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Autore: CHAOSevangeline    03/09/2019    1 recensioni
{Ermes/Dioniso}
«Volevo vedere se funzionava», confessò Dioniso.
Ermes alzò gli occhi al cielo, perché impegnato com’era sembrava non avere mai tempo per nessuno.
«Funziona meglio se stai almeno tentando di dormire.»
Dioniso aveva tentato di scoprire se fosse vero che, brindando in onore di Ermes con un ultimo bicchiere di vino prima di addormentarsi, il dio rispondesse a quel modesto dono con dei bei sogni.
La curiosità sottesa di Dioniso era se Ermes avrebbe risposto, in qualsiasi modo.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dioniso, Ermes
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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La felicità è solo a un calice da qui
 


 
 
Dioniso non amava Tebe.
L’aria nei suoi dintorni, nelle distese e nelle campagne che la circondavano gli sembrava strana. Rarefatta, mefitica. Gli mancava nei polmoni che parevano accartocciarsi, quasi fossero riempiti dai miasmi umidi che strabordavano dalla terra umida di una palude.
Così il dio non vi si fermava più durante i propri viagg,i se non costretto.
Quella notte, ecco, lo era stato; era esausto e il proprio vagabondare l’aveva portato lì proprio quando ormai le forze per proseguire il proprio cammino si erano esaurite. Spostarsi oltre per quel giorno sarebbe stato al limite del suicido e pertanto sciocco. A meno che non volesse rendere felice la moglie di suo padre e farsi guardare accasciato con una guancia premuta sulla terra battuta del sentiero dall’Olimpo: per Era sarebbe stato un delizioso spettacolo e le sue risate sguaiate sarebbero state in grado di ridestarlo. Aveva scelto di evitarsi una simile umiliazione.
Dioniso aveva lasciato il sentiero per trovare un luogo dove accamparsi, deciso a riposare. Poi si era guardato intorno.
«Ugh, Tebe.»
Questo il verso di disgusto traboccato dalle sue labbra.
Non aveva compagni di viaggio, nessun corteo di invasati a tenergli compagnia: era solo. Solo con se stesso, con i propri pensieri e con l’ombra cupa del monte Citerone i cui fianchi erano venati di ricordi spiacevoli incastonati nella roccia.
Tebe non aveva più nulla che gli ricordasse una casa. Non l’aveva mai avuto, nemmeno quando l’aveva visitata la prima volta.
La situazione, da allora, era solo peggiorata.
Nel buio della notte il fuoco acceso rischiarava la radura circostante. Non per scaldarlo, ma per permettergli di intercettare possibili briganti. C’era anche questo nei dintorni di Tebe e sapeva che pallido e giovane com’era dava sempre l’impressione di essere il figlio di qualche nobile da spogliare dei suoi averi.
Ma non c’era nessuno.
Dioniso era solo. In parte, perché almeno un otre di vino con sé l’aveva.
E grazie a Zeus che c’era, il vino!
Nonostante il fuoco dovesse servigli a vedere oltre i cespugli della radura per difendersi, Dioniso non si stava guardando intorno; più che poter gettare gli occhi nella foresta, più che prevedere gli attacchi improvvisi di qualche bandito, Dioniso aveva trovato interesse nell’accendere un fuoco per essere in grado di rabboccare il proprio calice. Un sontuoso calice d’oro e tempestato di gemme, che portava con sé non tanto perché non fosse consono bere direttamente dalla giara – che gli importava? Era solo, e anche se fosse stato in compagnia dei suoi cortei sapeva che abbeverarsi alla fronte sarebbe stato un modo per farsi vedere apprezzabile e che poi se la sarebbero passata di bocca in bocca – ma perché quel vino doveva durargli fino alla città successiva e non poteva assolutamente permettersi di finirlo prima.
Ma era una scusa. E anche la ragione che usava come motivazione, altro non era se non una scusante.
Usava quel calice per dosare il proprio nettare, in modo da farlo durare fino alla città successiva, dove avrebbe fatto rifornimento. Così diceva. La verità era che avrebbe potuto riempire quell’otre di vino quando voleva e berlo a calici era solo un modo per dirsi «d’accordo Dioniso, sai che se non lo allunghi con acqua, al quarto bicchiere sei un po’ troppo su di giri: datti una controllata». Poi non si controllava mai, infatti aveva già le guance rosse, perché il sangue dell’uva l’aveva trangugiato come acqua strada facendo.
