Scintille
nel buio
I
C’è
un momento particolare in cui gli occhi registrano il lento e graduale
passaggio dalla notte al giorno. L’oscurità si
dirada, il cielo nero torna a
essere blu, poi azzurro e, infine, i primi raggi del sole scaldano
l’aria, la colorano
di rosa e d’oro, la tingono di sfumature incantevoli che, per
un solo istante, bloccano
il respiro, fanno sobbalzare il cuore. Rannicchiata su una poltrona,
con le
braccia a cingerle le ginocchia, Sigyn si accomiatò con un
leggero sorriso
dallo spettacolo del sole che sorgeva sul fiordo di Asgard. Aveva fatto
lo
stesso con il colore delle rose, con le sontuose montagne che emergono
dal mare,
con i boschi imponenti che, d’inverno, la neve rendeva
candidi e immacolati. Ogni
giorno tributava il suo muto addio a qualcosa, cercando, al tempo
stesso, di
fare caso a ogni dettaglio, particolare, aspetto. Il modo in cui il suo
gatto
ammiccava e socchiudeva gli occhi mentre lei gli spazzolava il pelo
morbido, la
lucentezza delle pietre che adornavano la sua collana preferita,
l’affresco che
spesso ammirava nella sala del trono di Odino, l’acqua che
scendeva dalle
cascate poste a settentrione, la silhouette elegante dei drakkar
ormeggiati al
porto. A lui,
però, non sapeva
dire addio – non riusciva, non voleva.
Scese
dalla poltrona cercando di ridurre al minimo lo scricchiolio provocato
dai piedi
nudi sul pavimento di legno. L’insonnia era una condizione
che l’aveva sempre
afflitta, fin da quando viveva ancora nella casa di suo padre. Ad
Asgard era
riuscita a trovare qualcuno che la condividesse. Nelle notti invernali
infinitamente lunghe, il solo fatto di leggere anche solo un libro
nella medesima
ala della biblioteca con lui, in perfetto silenzio,
spesso l’aveva calmata
tanto da traghettarla in un sonno ristoratore e quieto, proprio
lì, in mezzo ai
libri scritti fittamente, alle pergamene arrotolate che custodivano
incantesimi
e segreti e poemi. Si mosse nella penombra, allungando le mani per
orientarsi
meglio e raggiunse a tentoni la camera da letto; invece
d’infilarsi sotto il
groviglio delle coltri calde e confortevoli, ancora calde
d’amore, le oltrepassò
e raggiunse la finestra per scostare la tenda. Le serviva uno
spiraglio, solo
una piccola lama di luce del primo mattino, quel tanto che bastava per
scorgere
il suo volto senza, però, svegliarlo.
C’era
solo un’immagine da cui non poteva – non riusciva
– ad accomiatarsi. Tentava di
farlo da giorni, settimane, mesi, ma le serviva più tempo.
Più di quanto ne
avesse ancora a disposizione, almeno – il mondo diveniva ogni
giorno meno
nitido e preciso.
Loki
dormiva supino e Sigyn gli si accostò, facendo attenzione
persino al proprio
respiro. Aveva perso il conto delle notti trascorse guardandolo alla
luce fioca
di una candela. Probabilmente, si era decisa a smettere di farlo nel
momento in
cui aveva compreso che non gliel’avrebbe detto. E lui non
sarebbe mai riuscito
a perdonarla, per questo.
Fissò
la sua figura con gli occhi spalancati, impazienti, avidi di cogliere
ogni
singolo particolare del suo viso affilato e bello, virile, di cui aveva
imparato ad amare ogni particolare. Conosceva a memoria la linea
diritta del
naso, la cicatrice fine e bianca che gli tagliava il sorriso sbieco e
perfido –
labbra ironiche, sottili, di cui anche al buio avrebbe riconosciuto il
sapore,
assaggiate mille e mille volte. Bocca bugiarda che a volte sapeva
d’idromele e,
all’inizio, non aveva amato –
il loro primo bacio sapeva di metallo. Un
sussulto le scavò il cuore, basso e doloroso: quel ghigno si
sarebbe smarrito,
nel reticolo delle sue memorie inghiottite dal buio? Il suo destino era
venire sepolto
dall’inevitabile oblio che, alla fine, avrebbe dipinto di
nero anche i ricordi?
