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Autore: Alis97    14/10/2019    0 recensioni
La fanfiction è ambientata durante la ricerca degli oracoli tenuti prigionieri dal Triumvirato. Questa è la seconda parte della prima fanfiction solangelo "Ricomincio da te" e racconta -secondo il mio pensiero e punto di vista- ciò che potrebbe accadere nel frattempo al Campo Mezzosangue.
Consigliato solo a chi a letto tutti i libri de "Le sfide di Apollo".
Buona lettura!
⚠ATTENZIONE⚠
Contiene spoiler.
©tutti i diritti sono riservati a Rick Riordan, creatore dei persaggi e della collana di romanzi per ragazzi "Percy Jackson"
©2019fanfiction
20•09•2019
Genere: Angst, Fantasy, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Apollo, Margaret (Meg) McCaffrey, Nico/Will, Reyna, Talia Grace
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 1






Un tuono scosse il cielo.
Per i mortali ciò significava solo che da lì a poco sarebbe scoppiato un temporale o, peggio, una bufera di neve. Per i semidei al Campo Mezzosangue invece significava che Zeus era adirato. Molto altro era in arrivo per il gruppo dei mezzosangue.

Da giorni il cielo di New York non dava segno di miglioramenti, dense e grigie nuvole formavano un unico e compatto blocco. I lampi illuminavano i riccioli di vapore, tuoni che ponevano fine al silenzio. Qualcosa di grave stava accadendo su nell’Olimpo, qualcosa cui i mortali non era tenuto sapere e tanto meno ai semidei, figli degli olimpi. Un altro tuono, seguito da un graffiante fulmine che spaccò in due il cielo, poi di nuovo il silenzio. Lento quel brontolio andò a scemare fino a scomparire del tutto.
I campeggiatori fissarono per lunghi interminabili secondi quella lastra grigia, nessuno parlò più, tutti trattennero il fiato. Dopo il fulmine si poteva avvertire nell’aria una vibrante ondata di novità, e spesso le novità giunte dagli dei portavano solo guai.
I campeggiatori ripresero con i loro compiti, sussurrando solo tra di essi cosa poteva essere successo, perché Zeus era da tempo così furibondo? Chi era l’artefice della sua ira? E soprattutto si chiedevano se sarebbero stati coinvolti ancora in mezzo ai capricci dei loro genitori divini. Poi un giorno quella muta richiesta dei semidei venne esaudita.
Si presentò al campo un nuovo ragazzo, goffo, con i capelli ricci e scompigliati sulla fronte. Era stato accompagnato di corsa all’infermeria del campo, si vociferava si dovesse trattare di Apollo in persona, spedito per punizione tra i mortali da Zeus. Eppure quel corpo esile e malconcio non poteva appartenere al glorioso e potente Apollo, si doveva trattare assolutamente di uno sbaglio. Assieme al ragazzo c’era anche una ragazzina che giocherellava con tutto ciò che trovava sottomano, come se tutto doveva in qualche modo appartenerle. La portarono alla Casa Grande, per farla parlare con Chirone, così da lasciare in pace i ragazzi all’infermeria.
Dopo qualche ora il ragazzo che tutti pensavano fosse Apollo si ridestò, la testa gli girava, borbottava che ciò si doveva trattare di un sogno e poi, messa a fuoco la vista, si ritrovò in una specie di infermeria, con un volto familiare che lo guardava con profonda preoccupazione.
Il ragazzo giunto al campo era davvero Apollo, reso mortale dal suo stesso padre. Ognuno dei campeggiatori lo fissava con curiosità, badando bene a non dire nulla di troppo davanti al dio. I figli erano sia lieti che intimoriti dalla presenza del padre al campo: pochi tra i semidei erano stati così fortunati a conoscere il proprio genitore divino, ed altri, quelli ancora più fortunati, a spendere più di una parola con essi. Eppure, l’idea che Apollo fosse ora un comune mortale faceva nascere nei figli un senso disagio: cosa significava questo per loro? Erano costretti a rinunciare alle proprie doti canore? Non sarebbero mai più riusciti a qualificarsi per il tiro con l’arco alle olimpiadi? Sarebbero scomparsi? Apollo si rallegrò vedendo quanto a cuore stesse il successo nei suoi bellissimi figli, e li rassicurò dicendo che nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto: il dono che lui gli aveva fatto non sarebbe mai scomparso.
Ma il dio del Sole, delle arti e della profezia non si fermò molto a lungo in quel campo, doveva riprendere la sua missione e liberare gli oracoli dalle mani del Triumvirato. I campeggiatori vociferavano fosse strano che per una volta fosse un dio ad occuparsi di una missione così rischiosa, probabilmente doveva essere una faccenda più seria del previsto dato che Zeus aveva mandato suo figlio, il potente e luminoso Apollo, a liberare i suoi fedeli oracoli fatti schiavi dagli imperatori romani. Ciò spiegava anche l’assenza degli incubi che accompagnavano le notti dei semidei. Qualcuno ironizzò che forse era meglio se continuavano a starsene imprigionati là dov’erano, perché era la prima volta in tanti secoli che non si dormiva così bene al campo. Eppure quella battuta non fece nascere molte risate, era vero che finalmente riuscivano a dormire meglio, ma i sogni e le profezie facevano parte della loro scomoda vita, era un modo per restare all’erta anche se spesso si finiva per destarsi bruscamente dal sonno.
Dopo che Apollo se ne andò dal campo l’aria sembrò farsi sempre meno elettrica, forse era un buon segno per i campeggiatori, forse non sarebbero stati invischiati in qualche guerra. Nonostante ciò, i figli dell’ex dio erano preoccupati: il Sole era scomparso dai loro occhi, risucchiato da un fastidioso senso di disagio che aveva iniziato a divorarli lentamente da quando loro padre aveva messo piede al campo. Nico studiò accuratamente l’espressione di rammarico che nasceva in Will, dubbioso se parlare o meno di ciò che aveva avvertito quando ha parlato con Apollo. Will era presente quando Nico disse davanti a suo padre che avvertiva un’aurea decisamente negativa, non indagò però sul significato di quelle parole, quel giorno era forse troppo turbato dall’idea che suo padre era lì e che era riuscito a conoscere il suo ragazzo, dando ad entrambi la sua benedizione. Nico aprì lentamente le labbra, richiudendole il momento dopo: non voleva allarmare Will, probabilmente quello che aveva sentito era dovuto al fatto che Apollo non era più fatto di luce.
« Se la caverà » lo rassicurò, stringendogli la mano. « È pur sempre un dio anche se ora è nei panni di un mortale. » sapeva che non era vero, ma non voleva allarmare ancora di più il suo ragazzo e i suoi fratelli. A quelle parole Will sorrise, felice che con lui in quel momento ci fosse Nico.


