“Ma
che ci trovi di bello in quel parco? È noioso.”
Hanabi,
in piedi sulla porta, la fissò con aria scettica, quasi scocciata.
Hinata
sorrise discretamente alla domanda, ripensando ad un paio di occhi azzurri in
particolare.
“È...è
d- divertente invece. Ci sono m- molte p- persone.”
“Se
neppure ti piace stare con troppa gente!”
Hanabi
sbuffò spazientita, per poi farsi particolarmente audace ad un’acuta
osservazione.
“Non
ti piacerà qualcuno, vero?”
Hinata
arrossì, come prevedibile, senza però perdere il buonumore nell’avvicinarsi al
portone d’ingresso.
“Non
dire sciocchezze, Hanabi!”
Eppure,
valutò la sorella minore, nel dirlo non aveva balbettato ad una sola parola.
#2: The boy of the chocolate ice cream
The smile on
your face
Lets me know
That you need me
There's a truth
In your eyes
Saying you'll never leave me
The touch of your hand says
You'll catch me
Whenever I fall
You say it best
When you say
Nothing at all
Hinata
aveva sempre saputo di essere una ragazza fin troppo obbediente.
A
sei anni, quando suo padre aveva stabilito l’insegnamento privato per lei,
aveva chinato il capo e, trattenendo a stento il groppo alla gola, aveva
annuito. Poi era salita in camera sua, aveva aperto l’armadio e vi aveva posato
lo zaino nuovo di zecca che era andata a comprare proprio quella mattina. Senza
versare una lacrima, né sbattere i piedi a terra come avrebbe fatto invece sua
sorella.
Qualche
notte, nei sogni, aveva immaginato di poter essere una bambina normale e di
andare a scuola come tutti gli altri. Di avere degli amici – di quelli veri, di quelli che non si limitano a
fissarti con quegli enormi bottoni neri – e di poter usare la sua bella cartella.
Ma inesorabilmente il tutto era scivolato via di mattina, quando i raggi pigri
del sole a solleticarle il viso parevano ricordarle che non c’era tempo per
certe sciocchezze, che Kurenai-sensei la stava
aspettando per la lezione riservata.
Così
Hinata si ritrovava ad avere diciassette anni e nemmeno uno straccio di amico
con cui condividere gioia o dolori. Lei faceva scappare le persone, lo sapeva
bene. Una volta, a undici, dodici anni, la sua vicina di casa Tenten l’aveva
invitata ad un pigiama party. Tenten era stata l’unica ragazza, in qualche
modo, a dimostrare una certa predisposizione a volerle essere amica. Eppure,
quando aveva avanzato l’idea a suo padre, non aveva detto una singola parola
dinanzi alla sua netta negazione. Le
ragazze dabbene non perdono tempo in queste attività futili. Va ad allenarti con
l’Ikebana, piuttosto. Pigiama party...che sciocchezza. Quella sera era
rimasta nella sua stanza, a contare le stelle appena visibili in cielo, e così
anche la sera dopo, e quella dopo. Alla fine, dopo aver collezionato una serie
innumerevole di rifiuti, anche Tenten aveva finito per stancarsi di lei e aveva
smesso di chiamarla. Hinata non aveva mai provato risentimento per questo, al
contrario. Era rimasta persino colpita della determinazione con cui aveva
insistito con lei per tutto quel tempo.
Lei,
al contrario, non poteva certo definirsi una persona determinata.
Chiunque
avesse avuto la costanza di parlarle per più di cinque minuti, avrebbe imparato
che, nonostante le varie somiglianze genetiche, Hinata non aveva nulla a che
fare con il resto degli Hyuga. Non era fredda, non sapeva essere distaccata
neppure a mordersi la lingua. Non sapeva fare niente in particolare e non era
neppure un’eccellente studentessa. Nella norma, questo sì, senza mai un solo
primato in una qualche attività. Ed era sensibile, così tanto da risultare
persino fastidiosa, quando di fama uno Hyuga sapeva attraversare gli insulti
peggiori a testa alta senza dare segno di averne accusato alcuno. Suo cugino
Neji, ecco. Lui sì che era uno Hyuga perfetto. Lei, invece, era soltanto una pallida,
malriuscita e ridicola imitazione di quello che sarebbe dovuta essere.
