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Autore: New Moon Black    27/10/2019    0 recensioni
"Il medaglione aveva vari strati di cerchi concentrici in puro oro, aveva due piccole manopole poste ai lati e al centro di tutto vi era situata una piccola clessidra dai vari dettagli color bronzo.
C'era una piccola crepa sul vetro della clessidra, ma alla ragazza sfuggì quel piccolo dettaglio.
Annabeth spalancò gli occhi sorpresa.
Aveva giurato di averlo già visto da qualche parte, forse in un libro antico dove si parlava di manufatti magici.
In un battito di ciglia, sfilò la catenina dal suo collo, stringendo cautamente quell’insolito gioiello fra le sue mani.
Gli occhi percorrevano tutta la linea dell’oggetto in questione, scrutando granello dopo granello della clessidra con la massima attenzione.
Borbottava varie cose.
Possibile che fosse davvero quello che lei pensava?"
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Questa storia partecipa a “Time Travel Time” a cura di Fanwriter.it!
Genere: Avventura, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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Iniziativa: Questa storia partecipa a “Time Travel Time” a cura di Fanwriter.it!

Numero Parole: 4,202

Prompt/Traccia: 32. Harry Potter AU: A e B usano una giratempo per aggiustare un ricordo spiacevole (uno dei due) tuttavia qualcosa va storto.

Si sa: mai giocare con il tempo. (Artemìs Karpusi Vargas)

Note: questa storia è stata betata da  @illogical_spock

Note: finale aperto

 

 

 

Regola numero uno dei viaggi nel tempo: mai usare una Giratempo difettosa!

 

 

Era notte fonda a Hogwarts.

La temperatura era calata di qualche grado e, si sa, quando la luna è alta nel cielo, il freddo penetra nelle grandi e antiche mura scozzesi.
Tutti i giovani maghi e streghe dormivano, beati e al caldo, nei loro dormitori.
I quadri riposavano silenti nel buio più totale tra le varie aree del castello.
Alcune creature notturne guardavano, assorte, il cielo stellato come meravigliate da quei giochi di luce che proiettavano le stelle.
La pace assoluta regnava sovrana in quella serata autunnale.
Niente poteva guastare quel momento intimo, quasi magico.
Tuttavia, una figura minuta, incappucciata, s’incamminava a passo svelto nella torre est.
Avvolta in una spessa sciarpa blu a strisce color bronzo, borbottava varie frasi sconnesse, un misto tra inglese e greco antico.
Il cappuccio della felpa copriva per buona parte il volto, abbastanza da non far vedere gli occhi.
Eppure un ricciolo biondo uscì allo scoperto.
Alla luce purpurea della luna sembrava quasi argento.
Un piccolo sbuffo infastidito trapelò dalle labbra lievemente sottili della figura misteriosa.

-“Se Percy non si presenta al punto stabilito, giuro che l’ammazzerò con le mie mani.”

Si scostò appena il cappuccio, altri riccioli biondi caddero dolcemente sul suo viso roseo e giovine.
Le iridi grigie, che per quella notte avevano una luce severa e cinica, saettarono da una colonna all’altra, come alla ricerca di qualcosa.
O meglio, di qualcuno.
Eppure non c’era traccia della persona che stava cercando.
Una vena le pulsò alla tempia.
Sentì il peso della sua collana di perline, più l’anello di suo padre Frederick Chase, che le fecero accapponare la pelle dal freddo.
Le stesse perline che l’aveva accompagnata per tutto quel tempo al Campo Mezzosangue, a Long Island, ove la giovane semidea si era addestrata per combattere battaglie sempre più ardue e cruenti forgiando il suo innato intelletto.
Avvertiva un po’ di nostalgia per non essere a casa, in America, ma il pensiero di perdere un’altra volta il suo amato, se non pazzo e spericolato, fidanzato le faceva perdere qualche anno di vita.

A proposito di fidanzati, dove si era cacciato quell’idiota? Si chiese Annabeth.

Se non si fosse accorta che qualcuno la stava osservando nella penombra, in silenzio, la figlia di Atena non sarebbe rimasta tesa come una corda di un violino.
Subito dopo udì un bisbiglio percettibile.
Si guardò attorno, agitata.
Possibile mai che quegli schifosi ragni  l’avessero seguita, quatti quatti, senza  che lei avesse percepito la loro presenza?
O era solo una sua impressione?
Una voce maschile, fin troppo familiare, la destò dai suoi pensieri.