Non che fosse ubriaco. Aveva bevuto meno del solito e aveva anche sudato!
Dunque non gli interessava davvero non ubriacarsi. Usare il calice era un modo per dire che lui ci aveva provato, seppur cedendo immediatamente.
Era una giustificazione per i sensi annebbiati, per ciò che avrebbe fatto, quel calice.
E poi c’era una diceria che Dioniso voleva testare e che contemplava il solo utilizzo di coppe. E coinvolgeva proprio chi quel calice gliel’aveva regalato.
Dioniso non era ancora così popolare: non aveva troppi templi sparsi per la Grecia e nemmeno troppi amici. Quando aveva un corteo veniva additato come un disturbatore della quiete e una volta Era, per puro dispetto, gli aveva mandato contro uno sciame di api per disperdere lui e i suoi amici. Ma erano tutti così ubriachi da essersi risvegliati il giorno dopo pieni di bubboni senza che importasse loro qualcosa o che avessero davvero provato dolore.
Dioniso stava faticando a inserirsi tra gli olimpi e non solo perché la sua matrigna lo odiava, ma perché era ben diverso da loro: rifiutava quasi tutto ciò che poteva essere divino – pur avendo ucciso talvolta per non essere stato riconosciuto come figlio di Zeus – e odiava approfittarsi delle anime buone che lo ospitavano lungo il cammino sottraendo loro la virtù, la ricchezza o la libertà.
Quindi quel calice non l’aveva acquistato e nemmeno rubato. Ci aveva pensato Ermes.
«Giuro che papà err- Zeus», Ermes si era corretto subito, perché lui e Dioniso non si sentivano fratellastri e avevano deciso di chiamare Zeus con il suo nome, perché non fosse strano. «Mi ha mandato a controllare un nuovo mercato e c’erano dei trafficanti che stavano tentando di imbrogliare alcuni onesti mercanti. Un bicchiere d’oro in meno farà loro da monito per il futuro.»
Altrimenti Dioniso non l’avrebbe accettato. E questo Ermes l’aveva detto, perché lo conosceva.
Poteva essere vero oppure no. Trattandosi di Ermes, molto probabilmente aveva visto un bel bicchiere d’oro e l’aveva rubato perché gli piaceva prima di rendersi conto che a casa doveva averne a centinaia e che non se ne sarebbe fatto nulla.
Dunque Ermes, oltre ad avergli procurato quel sontuoso calice, era anche il protagonista della leggenda che Dioniso si apprestava a verificare.
Con la coppa piena di vino rosso, Dioniso la alzò al cielo e se la portò poi alle labbra. Bevve assetato, per quanto il vino possa dissetare, incurante di una goccia cremisi straripata dalle labbra e corsa sul mento.
Aspettò, abbandonandosi con un fianco sul drappo che aveva steso a terra.
Lo sentì subito. Il fremere degli alberi, la sensazione che qualcuno si stesse avvicinando. Troppo rapido per essere un brigante o persino un lupo.
E alla luce del fuoco comparve: Ermes, che sembrava di fretta come sempre, i sandali d’oro a rischiarare la notte più del fuoco o di quanto avrebbe fatto Apollo in persona.
La vista che si parò di fronte a Ermes fu quella di un Dioniso alquanto scomposto e lascivo. Non più del solito, però: il chitone lasciava scoperto parte del petto glabro e della spalla liscia, mostrando la pelle candida che avrebbe dovuto essere nascosta dalla stoffa ormai lenta per la presa pigra della cintura che pendeva dai fianchi del dio. Ermes lo aveva visto con solo una foglia a coprirlo, dunque non si formalizzò.
I boccoli di Dioniso ricordavano serpenti cremisi. Ma i suoi capelli erano di un colore che Ermes faticava a definire: erano del rosso scuro del sangue copioso che scorre sui campi di battaglia, del viola dell’uva e dell’accesa vena rossa che si scorge nelle coppe colme di vino. Erano tutto questo e qualcosa di ancora diverso. Era la natura di Dioniso che stava in ogni parte di lui, quella: inafferrabile, dicotomica.
Dioniso schiuse le labbra.
«Sei venuto!»
Ermes alzò un sopracciglio.
«Mi hai chiamato.»
