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Autore: ChiiCat92    08/10/2019    1 recensioni
"« Voglio vederlo. » la voce gli tremava appena, ma riusciva bene a nasconderlo sotto uno strato di rabbia avvelenata.
Se solo Angeal non avesse avuto quello sguardo. Commiserazione, biasimo, autorità. Come se lui gli fosse superiore e potesse avanzare una qualsiasi pretesa.
« Non è possibile. »
« Perché. » si ritrovò a battere un piede a terra, infastidito come un bambino, e lo sguardo di Angeal si fece più autoritario di conseguenza, più adulto, genitoriale."
Questa storia partecipa al Writober 2019 di Fanwriter.it, lista PumpFIC
#writober2019 #fanwriterit #halloween2019
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Angeal Hewley, Genesis Rhapsodos, Kadaj, Zack Fair
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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07/10/2019 

 

Crack Ship


« Voglio vederlo. » la voce gli tremava appena, ma riusciva bene a nasconderlo sotto uno strato di rabbia avvelenata.

Se solo Angeal non avesse avuto quello sguardo. Commiserazione, biasimo, autorità. Come se lui gli fosse superiore e potesse avanzare una qualsiasi pretesa.

« Non è possibile. » 

« Perché. » si ritrovò a battere un piede a terra, infastidito come un bambino, e lo sguardo di Angeal si fece più autoritario di conseguenza, più adulto, genitoriale. 

“Ti sei risposto da solo.” sembrava dire quello sguardo, il modo in cui teneva la testa leggermente piegata da un lato, le braccia incrociate sul petto muscoloso. 

Genesis sentì le mani formicolare. Avrebbe voluto avere il suo stocco. L’avrebbe puntato contro la gola dell’amico, del compagno, solo per il suo egoismo. 

Strinse i pugni, forte, finché non sentì le unghie conficcarsi nei palmi.

« Fammelo vedere, Angeal. » disse, cercando di mantenere un tono di voce controllato, pacato, ragionevole. Anche se la ragione lo aveva da lungo tempo abbandonato.

Da quando, circa, Sephiroth era arrivato nel Lifestream.  

« Non fartelo ripetere. » Angeal divaricò le gambe, in posizione di difesa, pronto a contrattaccare, piazzato a difesa della porta da bravo soldato. La morte non l’aveva cambiato, anzi, se possibile l’aveva reso ancor più zelante. Pendeva dalle labbra di quella ragazzina… 

La porta alle spalle di Angeal si aprì. Ovviamente al suo pupillo era permesso entrare, per via del rapporto intimo che condivideva con la Cetra.
Solo a lui, a quanto pareva, era impedito incontrarlo. 

Una smorfia contrasse le sue belle labbra. Di nuovo, desiderò lo stocco, l’arma che gli era tanto cara, con la lama rosso carminio da far brillare alla luce del sole.  

Angeal rivolse solo un’occhiata a Zack, poi tornò a fissare Genesis, come se temesse che spostando gli occhi troppo a lungo lui potesse intrufolarsi tra le sue gambe ed entrare in casa. 

« Oh, ciao Genesis. » lo salutò, gioviale, Zack. 

Si chiuse accuratamente la porta alle spalle, senza dargli modo neanche di sbirciare all’interno. Genesis provò una fitta al cuore e allo stomaco al contempo: la prima era di delusione, la seconda di rabbia.  

Avevano così paura di lui? 

« Ciao, Zack. » ricambiò, secco, privo di espressività. Morto. Come tutti loro, come Sephiroth, nascosto in quella stanza, tenuto lontano da lui. « Ho il diritto di vederlo. » 

« Ne abbiamo già parlato, Genesis. Non è possibile adesso. » stavolta, Angeal abbandonò il tono accomodante. La presenza di Zack lo rendeva più forte. Temevano Genesis, sapevano che da soli non avrebbero potuto sopraffarlo, ma insieme...era ben diverso. 

« Bene. » ringhiò il rosso. Il sangue gli ribolliva nelle vene, palpitava rovente in tutto il corpo. Indignato, sconfitto, umiliato. « Posso sapere, di grazia, quando sarà possibile? »

Zack guardò Angeal, preoccupato. Sul giovane volto si formarono rughe leggere. Non sarebbe mai invecchiato più di così, non sarebbe mai stato fuori forma, malato, indebolito: il Lifestream lo aveva accolto in Paradiso come premio per le sue sofferenze. 

Ma il Lifestream non conosceva la differenza tra un mostro e un eroe, altrimenti, né Genesis né Sephiroth sarebbero stati lì.

« Vedremo. » rispose solo Angeal, vago. 

