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Autore: KH4    09/11/2019    0 recensioni
Non ha idea se sia innamorato per davvero di quel biondo compagno che rincorre con gli occhi tenendosi ben lontano dal volerlo afferrare, ma saprebbe come riverirne la carne se soltanto favorisse quel coraggio che si nega in virtù di un'apparenza sempre più ardua da sostenere.
Un frammento d'anima di un universo ancora in elaborazione, corto ma prezioso, semplice e che mi auguro possa piacere.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’edificio è cariato nell’immagine che dona al mondo, i mattoni grondanti catrame e il rosa fluorescente dell’insegna corsiva a intarsiare sillabe che sanno di promesse fugaci.
Voin non era mai stato educato a digerire l’arancione stucchevole di Halloween, men che meno era dell’umore per farsi coinvolgere dalla sua importanza commercializzata in una terra lontana dalla sua originaria e dalle sue zucche oltretutto plastificate, il cui senso di esistere l’indomani le avrebbe viste ammucchiate nel sacco dell’immondizia.
I dolci solleticavano la nausea derivata dalla sgargiante simmetria cosparsa da uno strato di zucchero luccicante, così come l’insulso chiacchiericcio dei bambini soleva concentrarne la pazienza nel desiderio di un imprevisto, uno qualunque, per non doverli vedere girare fra le strade di Monaco.
L’anno scorso aveva dovuto buttare via il suo cappotto preferito per la bravata di un bambino armato con una di quelle bombolette spray rilascianti stelle di appiccicosa fluorescenza e non era stato divorato da rimorso alcuno nel pretendere dalla madre della peste un risarcimento per la sua incapacità a contenere il proprio figlio anziché accettare futili giustificazioni su come i bambini non abbiano coscienza delle loro azioni.
Quel cappotto gli era costato tanto e la maleducazione del moccioso era tutto fuorchè frutto della casualità, ragione per cui, quella sera, chiudendosi la porta di casa alle spalle, era stato felice di inspirare dalle narici l’umida abbondanza dell’acquazzone.
La consunzione che affligge il tappetto rosso srotolato all’entrata, pressochè zuppo, narra nei passi raccolti di frammenti voluttuosi, corolle di profili ignoti aguzzati dall’aulente fruscìo che inibisce l’aridità della ripetizione.
Tante persone, diverse, come lui, il cui timore iniziale è stato ammorbidito dalla consapevolezza che gli occhi ripassati da tre strati di matita della receptionist, le labbra turgide di un viola in tinta con le extension applicate sul biondo naturale dei capelli, non l’avrebbero mai apostrofato con inopportune frecciatine.
Un limbo di piacere e indifferenza. Allora il Paradiso può esistere per davvero.
“Perché hai smesso?”
“E’ che sei così teso…” Il sospiro mellifluo del ragazzo sotto di lui, le braccia a cingergli da sotto le ascelle le spalle, ne precedette l’umida carezza che la lingua regalò alla pelle celata dietro l’orecchio “Non ti piace essere qui con me?”
“Non è questo…”, boccheggiò lui. 
Gli era sopra eppure l’essere oggetto di un delicato posarsi di baci sul collo lo allontanava dall’imporre una qualsivoglia forma di controllo.
“Allora di cosa si tratta?” Lo sollecitò dolcemente l'altro, mentre le mani scivolavano a sfiorargli i fianchi nudi, inoltrandosi oltre la vita della biancheria intima, per poi ritrarle crudelmente.
Avanti e indietro. Dentro e fuori.
Un successione libidinosa che gli impediva di ergersi distante dal magnetismo che il giovane aveva forgiato dapprima che animasse un fuoco morbido e invisibile tutto per lui, semplicemente ponendosi ai piedi del suo volere.
“Tu…Assomigli a una persona”, confessò.
“Oh.” Le ciglia sbatterono, gli occhi di mogano lucidi per il congestionare di guance dove il culmine degli ansiti si raggomitolava in un caldo sbocciare “E questa persona…Avresti voluto che fosse qui con te?”
Sollevò appena  il ginocchio, stuzzicandogli l’inguine per ammansire la reticenza pronta a indurirne i lineamenti.
Il punto debole, facilmente deducibile giacchè la cadenza regolare di Voin, nei pressi del locale, non poteva che condurre a un bisogno parassitario.
“Magari a languire per te, come sto facendo io?” Proseguì l’amante con un bacio sulla gota “A stringerti le gambe ai fianchi…” Un altro a ripassare il collo già martoriato in precedenza “A toccarti…” E un altro ancora sulle labbra “E’ per lui che cerchi conforto?”