Caduceo sempre alla mano e capelli fulvi indietro sulla testa, Ermes era lì dinnanzi a lui, come da dovere. Sembrava sempre ordinato, o come se la velocità con cui si spostava gli premesse le ciocche indietro sul capo.
«Non sempre quando chiamo Zeus mi risponde.»
«Sono più diligente di nostro padre.»
Era vero.
«Volevo vedere se funzionava», confessò Dioniso.
Ermes alzò gli occhi al cielo, perché impegnato com’era sembrava non avere mai tempo per nessuno.
«Funziona meglio se stai almeno tentando di dormire.»
Dioniso aveva tentato di scoprire se fosse vero che, brindando in onore di Ermes con un ultimo bicchiere di vino prima di addormentarsi, il dio rispondesse a quel modesto dono con dei bei sogni.
La curiosità sottesa di Dioniso era se Ermes avrebbe risposto, in qualsiasi modo.
Un sorriso sornione prese forma sulle labbra carnose del giovane dio abbandonato fra i fili d’erba.
«Sei arrivato subito, non me ne hai dato il tempo», gli fece notare. «Dì che non aspettavi altro.»
Ermes sorrise divertito e si avvicinò a lui.
«Non aspettavo altro che smettere di radunare anime lamentose, ascoltare nostro p—err» Stava cadendo di nuovo in errore. Dioniso rise, perché la sua voce frenava sempre in quel modo quando se ne rendeva conto. «Zeus che urla perché Era ha saputo di una nuova amante che poi lui mi manda a controllare per paura che lei le abbia già scagliato contro una maledizione.»
«Wow, è successo tutto oggi?» chiese Dioniso.
«Sì. La maledizione no però, sono arrivato in tempo ed Era ha quantomeno avuto la decenza di trattenersi visto che potevo scoprirla», spiegò. «Preferisce il giochino per cui afferma di saper contenere la gelosia e poi Zeus deve scoprire il colpevole fingendo di non sapere che si tratta palesemente di lei.»
«Se raccogliessimo le ultime novità sulle tresche olimpiche e le vendessimo alle donne delle città greche diventeremmo ricchi», fece candidamente Dioniso.
Una luce furba baluginò negli occhi di Ermes.
«Già me lo immagino.» Ermes allargò le mani davanti a sé. «Ennesimo figlio illegittimo di Zeus tenta la scalata all’Olimpo. Riuscirà a superare le prove della matrigna?»
Non era affatto una cattiva idea.
«Potremmo chiedere ad Afrodite di tenere una rubrica sui problemi di cuore.»
«Andrebbe a controllare di persona se i bei ragazzi di cui le parlano le persone sono davvero belli, e sappiamo entrambi come andrebbe a finire», lo liquidò Ermes. «Senza contare che poi dovremmo dividere per tre. Quattro, perché poi Apollo vorrà prevedere il futuro delle persone.»
Già, meglio tenere quell’idea geniale per loro.
Dioniso si tirò a sedere, le gambe scoperte dalla stoffa che si era arricciata lasciando scoperta la pelle candida. Gli era costato un rapimento, quell’incarnato: era stato scambiato per un nobile e i suoi aguzzini avevano sperato di usarlo come riscatto. Chissà perché, nonostante viaggiasse, la sua pelle rimasse sempre più pallida di quella di Ermes, dorata invece dal sole.
Rise alle ultime parole del dio, poi poggiò una guancia sul proprio ginocchio.
«Dunque, tornando alla questione di prima…» cominciò. «Nonostante tutti gli impegni riesci anche a curarti dei sogni delle persone?»
«Beh, quello è più facile. Me ne occupo a distanza», spiegò. «Mi hai chiamato per sapere come faccio il mio lavoro?»
Dioniso scosse il capo.
«Allora perché?»
Ermes sapeva dove si trovavano. Sapeva di essere a Tebe, con Dioniso accanto. E sapeva che Tebe gli piaceva gran poco.
Una coincidenza era fuori discussione e lo leggeva negli occhi del dio; conosceva Dioniso a sufficienza da poter immaginare il suo stato d’animo, senza contare che in certi casi un minimo livello di acume era più che sufficiente.
«Mi chiedevo solo se avresti risposto.»
«Direi che ho fatto più di questo», gli fece notare, sorridendo divertito. «Puoi dire che il tuo bellissimo sogno lo stai facendo ad occhi aperti.»
