1.
Gambrath era un mercante solitario. Con il suo carro a due
ruote girovagava per tutte le terre vendendo le sue merci,
a volte barattandole con altre, a volte riuscendo a ottenere
in cambio metallo giallo o pietre preziose. Il suo aspetto
umano lo facilitava con la maggioranza delle popolazioni:
suoi clienti fissi erano il popolo Minuto, sempre bisognosi
di nuove sementi, innesti per i loro alberi da frutto e di
metallo nero per gli attrezzi. Commerciava volentieri anche
con i furbi candriani, con i quali era sempre un piacere
concludere affari quasi sempre profittevoli per
entrambi. Mentre i rehn, avari acquirenti di ogni genere
di bene che lui riuscisse a trasportare, erano i più
difficili. Poi, ma meno frequentemente, aveva occasione di
barattare con i nolga: le loro lunatiche cavalcature
rappresentavano un pericolo costante anche per il loro stesso
cavaliere e più di una volta erano riuscite a spaventare
a morte Oslob, il bue grigio dalle lunghe corna ritorte
che trainava il carro di Gambrath, accompagnandolo in
ogni suo viaggio.
A cassetta, riparato dalla pioggia sottile da un telo reso
impermeabile dal sudiciume, Gambrath teneva saldamente le
redini del vecchio Oslob, che un passo dopo l’altro faceva
avanzare il carro semivuoto nel fango molle. Il mercante
era preoccupato: con due giorni di viaggio aveva lasciato
alle spalle una città del popolo Minuto, dove aveva
appreso della sfida che il Guardiano aveva lanciato a
Vorgo, delle migliaia di morti e feriti che c’erano stati
senza che Vorgo subisse una sconfitta. Aveva sentito della
liberazione dei berserker, e già questa come preoccupazione
bastava e avanzava. Si era informato sul luogo della
battaglia e gli era stato detto che doveva essersi svolta
a parecchie giornate di marcia dalla città, poiché nessuno
si era reso conto di niente fino a quando i messaggeri
del popolo Minuto non avevano portato la notizia della
sconfitta del Guardiano dall’una all’altra delle loro
città. La seconda più grossa preoccupazione per Gambrath
era l’inasprimento delle tasse che Vorgo, incollerito
per la rivolta, avrebbe certamente inferto alle popolazioni
ribelli che avevano osato seguire il Guardiano. Più
tasse voleva dire meno soldi in tasca; pochi soldi
in tasca voleva dire meno affari per chi come Gambrath
viveva vendendo tutto quello che gli capitava tra le
mani. L’ultima preoccupazione, ultima solo per ordine
e non per importanza, era il suo carro semivuoto:
aveva trovato poca collaborazione nella città del popolo
Minuto che aveva appena abbandonato. Aveva venduto
poco, comprato quasi niente e barattato ancora meno:
i cittadini gli erano apparsi spaventati anche se
nessuna minaccia incombeva direttamente su di loro. Aveva
chiesto se c’era qualche accampamento o guarnigione
lì nei dintorni, ma gli era stato risposto che erano
mesi che non si vedeva uno sgherro di Vorgo da
quelle parti. Ma quella gente aveva paura lo stesso
e la paura rende parsimoniosi.
Gambrath sporse la testa da sotto il telo e si
guardò intorno: il grigiore della pioggia limitava
la visibilità nella grande pianura che stava
attraversando da due giorni senza aver incontrato
anima viva, come sempre. Ma da quando aveva sentito
pronunciare la parola berserker, Gambrath dormiva
con un occhio solo e scioglieva malvolentieri il
giogo di Oslob. Tornò al coperto senza aver visto
nulla, ma si ripromise di continuare a guardarsi
intorno maledicendo la pioggia e la nebbia che gli
impedivano di vedere. Guardò sotto la cassetta
dove aveva nascosto il risultato di un baratto
che si era affrettato a concludere prima di partire:
un lungo fucile dal calcio di legno lavorato. Era
in grado di lanciare la sua palla a grandissime
distanze, almeno così gli aveva garantito il Minuto
che glielo aveva dato in cambio di un’anfora di
ottimo vino dolce, che Gambrath aveva riservato
per scambi migliori, e di un sacco con fichi
essiccati. Gambrath voleva qualcosa per difendersi
che non fosse il suo corto pugnale che non
abbandonava mai e aveva accettato suo malgrado
lo scambio, chiedendo però anche la polvere e
il metallo per produrre altre palle. Guardò
quell’ingombrante arma e si chiese se fosse in
grado di fermare un berserker.
