parte del comportamento di Bob secoli prima che l’uomo potesse addirittura permettersi di immaginare di costruire il più semplice dei robot? Insomma, ho sentito Rickmann e ho visto com’è rimasto di stucco quando gli hai snocciolato le istruzioni impresse nei circuiti di Bob, però devo ammettere che è davvero inverosimile.»
«Lo è.»
«E allora che trucco c’è sotto?»
«Nessun trucco, George. Ricordo che l’autore fosse un uomo di scienza, un fisico o forse un chimico, non saprei con certezza. So per certo comunque che si occupava di scienza. Ed è plausibilissimo che sia riuscito ad anticipare Rickmann e le istruzioni operative di Bob. Pensaci. Uno scienziato decide di scrivere storie di robot, mentre un altro decide di costruire un robot. Per quanto distanti nel tempo e per quanto i loro fini siano abissalmente differenti dal punto di vista pratico credo che sul piano teorico sia l’uno che l’altro si siano trovati ad affrontare la stessa questione: quella riguardante le istruzioni da fornire ad un robot perché il suo comportamento lo rendesse funzionale e al tempo stesso sicuro per gli esseri umani. E credo che essendo entrambi scienziati abbiano ragionato allo stesso modo, arrivando così alle stesse conclusioni, ovvero le tre leggi.»
Foster riflettè un attimo rigirandosi il cucchiaio nelle mani.
«Si, si. Hai ragione.» concluse poi annuendo «Quest’uomo dev’essere stato un genio.»
«Se avessi letto le sue storie non avresti dubbi. Credimi George.» disse addentando di gusto una mela.
In quel momento il secchio per l’immondizia, che aveva evidentemente completato il proprio giro in quella parte della mensa, tornò a fermarsi a lato del tavolo dei due pionieri, scoperchiando il vano immondizia, in attesa.
«Non abbiamo ancora finito.» sbottò Foster.
«No. Questa posso mangiarla strada facendo.» Bell si alzò, svuotando il vassoio nel secchio e posandolo in uno scomparto inferiore. Foster fece lo stesso e i due pionieri cominciarono ad allontanarsi.
«Credi che Bob possa veramente funzionare come ha detto Rickmann?» chiese Foster a voce bassa mentre superavano i banchi di distribuzione dei pasti.
«Non saprei, George. Ma immagino che toccherà a noi scoprirlo.»
E così dicendo Philip Bell si voltò, lanciando il torsolo della mela in direzione di un cestino automatico non molto lontano. L’automa si accorse all’ultimo momento del corpo in avvicinamento, inchiodandosi a terra e facendo scattare la tavola qualcosa come un millisecondo prima che il torsolo la centrasse in pieno. Il rifiuto cadde così nel vano immondizia e il cestino si chiuse con uno schiocco metallico, riprendendo a scorrazzare tra i tavoli.
Bell piroettò allora soddisfatto e sorridente, superando la porta ovest della sala già un po' più calato nei panni del collaudatore di robot.
 
All’inizio George Foster non aveva messo a fuoco proprio bene il collaudo di Bob nell’ottica della missione su K-24d. Ed era stato forse per questo motivo che non si era sentito capace di condividere del tutto l’eccitazione del collega Philip Bell. Ma rivalutando la cosa, poi, si era reso conto che il collaudo dell’automa era una variabile miracolosa che avrebbe potuto dare alla monotona equazione che era il loro lavoro, fatta dei termini noti delle loro missioni, un gusto completamente nuovo. Ed ora, appena lasciata la stazione, mentre controllava la rotta da seguire per raggiungere il pianeta K-24d, cominciava a sentirsi addirittura eccitato come non lo era dai tempi delle prime missioni.
«Non ci vorrà molto» annunciò allegro quando Bell fece il proprio ingresso in cabina seguito da Bob «con un solo salto saremo fuori dal sistema di K-24d. In tutto dovremmo impiegarci…» controllò ancora i quadranti della plancia facendovi scorrere sopra un dito «…un’ora circa, minuto più minuto meno. Ora vado a preparare gli stabilizzatori per il salto. Vuoi sederti, Bob?» chiese alzandosi.
«La ringrazio signor Foster, ma temo che il mio peso sia eccessivo perché la poltrona possa reggerlo.»
«Giusto.» disse, e sparì oltre la soglia.
«Hai già visto lo spazio altre volte dalla stazione, Bob?» chiese l’altro pioniere mentre girava intorno all’altra poltrona per sedersi.
«Sì, dalla stanza del dottor Rickmann, signor Bell.»
«Bello, vero?»
«Sì.»
Rimasero entrambi a contemplare lo spazio oltre il finestrone della plancia.
«Non sei un tipo molto loquace, eh?»
«Sono programmato per parlare quanto basta per assolvere le mie funzioni, signore.»
«Mi sembra sensato. Ma ci vorrà un po' prima che raggiungiamo K-24d, e dovremmo pur far sì che il tempo passi. Non c’è qualcosa di cui vorresti parlare? Qualcosa che stimola la tua curiosità?»
«Curiosità?» il tono del robot non aveva alcuna inflessione, eppure Bell aveva capito perfettamente che si trattava di una domanda.
«Si, la voglia di sapere, di conoscere le cose.»
L’automa rimase in silenzio per qualche minuto.
«Nei miei circuiti esiste qualcosa che sembra corrispondere alla descrizione di quella che lei definisce curiosità.»
«Dunque c’è qualcosa che vorresti sapere.»
«Sì. Vorrei sapere se il pianeta che stiamo per visitare sia adatto o meno ad ospitare la vita dell’uomo.»
«E questo va bene. Però non ti impedisce di essere curioso riguardo altre cose, no?»
Bob tornò silenzioso. Evidentemente rifletteva.