Ermes allargò le braccia, quasi un invito ad essere ammirato.
«Se non fossi sicuro di essere sobrio, dopo quello che hai detto penserei di essere ebbro per il vino.»
«Con la frase che hai appena costruito sei sicuro di poterlo dire con certezza?»
Dioniso alzò un sopracciglio. Ermes non era così vanesio. Nemmeno riusciva a far finta di esserlo: era troppo pratico, troppo spontaneo.
Certo si poteva essere anche spontaneamente vanesi, ma non era il suo caso.
«Passi troppo tempo con Apollo, stai diventando altezzoso come lui.»
«Ah, attento a quello che dici. Se sono altezzoso significa che non necessariamente mi merito di farmi questi complimenti.»
Dioniso lo fissò in silenzio negli occhi, un sorriso inebetito sul volto.
«… Dioniso, questa è la parte dove mi dici che sono bellissimo.»
«Ah, e perché vuoi che ti dica che sei bellissimo?» lo prese bonariamente in giro.
Ermes non si imbarazzava, perciò per l’indole dispettosa di Dioniso il guadagno era minimo. C’era da dire però che da amante dell’ambiguità, con Ermes poteva dire di viverne a bizzeffe. Erano due mascalzoni.
«Perché sono venuto fin qui!» si lamentò Ermes.
Era ovvio non l’avesse fatto per un tornaconto.
«Ah! E perché sei venuto fin qui? Ti ho chiamato ma sapevi che non stavo dormendo, quindi…»
Dioniso non sapeva di essere caduto nella trappola di Ermes con entrambi i piedi scalzi.
«Sono venuto fin qui perché pensavo ne avessi bisogno.»
Dioniso si arrestò.
«Apollo. Oltre a vantarsi è utile. Stamane ha biascicato una delle sue premonizioni sul fatto che saresti stato di cattivo umore.» Ermes aveva puntato lo sguardo sui propri piedi. «Quando hai chiamato avevo visto dov’eri. Quindi sono corso qui.»
Ermes aveva abbassato la voce, quasi quel discorso dovesse divenire più intimo.
«Non stai mai bene, a Tebe.»
La sua era una sentenza: dura, cupa e ineluttabile. Giusta.
Un sorriso amaro comparve sulle labbra dell’altro dio, quello degli eccessi e che più di tutti avrebbe dovuto incarnare la gioia. Ma non era felice, non lo era affatto. Non lo era in quel momento, a Tebe. Molto spesso non lo era nemmeno quando sorrideva. Se si annegava nel vino forse era anche per questo.
«Ho perso la cognizione dello spazio ed ero troppo stanco per proseguire.»
Per questo ti ho chiamato – era la legittima conclusione della frase, bloccata nella gola di Dioniso.
«Credo che il mio turno di pausa possa durare fino a domattina.»
Dioniso sbatté le ciglia.
«Davvero?»
«Non è che non stia propriamente facendo un favore anche a me stesso.»
Dioniso aveva legato con pochi dei. Ermes era quello con cui più andava d’accordo: erano due viaggiatori, due divinità ben più semplici di tutte le altre. Certo, Dioniso alle volte faticava a controllare la collera che nemmeno Ares, ma si trattava di principio e non sempre riusciva a trattenersi. Forse era per quello che Afrodite aveva posato gli occhi su di lui.
Ermes aveva qualche problema di cleptomania ed era un gran chiacchierone, ma era simpatico, a ognuno i propri divini difetti.
Ed era quanto di più vicino a un amico potesse avere.
Non era più solo con i propri pensieri, quindi perché non riusciva a distrarsi?
Ermes non era in una situazione tanto meno difficile: sull’Olimpo se c’era un problema ci si prendeva a schiaffi per risolverlo, o si ammazzava l’amante per qualcuno. Era raro pensare davvero ai pensieri di un altro dio. Afrodite diceva di farlo ma quasi sempre la sua terapia era sesso sfrenato e poche parole. Lui ascoltava Apollo e anche Artemide lo faceva, era sua sorella gemella, ma si conoscevano da una vita. Erano come dire… in confidenza.
«Cosa fai di solito per distrarti?»
Per un istante la tristezza sul volto di Dioniso venne spazzata via da un’espressione candida e spontanea.
«Mi ubriaco e faccio sesso.»
