Niente
che possa piacerti
Toute
seule à l'ombre
In
completa solitudine, all’ombra
Moi
je rêve de tes bras
Io
sogno le tue braccia
La
nuit noire s'effondre
La
notte sta calando, nera
Et
quelques larmes dans ma voix
E
la mia voce è incrinata da qualche lacrima
La
route était si longue
La
strada è stata così lunga
Pour
arriver jusqu'à toi
Solo
per arrivare fino a te
Et
tu viens de me dire
Te
che mi hai appena detto
«Surtout
ne t'arrête pas.»
«Non
è adesso che devi fermarti»
Specialmente
i vecchi se ne servono volentieri; ne conoscono moltissimi, eppure
tutti ne hanno uno che ritengono più vero degli altri.
La
nonna di Sakura, per esempio, non aveva mai dubitato di quello secondo
cui “La notte porta consiglio”.
Ne
era anzi così convinta che, qualunque cruccio leggesse sul volto della
nipotina, il suggerimento rimaneva sempre il medesimo.
«Non
ci
pensare, Sakura. Dormici su, e vedrai che domani andrà meglio».
E
lei, che all’epoca nutriva fiducia incrollabile in ciò che diceva
l’anziana donna, puntualmente accettava il consiglio, mettendo paure e
dispiaceri al riparo dalle ombre almeno fino allo spuntar del sole,
quando le tenebre erano ormai un sogno e non potevano più portarle
confusione nel cuore.
Anche
adesso, se ancora potesse, sua nonna le direbbe di asciugarsi le
lacrime e di tornare nell’accogliente tepore della propria
stanza, ché la notte porta davvero consiglio solo ai dormienti.
Ma
Sakura nel frattempo si è fatta grande, e ha scoperto che certi
dolori tolgono il sonno, rendendo impossibile qualunque tentativo di
accantonarli; si è fatta grande e ha visto che la notte, da amica
protettiva, può diventare messaggera di morte, d’inganni, di spettri.
D’addii consumati in segreto, echeggianti di suppliche che, se
pronunciate dalla bocca di una kunoichi, rimangono impresse sulle
labbra come marchi infamanti.
Vorrebbe
davvero poter riavvolgere il nastro della propria esistenza, Sakura
Haruno, per tornare ai tempi in cui i suoi pleniluni non erano
infestati di mancanze e le cose si aggiustavano ad occhi chiusi.
Anzi,
le basterebbe avere la possibilità di cambiare il corso di un’unica
notte soltanto: quella
che, da sola, aveva svuotato di senso tutto ciò in cui credeva.
A
cosa era servito allenarsi tanto, se poi non aveva avuto la forza di
impedire alla persona a lei più cara di prendere una decisione così
sbagliata?
A
che aveva giovato dedicare ad essa ogni sguardo e pensiero, orientare
la direzione dei propri passi in base ai suoi, riservarle tutta la
dedizione di cui era capace?
La
verità era che solo adesso si rendeva conto di quanto la sua offerta
di amore incondizionato dovesse essere suonata ridicola, alle orecchie
di Sasuke.
Per
uno come lui, perso nell’abisso di una solitudine senza pari, le sue
parole avevano la stessa consistenza dell’aria.
Come
si fa a chiudere un abisso con l’aria?
«Io
sono molto diverso da voi: la strada che percorro è incompatibile
con la vostra. Siamo stati vicini, è vero, e in alcuni momenti ho
pensato che fosse anche la mia strada. Ma ho preso una decisione:
scelgo la via della vendetta».
Je
regarde encore une fois
Guardo
una volta ancora, ma
Dans
le miroir je ne trouve pas
Nello
specchio non riesco a trovare
De
quoi te plaire
Niente
che possa piacerti
Alors
j'écris des mots sans voix
Così,
scrivo delle parole mute
Pour
oublier que je n'ai pas
Per
dimenticarmi che non possiedo
De
quoi te plaire
Niente
che possa piacerti.
La
vendetta. Per il suo clan sterminato; per i suoi genitori, freddati su
due piedi da un colpo di katana. E, soprattutto, per il tradimento di
quel fratello che Sasuke aveva adorato più di qualunque altra
cosa al mondo.
Di
Itachi Uchiha Sakura ricordava a malapena il volto – «bellissimo.