Le si
appannò la vista, ma con un gesto rapido della mano
scacciò subito via le
lacrime. Loki era bello; quando dormiva, poi, pareva persino sereno.
Non era
più l’uomo tormentato, catturato dalla brama di
potere e sempre dedito agli
intrighi che aveva accanto durante il giorno, ma un ragazzo
addormentato, il
principe affascinante che le aveva fatto una corte serrata disobbedendo
a un
genitore esigente e accorto. Lo aveva notato fin da quando era sceso
dal
drakkar assieme a Odino e a suo fratello.
S’impresse
nella mente l’arco leggermente aggrottato delle sopracciglia
scure, lo zigomo
affilato, la mascella diritta, per poi scendere giù, verso
il collo, le spalle
ben sviluppate di guerriero, il petto nudo ampio e largo che
s’abbassava al
ritmo lento del suo respiro regolare. Sulla pelle alabastrina
dell’Ase
spiccavano i segni chiari delle cicatrici rimediate nelle passate
battaglie.
Anche quelle conosceva a memoria, perché le aveva consolate
con le labbra, una
per una. La prima volta che le aveva sfiorate non sapeva ancora di
amarlo.
Non
riusciva a smettere di guardarlo e di bere ogni suo particolare,
così come non
era più capace di stenderglisi di fianco, stringerlo in un
abbraccio e,
semplicemente, dormire. In fondo, anche lasciarsi avvolgere e cullare
nel dolce
nodo dei sogni era come vivere nel buio che l’avrebbe
inghiottita per sempre e
Sigyn non voleva questo.
Loki
avrebbe considerato il suo silenzio come un tradimento,
perché dagli altri pretendeva
una fedeltà incondizionata e assoluta, lui che non credeva
in niente. Si
sarebbe messo a sostenere che omettere è mentire e lo
avrebbe fatto quando lei non
avrebbe più potuto vederlo né scorgere se il
dolore gli velasse lo sguardo. Poi
avrebbe parlato del loro passato e di ciò che aveva fatto e
detto.
All’inizio
era stato un lampo di luce percepito con la coda dell’occhio,
nient’altro. Non ci
aveva nemmeno fatto caso. Si era passata una mano sul viso, come per
scacciare
via la scintilla che rappresentava il primo sintomo evidente di un male
senza
rimedio. Poi, l’intensità e la frequenza di quei
bagliori improvvisi era
aumentata e, con essi, gli altri disturbi; il mondo attorno a lei aveva
iniziato inevitabilmente a perdere la sua nitidezza, a farsi incerto e
sfocato,
piatto – qual era la reale distanza delle cose?
La
sentenza era calata come una mannaia sulla sua testa il giorno in cui
si era
resa conto di non riuscire più a distinguere le rune che
componevano le frasi. Non avrebbe più potuto leggere: la malattia
– la maledizione
– era diventata qualcosa di reale e tangibile,
drammaticamente vero. E se non
esisteva alcun rimedio in tutti i Nove Regni, perché
dirglielo? Loki avrebbe
tentato di rintracciare una cura che non c’era semplicemente
perché era
incapace di accettare che il fato, a volte, è ingiusto.
Doveva sempre
intervenire, combattere, lottare, truffare il destino, specie se
c’era il seiðr
di mezzo. Solo che ci sono volte in cui non esistono scappatoie o
alternative e
bisogna accettare ciò che le Norne, impietose, hanno filato
per noi. Presto, le
tenebre l’avrebbero avvolta per sempre, privandola di ogni
luce. E, allora,
tanto valeva abituarsi, iniziare a prendere confidenza con il nero
eterno e con
l’oscurità e dire addio a tutto il resto
– anche all’amore.
Loki
si mosse appena ed emise un sospiro. Il suo sonno leggerissimo era
l’ennesimo
lascito delle notti passate con l’orecchio teso a captare
rumori durante le
lunghe campagne militari volute dal giusto Odino, delle ambascerie
rischiose intraprese
fin da quand’era ragazzo. Non si era mai tirato indietro di
fronte a niente,
nemmeno al cospetto degli ordini più biechi.
