Tutto
mi dice
che sto per prendere una decisione errata,
ma anche gli
errori sono un modo di agire.
Cosa vuole il
mondo da me? Che non corra i miei rischi?
Che torni da
dove sono venuta, senza avere il coraggio di dire di sì alla
vita?
Una
ragazzina dalla pelle ambrata e un giovane dai capelli biondi si
esibivano al
centro della piazza principale del loro quartiere, davanti ai passanti.
La
ragazza faceva acrobazie e il giovane, truccato di bianco e con un
grosso naso
da clown, presentava un avvincente spettacolo di giocoleria.
Un’uniforme
a rombi colorata gli ricopriva l'intero corpo.
Le
palline da tennis gli scivolavano tra le mani come se scottassero e in
pochi
secondi realizzò un numero degno di arte circense.
La
ragazzina, stordita dalle continue giravolte, si fermò un
attimo a osservare un
passante immobile di fronte a loro, ipnotizzato dalla loro arte; ma
subito
quello fuggì via frettoloso, come scoperto nel bel mezzo di
un'azione illecita.
Interdetta,
la giovane sbirciò nella piccola scatola colorata posta
davanti a sé, senza
scoprire più di qualche centesimo.
Il
sole stava per tramontare e la gente si affrettava a tornare a casa.
Lei
osservava ognuno avviarsi veloce verso la sua meta, quando il suo
sguardo
raggiunse, quasi all'altro estremo della piazza, un uomo di
mezz'età poggiato
alla parete di una casa, intento ad osservarli.
I
capelli grigi erano leggermente mossi dal vento, la mano frugava
impaziente in
una tasca.
Pochi
secondi dopo ne estrasse un pacchetto di sigarette, se ne
portò una alla bocca
e la ragazza fece in tempo a vedere la fiamma dell'accendino brillare
davanti
agli occhi prima che una voce la distraesse dai propri pensieri.
«Noël,
che stai facendo? Ormai è tardi,
dobbiamo tornare a casa».
La
voce proveniva dal ragazzo accanto a lei, l'aspirante circense.
«E anche oggi
non abbiamo concluso
nulla» continuò lui rassegnato, raccogliendo la
scatolina ai loro piedi.
Si
conoscevano da più di tre anni e da un paio di mesi, quasi
ogni pomeriggio,
andavano in piazza ad esibirsi, con la speranza
di racimolare qualche moneta.
«Non
è vero» obiettò la ragazza,
«guarda»
aggiunse, facendosi scivolare sul palmo i pochi centesimi raccolti.
Il
giovane la scrutò con aria interrogativa, schiudendo gli
occhi alla luce del
sole all'orizzonte.
«Oh certo,
sicuramente con questi
soldi potremo pagarci la scuola!» borbottò,
facendole segno di tenersi il
denaro.
«Siamo
ricchi!» bofonchiò il
ragazzo in un tono neanche lontanamente soddisfatto, eseguendo un
assemblé¹
distorto.
La
ragazza sorrise, raggiungendolo.
«Prima o poi
ce la faremo»
sussurrò più che altro a se stessa, tornando a
guardare il punto in cui vide
quell'uomo.
Ma,
con sua sorpresa, era già sparito, lasciando dietro di
sé soltanto una
sigaretta mezza spenta.
«Ci vediamo
domani, d’accordo?» disse
il ragazzo, fissandola negli occhi.
Lei
annuì, voltandosi per tornare a casa, senza accorgersi che
lui non si era
voltato a sua volta, ma era rimasto lì a fissarla fino a
quando non scomparve
in mezzo alla folla.
~
Quando
Noël tornò a casa quella sera, la prima cosa che
vide fu la schiena della madre
spostarsi veloce accanto ai fornelli.
Mosse
timidamente un passo in avanti e il suo sguardo cadde accidentalmente
sul
tavolino accanto al divano, in cui una foto di famiglia campeggiava in
tutta la
sua bellezza.
Noël
rimase quasi ipnotizzata dal fascino della madre: i suoi capelli erano
scuri e
lucenti, gli occhi azzurri sembravano incantare l'autore della foto.
Poi
posò lo sguardo su di lei, sulla donna reale che armeggiava
in cucina,
osservandola meglio.
Sembrava
che la vecchiaia si fosse impossessata di sua madre prima ancora che
lei stessa
potesse accorgersene.
Mentre
saliva per la scala stretta che portava al piano superiore,
sentì una voce
borbottare: «Dovresti smetterla di stare fuori fino a
tardi!».
La
ragazza provò a difendersi, pur sapendo di non avere scampo:
«Ma sono solo le
sei e mezza, mamma!».
Sentì
la donna ribattere, ma non comprese ciò che disse, decidendo
di lasciar
perdere.
Si
gettò a peso morto sul letto, scaraventando le scarpe da
qualche parte nella
stanza e chiuse gli occhi.
Pensò
a Denis, ai suoi compagni di scuola, a quell'uomo misterioso che li
fissava
assorto.
Si
chiese che cosa stesse facendo in quel momento, e istintivamente se lo
immaginò
con una sigaretta in mano e il fumo che fuoriusciva lentamente dalle
labbra.
Pensò
a quella volta che, girovagando per le strade di Montmartre con sua
madre, notò
un quadro di un artista di strada decisamente inquietante.
Raffigurava
due sposi classici per torte nuziali, con l’unica differenza
della testa
mozzata dello sposo.
La
consorte teneva un mazzo di fiori rosa in mano e la sua espressione
pareva rilassata,
ma lui sulle mani penzolanti sui fianchi aveva il proprio sangue,
così come sul
collo spezzato.
Della
testa non c’era alcuna traccia.
Il
sangue proseguiva fino all'interno della camicia, aperta al primo
bottone, poi soltanto
la normalità.