Pochi giorni dopo dalla partenza di Apollo tutte le attività ripresero come al solito: c’era chi si andava ad allenare all’arena, chi al tiro con l’arco, chi giocava a basket o semplicemente chi andava a plasmare con l’argilla un nuovo vaso, restando così per alcune ore al caldo. Lo sguardo di Nico non poté che ricadere su quell’edificio, da cui usciva una nuvola di fumo emanata dal camino. Mentre ci passava davanti – con Will che gli raccontava qualcosa su un medicinale che non riusciva a preparare – i pensieri di Nico si andarono subito a posare su Jason. L’amico era partito dopo Natale, alle prime luci dell’alba. Nessuno gli disse perché, il ragazzo non riuscì nemmeno a contattarlo con dei messaggi Iride. Jason se ne era andato un mattina di dicembre e non sapeva il perché. Si chiese se non ci fosse in mezzo una qualche missione segreta, dopotutto apparteneva ancora al campo romano, possibile che fosse stato richiamato?
Will intanto continuava a parlare, riottenendo l’attenzione di Nico che si era perso da qualche parte tra le foglie di ortica e le bacche di ginepro.
« Will » il ragazzo si fermò di colpo, facendo voltare il ragazzo che si era fatto silenzioso.
« Tu lo sai dov’è andato Jason? » quel pensiero lo stava logorando, quel ragazzo non se ne sarebbe mai andato senza dirgli una parola.
Will dischiuse le labbra, il figlio di Ade sapeva che non si faceva sfuggire nessun pettegolezzo del campo e che era sempre aggiornato su ciò che i semidei si raccontavano. Bene o male tutti i campeggiatori sapevano tutto di tutti. I semidei convivevano sotto lo stesso tetto, per modo di dire. Ma Will non sapeva nulla di Jason e dubitava che anche gli altri ne sapessero più di lui.
« No, mi dispiace. » sembrò la risposta migliore da dare in quel momento. « Forse Chirone sa qualcosa » aggiunse, cercando di dargli qualche speranza. Nico fece una smorfia, Chirone non gli avrebbe mai raccontato nulla.
I due ripresero a camminare, diretti all’arena. Will non parlò più di erbe medicinali e Nico non parlò più di Jason.


