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Autore: Juliet8198    20/11/2019    4 recensioni
Dall'incontro con una misteriosa ragazza, le vite e i sogni di ogni componente del gruppo non furono più gli stessi. Quale origine hanno le sue misteriose e fortuite apparizioni? Quale segreto si nasconde dietro la serie di avvenimenti in cui vengono coinvolti?
Ognuno di loro dovrà, volente o nolente, affrontare la verità che si cela dietro il suo mistero e l'ombra dei loro demoni che ha liberato.
Storia presente anche su Wattpad al profilo @GiuliaRossi321
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13 maggio 2020

H 12:47

 

-Hyung, non è il caso di fare una pausa?-

Jimin si voltò verso Jungkook e non riuscì a trattenere il fiotto di gelosia che istintivamente sorse nella sua mente. 

"Se avessi talento come te avrei già imparato la coreografia."

Imbrigliando quel pensiero e cercando di ricacciarlo nei recessi della sua coscienza, tentò di sorridere al ragazzo più giovane e rispose:

-No, voglio finire di preparare il ritornello, la parte finale non va ancora bene.-

Jungkook storse leggermente la bocca e Jimin sapeva che era tentato di ribattere ma che, al tempo stesso, non voleva mancargli di rispetto. 

"Non mi guardare come se provassi pietà per me. Anche tu hai ballato fino a crollare."

Di nuovo, Jimin cercò di allontanare da sè quel filo di pensieri che lo amareggiava ma sapeva che, come in una catena, ogni anello era attaccato ad un altro. Tirandone uno, venivano fuori tutti uno dopo l'altro. 

-Va bene hyung, vado a mangiare qualcosa. Se vuoi ti aspetto.- fece un ultimo tentativo il più giovane. 

Con un altro sorriso, si rialzò in piedi e si diresse verso il mixer. 

-No, vai pure, non ti preoccupare.-

"Per raggiungere il tuo livello devo lavorare il doppio, il triplo di te."

Jungkook allora annuì con accondiscendenza prima di voltarsi e uscire dalla stanza. 

 

Jimin tornò rapidamente a concentrarsi sulla sua immagine nello specchio, focalizzandosi sulle sue gambe. Non riusciva ad eseguire la combinazione in tempo con la musica; si ritrovava sempre a ripetere lo stesso punto o una battuta in anticipo o due battute in ritardo. Continuava a provare e riprovare ma il suo corpo sembrava tradirlo ogni volta, per quanto lui cercasse di forzarlo sotto la sua volontà. 

"Se fossi bravo come Hoseok-hyung ci avrei messo dieci minuti ad imparare la coreografia."

Odiava quella parte di sè. Quella parte insicura e ipercritica. Ma non poteva farci niente. 

Ogni pensiero negativo lo attirava verso un baratro, in cui la sua mente iniziava ad affogare velocemente nel vortice delle sue insicurezze. Più si dimenava per cercare di uscire e più si ritrovava a criticare se stesso e gli altri. Era come essere risucchiati dalle sabbie mobili. Era come morire. 

 

La sua mente era talmente assorbita nei pensieri che gli offuscavano la ragione da non accorgersi che, prima che la porta si chiudesse dietro a Jungkook, una persona era entrata e lo guardava dalla soglia. Ne vide il riflesso offuscato nello specchio e solo allora si rese conto che stava sudando così copiosamente da avere la vista annebbiata. 

-Chiedo scusa se interrompo le sue prove, Jimin-ssi.- udì mentre si asciugava la fronte con l'orlo della maglietta.

La ragazza che si trovava sulla soglia della porta si era inchinata in segno di scuse. Quando alzò nuovamente la testa, Jimin notò che era occidentale. 

-Nessun problema, ha bisogno di qualcosa?-

La BigHit, la loro etichetta, si stava espandendo ancora e negli ultimi tempi stava continuando ad assumere nuovo personale. Jimin, dopo una veloce valutazione, attribuì a questo il motivo per cui non l'aveva mai vista prima. 