Sollevò le palpebre quel tanto che
bastava per metterla a fuoco e le accarezzò un fianco
fasciato dal raso,
indugiando appena sulla curva disegnata dal suo corpo, per poi fermarsi
e
aggrottare la fronte. Stava fissando una donna che si era reso conto di
aver
perso. Colpa del suo intuito di lupo, affinato in anni di trappole
evitate e
tese.
“Sei
già sveglia. Perché?” Una domanda
inquisitoria, sottile, detta tirandosi su col
busto e puntellandosi su un gomito. La luce fredda dell’alba
accarezzava i suoi
muscoli guizzanti e nervosi, perfetti.
“Avevo
sete,” mentì lei.
Gli
occhi del dio degli inganni erano d’una sfumatura di verde
incantevole,
bellissima, che a Sigyn faceva pensare immediatamente alla trasparenza
dell’acqua.
Luccicavano maliziosi, ma spesso si velavano d’ombre scure
– dolori senza nome,
cupi come la sua anima nera, ire brucianti e corrosive più
della bava acida di
certi serpenti immensi che vivevano nelle profondità della
terra.
Lui
non le credette e si alzò con un gesto fluido dal letto. Si
vestì rapido e prese
la coppia di pugnali che portava sempre con sé, lasciandola
nella stanza che li
aveva visti amarsi innumerevoli volte con addosso la consapevolezza che
un
destino ineluttabile pesasse su di loro.
Avrebbe
potuto tornare indietro e interrogarla come sapeva fare, estorcendole
la verità
grazie alla sua abilità retorica e a un paio
d’inganni ben piazzati, ma aveva
scelto di approntare un’altra strategia, decisamente
più crudele, che si
adattava meglio al suo spirito fiero e arrogante.
S’allontanò cautamente, ma
prima d’infilare la porta e uscire si voltò appena
per regalarle un’occhiata
lunga, attenta, indagatrice.
Sigyn
fu tentata di dirgli la verità. Strinse tra le dita le
coperte ancora intrise
di loro, schiuse le labbra per confessargli quel segreto di cui era a
conoscenza solo il guaritore del palazzo e Odino, ripensò
alle frasi graffianti
e vere del dio delle forche.
E se Loki,
di fronte alla sua malattia, l’avesse davvero
fissata con occhi freddi,
gelidi, privi di comprensione, carichi di pietà? Se non
l’avesse più guardata
come una donna, ma come una sventurata inferma? Peggio che sopportare
la cecità
imminente, c’era solo avvertire il freddo distacco di un uomo
che non la voleva
più accanto a sé perché guastata,
ascoltare la falsa cortesia con cui l’avrebbe
allontanata da sé, compatendola. Si sarebbe messo ad
argomentare la sua tesi
con la stessa abilità retorica con cui, una sera ormai
lontanissima nel tempo,
si era chinato verso suo padre convincendolo – obbligandolo
– ad
accettare una proposta indegna che l’aveva fatta tendere
sulla sedia. Alla luce
fioca delle torce, un ghigno perfido e spavaldo gli aveva increspato le
labbra
sottili. Era spaventosamente sicuro di sé e della forza del
suo esercito. Di
fronte a lui, il re di Asgard, Odino, si era lisciato la barba,
soddisfatto del
patto appena stretto.
“Chi
di voi due?” La voce di Sigyn era risuonata altera e decisa,
non priva, però,
di una nota oscura, figlia di un terrore che aveva nascosto per una
notte
intera nonostante le gravasse sul cuore, sullo stomaco, sulla gola,
tanto da
impedirle persino di deglutire. Era andata via dalla casa di suo padre
con
indosso gli abiti e i gioielli della festa: un vestito di velluto
scarlatto le
fasciava il corpo snello, un diadema inutilmente sontuoso le brillava
sulla
fronte. La ragazza avrebbe voluto strapparselo di dosso e mettersi a
gridare e
a maledire tutti, i Vanir perdenti e gli Æsir vittoriosi;
invece, era rimasta
dov’era, seduta con grazia sul drakkar salpato dal molo con
la prima marea
utile, il mantello avvolto strettamente attorno alle spalle, le labbra
serrate.
