“Ogni tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando.”
(silenzio)
“Che sia troppo tardi, madame.”
[Oceano mare – Alessandro
Baricco]
Attraverso
il varco
Se
n’era andata, alla fine.
A
testa alta. Il sorriso incerto impresso sulle labbra rubino. Il passo lento e
aggraziato – il passo di una regina -.
Era
semplicemente scivolata via, leggiadra e silenziosa quasi stesse praticando una
danza antica che sapeva già del retrogusto amarognolo dei ricordi, senza
voltarsi ad osservare – nemmeno per un minuto, né per un istante o attimo
effimero di vita – ciò che si stava lasciando indietro.
Per sempre.
Se lo lascia alle spalle per
sempre.
Ma
era giusto così, dopotutto. Lei aveva una vita appena oltre il varco. Lì
dietro, invisibile ad occhi inesperti come i suoi – ad occhi che avevano sempre
avuto paura di schiudersi -, c’era un mondo che attendeva di essere scoperto,
giorno dopo giorno, ora dopo ora. Così come sarebbe dovuto essere, perché lei
non apparteneva al suo mondo. Anche
se, sembrava perfetta per lui.
E
poi...
Non avrebbe funzionato, comunque.
...No?
Se
assaggiava le proprie labbra, con la lingua, poteva ancora sentire il sapore
dolce della sua bocca – bocca che era stata sua e sua soltanto, anche se per
poco, troppo, troppo poco – e illudersi di stringerla ancora tra le braccia, di
affondare nel suo morbido collo, di respirare il profumo selvatico dei suoi
capelli...
“Re
Caspian, sire, vi sentite bene?”
Avrebbe
voluto buttarlo giù quel varco di pietre incorporee solo per rivedere i suoi
occhi ancora un’ultima volta. Un’altra sola e poi basta. Sarebbe bastata,
davvero.
Non basterà.
Lo sai.
Non basterà mai.
“Re
Caspian...”
Ma
come poteva un Re esistere senza la sua Regina?
L’aria.
L’aria si era rarefatta. Era irrespirabile. Dov’era la sua aria? Lì,
attraversando il varco...
“Susan.”
Anche
il suo nome era dolce. Come le sue labbra. I suoi occhi. I suoi capelli. La sua
pelle. Il suo profumo.
Se
n’era andata veramente, alla fine.
≈♦≈♦≈♦≈
Peter
camminava risoluto davanti a lei, lasciandosi guidare da Edmund per una volta –
era cresciuto Peter, era proprio cresciuto -.
Dietro
di lei poteva sentire il respiro pesante di Lucy e solo immaginare il velo
sottile di lacrime depositatosi dinanzi ai suoi occhi sgranati.
Si
morse il labbro per impedire alle parole di venire fuori da sole.
Ecco, sai, non dovresti piangere
Lucy.
Tu hai la fortuna di poter tornare.
Tu puoi essere piccola ancora,
Lucy.
Passare
attraverso il varco aveva cancellato ogni speranza. Era la linea netta del non
ritorno, la stessa che separava Narnia – lui
– dal mondo caotico e fumoso di Londra – lei
-. Il confine che le sue gambe non avrebbero mai più potuto valicare, perché
c’era un tempo per tutto e lei, il suo, l’aveva gettato in mille inutili
tentennamenti.
“Forse lui...
Magari io...
E comunque non è detto che...”
Ma
Aslan aveva ragione. Lui aveva sempre ragione. E dopotutto, se lo avesse
baciato prima, non avrebbe davvero più saputo farne a meno. Perciò, dunque,
andava bene così. Era meglio così.
Lei a Londra, lui a Narnia. Era giusto, giusto, giusto.
Doveva
solo guardare avanti a sé e dimenticare ogni cosa – Narnia, Aslan, lui -. Doveva crescere. Cre-sce-re.
“Tu
non vieni, Phillis?”
Era
il ragazzo con gli occhiali. Quello che aveva incontrato davanti all’edicolante
qualche ore prima – o forse erano giorni, mesi, anni -. La guardava incuriosito
dal treno, ma lei non poteva notarlo perché si era già voltata a recuperare le
sue valigie, come i suoi fratelli.
E
fu allora che lo vide, il punto in cui tutto era finito – finito in un mondo,
iniziato in un altro -. Durò solo una frazione di secondo, quasi
impercettibile. Un’occhiata fugace, veloce come il treno alle sue spalle. Ma
già non c’era più niente e il varco era ormai solo un ricordo – ma era esistito
sul serio, in fondo? -.
Non verrà, Susan.
Il tempo è finito.
Cresci, adesso.
Affondò
la mano nella maniglia e, con una determinazione che non le apparteneva
davvero, si affrettò a salire sul treno.
Peter
la fissava. Edmund cercava qualcosa nella borsa. Lucy pensava, pensava e basta.
Non
aveva importanza, comunque. Era tutto finito. Era finito definitivamente
stavolta.
E quando tutto finisce, non si
torna indietro.
“Susan.”
Si
voltò e il cuore dovette mancare una decina di battiti perché non lo sentiva
più.
È tutto un sogno
– le diceva una voce interiore – è solo
un sogno.
Ma
quando l’ombra di lui si avvicinò e le sue mani poterono sfiorare la giacca
sdrucita – dove l’aveva presa? – e i suoi occhi cibarsi del suo viso sereno, la
realtà la invase con prepotenza.
“Caspian...”
Lui
era lì. Era lì seriamente. E Susan lo sapeva, cielo!, che era lì solo per lei.
E
gli sguardi perplessi del ragazzo con gli occhiali, e quelli colpiti dei suoi
fratelli, e la gente, e il treno che partiva, e il tempo...scivolavano,
scivolavano via mentre lei affondava il viso nel suo petto – ancora, grazie a
Dio, ancora e ancora! – e lui le cingeva la schiena con le braccia – reali,
braccia reali -.
“Lo
sai.” Le sussurrò in un sorriso felice nell’orecchio. “Mi devi altri
milletrecento anni, Susan.”
Milletrecento
anni più tutta se stessa.
“Ti
devo un sacco di tempo, allora.”
The
end
≈♦≈♦≈♦≈
Ecco, non so bene da dove sia uscita. Fatto sta che quando
ho visto il film e la scena del bacio, l’idea mi è balenata alla testa come una
saetta. Semplicemente non potevo lasciar morire l’emozione che mi ha dato l’ultima
scena e, perciò, per forza di cose ho dovuto stenderla nero su bianco.
Fino al penultimo spezzone segue del tutto il film, ma poi
non ce l’ho fatta a far morire così questa coppia.
Per me, Caspian si tuffa
nel varco per raggiungere Susan, nonostante tutto.
Spero che mi lascerete un commentino, così. Giusto per
capire se non ho fatto troppi pasticci a maneggiare questi personaggi. Alla prossima,
spero!
Baci.
Memi J