«Invece si, signor Bell. Il mio unico interesse è quello di sapere se il pianeta K-24d possa ospitare gli esseri umani.»
«Non c’è proprio nient’altro che ti incuriosisce, che vorresti sapere?»
«No.»
«E va bene.» disse Bell sconsolato. Aveva fantasticato forse un po' troppo, aspettandosi un robot curioso che avesse voglia di discutere con lui del più e del meno. Ma d’altronde doveva aspettarselo. Quella era la realtà, e Bob non era saltato fuori da uno dei racconti di robot che gli piacevano tanto.
«Sai invece cosa incuriosisce me?» chiese poi.
«No, signor Bell.»
«Tu.»
«Questo significa che lei è interessato a me?»
«In un certo senso, sì.»
Bob riflettè.
«Lei è un pioniere. Non è interessato a trovare un pianeta adatto all’uomo?»
«Certo che lo sono.»
«Allora come fa a sentirsi interessato anche a qualcosa di differente?»
«In verità non lo so, Bob. Ma è una cosa che non ha bisogno di tante spiegazioni, poiché mi riesce normale.»
«Mi sembra così strano e improbabile.»
«Ti assicuro che non lo è. Non per noi umani almeno. Immagino che la causa di questa differenza risieda nei nostri cervelli.»
La pausa di Bob questa volta fu più lunga.
«Dunque la sua unica aspirazione non è quella di trovare un pianeta adatto all’uomo?» nella sua voce metallica sembrava esserci qualcosa di molto simile all’incredulità, ma doveva essere stata soltanto un’impressione di Bell.
«No. È una delle mie aspirazioni, una delle più importanti per giunta, ma non l’unica.»
Bob rimase in silenzio, mentre la porta della cabina scivolava e Foster rientrava.
«Gli stabilizzatori sono a posto» disse. Si sedette e sbirciò sulla plancia. «E siamo anche abbastanza lontani dalla stazione. Possiamo eseguire il salto.» così detto allacciò le cinture.
«Bene George.» disse Bell. Si assicurò così anch’egli alla poltrona, indicando poi una maniglia tubolare e rivolgendosi al robot. «Bob, sarà meglio che tu ti mantenga a quella. Ci sarà una leggera accelerazione e potresti sbilanciarti se rimani in piedi.»
«Va bene signor Bell.»
Quando tutti e tre furono assicurati i due pionieri iniziarono la procedura per il salto. La nave all’improvviso accelerò e quasi nello stesso istante le stelle si allungarono a formare sottili strisce bianche che scivolavano dietro di loro ad alta velocità. Qualche secondo dopo la nave decelerò, e le stelle tornarono normali.
Si slacciarono le cinture e Foster si chinò sui quadranti.
«Perfetto. Siamo fuori dal sistema di K-24d. Non ci metteremo molto.» tornò a sedersi sulla poltrona e si girò verso l’automa. «Allora Bob, questo è il tuo primo viaggio nello spazio, eh?»
«Si, signor Foster.»
«Come ti sembra?»
«Veloce.»
«Si, lo è. Almeno da quando sono stati sviluppati i sistemi che permettono di viaggiare nell’iperspazio. Prima l’uomo poteva coprire distanze che non andavano oltre i quattrocento mila chilometri, circa. O almeno poteva farlo, ma c’era bisogno di moltissimo tempo. Oggi non abbiamo più di questi problemi.»
«Capisco.»
«Potevamo andare sulla Luna, su Marte, ma non potevamo uscire dal sistema solare. Tu sai cosa sono Marte e la Luna, Bob?»
«Si, signore. La Luna è l’unico satellite della Terra, mentre Marte è il quarto pianeta del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole.»
«Dunque sei informato riguardo il Sistema Solare.»
«Si.»
«Bene. Il sistema del pianeta che ci interessa è molto simile. La stella è leggermente più piccola del Sole, e i pianeti che vi orbitano attorno sono sei. I due più vicini alla stella sono troppo caldi, i due più lontani sono giganti gassosi. Sul terzo le forze di attrazione dei quattro satelliti creavano effetti che avrebbero reso troppo complicata la vita all’uomo. Rimane solo K-24d, che in verità sembra…»
«Non dirlo» lo interruppe Bell «Ricordi la missione in quel sistema nella nebulosa Arco? Sembra promettere bene dicesti, e invece…»
«E va bene Philip, terrò la bocca chiusa stavolta.» disse sghignazzando.
«Se non sbaglio quella è la stella, mentre quello lì dovrebbe essere K-24d.» disse Bell indicando oltre il finestrone.
Foster ruotò la poltrona e diede uno sguardo prima allo spazio e poi ai quadranti sulla plancia.
«Si, sono loro. Siamo in dirittura d’arrivo.»
E infatti dopo venti minuti la nave si accingeva ad atterrare nell’emisfero non illuminato del pianeta, su quella che le luci poste al di sotto della fusoliera rivelarono essere la superficie di una pianura rocciosa. Quando l’atterraggio fu completato Bell si slacciò le cinture e si rivolse al robot.
«Bene, Bob. Io e George rimarremo qui mentre tu esci e fai il tuo lavoro.» accese poi uno schermo rettangolare e piatto, che però era nero «La videocamera?»
Bob si tastò una tempia e la cabina si materializzò sullo schermo.
«Perfetto. Il sistema di comunicazione?»
Bob si sfiorò la gola. «Dovrebbe funzionare, signore» la sua voce uscì sia dalla sua bocca che dagli altoparlanti sulla plancia. Funzionava.
Bell cacciò poi da uno scomparto sotto la plancia uno strumento piccolo e rettangolare. Schiacciò un pulsante e comparve una griglia al cui centro c’era un puntino rosso.
«Anche il sistema di localizzazione funziona. Credo che siamo a posto.» concluse Bell guardando Foster. Il pioniere annuì.
«Bene. Andiamo Bob.»