-“Psss, sono qui.”

Un attimo prima, aveva pensato che fosse uno sporco trucco delle Acromantule per confonderla e farla cadere nella loro trappola mortale, ma si ricredette quando riconobbe la voce del suo ragazzo.
Arrivando vicino all’arco di pietra, lo vide.
Capelli neri, corti e sempre spettinati.
Occhi verdi, vispi e magnetici come le onde del mare.
Alto, la pelle abbronzata era segnata da alcune cicatrici e un sorriso da mozzare il fiato.
Era lui, non c’era ombra di dubbio.

Percy Jackson.

Il semidio più abile e forte che avesse mai conosciuto.
Figlio di Poseidone, uno degli Dei più potenti e temuti dell’Olimpo.
Con la sua immancabile felpa blu, si stringeva le braccia tanto infreddolito quanto tremante; eppure era avvolto da una grossa sciarpa rossa dalle strisce color oro che gli copriva una buona parte della fronte e del collo.
Persino le orecchie.
Ridacchiò sommessamente vedendolo farsi piccolo piccolo per il freddo autunnale.

-“Non ti credevo così freddoloso, sai?

Credevo che tu potessi sopportare tutto, persino una bufera di neve.”

-“Cosa c’è Sapientona, sei in vena di fare battute?”

-“Chi, io? Ma quando mai!
Non potrei assolutamente spodestarti dal tuo trono di “ragazzo cerca guai”.
E’ più adatto a te che a me.”

Percy si trattenne dal ridere, pensando che nonostante la sua ragazza non avesse un gran senso dell’umorismo, come il sottoscritto, poteva ancora sfoggiare la sua strategia migliore.
Le sue risposte taglienti.
Andavano sempre dritte a segno.
I due ragazzi entrarono nell’arco di pietra, allontanandosi ulteriormente dal vento umido e freddo e dal lungo corridoio dall’aria angusta.
Il corvino guidò la semidea fino ad un grosso quadro.
La cornice aveva delle rifiniture in oro massiccio, raffigurante una donna dormiente, in sovrappeso e dall’aria vissuta, ma era avvolta in magnifici abiti setosi, con tanto di ghirigori intrigati.
Da giovane doveva essere stata una donna di bell’aspetto.
Seduta su una comoda poltrona con accenni di dettagli in perfetto stile barocco, la dama dormiva così profondamente che russò con enfasi: così tanto da far vibrare la cornice.

-“Non ti ha seguita nessuno, vero?”

-“Con chi credi di star parlando?
Sono una maestra nella mimetizzazione: ovvio che non mi ha seguito nessuno.”

-“Lo so, Annabeth, ma sai bene che qui si respira un aria “diversa” dal normale.
Qui le persone non sono abituate ai mostri che fuoriescono dal Tartaro a loro piacimento, che gli Dei esistono ancora e malvagie entità sconosciute scorrazzano liberi nell’ombra.”

Sospirò.
Non aveva tutti i torti, il ragazzo.
Fino a poco tempo prima, Annabeth si sarebbe scandalizzata nel vedere un dipinto animarsi grazie alla “magia” dei maghi e delle streghe, o meglio dei discendenti della Divina Ecate, Dea della magia, delle scelte e degli incroci; ma da quando lei e Percy avevano iniziato a frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, in Scozia, si era dovuta abituare a tutte quelle “novità.”

Inarcò un sopraciglio perplessa.

-“Ripetimi ancora una volta perché siamo davanti al ritratto della Signora Grassa… e per giunta nel bel mezzo del coprifuoco.”

-“Perché ho la soluzione a tutti i tuoi problemi!”

-“Tu? Una soluzione?
Sicuro di star bene, Testa D’alghe?”

-“Hey, stai offendendo la mia intelligenza.”