Troppo serio» – e tuttavia il peso schiacciante della sua persona
l’aveva letto ogni giorno negli occhi di Sasuke i quali, coll’andare del tempo, si erano fatti sempre più
neri e gravi – fino a diventare pozzi profondissimi.
No,
benché quella notte l’avesse addirittura giurato, lei non poteva nulla
contro il fantasma di Itachi, né contro il sentore di sangue che si
portava appresso: il suo misero
amore mai avrebbe potuto competere con un odio tanto feroce.
Povera stupida: come
aveva fatto ad illudersi del contrario?
Del
resto, la sua inettitudine non era mai stata un mistero per nessuno,
tantomeno per sé medesima; persino lo specchio gliela
urlava contro.
Fronte
spaziosa! Fronte spaziosa!
Odiava
la sua fronte alta, il suo seno piccolo – praticamente invisibile, sotto la tenuta
da allenamento –, i suoi
fianchi stretti da bambina; così come odiava il fatto che questi non
fossero compensati da nessuna dote strabiliante, né innata né
acquisita.
Lei
non era come Ino, che poteva vantare un corpo statuario, meravigliosi
capelli biondi e un fascino ancestrale a cui i ragazzi difficilmente
sapevano resistere; non era come Hinata, coi suoi occhi speciali e il
riserbo aristocratico di un’antica, nobile stirpe.
Meno ancora
somigliava a Tenten, che in quel loro universo
prettamente maschile aveva saputo ritagliarsi il proprio spazio
costruendo un’abilità dal nulla e rendendola, per questo, del tutto
peculiare.
Cosa
sapeva fare lei, se non coprirsi il viso con quelle sue mani così
delicate e piangere l’impotenza che le circondava il collo come un
laccio troppo stretto?
Aveva
perso il conto delle volte in cui il maestro Kakashi, Naruto o lo
stesso Sasuke erano dovuti intervenire a tirarla fuori dai pasticci:
se non fosse stato per loro, probabilmente a quest’ora già riposerebbe
nel cimitero degli shinobi di Konoha, ospite immeritevole in quella
casa di anime eroiche.
Infine
era giunto il momento di ricambiare il favore e salvare Sasuke da se
stesso, ma Sakura non aveva saputo far altro che gettargli il cuore ai
piedi e, appunto, piangere.
«Sei
noiosa,
Sakura».
Il
y a autour de moi
Intorno
a me
Tous
ces hommes à la file
Ci
sono tutti questi uomini in fila
Mais
même additionnés, multipliés,
Ma
temo che neppure sommandoli o moltiplicandoli
Je
crains qu'il n'y ait pas chez eux
Avrebbero
mai
Le
moindre souffle de ta grâce
Il
minimo accenno della grazia che possiedi tu
Et
tu viens de me dire
Tu,
che mi hai appena detto
«Reste
ici, moi je passe»
«Resta
qui, io proseguo»
Li
aveva raggiunti poco prima che partissero, recandosi alle porte del
villaggio con la fretta di chi ha fra le mani una bomba pronta a
scoppiare.
Al
suo richiamo si erano voltati come un sol uomo: Shikamaru Nara, Choji
Akimichi, Neji Hyuga, Kiba Inuzuka.
Sakura
ne aveva osservato i visi uno ad uno, leggendovi espressioni che
spaziavano dalla cordiale simpatia sino allo stupore risentito, e
la prima cosa che le era apparsa evidente era stata la loro totale,
irrimediabile, definitiva inadeguatezza.
Quelli
che gli stavano innanzi non erano uomini, tantomeno guerrieri; solo
e soltanto i suoi amici di sempre – che lei non aveva neppure potuto affiancare.
Dei
ragazzini armati di belle speranze, pronti ad imbarcarsi in una
missione potenzialmente suicida dalla quale, forse, non sarebbero più
ritornati.
Se
si fosse trattato della sua vita, Sakura gliel’avrebbe comunque
affidata senza esitazione; ma la posta in gioco era il destino di
Sasuke.
Una
cosa troppo preziosa per poterla rimettere nelle mani di chicchessia.
Così,
si era rivolta all’unico in
grado di comprendere davvero.
L’aveva
fissato dritto negli occhi, imprimendo nel loro azzurro oltremare il
pezzo di anima che le strabordava dal petto.