In quel mentre Oslob volse il muso all’indietro
piegando il suo collo muscoloso e brontolò piano,
in un modo che fece trasalire Gambrath. L’unico modo
per far muggire così Oslob è la vicinanza di qualche
nolga con la sua cavalcatura, pensò Gambrath,
sporgendosi nuovamente. Invece le grida che sentì
provenire dalla pioggia, alla sua sinistra, non
erano certo quelle dei nolga o dei basran, il nome
che loro stessi usavano per le bestiacce puzzolenti
che cavalcavano.
Lo spirito bellicoso di Gambrath si disciolse come
neve al sole alla vista di tre cavalieri semiumani,
armati di lance e spade e mazze ferrate, che puntavano
dritto verso di lui: il fucile rimase nascosto sotto
il sedile e per poco le briglie di Oslob non sfuggirono
dalle tremanti mani del mercante, che non aveva mai
sfoderato il suo coltello se non per tagliarsi il
cibo.
In breve i tre furono davanti al carro: uno di
loro, un mostruoso essere dalle sembianze di una
lucertola color del fango, afferrò con una mano
dotata di quattro dita il morso del bue grigio e
fermò il carro. Gli altri due, un muscolosissimo
umano vestito di nero e un goffo ma pericoloso glohr
addomesticato, circondarono il carro stando alle
spalle del mercante terrorizzato dalle loro armi
lucide per la pioggia e per l’uso frequente.
- Cosa porti, mercante? Bada, non mentire! - abbaiò
l’uomo nero, coperto di pelli, metallo e armi.
Anche il suo cavallo era bardato con piastre di
metallo e con i trofei di guerra del suo
cavaliere.
- Eccellenza, ho molto poco… poco cibo, delle
pelli e sementi per i contadini… - balbettò
Gambrath con voce appena udibile. Si era alzato
in piedi esponendosi alla pioggia sottile e
fredda, non sapendo se tenere d’occhio il rettile
umanoide che guardava con occhio malvagio e
affamato il povero Oslob oppure i due che con
le loro corte lance avevano già sollevato il
telo che proteggeva la sua mercanzia.
- Vedremo, pidocchio! Se ci hai mentito farai
una brutta fine! - disse l’uomo. Un sibilo
dell’orribile glohr accompagnò il saettare
della sua lingua biforcuta.
I due gettarono il telo nel fango esponendo la
merce di Gambrath alla pioggia.
- Vi prego, signori! È tutto quello che ho, se
la pioggia rovina le sementi non avrò di che
vivere!
- Halle! Khuelli kame fe hanno ssemfre la horsa hiena
h’oro! - sibilò il rettile che sceso dal suo ronzino
teneva per il morso Oslob. I suoi freddi occhi a
fessura sporgevano dalla testa triangolare e una opaca
membrana nittitante li ricoprì per un attimo per
ripulirli dalle gocce di pioggia.
- Giusto - disse l’umano coperto di nere pelli ispide
e bagnate di pioggia, abbandonando la perquisizione
del carro - se il carro è vuoto vuol dire che hai
venduto tutto e che la tua borsa è piena di monete.
Vero, pidocchio?
- Ma signore… eccellenza, c’è carestia, la guerra…
le tasse sono sempre alte… - azzardò Gambrath vedendosi
perduto. La sua borsa non stava male, era vero, ma
aveva in progetto di acquistare nuove mercanzie
con quel denaro.