Il corvino finse un'espressione triste e delusa con tanto di mano poggiata sul cuore, per enfatizzare la situazione tragi-comica.
Il che fece ridere di gusto la bionda.
Sapeva sempre come sdrammatizzare un momento critico e lo amava proprio per questo.
Percy mise un dito vicino alle labbra, come in segno di non fare troppo rumore e non svegliare la dama dormiente.
Ella captò il messaggio e lo seguì, fino a trovarsi vicino, forse fin troppo, alla Signora Grassa.
Il figlio di Poseidone si sporse leggermente in avanti sussurrando qualcosa d’incomprensibile, forse una formula magica che aveva appreso durante le lezioni d’incantesimi del professor Flitwick.
Pensò che sarebbe stato un totale fiasco.
Tuttavia, un rumore secco, come lo scatto di una serratura, fece vibrare il quadro che pian piano si aprì cigolando appena; solo dopo si rivelò un passaggio, o meglio una galleria, semibuio.
In quel momento, un calore accogliente e il forte odore della legna bruciata e dolci fatti in casa travolse i loro sensi olfattivi.

Aveva un non so che di familiare.

Era come ritrovarsi nella mensa del campo, con il fuoco di Estia che, con una carezza, li assicurava che nessuno si sarebbe fatto male.
Così caldo.
Rassicurante.
Un vero toccasana.
Per vari minuti, i giovani semidei rimasero imbambolati a guardare sognanti la facciata di una sala drappeggiata di tappeti color rubino e vari arredamenti dall’aria antica.

Quasi aristocratica.

Dopo aver sbattuto più volte le palpebre, si decisero ad entrare nel passaggio di pietra, con passo lento e felpato, voltando le spalle al quadro che man mano si rinchiuse, ritornando al suo stato originale.
La testa del corvino le copriva una buona parte della sua visuale, che intanto seguiva silente regolando il respiro e cercava di stargli dietro nonostante lui camminasse piuttosto velocemente.
Percy guidò la ragazza lungo la galleria, con fare sicuro, come se conoscesse a memoria tutti quei ciottoli sul pavimento, le mura strette e la fioca luce delle lanterne.
Arrivati a destinazione, la ragazza dovette mettere una mano davanti agli occhi poiché la luce della sala la travolse completamente.

-“Beh, eccoci qui.
Benvenuta nella Sala Comune dei Grifondoro, Sapientona.”

Scansò pian piano la mano.
Gli occhi di Annabeth strabuzzarono dalla sorpresa, ammirando estasiati l’area a loro circostante.
Le pareti erano un tutt’uno con i quadri e gli arazzi scarlatti, un lampadario rotondo era sorretto dalle catene, alcune armature ornavano l’intera sala circolare.
Il pavimento era ricoperto da uno stupendo tappeto rosso vermiglio e oro con vari ghirigori e disegni esotici ed era arredato con stile; le poltrone sembravano così comode alla vista, i pouf a goccia avevano una sfumatura più sul color arancio e sui tavolini bassi c’erano i resti di quella che doveva essere una pila di libri sull’alfabeto della Trasfigurazione e varie pergamene ingiallite sparse sulla superficie.
Ma il pezzo forte della sala era indubbiamente l’immenso camino di marmo: sulla parete rocciosa e liscia presentava lo stemma della Casa dei Grifondoro, un leone fiero che ruggiva impavido al nemico.

-“Percy… questo posto è…”

Le parole le morirono in gola.
Troppo frastornata per tutta quella bellezza architettonica per formulare una frase di senso compiuto.

Non aveva alcun dubbio che la Sala Comune dei Corvonero, la sua Casa, fosse la più bella ed introspettiva che avesse mai visto, anche a 
livello architettonico; ma doveva ammettere che i Grifoni avevano un certo stile.


Si tenne quel pensiero per se’, non voleva dare questa soddisfazione al figlio di Poseidone.

-“Ho avuto la tua stessa reazione quando venni smistato in Grifondoro.

Ammetto che ci ho messo del tempo per abituarmi a stare in una sala tutta rossa… ma non è male.”
La corvide avanzò lentamente verso il grande camino, facendo meno rumore possibile mentre si spogliava della sciarpa blu che aveva al collo, fino ad inginocchiarsi.
Non badò al pensiero di sporcarsi le scarpe con la cenere o urtare i bastoni di ferro neri.
Notò come le scintille scoppiettavano allegramente al contatto della legna scura e le lingue di fuoco si animavano per emanare calore.
Le vennero in mente i falò che organizzavano i ragazzi della Cabina 7 al Campo Mezzosangue ad ogni serata estiva.
C’erano serate dove loro cantavano a squarciagola e ridevano fino a scoppiare, in altre invece i ragazzi intonavano delle melodie particolari e suggestive e in altre ancora si cimentavano nel dare spettacolo con il loro repertorio artistico sulla recitazione.
Alcuni avevano il dono di un canto armonioso mentre altri, invece, stonavano come campane.
Alcuni erano portati per fare musica come una sorta di vocazione e alla ricerca del proprio Io “spirituale”, mentre altri non sapevano distinguere la differenza tra un accordo e una ballata.
Si sa, i figli di Apollo avevano doti o qualità diverse tra loro e alcuni non le possedevano nemmeno: non tutti sono uguali.
Nonostante la loro “organizzazione” per le feste avesse diverse lacune, sapevano sempre come ravvivare una serata.
E, perché no, anche trovare delle soluzioni adatte all’ultimo minuto.
Sorrise sommessamente.