Quando
sua madre lo vide le coprì gli occhi con i palmi,
borbottando qualche cosa sulla
decenza e il buon gusto.
Ma
Noël non le diede ascolto: nonostante lo stile cupo e tetro
del pittore, a lei
quel quadro piacque forse più di tutti quelli che aveva
visto fino ad allora.
Oltre
a una leggera angoscia, le trasmetteva anche un profondo senso di
naturalezza,
una sensazione di vita e di morte, di qualcosa che inizia ed
è destinato a terminare,
come tutte le cose.
Dopo
la cena, Noël salì in soffitta, come ogni sera.
Quel
piccolo ammasso di oggetti dimenticati era il suo nascondiglio
preferito,
nonché il luogo perfetto per riflettere su qualcosa che non
sapeva nemmeno lei
con certezza.
Tutto
o forse niente.
Forse
lo amava soltanto perché sul tetto c'era il vetro, e poteva
osservare la luna
splendere nel cielo e le stelle farle compagnia.
Ma
quella sera, non c'era luna a illuminarla.
Il
buio si era impossessato della volta celeste, e lei semplicemente
rimase lì,
nell'oscurità, a pensare a qualcosa che la facesse evadere
dalla realtà di
quell'ombra minacciosa.
~
Il
giorno seguente, durante una calda mattinata di giugno, Noël
si incamminava per
andare a scuola.
Quando
arrivò, il cancello era ancora serrato e gruppi di ragazzi
più o meno grandi di
lei si erano formati ai lati della lunga tettoia che lo proteggeva
durante le
giornate di pioggia.
La
ragazza si sedette svogliata in un angolo del muretto, guardandosi
intorno
spaesata.
Quella
era la sua città natia, quelle erano la sua scuola e le
strade in cui era
cresciuta, ma lei non si era mai abituata a tutto ciò.
Si
sentiva un'estranea in tutta quella familiarità, una
straniera.
Aveva
sempre percepito questa sensazione e sapeva che avrebbe continuato a
sentirla
forse per sempre.
Sua
madre le aveva spesso raccontato di quando, circa vent'anni prima, lei
e suo
padre emigrarono da Breslavia, in Polonia, in cerca di lavoro, di
benessere e
soprattutto di una vita dignitosa.
Ambientarsi
in una nazione straniera quando non si conoscono né la
lingua né la
quotidianità degli abitanti è difficile e a volte
estremamente demoralizzante.
Lei
arrivò quattro anni dopo, quando Paweł ed Ewa avevano
trovato ormai un lavoro
stabile ed erano riusciti, almeno in parte, a tralasciare la loro
origine e le
proprie abitudini per adeguarsi alla vita della capitale di un Paese
lontano.
Quando
scostò lo sguardo sulla strada, notò una
ragazzina osservarla curiosamente.
Non
l'aveva mai vista prima, non conosceva il suo nome né la sua
età, ma quando i
loro sguardi si incrociarono, la vide sorridere e avvicinarsi sempre
più.
Stava
quasi per allontanarsi, quando la giovane la salutò cordiale.
Così
si ritrovò a rispondere al saluto prima che lei stessa
potesse accorgersene.
«Il mio nome
è Samira» disse la ragazza
porgendole la mano con un brillante sorriso sulle labbra.
Il
suo viso era scarno e un tempo doveva essere stato rotondo, i capelli
castani
le ricadevano morbidamente sulle spalle.
«Sono nuova
qui. Sono arrivata tre
giorni fa da Nancy²»
continuò la giovane, senza spostare
lo sguardo dal viso di Noël.
Lei
sorrise distratta, infilandosi le mani nelle tasche piene di brandelli
di
fazzoletti.
Un
mormorio di stupore arrivò improvvisamente alle sue
orecchie, costringendola a
voltarsi.
«Wow! Io sono
stato a Nancy una
volta!».
Noël
osservò il suo amico stupita. Le labbra di Samira si
aprirono in un nuovo sorriso.
Poi
la campanella della prima ora suonò, e la conversazione
rimase sospesa
nell'aria.
Mentre
la nuova arrivata si affrettava verso la porta d'entrata, lo sguardo di
Noël si
soffermò su Denis.
Osservò
le sue labbra, più rosse del solito, e le guance imporporate
nonostante la
pelle lattea e il caldo asfissiante.
Il
ragazzo indossava dei pantaloni verdi lunghi fino al ginocchio e una
camicia
bianca con le maniche corte.
Dal
colletto spuntava una collanina di caucciù; Noël
non aveva mai capito il motivo
per cui il ragazzo non volesse mostrarla.
Tutt’a
un tratto, una frase le uscì ribelle dalle labbra: «Non mi avevi
mai detto di essere
stato a Nancy».
Il
ragazzo sfuggì al suo sguardo:
«Beh,
mica posso dirti: “Ei, sai che sono stato a
Nancy?”. Mi prenderesti per pazzo».
«Tu non
preoccuparti di quello che
potrei pensare io».
Denis
sorrise, percependo una punta di gelosia e forse invidia nella voce
della
ragazza, ma decise di non farci caso.
Così
si incamminò verso l'entrata, varcando il cancello e
lasciandola indietro.
Questa
volta fu lei ad osservare la sua schiena fino a quando il ragazzo non
varcò il
portone di vetro.
¹
Salto
della danza classica, eseguito inizialmente con una sola gamba,
atterrando
infine su entrambe.
Disclaimer: Questa
storia è stata scritta
nel 2014, durante la mia lunga pausa da EFP; sono state fatte delle
mere
modifiche estetiche, ma a livello stilistico non è stato
modificato quasi
nulla.
I
crediti per l’immagine non mi appartengono; ulteriori
creazioni del
proprietario potete trovarle sul suo profilo Instagram.