- Sì, sì… dicono tutti così… prima di morire! - ringhiò
impugnando la sua scure bipenne.
- No, vi prego! - disse Gambrath cercando di
fuggire. Riuscì a saltare giù dalla cassetta, ma
l’essere simile a un enorme rettile lo afferrò per
le vesti e lo trattenne, spingendolo con forza nel
fango. L’essere aveva già impugnato la sua arma, una
pesante mazza ferrata dotata di grossi e acuminati
aculei di metallo quando la voce dell’uomo fermò la
sua mano già alzata sopra la testa.
- Aspetta! A volte nascondono l’oro per non farselo
rubare! Se lo uccidi, potremmo non trovarlo mai!
Il lucertolone abbassò la sua arma e sollevò di
peso il mercante dal fango. L’umano, che lo
sovrastava di parecchio in altezza, lo afferrò
e lo scosse come fosse una bambola di pezza.
- Parla, figlio di un cane! Dove hai nascosto l’oro?
La gola di Gambrath era paralizzata dal terrore. L’oro
l’aveva addosso, non si fidava a lasciarlo da nessuna
parte. Ma non riuscì a proferir parola.
- Dov’è? - sbraitò ancora più forte il colosso.
- Lasciatelo!
La voce parve arrivare dal nulla. Una voce forte ma
acuta, femminile, risoluta. Tutti cercarono di
individuare chi potesse essere a sfidare quei tre
assassini di professione. Dal grigio della nebbia
apparve una figura, piccola e scura. Gambrath poteva
vedere bene poiché la figura emerse dalla pioggia
alle spalle del gigante cupo che lo stava scrollando. Era
una donna, la chioma corvina e ribelle appiccicata
dalla pioggia al volto pallido e al collo bianco, i
seni protetti da due coppe di metallo legate con
pelle, la vita cinta da un gonnellino fatto di innumerevoli
strisce di cuoio e di placche di metallo legate tra
loro da ampi anelli. I piedi erano coperti da curiose
calzature sporche di fango dall’aspetto molto robusto,
che arrivavano all’altezza dei polpacci. La pelle del
volto era dipinta di nero intorno agli occhi, spesse
righe scure che partivano dalla fronte, scendevano
sugli zigomi e finivano a punta sul mento. Altri
grossi segni neri ornavano le braccia sottili, il
ventre un po' sporgente e le cosce grosse e
rotonde. Lo sguardo fiero e le due lunghe lame
dritte che impugnava non lasciavano dubbio alcuno
sulle sue intenzioni.
Riavutosi dalla sorpresa, il gigante nero lasciò
andare il mercante che ricadde nel fango. Impugnando
la sua pesante scure bipenne con una sola mano fece
un passo avanti verso la nuova arrivata, che si era
fermata a qualche passo da lui.
- E tu chi saresti?
- Quella che ti farà passare la voglia di
ammazzare gli indifesi, letame!
- Non credi di essere un po' piccola per queste
cose? - disse l’uomo con un ampio sorriso di
ghiaccio sul volto.
La ragazza non rispose e si mise in guardia,
puntando in avanti le sue lame.
- Sei proprio decisa, eh? E va bene. Ho voglia
di divertirmi anch’io: la tua morte sarà una liberazione
per te, te l’assicuro!
Così dicendo fece un passo in avanti e fece volteggiare
improvvisamente la sua scure come se avesse avuto tra le
mani un rametto. La ragazza fece un passo a lato temendo
un attacco, ma dopo che il gigante ebbe riportato la scure
in posizione di guardia si rese conto che non era stata
sua intenzione colpirla. Il gigante nero esplose in una
fragorosa risata, deridendola. Poi passò all’attacco,
sicuro di sé. La scure volteggiò di nuovo e la guerriera
la schivò d’un soffio, avendola vista arrivare solo
all’ultimo momento. La scure affondò con un tonfo nel
fango dove un attimo prima c’erano i piedi di lei: se
non fosse stata più che svelta, quel colpo veloce e
potente le avrebbe spaccato il cuore dopo averle diviso
in due la testa e il petto.