-“Ti manca Long Island, non è vero?”

-“E se ti dicessi di no?”

-“Direi che stai mentendo… certo, se non fosse per la questione Mostri, allora sì, ti avrei dato ragione.”

Issandosi su con la forza delle gambe, la bionda arrivò faccia a faccia con il corvino, guardandolo dritto negli occhi; quest’ultimo ebbe un fremito di sorpresa, come colto alla sprovvista.
Si conoscevano da quando il ragazzo aveva messo piede al Campo Mezzosangue e ricordava che, al suo risveglio, era steso su un letto dell’infermeria per un incidente di percorso e c’era lei al suo fianco.
All’epoca Annabeth Chase era una ragazzina molto, come dire, senza peli sulla lingua: ricordò perfettamente  le esatte parole che segnarono per sempre il loro legame.

“Quando dormi, sbavi.”

E lo guardava con quelle stesse iridi color argento che lo scrutavano silenti, quasi schernendolo.
Più volte si perdeva nel fissarle, più lui aveva difficoltà a proferire parola.

Cielo grigio e nuvoloso contro acque verdi ed agitate dell’oceano.

Come se i loro stessi genitori, Atena e Poseidone, si stessero sfidando a vicenda in un duello mortale.
Si erano messi insieme tanto tempo prima, eppure Percy faticava ancora a tenere testa allo sguardo attento e scrupoloso della sua ragazza.
Come la sua madre divina: più a lungo la guardava negli occhi, più si rendeva conto che se avesse fatto qualche mossa avventata lo avrebbe messo KO.
Si diede mentalmente dello stupido.

-“Dunque, tornando seri, cosa volevi farmi vedere di tanto importante?

Se hai trovato qualche libro o altro per affrontare un ragno gigante e metterlo fuori gioco, non faremo né l’uno né l’altro.”
Sbatte’ le palpebre più volte per capire appieno il messaggio, gesticolando con le mani freneticamente come alla ricerca di qualcosa.
Il grifone si sentì come un pesce fuor d’acqua in un grande acquario: tanto piccolo quanto spaesato.
Ma dove l’aveva messo?, pensò il ragazzo.

-“Ah, si si, giusto. Dovevo mostrarti una cosa.”

Passarono giusto un paio di minuti buoni prima che il semidio si rendesse conto di dove aveva custodito l’oggetto tanto desiderato, ovvero appeso al collo, sotto la felpa.
Con la mano libera, lo tirò fuori, lasciando intravvedere le catenelle di una comunissima collana e facendo attenzione a non aggrovigliarsi con il laccio nero delle perline, e lo mostrò alla ragazza.

-“Eccola.”

Il medaglione aveva vari strati di cerchi concentrici in puro oro, aveva due piccole manopole poste ai lati e al centro di tutto vi era situata una piccola clessidra dai vari dettagli color bronzo.
C'era una piccola crepa sul vetro della clessidra, ma alla ragazza sfuggì quel piccolo dettaglio.

Annabeth spalancò gli occhi sorpresa.

Aveva giurato di averlo già visto da qualche parte, forse in un libro antico dove si parlava di manufatti magici.
In un battito di ciglia, sfilò la catenina dal suo collo, stringendo cautamente quell’insolito gioiello fra le sue mani.
Gli occhi percorrevano tutta la linea dell’oggetto in questione, scrutando granello dopo granello della clessidra con la massima attenzione.
Borbottava varie cose.
Possibile che fosse davvero quello che lei pensava?

-“Annabeth…?”

-“Dove l’hai trovata?”

-“Scusami?”

-“Voglio sapere dove l’hai trovata.
E’ importante che tu me lo dica.”

Il ragazzo non capì se fosse contenta o meno di averle mostrato quella collana, ma rispose quasi riluttante alla sua domanda.