La risposta non perviene, rista nel silenzio di un singhiozzo che vede piegarsi la nuca del russo verso il basso.
Il nome del ragazzo sotto di lui è andato perduto dal momento che ha cominciato a scartarne il corpo un poco alla volta; non potrebbe recuperarlo nemmeno avvoltolando il vacillare della sua ragione.
Gli ha riconosciuto l’abilità di farlo annullare nei flutti carezzevoli della voce abbellita da un trama lasciva, un visetto grazioso che ne incensa inconsciamente il cuore scalpitante al pari di un fanciullo impacciato, e tanto era bastato a renderlo sordo nei confronti di ogni cosa.
Perché in fondo gli era sufficiente che fosse lì, immacolato e bellissimo come la neve brillante che gli si scioglie nel palmo, una gemma carnosa avente la dolcezza sparsa sulla punta della lingua, la promessa scandita da labbra rosate.
Forse, soltanto per questo, si perse a scrutarne i lineamenti cristallizzati in gocce dense, il grano dorato dei capelli corti a ricadere dietro la fronte, disperdendo gli arrugginiti arabeschi stampati sul verde della carta da parati in un angolo qualunque insieme a banali dettagli spennellati qui e là.
Ha dipinto il suo sonno con altri uomini prima di lui, eppure fra questi è il solo che gli abbia concesso la realizzazione di come le notti precedenti si fossero impregnate dell’odore di un tempo mal sfruttato.
La verità era che la similarità con Dietrich lo induceva a comportarsi come se fossero stati proprio i suoi occhi a guardarlo.
Per un attimo la forte somiglianza con il tedesco lo aveva visto incassare la testa nelle spalle, deglutendo i rimasugli del Beluga*, sperando, pregando, che la sua postura appena china sul bancone del locale, la sua stessa natura, non si rivelasse un’imperdonabile fatalità; avrebbe significato la frantumazione di anni di bugie perfettamente calcolate, dettami, confidenze, gesti verso cui il porre una perpetua minuziosità era stata l’unica chiave di lettura per rendersi credibile.
Non che la sua morale di russo chistokrovnyy* travasato tre inverni addietro dalla sua amata San Pietroburgo, glorioso rampollo di una delle poche casate elevatesi al dì sopra del generale declino aristocratico, nonché allievo impeccabile dell’Accademia Sovershenstvo* - la cui appartenenza non sarebbe mai stata mitigata dalla lontananza -, non avesse cercato di trovare nell’estetica florida di seni pieni e fianchi provocanti una ragione per costruire una doviziosa venerazione per certe riviste scandalose che alcuni suoi compagni lappavano avidamente contro ogni rigoria morale comandata.
L’altrui sesso si irraggiava di indubbie grazie, eppure il pensiero di toccare una donna, di entrarci in intimità, non lo aveva mai sfiorato, e questo perché a far ingrassare la sostanza della sua consunzione interiore era il profilo dolce di Dietrich che doveva guardarsi bene dall’ammirare in maniera famelica.
Nulla più di un paravento di compostezza e moralità si avvicinava all’accenno di capo che Voin sfoggiava per ricambiarne il quotidiano buongiorno, quando invece non desiderava altro che potersi sentire accettato.
“E’ tutto a posto. Puoi farmi ciò che vuoi.” L’amante lo trasse a sè fra i risvolti del raso discinto, i secondi racchiusi nelle dita esangui che gli lambirono la nuca “Come lo vorresti fare a lui.”
E allora il russo smette di vacillare.
Non ha idea se sia innamorato per davvero di quel biondo compagno che rincorre con gli occhi tenendosi ben lontano dal volerlo afferrare, ma saprebbe come riverirne la carne se soltanto favorisse quel coraggio che si nega in virtù di un’apparenza sempre più ardua da sostenere.
Invece non fa che scappare, elargendo fedeltà e rispetto, temendo il disgusto di Dietrich qualora carpisse l’abietto torpore della verità, puntando le piante dei piedi nel materasso per sorreggere gli spasmi di un amore più vicino ad assomigliare al tessuto cicatrizzato della sua anima.
“Sarà il nostro piccolo segreto.”

Note di fine capitolo:
1* Beluga: Vodka Russa.
2*: Chistokrovnyy: Purosangue ( Russo).
3*: Sovershenstvo: Perfezione (Russo.) 
  
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