Loki aveva
ghignato con quel suo sorriso sbieco che lei non amava ancora.
“Avrebbe
importanza?”
Le si
era avvicinato, porgendole un corno d’idromele che lei aveva
rifiutato
allontanando il viso. “Mia signora, hai preferenze,
forse?”
♥
Lo
lasciò andare via con mille frasi e altrettanti discorsi
fermi nella gola. I
passi di Loki si fecero sempre più lontani e distanti. Di
contro, i pensieri di
Sigyn divennero più lucidi e netti, come la vista che le
sfuggiva. L’alba aveva
lasciato posto a un mattino grigio e freddo, carico di nubi, simile a
quello
che aveva illuminato Asgard il giorno in cui vi aveva messo piede per
la prima
volta. Non sarebbe più dovuta entrare in quelle stanze,
anche se lui l’avrebbe
detestata, per questo. Sarebbe stato crudele, sfoggiando tutto il suo
disappunto alimentando vecchie gelosie – quella, mai sopita,
verso Sif, per
esempio – e dilettandosi in nuove. Poi, un giorno,
l’Ase avrebbe scoperto il
vero motivo della loro rottura, finendo così per regalarle
una fredda
indifferenza che l’avrebbe ferita più di tutto il
resto. Lo conosceva, lo
sapeva – amare qualcuno voleva dire apprezzarne le
imperfezioni, i difetti, le
storture e conoscerne i moti dell’animo. Il cielo coperto e
grigio accolse quella
sua ultima decisione; raccolse i propri indumenti sparsi a terra la
notte prima
con un sorriso mesto. Odino avrebbe tratto un sospiro di sollievo.
♥
Loki
lasciò
scorrere le belle dita di mago sulle lame lucide dei suoi pugnali,
palesando
così il suo manifesto disinteresse per la missiva arrotolata
davanti a lui. Aveva
ancora i muscoli tesi e contratti per il rapido e violento allenamento
avuto
con Thor. Suo fratello lo aveva intercettato lungo le scale che
conducevano all’armeria
proponendogli uno scontro e lui, ovviamente, non si era tirato
indietro, sfogando
sull’altro tutta la tensione accumulata negli ultimi giorni.
I fendenti precisi
si era mescolati alle punzecchiature fatte al solo scopo di
deconcentrarsi l’un
l’altro, ma l’apparizione improvvisa di un messo
proveniente da Vanheim, alla
fine, aveva distolto lui dal combattimento. Si era ritrovato con la
schiena a
terra, un forte dolore allo sterno e Mjollnir a sfiorargli il mento.
Thor era
scoppiato in una risata fragorosa e soddisfatta e gli aveva teso la
mano. Per un
momento, uno solo, il gioco si era tramutato in qualcos’altro
e l’ingannatore
si era rifiutato di accettare l’aiuto offertogli.
Era solo un allenamento,
eppure il suo spirito s’era infettato di un risentimento
sordo e senza nome –
no, bugia, non glielo voleva dare perché era ingiusto e
meschino, profondamente
indegno. Uno che si faceva vivo sempre più spesso e che Loki
doveva inghiottire
come si fa con una medicina amara, perché tenere tutto sotto
controllo era l’unica
cosa da fare per non farsi mangiare vivi dal caos.
“Perché
non la apri?” inquisì Balder alzando un
sopracciglio.
Loki
non smise di passare i polpastrelli sulla lama piatta di una delle sue
armi
favorite. “So già cosa c’è
scritto in quella lettera, fratello. Vuole che
gliela restituisca perché non siamo stati ai
patti,” spiegò con lentezza. Un sorriso
freddo e beffardo gli increspò le labbra. Sigyn non era
più sua, quella mattina
ne aveva avuto la certezza, eppure non intendeva affatto cederla.