-“Una persona se ne voleva disfare perché lo aveva fatto impazzire, dicendo varie cose assurde come questa:“Per la barba di Merlino, devo ridarlo alla professoressa McGranitt, a furia di viaggiare nel tempo, dovevo avere una scorta di Pozione Risvegliante per tutto l’anno scolastico!”
Ci ho capito poco o niente, onestamente…”

Le mani della ragazza tremarono impercettibilmente quando udì la frase “viaggiare nel tempo” uscire dalle labbra del ragazzo.
Non ci poteva credere.
Aveva smesso di ascoltarlo dopo le parole “viaggiare” e “tempo” e si era persa nei suoi pensieri.
Nonostante la fioca luce delle lanterne e del fuoco acceso del camino, gli occhi della ragazza scintillarono di una luce particolare.
Come se avesse fatto una scoperta sensazionale.
Il che non sfuggì allo sguardo del suo partner, accorgendosi che non lo stava più ascoltando.

-“Perseus Jackson, hai la minima idea di cosa hai ottenuto da quella persona?”

-“Ehm… non saprei, una clessidra incantata?”

-“No, zuccone! E’ una Giratempo!
Questo manufatto magico può far andare indietro nel tempo quante volte tu giri le manopole, puoi cercare di fare più cose quando prima non ne avevi la possibilità… ma l’unico effetto collaterale è che non puoi vedere il tuo Te del passato perché potrebbe incrinare l’equilibrio dello spazio-tempo.
Ovviamente non può rimandare indietro un ricordo successo molto tempo fa che si rischia di rimanere bloccati nel passato.”

-“Perdonami Sapientona, quindi questa Gira… come cavolo si chiama, può farci rivivere questo stesso momento ma, se vogliamo modificare qualcosa, non dobbiamo vedere i nostri cloni, sennò facciamo “poof”?

Ok, ricevuto.”

-“Sei impossibile, Testa d’Alghe.”

-“Hey, sono solo me stesso!

E poi, stiamo affrontando una nuova avventura, no?
Cosa potrebbe andare storto?”

-“Per cominciare, mi hai fatto entrare in una Sala Comune dei Grifondoro: essendo una Corvonero, io non dovrei assolutamente trovarmi qui. E ti ricordo che è notte fonda; siamo nel bel mezzo del coprifuoco, quindi qualche Prefetto della tua Casa o guardiano potrebbero star girando per il castello e potrebbe trovarci che gironzoliamo come dei criminali.”

-“Questi sono piccoli dettagli, non sono niente in confronto alle nostre imprese eroiche.”

-“Touché.”

Diede un leggero bacio al figlio di Poseidone.
Aveva un pessimo tempismo nel fare battute fredde in un momento critico di una missione, ma era pur sempre il suo compagno d’avventure da quando erano dei ragazzini.
Ne avevano passate tante insieme.
Era sicura che, anche in questa avventura, si sarebbero aiutati a vicenda per uscirne incolumi.
Forse anche fin troppo.

-“Va bene, allora andiamo.”

La corvide avvolse nuovamente la catenella al collo del grifone e stringendosi pian piano al petto di quest’ultimo girò con molta cautela la manopola della Giratempo.

-“Qualunque cosa accada, non dobbiamo farci vedere dai noi stessi del passato.
Restiamo uniti, intesi?”

-“Ricevuto, capo.”

Girò per l’ultima volta la manopola del manufatto magico e un sonoro “cling” invase l’intera sala.
Fu solo allora che la clessidra si animò.
La sabbia brillò di luce propria e roteando su se stessa, si sentì il rintocco del grande orologio della torre più alta del castello… andare in senso antiorario.
Percy strinse il fianco della ragazza quando si rese conto che vedeva le immagini scorrere davanti ai suoi occhi, come se si stesse riavvolgendo all’indietro il nastro di una video cassetta.
Gli venne una gran voglia di vomitare.
E quando sembrava che quel loop temporale non avesse mai una fine, tutto tacque.

L’orologio.
Le immagini che scivolavano via come un film.
I suoni.
Era tutto tranquillo.