Era un “mai”, era un “a te non sarà mai concesso”. 

Genesis si lasciò sfuggire verso di frustrazione e voltò le spalle ad entrambi, allontanandosi a grandi passi. 

Non gli avrebbe permesso di negargli l’accesso ancora per molto. Se non lo lasciavano passare, si sarebbe aperto un varco con la forza. 

 

Il pensiero di lui lì, in quel luogo fuori dal tempo, dallo spazio, inesistente eppure tangibile, così vicino da poterne avvertire l’aura, lo faceva impazzire. 

Genesis aveva bisogno di lui, aveva bisogno di sentire il suo profumo, aveva bisogno di sentire la morbidezza della sua pelle, il suo sapore.

Si sarebbe ricordato di loro? Di ciò che avevano condiviso? Delle notti rubate, dei momenti cuciti insieme in un patchwork di ricordi? 

Si sarebbe ricordato di amarlo? 

Fremeva, ogni passo che faceva lo faceva verso di lui.

Angeal continuava a fare la guardia alla porta come un cane, il tirapiedi della Dea. Onore, rispetto, dignità, tutte cose che morire non gli aveva tolto, tutte cose che ancora provava nonostante il tradimento.

Oh era così arrabbiato, così pieno di scintille sottopelle che sarebbe potuto esplodere da un momento all’altro. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo, né la mancanza d’armi, né la debolezza spossante, umana, a cui il Lifestream lo costringeva. 

Il fuoco che bruciava nel suo animo sarebbe bastato a sopraffarli. 

Quando Angeal si allontanò di qualche passo per chiacchierare con qualcuno, Genesis agì.

Senza pensarci due volte corse verso la casa, il respiro fermo nei polmoni, i passi calcolati, ed entrò.

Non sapeva se Zack, o la ragazza, fossero lì, ma di certo c’era lui.

Cercò di ricordare quando si erano visti in vita l’ultima volta, cosa si erano detti, quale sorriso si erano rivolti. Complice, amante, compagno, cos’era stato per lui allora? 

Avrebbe potuto dirgli che era felice di vederlo, lui l’avrebbe guardato con occhi verde brillanti, gli avrebbe detto “mi prendi in giro?”. Si sarebbero ritrovati nella morte, avrebbero ricominciato da dove avevano lasciato, da quel...punto...esatto. 

Aprì la porta della camera da letto. Gemme di vetro, di un verde spaurito, si fissarono su di lui.

Come un animaletto abbagliato dai fari di un’auto in corsa, il ragazzino sul letto si rannicchiò di più, le gambe strette al petto, le labbra leggermente arricciate in un piccolo ringhio.

Non c’era Zack, né la ragazza dei fiori, c’erano solo lui e il ragazzino. 

« Sephiroth. » provò lui, allungando una mano.

I capelli, corti, coprivano solo per metà un viso giovane, bambino, solcato da orrore e sbigottimento.

Non sapeva dove si trovava, perché, forse non sapeva neanche chi era. Ma Genesis lo sapeva.

« Sephiroth. » chiamò ancora. Gli si avvicinò di un passo, poi un altro. Il ragazzino rimase immobile ma la pupilla nei suoi occhioni verdi divenne una sottile scheggia nera.  

Ricordava, o credeva di ricordare, come appariva Sephiroth da giovane. Quando era un semplice Soldier e non un First e indossava una divisa troppo grande per lui. Lo sguardo fiero, il mento sempre alto, i capelli legati indietro in una treccia o una coda alta, le spalle larghe, la struttura esile ma forte.

Il ragazzino era la metà di lui, o meglio, un terzo.

Genesis sentì le labbra pungere, una reazione allergica a ciò che stava per dire.

« Kadaj. » 

Le pupille del ragazzino si allargarono per un attimo, per poi tornare sottili come quelle di un gatto, i capelli sulla nuca gli si rizzarono, la pelle si accapponò. 

Era quello il suo nome adesso? 

L’aveva guardato, da lontano, confusamente, mentre vagava su Gaia diviso in tre. L’aveva visto lottare, ancora e svanire. Svanire per sempre.

Tutto ciò che era rimasto di Sephiroth era…

« Kadaj. » disse ancora. Genesis poggiò un ginocchio sul letto, il ragazzino fissò il punto in cui il materasso cedette al suo peso, poi tornò a fissarlo negli occhi, sul chi vive. Se avesse avuto gli artigli gli avrebbe sguainati, avrebbe rizzato il pelo, si sarebbe gonfiato per sembrare più grosso.

Un felino spaventato messo all’angolo.