Pensò di avere un attimo di respiro e di poter
contrattaccare, ma il gigante aveva già estratto
dal fango la sua arma e la stava aspettando. Egli
fintò un attacco, lei si ritrasse spaventata dalla
velocità che quel colosso aveva e menò un fendente
per coprirsi la ritirata. Quando tornò in guardia vide
la sua lama sporca e l’espressione sul volto scuro
dell’uomo era cambiata. Dopo qualche interminabile
istante vide il sangue luccicare attraverso il cuoio
lacerato.
L’attacco seguente fu di una furia e di una velocità
sorprendenti. La guerriera saltò indietro quanto più
poté, ma la carica del gigante urlante era tale che
la raggiunse e la travolse gettandola a terra nel
fango. Aveva avuto appena il tempo di schivare un
fendente che le avrebbe staccato la testa, ma non si
perse d’animo: con una faticosa piroetta si rimise
in piedi e si trovò a guardare le spalle del suo
avversario. Approfittando del tempo che il colosso
ci mise ad arrestare la sua carica e a voltarsi,
le lame scomparvero lasciando il posto a un'arma
che Gambrath non aveva mai visto prima. La guerriera
misteriosa, rivelatasi anche una potente strega,
attese che il possente avversario si fosse voltato,
poi gli sorrise e fece tuonare la sua arma. Quattro
volte scaturì il lampo, quattro esplosioni secche,
prima di veder cadere il gigante immobile a
terra. Poi si voltò di scatto, appena in tempo
per freddare con una scarica il glohr che si era
lanciato su di lei. Il rettile umanoide, l’ultimo
dei tre assassini, la guardò con occhi inespressivi,
sibilò brevemente e con un rapido scatto saltò a
cavallo e si diede alla fuga. La strega guerriera
appoggiò l’arma contro la spalla, prese bene la
mira nonostante la pioggia che la infastidiva e
lasciò partire due brevi raffiche. La vampata del
fucile fece risplendere di una balbettante luce
bianca le goccioline di acqua. Gambrath vide la
sagoma dell’uomo rettile cadere dal cavallo con
un urlo disumano, rotolare a terra un paio di
volte e poi non rialzarsi più. Il mercante non
aveva perso tempo: quando la sconosciuta
guerriera aveva ucciso con quella strana e
potentissima arma il glohr a cavallo un attimo
prima che le saltasse addosso, lui era scattato
verso il suo carro e aveva raccolto il telo da
terra per coprire le sue povere mercanzie. Poi
con un breve schioccare delle redini aveva
incitato Oslob a partire a tutta velocità. Quando
aveva visto cadere il terzo bandito si era reso
conto di non essere ancora fuori tiro, ma la
guerriera era già diventata un’ombra nella
pioggia.
- Bella riconoscenza… - disse a mezza voce la
guerriera ansimando per la fatica - ma tu guarda
che gente!
Afferrò il fucile per la maniglia e ritornò sui
suoi passi lasciandolo dondolare. Camminò fino a
quando il carro del mercante scomparve nel grigio
di quella orribile giornata, fino a quando i tre
cadaveri furono lontani e dimenticati, camminò
sotto la pioggia strizzando gli occhi per le gocce
che le davano fastidio. D’un tratto si fermò,
in mezzo al niente, in mezzo alla brulla pianura
battuta dalla pioggia, come se fosse arrivata a
destinazione. Lasciò cadere a terra l’arma e
cercò di raccogliere con le mani i capelli ricci
fradici di pioggia per scostarli dal viso e dal
collo. Fece quasi annoiata e distratta un passo
avanti e sparì, dissolvendosi nell’aria.