La Sala comune sembrava intatta e il camino, che fino a poco tempo prima era acceso, era lindo e pulito con il carico di legna sul fianco.
I ragazzi si guardarono negli occhi, stupefatti.
Aveva funzionato, pensò Annabeth.
La Giratempo li aveva, davvero, portati indietro nel tempo!
Non fece in tempo a pensare in quali altri modi avrebbe potuto studiare quel gioiello magico che il ragazzo gli venne addosso e dovette sorreggerlo con tutta la sua forza per non cadere all’indietro.
Guardò di sottecchi il corvino, preoccupata.
Non aveva una gran bella cera: aveva la faccia tutta bianca e si teneva la bocca con una mano, come se fosse in procinto di rimettere tutta la cena che aveva ingerito al banchetto.
Forse, durante il salto temporale, si era sentito male.

-“Hey, ti senti bene?”

Lui biascicò qualcosa d’incomprensibile, sembrava tanto un “tienilo tu” e sfilò l’oggetto dorato dalle mani della ragazza fino a  metterglielo al collo.
Diede una pacca sulla sua spalla, facendogli un cenno che potevano muoversi.

-“Ora non ci sarà nessuno a gironzolare per il castello, saranno troppo occupati a vedere le prove di Quidditch tra le squadre di Grifondoro e Corvoner-”

-“Quindi… tana del cattivo?”

Un piccolo sorriso delineò le labbra della ragazza.

-“Cerchiamo di non ammazzare nessuno.”

Erano pronti per uscire.

Fuori era calato il sole mostrando pian piano le prime stelle della sera, che illuminavano flebilmente il cielo color indaco.
Lasciandosi alle spalle la Sala Comune, si guardarono attorno nel caso qualcuno li stesse guardando e come ottennero l’assoluto silenzio, corsero fino allo sfinimento.
Rischiarono più volte di farsi vedere da altri studenti, evitando anche i vari fantasmi del castello, ma alla fine riuscirono nel loro intento.
Uscirono definitamente dal cortile e arrivarono lontano, molto lontano, presso una foresta fitta e intricata di cespugli scuri.
Un gufo si librò in aria, magari ritirandosi dopo il giro di ronda e spiegando le ali, riuscì ad arrivare al ramo più alto di una quercia fino ad entrare nella sua tana, al caldo.
Percy alzò lo sguardo alla figlia di Atena che intanto teneva in alto la sua bacchetta, scura e dalle lievi striature argentate, con l’incantesimo di luce, Lumos.
Aveva l’aria tesa e le nocche della sua mano libera divennero bianche quando vide una piccola scia di ragnetti scuri introdursi dentro, indisturbati, nei meandri della Foresta Proibita.
Conosceva bene quello sguardo.

“Odio quel posto.”

Glielo si leggeva benissimo in faccia.
Eppure stavano per addentrasi dentro, ritrovandosi poi faccia a faccia con dei ragni giganti, solo per un bene superiore.
La corvide si morse un labbro, nervosa.

-“Dovremmo entrare dentro.”

Gli occhi verdi del ragazzo guizzarono tra gli alberi alti, il cielo che si faceva scuro man mano e il sentiero poco rassicurante.

Ebbe una sorta di déjà-vu.

Le loro prime imprese eroiche avevano sempre avuto un inizio particolare: profezie poco rassicuranti, mostri che si muovevano nell’ombra, Divinità antiche che invadevano i sogni dei poveri e sventurati semidei.
Insomma, nulla d’insolito.
Scrollò la testa e scavando nella tasca dei suoi pantaloni, estrasse una penna.
Una comunissima penna a sfera.

Ma come tolse il tappo, una parte della “foschia” fece il suo lavoro; una spada di bronzo celeste, con il simbolo di un tridente sull’elsa, fece capolino dalla sua mano e brandendola con forza, sprigionò una luce eterea.
Nonostante doveva cercare di evitare di usare Vortice, la sua spada, era sicuro che sarebbe stato meglio per lui partire equipaggiato e preparato a qualsiasi evenienza.
Il figlio di Poseidone sospirò quasi affranto, rimpiangendo per un secondo il calore del camino acceso e le coperte di plaid.

-“Andiamo.”

Le nuvole avevano coperto definitamente il cielo e ogni forma di luce, solo grazie alla bacchetta della corvide e la spada di bronzo celeste del grifone, illuminarono in parte il sentiero insidioso; una folata di vento fece oscillare lievemente i rami secchi degli alberi e, ad ogni sbuffo improvviso, alcune foglie secche danzavano silenti verso terra.
Stavano camminando nel buio più totale da già una decina di minuti, ma dell’ombra della Tana delle Acromantule ancora niente.

