Luglio 1502. Il
sole
stava tramontando, il cielo iniziava a colorarsi di rosso, un rosso che
in
alcuni tratti sfumava fino a diventare di un rosa pallido. Le montagne
erano
avvolte dalla luce, che le conferiva un aspetto quasi mistico,
possente. La
loro vera natura veniva svelata, sembravano potenti e assai vecchie,
come se
sapessero da sempre ciò che stava per accadere. Qualcosa
infatti doveva
succedere, i tempi erano
ormai maturi e
il presentimento di un oscura minaccia era decisamente
nell’aria.
Sulla vetta del
monte c’era una piccola villetta, molto spartana e realizzata
interamente in
pietra. Non era sempre abitata, era una casa utilizzata soprattutto
d’inverno e
nei mesi estivi, quindi presentava segni di scarsa manutenzione, che
però le conferivano
un aspetto secolare. L’edera occupava gran parte del tetto e
delle colonne che
lo sostenevano e creavano, di fatto, il porticato. Lungo i muri
dell’abitazione
ogni tanto, ad intervalli regolari, si trovavano delle piccole
cavità che fungevano
da finestre per i mesi estivi. Tutto ciò che impediva ad un
ladruncolo di non
entrare all’interno erano due sbarre messe senza troppa cura.
Due lastroni di
legno servivano, invece, per coprirli d’inverno, quando il
clima rigido delle
montagne ed il vento penetravano nei saloni. Molte pietre dovevano
essere
sostituite, altre necessitavano di costanti cure di riparazione, ma
certamente
il proprietario non era dell’umore adatto per eseguire opere
di
ristrutturazione: la mente era e doveva essere altrove.
Leonardo,
così si
chiamava, era l’ultimo proprietario di quella villetta, che
per anni aveva
ospitato i tristi e cupi riti di una setta segreta ai più,
l’ordine più antico
che il mondo ricordasse ancora, un gruppo di pochi eletti che lottavano
per
restituire all’umanità ciò che le
apparteneva fin dai secoli precedenti, ma che
era andato perduto. Era sulla cinquantina, capelli brizzolati, ma
ancora lunghi
e occhi di un azzurro caldo, intenso, rassicurante. Portava un mantello
nero,
con inciso all’interno il simbolo della setta. Nonostante la
sua età aveva
ancora un fisico scattante ed atletico, tanto che se non fosse stato
per le
rughe sarebbe potuto passare per un giovane uomo. Lui era
l’ultimo di questa
setta e doveva lottare affinché il ricordo potesse
continuare a vivere, magari
rifondando tutto ciò in cui credeva. Ma non era facile: il
sovrano lo stava
braccando senza sosta da molti anni, aveva annientato tutti i suoi
“colleghi”
ed ora era pronto a dare l’ultimo affondo ai suoi nemici. Non
c’era tempo da
perdere.
Si era
rinchiuso in
quella casa perché era il suo ultimo nascondiglio, ma mentre
varcava la soglia
dell’abitazione aveva intravisto due uomini venire verso di
lui. Portavano il
vessillo regio, oramai mancavano poche ore, minuti forse. Doveva
muoversi.
L’interno della casa era molto differente da come appariva
all’esterno. Era
curata, pulita ed in ordine, i mobili tutti fatti d’un legno
pregiato e
finemente ritoccati a mano. C’era un lunghissimo tavolo dove
si riunivano per
il rito serale, un altro uguale dove pranzavano e cenavano e due
credenze per i
viveri. Era molto spartana, ma non mancava nulla. Erano tre piani,
Leonardo
doveva andare al terzo. Quindi iniziò a salire la rampa di
scale, di pietra
anch’esse, che costituivano la via più veloce per
giungere ai piani superiori.
Fece gli scalini due a due e quando arrivò al secondo piano
le sue speranze
parvero spegnersi. C’era un lungo corridoio che si divideva
in dieci e più
stanze che fungevano da dormitorio, ognuna contenete bacinelle
d’acqua pulita e
un orinatorio. In fondo si trovava una finestra molto più
grande delle altre,
nascosta all’esterno da una tenda che la mimetizzava col
muro. La scostò e vide
che il sole era calato ma, cosa ancora più preoccupante, i
due sicari erano a
pochi passi dall’uscio.
Non perse
tempo,
salì le scale di corsa e si ritrovò al terzo
piano. C’erano due soli lunghi
banconi, pieni di fogli di papiro e calamai. Era lo studio, dove la
setta
studiava. Infatti c’erano lungo le pareti migliaia di volumi
storici,
scientifici, religiosi e di ogni altro genere. Era un vero e proprio
patrimonio,
visto che erano tutti volumi unici per edizione e rarità.