Una volta al portellone che dava sulla camera di decompressione Bell indugiò un istante.
«Stai per soddisfare la tua curiosità, Bob. Tra non molto saprai se K-24d sia abitabile o meno dall’uomo.»
«Si, signore.»
«Come ti senti?»
Bob riflettè.
«È come se nel mio cervello fossero in corso centinaia di migliaia di minuscoli cortocircuiti, che però non pregiudicano le mie funzionalità. Anzi, le mie capacità di pensiero sembrano addirittura migliorate, e lo stesso vale per il controllo motorio. Non riesco a spiegarmelo.»
Bell sorrise «Sei eccitato, Bob. Ed anche felice.» disse. Poi azionò il portellone «Forza, vai.»
E l’automa andò. Il portellone si chiuse dietro di lui e poco dopo si aprì quello davanti che dava all’esterno.
«Cos’è questa storia dell’eccitazione e della felicità, Philip? Bob è capace di provare emozioni?»
Chiese Foster quando l’altro pioniere fu tornato in cabina. Bell lo guardò perplesso per un istante, ricordandosi poi degli altoparlanti.
«Non emozioni come le nostre» rispose, tornando a sedersi «Però qualcosa di simile.»
«Impressionante.»
«Già.»
Guardarono entrambi lo schermo, colorato di verde per via del visore notturno, accorgendosi che Bob era già a lavoro. Dagli altoparlanti nessun rumore.
Foster era perplesso, e Bell se ne accorse.
«Deve aver disattivato il microfono rimanendo però in ascolto» chiarì «Se avrà bisogno ci contatterà.»
Ma Foster non sembrò convinto. Per tutta risposta Bell schiacciò un pulsante sulla plancia.
«Bob, mi senti?» chiese.
La voce del robot riempì la cabina «Si, signor Bell. C’è qualcosa che non va?» Bell lanciò allora all’altro pioniere un’occhiata da te l’avevo detto.
«No, tutto apposto. Volevo soltanto assicurarmi che il sistema di comunicazione funzionasse a dovere. Buon lavoro.»
«Grazie, signore.»
Bell staccò il dito dal pulsante.
«Almeno così siamo sicuri» si giustificò Foster «Non ci resta che aspettare, sperando che vada tutto liscio.»
«Sono abbastanza fiducioso.»
«Montiamo il campo domani?»
«Si. Almeno avremo qualcosa per passare il tempo» disse Bell «Bè, direi di provare a dormire.»
«Non vogliamo prima settare gli orologi?»
«Possiamo farlo domani, no?»
«In effetti hai ragione.»
Bell mise così una mano nello stesso vano dal quale aveva tirato fuori lo strumento di localizzazione che si era messo in tasca, tirandone fuori una radio che settò in modo da escludere gli altoparlanti dal canale di comunicazione con Bob. Poi staccò lo schermo piatto dal supporto e seguì Foster fuori cabina.
 
Quando ebbero settato gli orologi la mattina successiva Bell si rese conto che dovevano essere arrivati sul pianeta circa a metà nottata, poiché nonostante un giorno complessivo su K-24d durasse all’incirca trentadue ore e nonostante la notte ne durasse di conseguenza più o meno sedici, dopo nemmeno sette ore dal loro atterraggio il sole (come era impossibile non chiamare la stella di ogni pianeta su cui si recavano per loro missioni) era già sorto.
Le ore di luce passarono velocemente, e quando il sole ebbe tramontato i due pionieri avevano già terminato l’allestimento del campo. Bob intanto non si era mai messo in contatto e, come Foster e Bell avevano potuto appurare tenendo d’occhio radar e teleschermo, aveva lavorato indisturbato. E ciò aveva indotto i due pionieri a credere che avrebbe continuato a farlo senza che niente andasse storto, rendendoli più che certi che l’automa sarebbe tornato quella stessa notte dopo più o meno le trentadue ore del giorno completo di K-24d, proprio come aveva previsto il dottor Rickmann. Ma la mattina successiva i due pionieri, che non avevano ritenuto opportuno aspettare svegli che l’automa tornasse, si accorsero invece che quello non era ancora rientrato. E non l’avrebbero ritenuta una cosa singolare se, dando uno sguardo al teleschermo collegato alla vista dell’automa, si fossero accorti che Bob era ancora a lavoro con le sue rilevazioni. L’automa, però, non si stava occupando delle rilevazioni. Anzi, pareva che non si stesse occupando proprio di niente, almeno niente che non fosse il camminare senza quella che potesse sembrare una meta precisa. E quello era decisamente abbastanza perché l’intera situazione, a detta di George Foster e Philip Bell, si potesse definire singolare.
«Che cosa sta facendo?» chiese Foster.
«Sembra proprio niente.» rispose l’altro.
«Mi sbaglio oppure anche tu non ricordi che Rickmann abbia parlato di un comportamento del genere?»
«No, non ne ha parlato.»
«Allora è possibile che stia elaborando i dati, no?»
Bell alzò le spalle «Può darsi» disse, tenendo lo sguardo fisso sul teleschermo nel tentativo di cogliere qualunque particolare potesse permettergli di capire se davvero l’automa stesse elaborando i dati che aveva raccolto fino ad allora o se quella sua passeggiata avesse un qualche altro senso (ammesso ma non concesso che ne avesse). «Passami la radio, George» disse poi dopo un minuto di infruttuosa osservazione. Quando il collega gli ebbe passato lo strumento il pioniere schiacciò un piccolo interruttore, chiudendo il contatto della comunicazione «Bob. Bob, mi senti?»