«… D’accordo», fece Ermes e gli parve di scorgere una nota di speranza negli occhi di Dioniso che preferì ignorare. «Dovremmo trovare un’alternativa alla prima, ma possiamo lavorarci. Passami il vino, credo tu abbia qualche bicchiere di vantaggio.»
Senza contare che preferiva essere meno lucido per parlare con Dioniso. Pessima idea, perché era il modo migliore per controllarlo ancora meno. Ma se fosse stato ubriaco non avrebbe pensato alle conseguenze.
Quasi fosse il suo servo, Dioniso riempì il calice che aveva usato fino a poco prima – Ermes indossò un sorriso sghembo alla vista – e glielo porse.
Ermes cominciò a bere.
«Dunque, hai detto che dobbiamo trovare un’alternativa alla prima», cominciò Dioniso, distrattamente. «Significa che la seconda va bene? Vuoi fare sesso?»
Il vino bruciò pericolosamente nel naso di Ermes.
La sua espressione divenne una maschera di imbarazzo e terrore. Perché non cedeva facilmente alla vergogna, ma c’erano delle corde che se solleticate gliela facevano provare. E Dioniso amava trovarle.
Scoppiò a ridergli in faccia mentre Ermes salvava il salvabile nella coppa che per poco non rischiò di lanciare in aria.
«Dioniso!»
L’altro stava ancora rotolando sul lenzuolo, rischiando per poco di calciarlo nelle reni preso dalla foga di quella risata sguaiata.
Ermes dovette contenersi per non sorridere; era felice di vederlo allegro anche se a sue spese, ma non poteva dimostrarlo se voleva mantenere una certa dignità.
«Scusa, me l’hai servita!»
Ermes pensò di ripagarlo con la stessa moneta. Pensò che se era il dio della retorica, poteva trovare poche parole per lasciare il segno.
«E se ti avessi detto di sì?»
Dioniso lo prendeva in giro mettendolo in difficoltà solo per il puro gusto di vederlo arrossire, dando alle sue gote una tonalità più purpurea dei suoi capelli rossi.
Ermes invece era curioso e reputava quella risposta importante.
«Oh, vedo un nuovo amante sulla strada di Dioniso: credo che qualcuno si stia prendendo una bella cotta per lui…» l’aveva detto Apollo, di punto in bianco, qualche giorno prima.
Ermes era scattato come se l’avessero punto con un ago su un nervo scoperto. Si era voltato ed era sbottato.
«Chi?!»
Apollo l’aveva fissato, l’espressione a metà tra il rammaricato e il contrito. Non c’era soddisfazione. Ahi.
«Tu, idiota.»
Ermes non aveva risposto e Apollo non aveva detto altro.
Voleva una conferma, forse, ma senza dubbio Ermes se l’era data da solo.
Non era menefreghista, era anzi piuttosto compassionevole rispetto a tanti altri suoi simili, ma se non fosse stato proprio Dioniso a invocarlo vicino a Tebe, avrebbe fatto lo stretto indispensabile e non sarebbe corso lì.
Forse alla sua domanda non avrebbe detto di no.
Lesse lo stupore nei suoi occhi nello stesso istante in cui smise di ridere per quella domanda.
«Allora lo avremmo fatto.»
Ermes aveva cautamente allontanato la coppa perché sapeva che soffocarsi non era piacevole, che gli sarebbe accaduto una seconda volta e che voleva evitarselo.
E con quelle parole gli sarebbe successo, anche se aveva la forte impressione che Dioniso stesse scherzando.
«Sono serio», asserì Dioniso.
… Oh.
«Beh, ho di recente scoperto che preferisco essere sentimentalmente coinvolto.»
Dioniso tornò a sedersi, intrecciò le dita e allungò le braccia verso l’esterno, spingendo una spalla contro quella di Ermes.
«Sei un tipo romantico, quindi?»
«Possiamo dire così.»
«Anche io sono un tipo romantico!»
Ermes non capiva se Dioniso stava riuscendo a rivoltare il discorso contro di lui o se non ci fosse un filo logico da seguire.
«… Hai detto che ti piace fare sesso.»
«Sì, ma mi piace anche fare l’amore!»
Ermes restò in silenzio.
Dal suo canto era Dioniso a credere che Ermes lo stesse prendendo in giro.
E voleva capire.
«Io ti piaccio?»
Ermes esitò.