« Non avere paura. Sono...sono io. » si avvicinò ancora, il letto cigolò facendo sobbalzare entrambi. 

“È questo il motivo per cui non volevano farmelo vedere?” 

« Ti ricordi di me? » se parlava sottovoce il ragazzino sembrava prestare più attenzione. 

Doveva capirlo, si era appena risvegliato dopo la morte, doveva essere confuso, doveva sentirsi estraneo al suo corpo. Era finito in un Paradiso che non desiderava e che, probabilmente, neanche meritava. Povera creatura a metà, strappata alla vita, esule in morte. 

Aveva i suoi occhi. 

« Sono Genesis. » tentò. Ormai era così vicino da poterlo toccare.

Aveva la pelle chiara, come lui, membra sottili e scattanti, ma era così piccolo, fragile, etereo. 

« Genesis. » ripeté il ragazzino. Di nuovo le sue pupille ebbero un fremito, si allargarono leggermente dandogli un’aria un po’ più umana, meno mostruosa.

Qualcosa dentro di sé risonava con lui, una nota profonda, nascosta, che Genesis voleva disperatamente sentir rintoccare.

Voleva che vibrasse con forza dentro di lui facendolo sentire pieno

Gli porse una mano e Kadaj vi poggiò il viso contro, strusciando la guancia.

Caldo, reale. Come poteva una cosa così vera succedere in un mondo inesistente, oltre la percezione dei sensi umani? 

Genesis sentì il sapore delle lacrime sul fondo della gola, salate e amare come il dolore. 

Sephiroth, tutto ciò che era rimasto di lui, in quel piccolo essere spaventato. 

Di slancio, e all’improvviso, il ragazzino gli saltò addosso. Genesis non poté far altro che prenderlo tra le braccia.

La sensazione, estraniante, di quel minuscolo corpo stretto al suo, lo fece rabbrividire. Aveva il profumo di Sephiroth, quel misto pungente d’aria gelida e menta, ma stava accucciato nelle sue braccia come un cucciolo, e altrettanto spaventato. 

Riusciva a sentire il tremore delle sue membra sotto le dita, il desiderio di farsi più piccolo possibile e, forse, sparire. 

« Va tutto bene. » si ritrovò a dire Genesis, battendo le palpebre per lo stupore. Si stupiva di se stesso, di come riusciva ad ammansire il dolore a tal punto da non sentirlo. 

Il viso di Sephiroth continuava ad apparirgli dai suoi ricordi, il suo sorriso, il lampo di gioia nascosto nei suoi occhi. 

Kadaj sollevò lo sguardo cercando quello di lui. Il suo viso era più piccolo, più ovale, infantile, ma era Sephiroth. Da qualche parte nella sua mente doveva esserci ancora qualcosa. 

Genesis si abbassò, esitante. Se avesse fatto una cosa del genere con Sephiroth l’avrebbe pagata cara. Le labbra di Kadaj erano più piccole, ma avevano lo stesso sapore, lo stesso calore, e lasciavano la stessa sensazione di ebbrezza. 

Lui non si ritrasse, desideroso di sapere, di capire tanto quanto lo era Genesis.

Il bacio durò solo un istante, poi Kadaj tornò ad accoccolarsi al suo petto, una mano stretta intorno al suo cappotto rosso. 

« Genesis! » lui alzò il viso verso la voce, mentre il ragazzino rimase immobile, quasi nel tentativo di passare inosservato.

Angeal e Zack li fissavano, sulla soglia, entrambi con la stessa, scioccata espressione.

« Ti avevo detto…» tentò Angeal.

« Shh. » mormorò Genesis, sorridendo, con un dito sulle labbra. « A Kadaj non piacciono i suoni forti. » 

« Non è lui. » ci tenne a sottolineare Angeal.

« Lo so. » oh, eccome se lo sapeva.

Tutto gli era familiare mentre teneva tra le braccia il ragazzino eppure gli era anche estraneo. 

Lo sentiva sotto le dita, ma si sentiva legato a doppio filo a lui. Non poteva lasciarlo, non voleva lasciarlo.

« È tutto quello che mi è rimasto di lui. » mormorò, quasi senza accorgersene.

« Te ne pentirai. » 

Genesis annuì. Sì, se ne sarebbe pentito.

Intanto, si strinse al petto la testina di Kadaj, il suo corpo si adeguava perfettamente a quello di lui, come tanto, troppo tempo prima, in un mondo in cui sarebbero stati felici se solo li avessero lasciati liberi.

Adesso quella libertà doveva strapparla, dilaniarla, vestirsi di quei brandelli. Perché questo gli era rimasto: un brandello felice di una vita passata.

 
   
 
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