Dal teleschermo i due pionieri si accorsero che l’automa, essendosi fermato, doveva aver effettivamente sentito. Ma da come la visuale si era spostata prima a destra e poi a sinistra e da come la radio era rimasta silenziosa entrambi avevano approssimativamente concluso che Bob non aveva né capito da dove provenisse la voce né tantomeno a chi appartenesse. I due pionieri si scambiarono allora un’occhiata perplessa mentre lo schermo tornava a fissarsi sulla direzione che Bob aveva intenzione di seguire.
«Qualcosa mi dice che non sta elaborando i dati.» disse Bell.
«Si, ho la stessa sensazione. Ma cosa gli prende? Insomma, non solo non ti ha riconosciuto ma sembrava anche non avere idea che la tua voce provenisse dalla radio.»
«Si. Dev’essergli successo qualcosa.»
«Tipo cosa?»
«Non lo so, George. Qualcosa.»
Entrambi fissarono lo schermo.
«Riproviamo» disse poi Bell. Chiuse di nuovo il contatto della comunicazione «Bob, sono Bell. Se mi senti rispondi.»
Ma l’automa non rispose, limitandosi ancora a fermarsi e guardarsi intorno.
Bell allora tolse il dito dal contatto sulla radio, sospirando.
«Non solo non capisce da dove proviene la mia voce, sembra proprio che non capisca una parola di quello che dico. Altrimenti risponderebbe.»
«Dici che qualcosa gli abbia fatto saltare un circuito?»
«Non saprei. Però visto il suo comportamento direi che è possibile.»
«Lo dicevo io che poteva succedere.»
«Comunque sia dobbiamo fare qualcosa. Non possiamo lasciarlo là fuori aspettando che si riprenda e torni al campo.»
«Si, hai ragione. Ma come conti di farlo salire sulla nave? Voglio dire Philip, se non ha riconosciuto la tua voce non credo sia nemmeno capace di riconoscere la tua faccia, o la mia. E se poi non è davvero neppure in grado di capire quello che diciamo non so proprio come potremmo convincerlo a seguirci.»
Bell riflettè un istante.
«Per quel che ne sappiamo potremmo anche trovare il modo di farlo tornare in sé una volta raggiunto…però porteremo uno di quei carrelli su rotelle e aperti su un lato che abbiamo usato ieri per spostare il materiale quando abbiamo montato il campo. Lo mettiamo di fronte a Bob sperando che ci entri dentro, altrimenti ce lo spingiamo. Credo sia la cosa più semplice visto il sistema di deplezione della forza peso installato sul carrello. O almeno è l’unica cosa che mi viene in mente se penso ad un modo per trasportare un robot che pesa non so quante centinaia di chili.»
«Si, è una buona idea.» annuì Foster. E credeva che lo fosse davvero, una buona idea. Continuò a crederlo mentre la nave decollava e mentre fendeva la limpida aria mattutina di K-24d in direzione dell’automa errante. Ma quando quello fu in vista la fiducia di George Foster in quell’idea scivolò via come sabbia tra le dita.
«Oh, diavolo.» disse Foster attonito.
Bell processò invece in silenzio la vista di Bob che si dirigeva tranquillo verso il crepaccio di quello che sembrava essere un burrone roccioso piuttosto profondo. Dopo un istante rinvenne e prese la radio, chiudendo il contatto «Bob! Bob! Bob fermati! Fermati!»
Per un breve istante entrambi i pionieri credettero che questa volta Bob avesse capito davvero e si fosse fermato. Ma l’automa riprese quasi subito a camminare in direzione del precipizio.
Bell allora chiamò ancora. Questa volta però il robot non si fermò nemmeno per un istante.
«Come mai non si è fermato?» chiese Foster.
«Non lo so.» disse Bell, poi chiuse di nuovo il contatto della radio «Bob, se mi senti fermati!»
Ma l’automa non diede segno di volersi fermare, di nuovo.
«Forza George, dobbiamo raggiungerlo.» e così detto si precipitò fuori dalla cabina di pilotaggio.
George Foster spinse la nave più veloce verso Bob, il primo strabiliante robot antropomorfo mai costruito dall’uomo che, in circostanze piuttosto strane, stava per gettarsi in un dirupo.
«Cosa facciamo Philip? Non lo raggiungeremo mai con il carrello.» chiese Foster quando sentì il collega rientrare in cabina. Quando si voltò vide che Bell era intento a sistemarsi il piccolo casco della tuta ultraleggera che i pionieri usavano quando avevano bisogno della massima libertà di movimento. «Che hai intenzione di fare?»
«Ho un piano George. Devi atterrare dietro di lui.»
«Che piano?»
«Non c’è tempo, fallo e basta.»
«E il carrello? Innesco l’atterraggio automatico e mi infilo la tuta. Insieme…»
«No, no. Atterra, veloce. Posso fare da solo. Veloce.» e afferrò la radio precipitandosi fuori dalla cabina.
E non appena George Foster, più che perplesso, ebbe portato a terra la nave Philip Bell ne schizzò fuori correndo a perdifiato in direzione dell’automa, che doveva essere ormai ad una ventina di metri dal baratro. Come già aveva notato il giorno prima montando il campo la gravità di K-24d non era di molto superiore a quella della Terra, ma non per questo correre risultava meno faticoso. Anzi. E questo era soltanto uno dei motivi per i quali Bell non era sicuro che avrebbe raggiunto l’automa prima che quello cadesse nel dirupo. Ma doveva comunque tentare. Si portò così la radio al casco. «Bob! Se mi senti vorrei renderti consapevole del fatto che sono proprio dietro di te, e che sto per passarti accanto e saltare nel vuoto. Nel caso tu non mi salvassi avrai violato la prima legge, e violeresti al contempo anche la seconda perché ora ti ordino tassativamente di salvarmi. Vorrei inoltre farti presente che se non dovessi salvarmi verresti smantellato, perché verresti reputato inefficiente.» così detto Bell attaccò la radio alla cintura e continuò a correre, sperando che si sbagliasse in pieno riguardo la capacità di Bob di capire le sue parole. Poi dopo nemmeno un istante si trovò dietro l’automa e serrò gli occhi nel momento in cui gli sfiorava la spalla. Quasi nello stesso istante i piedi presero ad annaspargli nel vuoto e una frazione di secondo prima che le sue speranze si inabissassero nell’assoluta certezza che si fosse sbagliato e che Bob lo avesse lasciato precipitare si sentì frenare bruscamente da qualcosa che lo afferrava allo stesso tempo per una spalla e per un fianco, e che lo tirava indietro facendogli dondolare avanti e indietro le gambe sospese.