Poteva approfittarne, o fare appello a tutto il proprio buon senso per evitare di rovinare la serata a un Dioniso che già non stava al proprio meglio.
«Sì.»
Nessuno dei due aveva chiaro il senso ed era nell’ambiguità che si muovevano.
«E io?»
«Sì.» Dioniso attese un istante. «In che senso ti piaccio?»
Ermes a quel punto scelse che poteva anche un po’ giocare con il fuoco. Fece un sorriso scaldato dalle fiamme vere che ardevano poco lontane da loro, malizioso e provocatorio.
«Di questo non posso esserne sicuro», ribatté Ermes. «Mi servirebbe un bacio per capirlo.»
Quello era uno dei trucchetti che Apollo gli aveva insegnato.
«Li devi corteggiare i tuoi amanti, sennò è ovvio che diranno che non hai mai tempo», gli aveva detto una volta.
«Apollo, non è che a te le cose vadano troppo bene in amore…»
«Sì, ma quante persone sospirano al mio pensiero?»
In effetti…
Dioniso si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Sentiva il cuore palpitare e se Ermes gli avesse rivolto la stessa domanda non era certo di cosa avrebbe detto per rispondergli.
Socchiuse gli occhi, le folte ciglia scure a velarli. Portò una mano su quella di Ermes. Per una volta nessuno dei due parlava nemmeno quel ciarlone del dio dei ladri.
Ermes non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle carnose labbra tinte del rosso del vino, dai lineamenti morbidi e femminei, che gli piacevano qualsiasi cosa Dioniso scegliesse d’essere.
Quando Dioniso lo baciò e il suo respiro si fuse nel suo sapeva di vino, ma era più dolce, più delicato.
Ermes si ritrovò con una mano fra i suoi capelli e una sul suo viso mentre Dioniso stringeva il suo chitone all’altezza del petto.
Un bacio a stampo, aveva creduto Ermes.
Eppure parve che frustrazione da un lato e disperazione dall’altro si stessero fondendo mentre la lingua di Ermes si trovava in una bocca che non era la sua.
Gli dicevano sempre che aveva fretta, che era difficile stargli dietro, eppure Dioniso non faticava a tenere il suo ritmo, a scaldarsi sotto le sue dita che non osavano scendere più in basso del suo viso per paura di ciò che sarebbe successo.
Dioniso non faticava a divenire più caldo del fuoco, perché salì a cavalcioni sulle sue gambe ed Ermes si trovò ad afferrare le sue cosce come se in pochi secondi si fosse scordato delle proprie preoccupazioni o non gli importassero più.
Non è un “mi piaci” da sesso –, si disse nella testa. – Apollo aveva ragione, smettila prima di fare danni!
Ma Dioniso era nella sua stessa condizione.
Avrebbe mentito dicendo di non aver mai pensato ad Ermes in quel modo. Aveva mentito quando aveva detto a se stesso di volere una generica compagnia perché era la sua, in realtà, che desiderava.
Sentiva il petto di Ermes alzarsi e abbassarsi contro il proprio, le mani che lo toccavano come se dalla sua pelle dipendesse ogni cosa. E gli piaceva.
Se ad Ermes non serviva essere Apollo per avere intuizioni su di lui, a Dioniso non serviva essere Afrodite per capire che c’era qualcosa di nascosto. Che se i loro corpi vibravano all’unisono c’era qualcosa di più complesso del vino non diluito e di un po’ di tensione da allentare.
Ermes era il suo unico vero amico, sull’Olimpo.
Ma lui non era bravo a controllarsi.
Forse – pensò. – Potrò dimostrargli che almeno in questo sono bravo.
Forse avrebbe potuto tenerlo vicino così.
Un movimento del bacino contro quello di Ermes e Dioniso si abbandonò a un singulto.
Ermes sentì un brivido che non gli piacque affatto e con solo due pezzi di stoffa a dividerli non sarebbe passato molto prima che anche Dioniso avesse prova dei suoi timori.
Ermes gli prese di nuovo il viso tra le mani e lo allontanò.
Stava già immaginando dove l’audacia che aveva portato Dioniso sulle sue gambe avrebbe potuto guidarli e l’immagine che prese forma nella sua mente fu un colpo basso. Letteralmente.
«Aspetta, aspetta…» fece solo.
Lo baciò ancora, a stampo, quasi a rendere quell’allontanamento meno traumatico.