«Senti,
Naruto,
quella che ti faccio è una richiesta vitale per me: riportami
Sasuke. Ti prego, devi riportarlo indietro!»
E come sempre
Naruto le era venuto in soccorso, caricandosi sulle spalle
il medesimo onere cui lei non era stata in grado di adempiere.
«Riporterò
a
casa Sasuke, fosse l’ultima cosa che faccio. Te lo giuro sulla mia
stessa vita, Sakura!»
Mai
prima di allora Naruto Uzumaki aveva mancato a una promessa: come lui
stesso amava sottolineare in ogni occasione, mantenere la parola data
rappresentava il suo modo di essere ninja.
Però,
come da proverbio, esiste una prima volta per tutto – e quella di Naruto
era giunta nel frangente peggiore: nonostante ci avesse quasi rimesso la pelle, il tentativo di distogliere l’Uchiha dai suoi funesti propositi
era fallito miseramente L’avevano riportato
a Konoha sulle spalle, con lo sguardo inerte di una bestia in agonia.
Il
loro compagno di squadra li aveva lasciati, inghiottito – «per
sempre?» – dalle ombre, e adesso erano ben due i cuori che
sanguinavano.
Quella
del suo migliore amico buttato sul letto dell’ospedale era forse l’immagine che più di frequente
appariva a Sakura, quando ella abbassava le palpebre; tuttavia, nulla la
feriva quanto il ricordo delle ultime parole che Sasuke le aveva
rivolto un attimo prima di sparire nel buio.
Le
aveva sussurrate piano, per farsi sentire a stento, quasi fossero
un’infinitesimale carezza nel bel mezzo di un massacro; a dispetto del
tempo trascorso, continuava distintamente a sentire il lieve solletico
del suo respiro sul collo.
Non
sapeva ancora, Sakura, che in un giorno non troppo lontano avrebbe
improvvisamente trovato la forza di asciugarsi le lacrime e iniziare a
lottare sul serio; che sulla scia di quelle stesse parole sarebbe
diventata anch’ella una combattente valorosa, capace di frantumare la
roccia con un pugno e di tenere insieme i frammenti dei propri squarci
interiori senza lasciarli traboccare dagli occhi.
Non
lo sapeva ancora, perciò continuava a vagare – insonne – nella notte.
Perché
no, su una cosa come quella mai avrebbe potuto dormire.
«Sakura.
Ti
ringrazio tanto».
Je
regarde encore une fois
Guardo
una volta ancora, ma
Dans
le miroir je ne trouve pas
Nello
specchio non riesco a trovare
De
quoi te plaire
Niente
che possa piacerti
Alors
j'écris des mots sans voix
Così,
scrivo delle parole mute
Pour
oublier que je n'ai pas
Per
dimenticarmi che non possiedo
De
quoi te plaire
Niente che possa piacerti.
Salve
a tutti!
Vi
starete domandando quale sia la natura della cosa che – forse – avete
appena letto; a dir la verità, non lo so bene nemmeno io.
A
occhio e croce, comunque, dovrebbe essere una song-fic, ambientata poco
dopo il rientro di Naruto dalla (fallita) missione “Quindi Sasuke torna
a casa” [semi-cit.].
Ci
tengo a precisare che il mio intento non è assolutamente quello di
sminuire Sakura; tuttavia, trovo che, prima di Shippuden, la sua figura
sia un po’, come dire … inconsistente.
Da
qui, il tono auto-svilente delle riflessioni che ella compie su stessa.
Spero di non aver stravolto la caratterizzazione del personaggio.
Le
frasi in grassetto corsivo riportano fedelmente parti di dialoghi
dell’anime; credo proprio che non ci sia bisogno di segnalarvi gli
episodi da cui ho tratto i singoli periodi, giacché, qui dentro, l’unica
novellina sono io XD
Passando
ai doverosi tributi, la canzone che accompagna lo scritto è della
cantante francese Pomme (alias, Claire Pommet), e si intitola “De
quoi te plaire”.
Segnalo
che la traduzione è opera della sottoscritta: chiedo dunque venia per
gli eventuali strafalcioni.
Non
mi pare che vi sia altro da aggiungere, se non che ringrazio
preventivamente chi sia arrivato fin qui; ringraziamento ancora maggiore
va, infine, alle anime belle che vorranno pure lasciare un commento.
Bisous!
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