Lenta la sera scese sul campo e quella fu la serata più tranquilla mai avuta fin’ora. Le voci si fecero basse, il tavolo di Apollo non era energico come le altre sere, molti pensarono fosse dovuta alla presenza del figlio di Ade a quel tavolo, che portava via ogni forma di allegria. La verità era decisamente un altra. Da un po’ di giorni i figli di Apollo non si sentivano più gli stessi: dopo aver visto il loro padre ridotto in una simile condizione, sapere che stava rischiando la propria vita per liberare gli oracoli, essere a conoscenza che forse non sarebbe più tornato un dio, tutto ciò gli aveva lasciato impresso nella loro mente un senso di smarrimento. Era come se la loro stessa identità dipendesse da Apollo. Nico a quel tavolo si sentiva di troppo.


Al falò le cose non andarono molto meglio, la solita energia sprigionata dal coro sembrava come scomparsa, divorata dalle fauci dello sconforto. Le luci del fuoco restarono basse e opache, simbolo che nessuno al campo era troppo in vena di scherzi e risate. Anche se non direttamente i semidei erano stati coinvolti ancora una volta nei capricci dei loro genitori. Al termine dell’ultima canzone i campeggiatori si salutarono, prendendo strade diverse e spostandosi ognuno verso le proprie cabine.
Prima di andarsene nella sua cabina Nico chiamò Will, ritagliandosi un momento per stare da solo con lui nell’oscurità, illuminati solo dalla debole e gialla luce del fuoco – che lento si stava spegnendo. Nico gli prese la mano, intrecciando le dita con le sue, non era bravo a risollevare il morale degli altri, quel compito spettava al suo ragazzo, ma in quel momento Will gli stava chiedendo di essere forte anche per lui e Nico non si sarebbe per nulla al mondo tirato indietro.
« Solace » lo richiamò con serietà, volendo che il ragazzo lo guardasse negli occhi.
« Sei tu che decidi chi essere, non dipendi da Apollo. Perciò domani voglio rivedere il Sole nei tuoi occhi. Non mi deludere. »
Per un attimo entrambi si guardarono negli occhi, perdendosi nello sguardo dell’altro. Le labbra di Will si ripiegarono in un sorriso, andando ad illuminare quel viso che per dei giorni era stato spento.
« Non ti deluderò » rispose con un mezza risata, abbassando lo sguardo verso le loro mani, giocando con le dita del suo ragazzo. Anche le labbra di Nico si piegarono in un sorriso udendo quella risposta, era così che lo voleva vedere: felice, con il Sole ad illuminargli il viso.
I due si salutarono, prendendo strade opposte. Nico entrò nella sua cabina, illuminata solo da verdi fiaccole appese al muro. Ancora non era riuscito a cambiare l’aspetto di quel suo lugubre rifugio, forse un giorno lo avrebbe fatto.
Steso sul letto fissò il soffitto, dove le ombre delle fronde degli alberi danzavano per lui, e Nico si addormentò guardando quella danza.

   
 
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