Dioniso pareva preoccupato. Spaventato, forse?
«Cosa? Non ti piaceva?»
Ermes sentì il cuore spezzarsi e capì a quel punto che un altro bacio, persino per placarlo, sarebbe stato troppo. Per sé, per Dioniso.
«Sì che mi è piaciuto, maledizione ti bacerei ancora--» Ermes esitò. «Ma non è giusto.»
«Puoi baciarmi ancora, non vedo perché non sia giusto.»
Si imbronciò ed Ermes lo trovò maledettamente adorabile. E invitante. E doveva smettere di parlare con Apollo e tornare ad essere una divinità capace di rovinare ogni momento piacevole con il pensiero dei propri doveri.
Ermes fece una cosa che Dioniso non si aspettava: gli sorrise.
«Perché non voglio rovinare niente.»
Lo disse accarezzandogli uno zigomo con il pollice, mentre lo faceva scivolare dalle sue gambe senza che se ne accorgesse. Si era allontanato, ma la sua mano no.
Dioniso era ancora inesperto, molto più di Ermes di sicuro. Di rapporti umani e divini, quantomeno.
Ermes aveva i suoi stessi timori e, da questo punto di vista, gli era sufficiente: lo desiderava, ma non lo voleva perdere. E a costo di smorzare quel primo sentimento, a costo di non veder realizzato quel tragico scenario, Ermes era disposto a stargli accanto senza che si abbandonassero agli eccessi.
Dioniso non era bravo a trattenersi, sarebbe stato Ermes a condurlo, come faceva con quelle anime perdute appena giunte ai cancelli dell’Ade.
«Per adesso?»
Lo chiese senza immaginare quale risposta avrebbe voluto udire. Una qualsiasi sarebbe andata bene. La possibilità di un qualcosa se le condizioni perché il loro rapporto non ne risentisse si fossero avverate.
Ermes annuì.
«Per adesso.»
Condividere quel telo dopo quanto accaduto, con gli occhi che si scrutavano le labbra a vicenda quando l’altro non guardava non fu semplice.
Ma, dopotutto, erano dei: avevano tempo. Ed era solo per adesso.
Ciò che contava, intanto, era che Ermes fosse lì con lui.
Ermes sollevò il calice.
«Se lo bevi tornerò, come stasera», gli disse. «Questo, ecco, non è solo per adesso.»
Tutto ciò che gli serviva, Ermes lo aveva detto.




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Avevo questa storia nella mia cartella da un po' di tempo. La sistemavo e non mi convinceva, dunque tornavo a lasciarla perdere. Poi però mi tornava in mente e alla fine mi son detta "dai, postala e basta", scendendo a patti con il fatto che si tratta di una storia senza troppe pretese.
La diceria su cui si basa la shot, cioè che un calice di vino in onore di Ermes prima di dormire portasse bei sogni direttamente da parte sua, a quanto pare è una credenza accreditata. Menzione al libro "Olympos" per i numerosi spunti mitologici che mi ha dato e continua a darmi.
Questa fanfiction vorrebbe far parte di una serie di shot riguardanti Ermes e Dioniso. Per la verità ne ho in mente una precedente, ambientata subito dopo gli eventi che tanto hanno reso indigesta Tebe a Dioniso (in Le Baccanti, per capirci), ma anche dei racconti successivi a queste vicende. Insomma, volevo scrivere di Dioniso e un altro personaggio (magari qualcuno lo indovina!), prima. Poi Ermes si è un po' messo in mezzo e ho rotto il ghiaccio scrivendo di loro così, come una coppia che comunque apprezzo molto.
Pur essendo entrambi dei, mi rendo conto che alcune delle preoccupazioni che si pongono verso la fine non fanno esattamente parte del ventaglio di scrupoli che si ponevano gli dei, come ad esempio non rovinare rapporti in preda alla passione. Per l'immagine che mi sono creata per queste due divinità, però, mi è parso più consono così e alla fine ognuno dà la sua chiave di lettura!
Spero davvero che la storia vi sia piaciuta e vi vada di farmi sapere cosa ve ne pare.
Apollo qui è solo un cameo, ma sono molto attiva nello scrivere di lui e Giacinto, sia in versione mitologica che modern!AU. Se voleste dare un occhio mi farebbe davvero piacere! ~
Alla prossima!
   
 
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