«Signore! Ma cosa credeva di fare? Stava per…per…»
Allora Bell seppe di non essersi sbagliato. Sollevato, aprì gli occhi mentre Bob lo rimetteva coi piedi per terra. Ebbe allora una fugace visione di quello che c’era nel precipizio e distolse lo sguardo percorso da un tremito. «Si, si Bob. Lo so.» disse, ma si accorse di respirare a fatica. La corsa lo aveva lasciato senza fiato e l’ossigenatore, che attingeva ad una riserva più esigua rispetto a quella di cui erano munite le tute più ingombranti, rilasciava dosi di ossigeno troppo ridotte perché i polmoni del pioniere si riprendessero facilmente. Sentì che la vista andava offuscandogli.
«Bob…l’ossigeno…la nave, portami alla nave.» furono le uniche cose che riuscì a dire. Poi svenne.
 
Quando si svegliò si accorse di trovarsi nel lettino della piccola infermeria della nave e di avere la mascherina collegata all’erogatore di ossigeno. Se la tolse, mentre Foster si chinava su di lui.
«Come stai, Philip?»
«Bene, George. Bob sta bene?»
«Oh sì, sta bene. È qui.»
A quel punto Bob si avvicinò al lettino e Bell si mise a sedere.
«Non so come tu abbia fatto ma è tornato come prima. O almeno a me così sembra.»
«Cosa ricordi, Bob?» chiese Bell rivolgendosi all’automa.
«Non molto in verità signore. Ricordo che stavo effettuando le elaborazioni dei dati, poi…» il robot esitò, guardando prima uno e poi l’altro pioniere.
«Poi?» lo incalzò Bell.
«Vede, è strano. Il ricordo immediatamente successivo a quello delle elaborazioni è quello di lei che mi passa accanto prima che io l’afferri e le impedisca di cadere nel dirupo. Non ci sono banchi di memoria intermedi, nemmeno uno. Però...non so come potrei farglielo capire. Sono sicuro che i miei circuiti non fossero spenti…»
«No che non lo erano. Per tutti gli anelli di Saturno Bob, hai camminato senza meta per quasi dieci ore.» disse Foster.
«Non lo ricordo.»
«Non ricordi nemmeno quando ti abbiamo chiamato alla radio?» chiese Bell «ti sei fermato e dal teleschermo abbiamo visto che ti sei guardato intorno senza capire da dove provenisse la voce.»
«No, signore. Non ricordo niente di tutto ciò. Vedete…ogni singolo circuito del mio cervello conserva una sorta di memoria intrinseca che mi permette di risalire alle informazioni processate da quel circuito. Senza un’analisi completa non posso essere sicuro di cosa stesse elaborando nello specifico il mio cervello mentre, come voi dite, camminavo senza meta, ma posso affermare con certezza che era qualcosa di troppo complesso perché si trattasse soltanto delle istruzioni motorie necessarie a camminare.»
«Posso assicurarti che è così, Bob. Camminavi e camminavi, e camminando per poco finivi in un burrone. E in quel burrone ci sarei finito anch’io se non mi avessi salvato.»
«Si, signor Bell. È per questo che mi sembra così strano e improbabile. Io credo sia a lei che al signor Foster. Però al contempo la memoria intrinseca ai miei circuiti suggerisce alle unità di elaborazione che i circuiti stavano elaborando qualcosa di troppo complesso perché si trattasse soltanto delle istruzioni motorie necessarie a camminare.»
Foster e Bell si scambiarono uno sguardo.
«Prima hai detto che non puoi essere davvero sicuro di quello che stavano elaborando i tuoi circuiti senza un’analisi completa. Dunque puoi risalire a quelle informazioni?»
«Si signore. Ma ci vorrà del tempo.»
«Quanto?»
«Non lo so di preciso signore. Il necessario.»
«Ti dispiacerebbe farlo?»
«No, signore.»
«Hai bisogno di stare da solo Bob, oppure non so…» chiese Foster, spostando perplesso lo sguardo dall’automa al collega.
«Non ce ne sarà bisogno, signore.» disse, e non aggiunse altro.
Ci fu una breve pausa, durante la quale entrambi i pionieri si aspettarono un qualche tipo di segnale dell’automa che annunciasse l’inizio dell’analisi circuitale. Ma quello si limitava a rimanere immobile e silenzioso.
«Ha già iniziato secondo te, Philip?»
«Credo di sì.»
Rimasero entrambi per qualche secondo a contemplare l’automa immerso da qualche parte nelle profondità dell’intrico di circuiti che doveva essere il suo cervello.
«Proprio strana questa storia.» disse Foster massaggiandosi una tempia.
«Già.»
«Bè, sembra che abbiamo un po' di tempo frattanto che Bob si scandaglia i circuiti. Magari potremmo impiegarlo con te che mi spieghi come hai fatto a farlo riprendere da quello stato ed io che ascolto e provo a capire. Insomma Philip, almeno per me Bob era completamente ammattito. A camminare per ore senza meta e incapace di rendersi conto delle chiamate via radio. Credevo seriamente che lo avremmo caricato sul carrello e lo avremmo chiuso nella stiva della nave per tutta la durata della missione, sentendolo picchiare ogni notte la testa contro la parete mentre provava a continuare a camminare.»