Qualche
volta Hinata si era illusa di aver ereditato almeno il dono del silenzio dalla
sua famiglia, ma non di recente aveva appurato di aver speso tempo dietro
all’ennesima utopia.
I
silenzi degli Hyuga erano incisivi, così taglienti da incutere un rigido timore
riverenziale a chi ne subiva gli effetti.
I
silenzi di Hinata, invece, erano imbarazzanti, perché sapevano di mille parole
incapaci di venir fuori e di un’altra infinità di cose tutte insieme.
Perciò,
dopotutto, aveva dovuto rassegnarsi all’evidenza e capacitarsi – come se ce ne
fosse stato mai veramente bisogno – di essere una fallita. Di non avere niente,
niente di speciale. Nemmeno una
piccola peculiarità. Nemmeno un po’. Nemmeno niente.
Poi,
però, qualcosa era successo.
Inspiegabilmente.
Irrazionalmente. Improvvisamente.
Forse,
se si fosse presa la briga di uscire di più ogni tanto, avrebbe sentito dire
qualcosa in più sul suo conto. Forse si sarebbe fatta trovare preparata,
insomma, se solo l’avesse saputo almeno un pochino prima. Forse non sarebbe
rimasta tanto colpita quando, avvertendo il cono d’ombra precipitatole ad un
tratto addosso, aveva incontrato i suoi occhi di un azzurro infinito.
O
forse no, forse sarebbe andato tutto allo stesso identico modo, forse, forse...
Hinata
non poteva di sicuro saperlo mentre, con un sospiro, prendeva posto sulla sua
amata panchina, quella nell’angolo più remoto del parco, quella meno visibile.
Ecco,
era proprio quello il punto. Perché proprio lei? Tra tante persone, lui era
andato da lei. Lei che, in tutta la
sua vita, non era mai stata scelta per niente. Non che questo potesse lasciarla
illudere di essergli rimasta, in qualche modo, impressa nella mente. Troppo
anonima. Troppo. Troppo, troppo anonima.
E
andava bene anche così, dopotutto. Non chiedeva tanto. Che, Elena era stata
amata subito dal suo Demetrio? *
A
lei bastava poter rimanere sulla panchina a guardarlo mentre, con sterminata
noncuranza, si beffava del mondo. Non hai
paura... – avrebbe voluto potergli chiedere – ...non hai mai il terrore di rimanere solo? Ma i suoi erano solo
pensieri che si inabissavano con un singulto insieme a tutte le altre
osservazioni non dette, rimanendo semplicemente a guardarlo, con occhi mai saturi
di tanta sfrontata insolenza, desiderando talvolta di poter avere – un giorno,
chissà – lo stesso coraggio nell’affrontare le cose. La vita.
Perché,
infondo, la verità stava tutta lì: quel ragazzo dagli occhi del cielo e i
capelli del grano, con quelle buffe cicatrici a segnargli le guance e l’aria
impenitente cucita ad arte...sì, quel ragazzo, lui, la sapeva affrontare la
vita. Più di lei, più di suo padre che si nascondeva nel suo potere, più di sua
sorella che si infilava in vestiti già troppo grandi, più di suo cugino che se
la prendeva col destino, più di tutti gli Hyuga, più di tutti quelli convinti
che Konoha fosse il quartiere ideale in cui vivere. Più di tutti loro, sì.
Hinata
lo studiava con attenzione ogni giorno dal suo piccolo lembo di mondo. Lo
vedeva gareggiare scorrettamente con bambini più piccoli di lui e pavoneggiarsi
dinanzi alla sua indiscutibile vittoria, incurante delle occhiate di diniego
degli altri. E sorrideva, perché non aveva mai visto nessuno così, e con un
sospiro già sognava di poter fare la stessa cosa, prima o poi, anche se sapeva
che quel giorno non sarebbe arrivato mai.