Cos’era
successo, tra loro? Fino a qualche settimana prima, se si fosse
svegliato
accanto a lei l’avrebbe attirata a sé affondando
il naso alla base del collo,
per farla tremare e sciogliere insieme, per accendere una brama che la
notte
acuiva; le sue mani si sarebbero posate sul suo corpo snello e caldo e
reattivo
facendolo tendere dal desiderio. Un tempo, l’avrebbe
agguantata per
intrappolarla sotto di sé o si sarebbe beato della sua
bellezza invitandola a
stare sopra di lui. Ora non più – Sigyn gli
sfuggiva, faceva di tutto per
evitarlo. La notte prima la passione di un tempo era tornata:
l’aveva cercata
– si erano cercati – corrosi dalla gelosia
reciproca, dalla lontananza, dalla
serie di sguardi che, come scintille nel buio, si erano lanciati in
mezzo a un
banchetto gremito di gente di cui a loro non importava nulla. Avevano
sentito
l’esigenza di slacciare l’uno gli abiti
dell’altra, frenetici e ansiosi, per
aversi in fretta, in nome di qualcosa che non era né dolce
né tenero, ma che
seguiva impulsi impazienti e bassi tali da far fremere le vene dei
polsi, le
gambe, la pelle tutta.
Lei
l’aveva
accolto sforzandosi di soffocare ogni ansito – tentativo
inutile, la tradiva il
suo corpo inarcato, proteso, disponibile, come sempre, fin dalla prima,
lontana
volta, in cui le dita di Loki le avevano sfiorato le labbra,
regalandole un
tremito nuovo e sconosciuto che aveva raggiunto ogni terminazione
nervosa,
arrivando persino all’anima e sconvolgendola con pensieri
inopportuni – una
parte di lei aveva sperato che non si fermasse e fosse tanto spavaldo
da
assaggiare la sua bocca. Invece, Loki non l’aveva baciata,
quella volta; si era
limitato a quel contatto lieve e bruciante a un tempo, accompagnato dal
ghigno
consapevole di chi sa di stare portando il caos, compiacendosi per il
brivido
improvviso che lei non era riuscita a camuffare. C’era stato
uno sguardo, però.
Lungo, intenso, sfacciato. Di sfida.
“Sarebbe
un peccato, se Padre Tutto decidesse di donarti a qualche valoroso Ase
tanto
presto.”
L’angolo
di Shilyss
Cari Lettori,
E che
è ‘sta storia? Una mia cara amica, qualche tempo
fa, mi ha dato un prompt.
Sigyn doveva essere affetta da una malattia agli occhi e perdere
gradualmente
la vista. La notte, sarebbe dovuta rimanere a fissare Loki
addormentato, per imprimere
nella sua mente la sua immagine. Ho adorato questa immagine propostami
e ho cominciato
a pensare a una storia – ho iniziato a scriverla –
con l’idea che dovesse
essere una shot. Tuttavia, con questi presupposti, la storia non
decollava. Scrivevo
e mancava qualcosa. Oggi, l’illuminazione. Mancava che non
poteva essere una
shot. Ora, nonostante abbia già più o meno in
mente dove voglia andare a
parare, ve la faccio leggere sperando che vi piaccia tanto da lasciarmi
un
commentino o inserirla in una lista,
tutte cose che sono l’ossigeno
nostro, per noi povere Autrici. Come avrete letto, la
condizione di partenza
è un po’ differente dal solito e dovrebbe
trattarsi di un pre: Thor, con
tutti i drammi del caso. Loki e Sigyn qui non sono sposati e lei sta
perdendo
un senso a causa di una malattia/maledizione… per il resto,
leggetela, il primo
capitolo dovrebbe aver messo un sacco di carne al fuoco, ma poi che ne
so!
Piccola
comunicazione di servizio: ovviamente Solo un accordo
e Tesori
torneranno le prossime settimane. La seconda
è quasi agli sgoccioli e,
una volta terminata, riprenderò anche con le altre mie long,
che non ho
dimenticato.
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è
caduta ai nostri piedi,
ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante
foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Vi
ricordo anche la mia ULTIMA SHOT postata su The Avengers ♥
Un'altra volta ancora:
leggetela, se vi va ♥ ^^
Ricordo
che Vanheim con
questo ordinamento
sociale, politico e culturale è una mia idea: vi pregherei di non
utilizzarla ♥. Anche il personaggio di Sigyn, tolto quello
che trovate alla
voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia
personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A
presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Vostra,
Shilyss