Bell non riuscì a trattenere un sorriso.
«Invece lo hai riportato tra noi. Come hai fatto?»
«Niente di eccezionale, George. Ho soltanto giocato un pò con i suoi circuiti.»
«Che vuoi dire?»
«Quando sono sceso dalla nave dopo che sei atterrato ho portato con me la radio» indicò lo strumento poggiato sul tavolo accanto al lettino «e ho contattato Bob.»
«Credevo che avessi detto che non poteva capire quello che dicevi.» disse Foster.
«Bè sì, l’ho detto. Ma ho sperato che mi sbagliassi. E per fortuna mi sbagliavo. In tutti i casi l’ho contattato via radio e gli ho detto un paio di cose. Gli ho detto che stavo per passargli accanto e saltare nel burrone e che se non mi avesse afferrato non solo avrebbe violato la prima legge perché sarei morto, ma che avrebbe violato anche la seconda, perché gli ordinavo di salvarmi. Poi gli ho detto che con tutta probabilità se non mi avesse salvato e mi avesse lasciato morire sarebbe stato ritenuto inefficiente e lo avrebbero smantellato, lasciando intendere che non sarebbe riuscito a rispettare nemmeno la terza legge, che se ricordi sostiene che un robot deve proteggere la propria esistenza.»
Foster lo guardò perplesso e scosse la testa, senza capire.
«Vedi, George, in tutta sincerità non sapevo in che stato fosse Bob. Non sapevo se fosse stato capace di sentirmi e se fosse capace di capire. Non ero nemmeno troppo sicuro che fosse capace di vedere, ma ero fiducioso. D’altronde quando lo abbiamo contattato si è guardato attorno stranito, e almeno a me quella reazione è sembrata una conseguenza abbastanza ovvia del fatto che potesse vedere. Si, lo so cosa stai pensando. Perché non ha deviato quando si è accorto che stava andando verso un burrone? Forse lo avrebbe fatto una volta arrivato sul precipizio. O forse no. Non saprei dirlo. Fatto sta che ho assunto per vero che fosse capace di vedere, e che fosse capace oltre che di sentirmi anche di capire. Ho pensato così che se mi avesse visto in pericolo, e con questo non intendo che fosse necessario che mi riconoscesse, ma bastava che capisse che fossi un essere umano, e che se la prima legge fosse stata abbastanza forte allora l’impulso di salvarmi sarebbe stato così solido da farlo riprendere. Così gli ho detto che se non mi avesse salvato avrebbe violato la prima legge, poi ho rafforzato la prima legge con la seconda ordinandogli di salvarmi e poi ho rafforzato ulteriormente la prima legge con la terza dicendo che se non mi avesse salvato sarebbe stato distrutto. Poi ho corso e gli sono passato accanto perché mi vedesse bene e potesse afferrarmi prima che cadessi. Non guardarmi così, George. Lo so che ho rischiato di precipitarmici in quel burrone. Ma qualcosa dovevamo pur fare, e quella era la cosa migliore che mi venisse in mente al momento. Comunque sia, qualcosa deve essere scattato nella mente di Bob, altrimenti non mi avrebbe salvato. Per quel che ne so può darsi che lo avrebbe fatto anche senza che gli dicessi niente, soltanto vedendomi in pericolo. Ma non credo abbia troppa importanza, ormai.»
«Si, suppongo tu abbia ragione.» disse, con la fronte aggrottata. Poi aggiunse «Devo ammettere che sono un po' rammaricato. Insomma, un cambio di collega non mi farebbe male, e anche se non pensavo certo a circostante così tragiche per la sostituzione mi sarei comunque accontentato.»
Bell rise «Sei proprio un coglione, George.»
«Si, hai ragione» ammise lui, sorridendo. Poi, serio «Scherzi a parte, Philip, sono contento che tu stia bene.»
Bell annuì. Seguì una pausa.
«Signori» la voce dell’automa fece letteralmente trasalire Foster. «ho terminato l’analisi dei miei circuiti.»
«Bene Bob. Allora?» chiese Bell.
«È molto strano. Dall’analisi è risultato che dal momento in cui stavo elaborando i dati rilevati sulla superficie del pianeta fino a quando l’ho afferrata i circuiti hanno processato una quantità di informazioni pari a settantatré virgola tremilanovecentosettantaquattro moltiplicato per dieci elevato alla…»
«Risparmiaci i numeri, Bob.» disse Foster.
«Si tratta di una quantità di informazioni enorme, signore. Non pensavo nemmeno che il mio cervello avesse queste capacità. Tra tutte le informazioni processate ho individuato le istruzioni motorie responsabili di quello che voi avete descritto come il comportamento da me assunto nell’intervallo tempo di cui non ho memoria. La cosa strana è che si tratta di pochissime informazioni rispetto al totale di quelle a cui sono risalito. Inoltre tutte le altre sono informazioni di ogni possibile genere processate in un modo ed in un ordine che non sembra avere senso. Ho addirittura individuato informazioni processate allo stesso tempo da circuiti che non dovrebbero poter funzionare contemporaneamente.»
«Precisamente che tipo di informazioni, Bob?»
«Di qualsiasi tipo, signore. Anche informazioni che sembravano provenire dai miei strumenti.»
«Informazioni sensibili.»
«Il dottor Rickmann una volta disse che gli strumenti di rilevazione di cui sono dotato sono l’equivalente più sofisticata dei sensi umani. Quindi suppongo che sì, si trattasse di informazioni sensibili.»
«Ma non stavi effettuando alcun tipo di rilevazione. Erano forse i dati che hai rilevato per la missione?»
«No signore. Quelli erano e sono tutt’ora conservati in celle di memoria speciali e sono sicuro che non si trattasse di quei dati.»