Tutto
sommato, Hinata aveva sempre saputo di essere una ragazza fin troppo
obbediente.
Eppure
questo non le impediva di fantasticare, no? Di immaginare una realtà
alternativa dove una lei più intraprendente e meno passiva afferrava con
decisione le redini della propria vita, indifferente al giudizio della sua
famiglia, insofferente alle occhiate della gente. Una lei che, ad ogni occhiata
se ne rendeva sempre più conto, assomigliava in modo incredibile a quello
stesso ragazzo che, nel giro di poche settimane, aveva saputo riempire e
sconvolgere ogni pensiero.
Scosse
il capo mentre rastrellava il suo amato libro dal fondo della borsa. Aprì al
segno e si accorse, non senza un certo stupore, di essere rimasta alla pagina
cinquantuno. La stessa da giorni. Non era andata avanti di una sola, singola
frase. Nonostante si recasse in quel parco a leggere ogni singolo giorno.
Come
era possibile?
E
la risposta arrivò ancora con la sua inoppugnabile vitalità.
“Ehilà
bambocci! Pronti per l’ennesima sconfitta?”
Eccolo,
si disse con un sorriso che velocemente andò ad aprirsi sulle labbra scarlatte,
era arrivato.
Alzò
la testa e si soffermò per un lungo istante sull’immagine distante del ragazzo
che, solo arrivando, aveva fatto storcere parecchi musi. Borsalino bene in
testa e abbigliamento trascurato, come proprio non si conveniva ad un quartiere
simile. Eppure Hinata, anziché disapprovare come il resto delle persone lì dentro,
sorrise di pura contentezza. Era lui. Era lì. Era ancora lì.
“See, ti piacerebbe!”
“Sei
in ritardo!”
“E
quando mai è puntuale, Moegi?”
“Hai
ragione, Udon.”
“Quel
vecchiaccio non ha il minimo senso della puntualità, figuriamoci!”
“Ehi,
guardate che vi sento! Hai capito Konohamaru? Vecchiaccio io, tsk!”
Lui
si scaldò dinanzi a quella vagonata di improperi a domicilio e lei, nel suo
arco di spazio, non poté fare a meno di ridacchiare, arrossendo appena dietro
le dita sottili. Nessuno sembrava darle peso ma, se a qualcun altro avrebbe
dato fastidio, Hinata ne era addirittura sollevata. Non era brava a stare al
centro dell’attenzione, era più brava ad osservare gli altri, ecco.
“Sentite
questo rumore? È quello dei gelati! Chi vuole un gelato?”
Aguzzò
a sua volta l’udito e sentì, proprio oltre le alte siepi che costeggiavano il
parco, la canzoncina monotona del gelataio. Quando ritornò sull’insolito
quartetto, rimase con l’amaro in bocca nel non ritrovarli più nel posto in cui
per un solo secondo li aveva lasciati. Allora assottigliò le palpebre e si
sforzò di mettere a fuoco quanto più poté, rintracciandoli così a qualche metro
di distanza, mentre con ogni probabilità si sfidavano a chi corresse di più.
Sospirò,
trasognata, e rimase in quella posizione per un lungo momento prima di tornare
al suo libro. Era appena arrivata ad un punto di svolta nella storia quando,
come non molto tempo addietro, un’ombra le si parò dinanzi, catturando così la
sua attenzione. Guardò in alto e il cuore, ancora una volta, le si fermò nel
petto davanti a due scintillanti occhi di un azzurro fuorviante.
Lui
era lì, con un sorriso alle labbra e il volto impiastricciato di cioccolata.
“Posso
avere un fazzoletto?”
≈♦≈♦≈♦≈
* Riferimento a “Sogno di una notte di
mezza estate”, di W. Shakespeare.