-“Annabeth, sei sicura che sia la direzione gius-”

Si sentirono alcuni voci in lontananza, poco più avanti della foresta e un sibilo fece accapponare la pelle della Corvonero.
Ricordò che si era avventurata da sola nella foresta e si era imbattuta nel padrone di casa, un’Acromantula cieca di nome Aragog, per poter estorcere da lui qualche informazione sulla sua conoscenza di qualche creatura mitologica che fosse sopravissuta, oltre il confine.
Il resto della conversazione era tutto così confuso… dato che il furbacchione aveva tentato di attaccarla.
Prese la mano di Percy, avanzando nell’ombra con passo fermo.

-“Si, siamo sulla giusta via… fai piano.”

Arrivati a destinazione, zitti zitti si affacciarono da una piccola rupe, dove videro  la tana delle Acromantule; se non fosse stato per le tante ragnatele e le buche, sarebbe sembrata una gigantesca e caotica formichiera.
I ragazzi si guardarono attorno, leggermente spaesati dalla presenza di vari ragni e bestie che convivevano in una tana così grande e angusta.
La loro attenzione venne rapita da un grosso ragno peloso, dalle pupille oscurate, che girava con le sue possenti zampe irsute attorno ad una figura minuta e dai capelli chiari
Brandiva tra le mani una bacchetta, molto familiare.

Annabeth strinse con forza il polso di Percy.

Era la Annabeth Chase del passato.

La voce della creatura della notte era ferma e decisa, eppure nascondeva un certo nervosismo nel trovarsi di fronte ad una umana.

-“Ti conviene andartene, ragazzina.
I miei figli si stanno agitando abbastanza.”

-“Ma Sommo Aragog, abbiamo appena iniziato a parlare!
Com’è possibile che non conosciate una vostra consanguinea?

Insomma, nel vostro albero genealogico, lei dovrebbe far parte della vostra comunit-”

-“Tu, piccola umana, stai oltrepassando il limite della mia pazienza: non conosco nessuna Aracne o di altri miei simili che abbiano un legame con quell’essere.”

I due ragazzi erano talmente presi dalla conversazione che non si accorsero, nemmeno, di una giovane Acromantula che li aveva adocchiati.
La figlia di Atena aveva una brutta sensazione.

Un sibilo.

Due, tre.

Perse il conto.

Aragog era cieco, di questo n’era certa, e i figli non potevano vederli nel loro nascondiglio.
Ma da dove provenivano quei rumori così sinistri e preoccupanti?
Il cuore le martellò terribilmente il petto, facendole un male assurdo e aveva la gola secca per quanto faceva fatica a respirare.
Poi, silenzio.

Il figlio di Poseidone, che fino a poco tempo prima, era rimasto immobilizzato al fianco della ragazza, alzò l’elsa della spada e puntò dritto alla sua destra.

Sentì un freddo pungente congelarle la pelle e la catenella della Giratempo e nel tempo stesso, solleticava la sua peluria.
Rimase immobile.
Era lì.

Se lo sentiva fin sotto le sue ossa.

“Dimmi che dietro di me non ho un mostro in procinto di mangiarmi.”

Non fece in tempo a dire o fare qualcosa che il ragazzo si espose e con una mossa fulminea della spada, tranciò in due il mostro.
Tuttavia, a causa della sua imprudenza e impulsività, si era esposto ad un pericolo maggiore.
Un grosso pericolo.
La Corvonero si buttò nella mischia, per prendergli la mano e scappare via.

Ma fu troppo tardi.

Aragog percepì che nel suo nido stava accadendo qualcosa.

-“Cosa succede?”

La Annabeth del passato gridò.

Era distante dal suo ragazzo, ma vide perfettamente la scena di fronte a se.
Altri ragni circondarono il semidio, pronti ad attaccarlo, ma quest’ultimo riuscì a difendersi dalle fameliche bocche e dalla loro voce ammaliatrice; tagliuzzando qua e là qualche zampa pelosa o mandibola.
Tuttavia ne aveva tralasciato uno che, quatto quatto, era in procinto di attaccarlo di nascosto.