«Ma aspetta un attimo Bob. Hai detto che l’ultima cosa che ricordi prima che afferrassi me è che stavi elaborando i dati delle rilevazioni. Ricordi per caso a che punto fosse l’elaborazione l’istante prima che perdessi la memoria?»
«Novantanove virgola nove per cento, signore.»
I due pionieri si scambiarono uno sguardo, stupiti.
«Novantanove virgola nove?» ripetè Foster. Poi si rivolse a Bell. «Che sia stata l’elaborazione a mandarlo in tilt?»
«Non lo so, George. Però è probabile. O almeno sembra la cosa più probabile» disse. Si rivolse poi all’automa «Bob, l’elaborazione è andata a buon fine? Hai finito di elaborare i dati?»
«Si signore. Ma mi preme ricordarla che ho ordine di non fornirvi né i risultati né alcun dato da me rilevato, e questo al fine di non compromettere l’esito delle vostre r…»
«Si, si Bob. Lo ricordiamo. Quindi hai finito di elaborare i dati.»
«Si signore.»
«Se fosse stata la mole di dati da elaborare a mandarlo in tilt l’elaborazione non sarebbe stata completata, questo è certo. Così su due piedi ammetto che non so cosa pensare. Non so proprio cosa possa essere successo per mandarlo in quello stato.»
«Lo stesso vale per me, Philip.» replicò Foster con un’alzata di spalle.
«Bob, tu hai letteralmente guardato nel tuo cervello. Non hai trovato qualcosa che possa darti qualche indizio riguardo a cosa possa essere stata la causa di questa specie di…non saprei come definirlo…cortocircuito?»
«No, signore.»
«Bè, allora immagino che sarà il tuo creatore a venirne a capo. D’altronde è lui l’esperto.»
«Si, signore.»
«Però devo ammettere che è proprio strano. Insomma, ora stai bene e l’elaborazione è anche stata completata, quindi non dovrebbe importare più di tanto. Ma mi piacerebbe sapere proprio che ti è preso.»
«Si, signore. Vorrei saperlo anch’io.» rispose l’automa.
In un primo momento Bell non badò a quelle parole. Ma qualcosa aveva cominciato a prendere forma nella sua mente. I frammenti sparsi e apparentemente incompatibili che erano gli eventi capitati nelle ultime quindici ore ora cominciavano ad incastrarsi gli uni con gli altri.
«Come hai detto Bob?» chiese d’istinto.
«Ho detto: si, signore. Vorrei saperlo anch’io.» ripetè l’automa.
E allora l’ultimo dei frammenti andò al suo posto. E Bell capì. Ma non lo diede a vedere.
«Bè, George.» disse sorridente «direi che sia ora di iniziare il nostro lavoro. Non pensi?» disse Bell, alzandosi dal lettino.
«Direi di sì, collega.»
Si avviarono verso la porta, seguiti da Bob.
«Non so perché ma ho la sensazione che questo pianeta potrebbe essere quello giusto.»
«Va là Philip. Non dirmi che hai smesso di credere che porti sfortuna dirlo.»
«No George. Ma per questa volta farò un’eccezione.»
 
Quattro mesi dopo erano di nuovo a bordo della Pioneer-7. In attesa nell’ufficio del direttore i due pionieri erano al riparo dal trambusto che s’infrangeva contro le pareti metalliche. Si trattava del trambusto di una grande, immensa fibrillazione in cui era immersa l’intera stazione, per la precisione da nemmeno mezz’ora la prima stazione del progetto Pioneer ad aver individuato un pianeta che fosse abitabile dall’uomo: K-24d.
«Tu lo sapevi, vero?» chiese George Foster rivolgendosi al collega.
«Cosa, George?»
«Non ci provare, Philip. Ti ho visto mentre il computer elaborava i dati. Sarei riuscito a decifrare quell’espressione da un parsec di distanza. Sapevi che K-24d sarebbe stato adatto prima che il computer terminasse l’elaborazione.»
«Come potevo?» Bell si fingeva perplesso, ma non riusciva a trattenere un sorriso.
«Bella domanda. Non lo so. Ma qualcosa mi dice che puoi spiegarmelo tu.»
«Si, hai ragione» ammise Bell, divertito «È stato Bob a farmi capire che K-24d sarebbe risultato abitabile.»
«Vuoi dirmi che ti ha spifferato i risultati della sua elaborazione? Ma come…credevo…»
«No, George. Non mi ha spifferato niente. Ricordi quando eravamo nell’infermeria, dopo che ero svenuto e Bob mi aveva riportato alla nave?»
«Non credo potrei dimenticarmelo.»
«Si. Bè, è lì che ho capito. È stato per via di una cosa che ha detto. All’inizio della missione, quando eravamo diretti su K-24d, ho scambiato quattro chiacchiere con Bob. Tu eri a sistemare gli stabilizzatori. Ero convinto che potesse essere un buon interlocutore, forse per via di tutti quei racconti che ho letto da ragazzino in cui i robot riuscivano a dimostrarsi addirittura curiosi. Ma Bob invece si è dimostrato interessato ad un’unica cosa: sapere se il pianeta verso cui eravamo diretti fosse o meno adattabile alla vita dell’uomo. E c’è dell’altro. Sembrava addirittura che quella di trovare un pianeta del genere fosse la sua unica aspirazione. Non ricordo di preciso come arrivammo a quel punto della discussione, ma capii chiaramente che fosse così. Lì per lì non vi diedi molto peso. Soltanto dopo, quel giorno nell’infermeria, capii davvero quali implicazioni avesse tutto ciò» si fermò un attimo «Ricordi quando chiesi a Bob se aveva idea di cosa lo avesse mandato in cortocircuito?»
«Si.»
«Lui rispose di no, ed io dissi che se ne sarebbe occupato Rickmann. Poi aggiunsi che mi sarebbe comunque piaciuto sapere cosa gli fosse preso. E Bob disse la stessa cosa. Te lo ricordi?»