-Le devo purtroppo chiedere di uscire da questa stanza. C'è stato un guasto al sistema elettrico; non è nulla di grave ma i tecnici hanno chiesto di portare i dipendenti nell'area caffetteria, dove si potrà eventualmente evacuare in sicurezza.- 

Dopo un attimo di esitazione, Jimin annuì e afferrò la sua borsa, portandosela sulla spalla. Fermandosi per un istante, sentì i muscoli tremare dallo sfinimento. Stringendo i denti, si stabilizzò sulle gambe e si avvicinò alla ragazza. 

Quando questa si voltò uscendo dalla stanza, i suoi occhi studiarono per un breve istante i suoi capelli rossi. Sulla giacca bordeaux che indossava era attaccato il tesserino identificativo con la sua foto, ma non riuscì a leggere il suo nome. 

Seguì la ragazza lungo il corridoio disseminato di porte che portava dalla sala prove principale alle scale e, in fondo, alla seconda sala prove, quella normalmente usata dai trainees.

Mentre scendevano le scale in silenzio, Jimin si sorresse alla ringhiera cercando di non farsi notare. Non appena aveva iniziato a fare i gradini, il ginocchio aveva ricominciato a fargli male. Stringendo violentemente il metallo sotto i polpastrelli insensibili al freddo materiale, cercò di zittire il dolore e il tremore. 

"Forse oggi ho davvero esagerato un po' troppo."

Dopo aver preso coraggio, decise di interrompere il silenzio che si portavano dietro dalla sala prove.

-Non l'ho mai vista qui, è nuova?-

La ragazza si voltò leggermente verso di lui e annuì sorridendo cordialmente.

-Sono qui solo da qualche mese. Lavoro nel reparto Pubbliche Relazioni e normalmente sono sempre incollata al computer, perciò è normale che non ci siamo mai incontrati.- disse lei. 

Jimin aggrottò leggermente le sopracciglia, chiedendosi come mai un'impiegata delle Pubbliche Relazioni avesse il compito di radunare le persone nella caffetteria. Decise, comunque, di tenere per sè le sue considerazioni. 

 

Una volta arrivati in caffetteria, la ragazza fece un breve inchino, congedandosi da lui. Prima che si allontanasse, il ragazzo le rivolse un'ultima domanda.

-Chiedo scusa, può togliermi una curiosità? Come si pronuncia il suo nome? Non riesco a leggerlo dal tesserino.-

La giovane piegò leggermente la testa e non si mostrò sorpresa nel sentire  la richiesta. Probabilmente gliel'avevano già rivolta in diversi. 

-Il mio primo nome è Beatrice. Usi pure quello, noi italiani non siamo abituati a chiamarci per cognome.-

"Quindi è italiana? Namjoon-hyung aveva detto in effetti che gli italiani sono più informali."

Salutandolo con un sorriso cordiale, Beatrice si girò e uscì dalla porta secondaria della caffetteria. 

 

Dopo aver passato con lo sguardo i tavoli, trovò quello dove si trovavano i suoi amici e li raggiunse zigzagando tra la marea di dipendenti dal momento che avevano affollato la caffetteria. 

Una volta giunto a destinazione, si sedette fra Jin e Taehyung, il quale gli infilò prontamente in bocca le sue bacchette cariche di kimchi. Di fronte a sè, notò Hoseok fissare la porta secondaria, quella da cui la ragazza con i capelli rossi era appena uscita. 

-Tutto bene hyung?- chiese con la bocca ancora carica di cibo. 

-Mmh? Sì, non è niente.- rispose il maggiore scrollando la testa. 

Da qualche giorno era strano. A quanto pareva, le passate notti non era riuscito a dormire bene; si svegliava con un umore pessimo e per tutta la giornata non sembrava migliorare. Ogni tanto succedeva, quando era particolarmente particolarmente stanco; i suoi compagni avevano imparato a conoscere quando la loro "hope" stava esaurendo le batterie. 