Le iridi grigie della ragazza si spalancarono dallo spavento.
Come ogni progenie della Divina Atena, Dea della saggezza, delle arti e delle strategie in guerra, nutriva una paura viscerale per quei insetti spaventosi.
Ma questo non le permetteva di portale via l’unica persona che amava di più  al mondo.
Se il prezzo da pagare era affrontare la sua più grande paura, era disposta a farlo.

Le gambe si mossero da sole e come vide la cerchia delle Acromantule farsi più accanita nei confronti del grifone, gridò con enfasi un incantesimo stendente.

-“FLIPENDO!”

Era talmente forte che spazzò via tutto il branco.
Tutti i ragni rimasero fermi come statue, i più piccoli scapparono nelle buche, troppo spaventati per affrontarla.
Raggiunse il ragazzo a gran passi e lo prese per un braccio con l’adrenalina a mille.
Gli avevano graffiato le braccia e una parte del viso, piccole gocce di sangue scarlatto macchiarono i suoi vestiti e la spada ma era grata che non aveva ricevuta nessuna ferita seria.
Si morse il labbro inferiore.

Dovevano andarsene.

Subito.

Ma qualcosa, o meglio qualcuno catturò la sua attenzione.

-“Di Immortales.”

Alzò di scatto la testa.

Con profondo orrore, si trovò a faccia a faccia con la se stessa del passato, con tutti i capelli arruffati e alcuni graffi sul viso, sempre accompagnata dalla sua fidata bacchetta.
Sbiancò di colpo, come se si trovasse al cospetto della Morte in persona.
Un rumore sordo di vetro che s’infrangeva in mille pezzi inondò le sue orecchie.
Per un attimo le si annebbiò la vista e aveva un forte senso di nausea.

Le mancò un battito, forse due, quando si rese conto che la sua immagine riflessa si era frantumata.
Adesso le immagini davanti a se scivolavano veloci e ripetitive, come un nastro di una videocassetta riavvolta più e più volte, i suoni sembravano quasi distanti anni luce.

E ora, cosa sarebbe capitato a lei e a Percy?
Dove li avrebbe condotti, stavolta, la Giratempo che nel mentre girava come una trottola impazzita, si stava formando un’altra crepa nella clessidra?

Non lo sapeva.
Non aveva nessun piano di riserva.
Non avevano più modo di uscire da quel loop temporale.

La figlia di Atena imparò una lezione importante:  semmai un giorno avrebbe ritentato di viaggiare nel tempo, non avrebbe mai più toccato una Giratempo, specialmente se era difettosa.

 



 

Note dell’autor*:


*coff coff*

Vi giuro, non era mia intenzione sparire dopo secoli e secoli, ma capitemi che non me la sono passata benissimo: ho avuto un blocco emotivo per tutta l'estate e per me è stato difficile superarlo, non riuscivo a fare niente, nè a cucire, nè a scrivere; come potete capire dall'inizio del mio solito angolino del "note dell'autrice" ho messo un asterisco per farvi capire che, beh, ho avuto dei momenti duri da vivere in prima persona, e tuttora sto cercando di accettare una buona parte di me.
Se potete, per chi sta leggendo, evitate di usare pronomi femminili o altro, mi farebbe stare meglio se incomiciaste a chiamarmi anche Artemìs/Art; ma penso che farete fatica a ricordarvelo(?)


Ciancio alle bande, la one-shot partecipante al contest di “Time Travel Time” sempre a cura di Fanwriter.it! è tratta dal mio fandom preferito: Percy Jackson!
(e con la partecipazione straordinaria del magico AU di Harry Potter)

E come sempre, ho sfidato tutte le leggi della fisica(?) per riprodurre il rapporto affiatato e particolare di due ragazzi speciali: Percy Jackson e Annabeth Chase!

Specifichiamo, nonostante conosco i personaggi da, boh, una vita, ho faticato parecchio a scrivere i loro caratteri (specialmente Annabeth che in certi punti credo di essere uscit* troppo nell'OOC) ma ci tenevo veramente tanto a produrre qualcosa di loro-

(Chiamatemi masochista se volete)
In qualche modo, mi sento fier* della mia testardaggine(?)
Non ho idea di come ho fatto a trovare un prompt interessante quanto complicato, ma hey, mi conoscete un minimo quando si tratta di partecipare ai contest di scrittura con tematiche particolari, no?

 

Io vi saluto e ci si vede per i prossimi aggiornamenti di one-shots, e chissà, anche per le “future” longs!

Baci,

Black/Art

 


 

   
 
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