Bussarono alla porta,
una due tre volte, poi, non ricevendo risposta, abbatterono la porta ed
entrarono. Dalla scala Leonardo vide che si erano divisi: uno era
andato al
primo piano, uno al secondo. Entrambi portavano un pugnale,
probabilmente
intriso di veleno, e un arco con due frecce a testa nella faretra.
Poche,
quindi sapevano il fatto loro, erano evidentemente ottimi tiratori.
Non perse ulteriore tempo, si mise sulla prima sedia che trovò e iniziò a scrivere la sua ultima postula. La penna scivolava dolcemente sul papiro, il tempo si assottigliava. Finì per tempo, si alzò e infilò il pezzo di carta in uno dei libri alla sua destra, intitolato Il rito iniziale. Era il primo di una lunga serie, tomi che introducevano al mondo della setta. Finito ciò si voltò e quello che vide lo lasciò di marmo.
Non preoccuparti, lo sapevi che stava
per
finire. È giunta l’ora di farsi da parte, speriamo
che non sia un sacrificio
inutile. I
due uomini erano sulla soglia, pugnali in mano. Passarono secondi
così, a
scrutarsi, mentre Leonardo iniziava a sudare freddo. Poi,
all’improvviso, uno
dei due scattò in avanti, ferì l’uomo
al piede e lo immobilizzò a terra.
L’altro si avvicinò con calma, un sorrisetto
sarcastico sul volto crudele, due
occhi azzurri e freddi come il ghiaccio. <<Vecchio, alzati!>>
esclamò, poi lo
prese a calci. <<Voglio vederti
cadere ai miei piedi, morto>>.
Lo costrinsero ad alzarsi,
poi lo apostrofò
così: <<Non pensavo che
l’ultimo degli Assassini si lasciasse prendere
così
facilmente. Cos’è, i vostri riti vi hanno
raggrinzito al cervello?>> sogghignò <<Comunque sia,
oramai è tardi per pensarci. Dobbiamo fare il nostro dovere.
Saremo lautamente
ricompensati per portare al re il tuo sudicio cadavere e, credimi,
è quello che
intendiamo fare. Bhe, dai procediamo …>>
<<Bastardi, il
segreto non morirà con me,
ritorneremo quando i tempi saranno più maturi>>. Uno schiaffo
lo
colpì in pieno volto e il sangue iniziò ad uscire
dalla sua bocca. Speriamo che qualcuno trovi
la lettera,
prima o poi.
<<Farò
finta di non aver sentito, che è meglio. Rincominciamo: nel
nome
di Sua Maestà, vi condanniamo a morte, con
l’accusa di essere il Gran Maestro
della Gilda degli Assassini, ritenuti colpevoli di numerosi omicidi.
Ecco, è
tutto.>>
Gli
avvicinò le
labbra all’orecchio ed esclamò alcune parole che
però si persero nel vuoto,
visto che l’altro gli aveva conficcato il pugnale nel ventre,
decidendo il suo
destino. Il veleno doveva essere di quelli potenti, perché
nel giro di cinque
secondi gli aveva tolto il fiato. Risorgeremo
dalle ceneri, come il nostro simbolo. Rinasceremo dalla fenice. Il
nostro
Potere si diffonderà in tutte le terre, una dopo
l’altra. Poi chiuse gli
occhi, per l’ultima volta.
I due sicari
non
persero tempo, presero il cadavere, uno per le mani e l’altro
per i piedi, scesero
fino all’ingresso e lo portarono fuori. Sul tetto
già sventolava la bandiera
col marchio regio, quindi poterono sigillare l’entrata
dell’abitazione. <<Andiamocene
via, è
già buio pesto>>. Così si
incamminarono per non tornare più. La casa, un tempo piena
di ospiti, sarebbe
stata per molto tempo vuota, tolta dalle carte, il sentiero cancellato.
La
tradizione voleva che venissero bruciati i luoghi di culto o pensiero
differente da quella del monarca, ma per fortuna fecero
un’eccezione. Era
troppo importante quella casetta in montagna, la storia avrebbe dovuto
riprendersela. Prima o poi.
Il
cadavere venne
esposto per un’intera settimana fuori dal palazzo reale, per
poter permettere a
chiunque di infangarne l’immagine, nel modo più
oltraggioso che si conoscesse.
Poi, però, il Re cambiò idea e lo
seppellì nel miglior modo possibile, in una
tomba con sopra una Fenice. L’ultima.