«Si, vagamente.»
«Bè, quella fu la chiave.»
«Non ti seguo molto, Philip.»
«Pensaci, George. Prima Bob dice che la sua unica aspirazione è quella di trovare un pianeta adatto all’uomo, dimostrandosi interessato soltanto alle rilevazioni da fare su K-24d. Poi invece si dimostra interessato anche a qualcos’altro.»
«Bè, non mi sembra una cosa troppo strana. Voglio dire, non è detto che dovesse per forza essere interessato soltanto alle rilevazioni.»
«È la stessa cosa che ho pensato io quando ci ho parlato sulla nave, George. Ma lui mi assicurò che quell’interesse escludesse tutti gli altri. Te l’ho detto.»
«Da non credere.»
«Già» affermò «per questo ti dico che è strano il fatto che fosse capace d’interessarsi a qualcosa che non fossero le rilevazioni. In tutti i casi conclusi che potesse essere possibile soltanto nel caso in cui Bob non solo non fosse più interessato alle rilevazioni, ma soprattutto nel caso in cui non si sentisse più incessabilmente spinto a trovare un pianeta adatto all’uomo. E questo poteva essere possibile soltanto in un unico caso: quello in cui ne avesse trovato uno, di pianeta adatto all’uomo. È così che ho capito quale sarebbe stato il risultato dell’elaborazione delle macchine della stazione .»
«Pazzesco, Philip. Pazzesco davvero.»
«E non è tutto, George. Nello stesso momento ho anche capito cosa è successo a Bob, cosa lo ha fatto andare in tilt.»
«Davvero?»
«Si. Vedi George, l’unica e assoluta aspirazione di Bob era quella di trovare un pianeta che fosse adatto ad ospitare la vita dell’uomo. Come credi che abbiano reagito i suoi circuiti al termine dell’elaborazione, quando ha scoperto che K-24d era davvero adatto? Voglio dire, quello di trovare un pianeta che potesse ospitare l’uomo era il suo fine ultimo, e l’ha raggiunto. Dunque i suoi circuiti devono aver processato il risultato dell’elaborazione producendo credo la consapevolezza, o almeno qualcosa di simile dal punto di vista elettronico, di aver raggiunto il proprio scopo, lo scopo della propria esistenza. Ma non credo sia stato solo questo a mandarlo in tilt. Penso che nell’istante in cui sia terminata l’elaborazione debba essersi reso conto di non avere più qualcosa per cui esistere. Forse le due consapevolezze, se vogliamo chiamarle così, si sono scontrate e gli hanno sconvolto i circuiti, mandandolo in tilt. E penso che possa essergli successo qualcosa del genere perché Rickmann disse che il cervello di Bob è stato progettato sulla base della conoscenza del cervello umano e perché credo che sarebbe proprio il genere di cosa che succederebbe ad un essere umano se mai dovesse adempiere ad un ipotetico ed assoluto scopo della vita. Anche se devo ammettere che non credo che ad un essere umano capiterà mai qualcosa del genere, semplicemente perché penso che la vita dell’uomo non abbia né possa avere uno scopo assoluto e limitante come può averlo quella di un robot, scopo che beninteso è il costruttore a imprimere nel cervello del robot che egli stesso costruisce.» Fece una breve pausa. «Comunque per fortuna il tilt di Bob non è stato irreversibile e facendo forza sulla prima legge è stato possibile farlo rinsavire. E così una volta tornato tra noi è riuscito a sentirsi interessato a sapere cosa gli fosse preso, perché non aveva più quell’unica aspirazione che lo spingeva, o meglio costringeva a sentirsi incessantemente interessato alle rilevazioni. Tutto qui.»
«Tutto qui, eh» fece Foster, strabuzzando gli occhi «Lo dici come se fosse tutto così semplice.»
Bell sorrise.
«Hai intenzione di dirlo al dottor Rickmann?» disse «voglio dire, gli spiegherai tutto come lo hai spiegato a me?»
«Si, George.»
Foster annuì.
«Sai cosa, Philip? Penso proprio che tu abbia la stoffa del collaudatore di robot. Rickmann potrebbe anche pensare di assumerti.»
Bell rise di gusto.
«No, no, dico sul serio. Là fuori stanno facendo quel gran baccano, ma nessuno è stato ancora messo al corrente del fatto che è stato Bob il primo a scoprire che K-24d fosse adatto all’uomo, non l’elaboratore della stazione. Stanno tutti festeggiando il loro pensionamento anticipato e nessuno lo sa. Certo, non ne avremo la certezza fino a quando Rickmann non avrà reso pubblico il collaudo che abbiamo svolto su K-24d e il suo risultato, ma le tue spiegazioni mi sono sembrate piuttosto chiare, e credo proprio che non passerà molto prima che l’intero progetto Pioneer venga messo in mano a robot come Bob. E inoltre il successo di Bob potrebbe persuadere a lasciare che Rickmann costruisca altri robot antropomorfi che abbiano scopi differenti da quello di Bob, e allora dei collaudatori sarebbero indispensabili. Penso che dovresti seriamente prendere in considerazione l’idea di essere uno di loro.»
A quel punto Bell aveva smesso di ridere, e il suo sorriso era rimasto incerto.
«Philip Bell. Collaudatore di robot e professionista su campo» annunciò Foster «non suona mica così male.»
«Sai cosa suonerebbe meglio, invece?» chiese Bell di rimando, aspettando che Foster scuotesse la testa in segno di diniego «George Foster e Philip Bell. Collaudatori di robot e professionisti sul campo.»
Ed era vero, pensò George Foster mentre la porta alle loro spalle si apriva immergendo la stanza nel trambusto che era all’esterno.
Suonava proprio bene.
   
 
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