Vi ho fatto attendere un po’ –e me ne
dispiace davvero- ma finalmente eccovi il secondo capitolo. Come avrete notato,
stavolta la visuale passa ad Hinata. Dirò che scrivere questo capitolo in
particolare ha richiesto molta più fatica del previsto, nel senso che
immedesimarmi in Hinata e rendere ogni punto di vista come lo vede lei ma come
lo immagino io, beh, è stato. E perciò
mi piacerebbe sapere ancor di più cosa ne pensate, se ho fatto, diciamo, un
buon lavoro o meno.
Già che mi trovo, colgo la palla al
balzo per ringraziare le persone che si sono fatte sentire lo scorso capitolo. Dunque:
·
A valehina volevo dire grazie, semplicemente. Le tue parole mi
hanno fatto spuntare il sorriso sulle labbra –come una scema- e mi hanno
scaldato il cuore. Mi piace sapere che quello che sento scrivendo, in qualche
modo riesce ad arrivare a chi lo sta leggendo. Ecco, credo che sia questo il
punto fondamentale. Non serve a niente scrivere se non si riesce a far capire
all’altro cosa si sta vedendo in quel
momento. Per quanto riguarda la scelta dei capitoli, ti dirò che all’inizio
doveva essere una one-shot, ma poi la storia è venuta fuori da sé. Animata di
vita propria. E poi volevo contrapporre la visione della vita di Naruto con
quella di Hinata, il che alla fine mi ha definitivamente convinta a puntare su
una tale scelta. Spero che continuerai a seguire la fanfiction, ad ogni modo, e
a farmi sapere, se non ti chiedo troppo. E tranquilla, i complimenti te li sei
meritati appieno. Mi è piaciuta davvero
la tua fanfiction, te l’assicuro!
·
A LalyBlackangel volevo rassicurarla perché
sei sulla buona strada per farmi amare questo pairing. Strano, stranissimo per
una fan sfegatata dello Hyugacest, il mio primo vero colpo di fulmine da quando
ho scoperto il fandom di Naruto. Eppure, rivalutando le NaruHina, ho trovato
parecchi punti su cui ricamarci sopra qualcosa. Parecchi. Non me l’aspettavo e
sì, lo ammetto: me ne sto innamorando a mia volta. Ah, grazie mille per il
contatto MSN! ^//^ Felicissima dello scambio e, tale ragione, ti lascio il mio:
a_melania@hotmail.it
.
·
A kry333 ringrazio –ancora una volta, sì,
sono noiosa e ripetitiva- per la recensione e per i complimenti. Me,
onoratissima! Spero che questo secondo capitolo non ti abbia delusa –io nutro
ancora qualche dubbio, a dire il vero- e continuerai a seguirmi. E, perché no?,
a recensirmi se ti va! ^.-
·
A hotaru, infine, chiedo scusa per non
essere ancora riuscita a leggere la tua storia. Mi farò perdonare quanto prima,
questa è una promessa che voglio farti. Mi piace leggere anche le altre storie
che hanno partecipato al mio stesso contest, di modo dal rapportarmi con altre
prospettive. È semplicemente fantastico come, una stessa cosa, può essere vista
e analizzata in mille e più sfumature diverse. E poi volevo anche ringraziarti
per la recensione e per le splendide parole che mi hai rivolto. Sono commossa,
sul serio! Ç.Ç Come dicevo, è stupendo sapere di essere riuscita a far “vedere”
quello che intendevi. E questo è il secondo capitolo. Il secondo di cinque. Spero
ti piaccia, di aver reso giustizia alle tue parole, in qualche modo.
Non voglio scocciarvi ulteriormente e,
perciò, approfitto solo per ringraziare le persone che hanno aggiunto a
preferiti –me eternamente grata! *-* -, a seguiti o che hanno semplicemente
letto. Siete deliziosi, come i marshmallow! >.< E con questo rimando il
resto al prossimo capitolo che, prometto, tenterò di postare il prima
possibile.
Baci.
memi