Jimin, assorto in quei pensieri, si accorse improvvisamente che qualcosa gli premeva  contro la bocca e abbassando gli occhi vide di nuovo le bacchette di Taehyung. Stava nuovamente cercando di fargli mangiare una manciata di riso. Quando allontanò il viso dal cibo, il suo amico protestò.

-Mangia qualcosa.-

Jimin lo guardò di traverso, provando a ribattere, ma sapeva che una discussione con TaeTae finiva sempre con lui che lo guardava sorridendo come un bambino e se stesso che eseguiva esattamente ciò che lui voleva. 

Il suo migliore amico sentiva quando il suo umore non era alle stelle ed era consapevole dei pensieri negativi che, come in quella giornata, occasionalmente gli affollavano la testa. Non succedeva spesso, ma quando accadeva teneva un'espressione seria per tutta la giornata. Quando succedeva, Taehyung gli si appiccicava addosso come un koala, non lasciandogli un attimo libero. Era un po' irritante all'inizio, ma lo apprezzava. La sua vicinanza spezzava la catena di pensieri negativi che continuava ad emergere dal suo inconscio. 

 

Quando finalmente si sdraiò sul letto, sentì la stanchezza prendere il sopravvento sul suo corpo, risvegliando con violenza tutti i dolori che aveva cercato di soffocare nell'arco della giornata. La sua mente, però, era ancora più stanca. Forse proprio per questo, non appena chiuse gli occhi essa lo trascinò in un sogno. Un incubo.

 

Continuava a provare e riprovare ma il suo corpo non assecondava i suoi ordini. Mentre ogni pensiero negativo che emergeva nella sua mente ne tirava fuori un altro, in una catena di rabbia e frustrazione, Jimin si ritrovò il petto scosso dalla tosse. C'era uno strano odore e l'aria secca gli asciugava la gola. Forse si era ammalato il giorno prima, quando era uscito sudato fradicio dallo studio.

Dopo qualche minuto però, si accorse del fumo che stava scivolando dentro la stanza da sotto la porta. E l'odore che sentiva sapeva di fuoco e materiali distrutti. 

Nel giro di un istante, l'allarme antincendio iniziò a perforargli i timpani e senza esitazione si fiondò contro la porta. La maniglia, però,  girò a vuoto. Si era dimenticato che era rotta e che talvolta faceva fatica ad aprirsi. Di solito la lasciavano socchiusa per sicurezza. Evidentemente doveva essersi chiusa dopo che Jungkook era uscito. 

Aveva i polmoni in fiamme, gli occhi lacrimavano e non riusciva a respirare. Non lo aiutava il fatto che il panico gli stesse offuscando la mente e ostruendo la gola qualora il fumo la lasciasse libera. 

Afferrò con forza la maniglia e grugnendo diede una spallata alla porta, ma non si mosse. 

Tossiva.

E quando non tossiva, urlava. 

Si guardò disperatamente intorno ma non vedeva altre vie d'uscita. C'era solo una porta e la stanza si trovava al quarto piano dell'edificio. Se fosse saltato dalla finestra non sarebbe atterrato vivo. 

Si accasciò a terra, con gli spasimi della tosse che lo piegavano a carponi mentre sentiva sulla lingua il sapore del sangue. 

L'aria era pregna di fumo; ad ogni respiro gli stritolava i polmoni. Si alzò la maglietta fino a coprire naso e bocca e si fiondò di nuovo con tutto il peso sulla porta. Stavolta, probabilmente, si era lussato la spalla. E la porta non si muoveva. 

Mentre trascinava un respiro dietro l'altro, si ritrovò sdraiato per terra, rannicchiato su se stesso. 

Una voce lo stava chiamando. Non la conosceva e non riusciva neanche a capire da dove venisse. Mentre ascoltava distrattamente quella voce disperata, aveva chiuso gli occhi in lacrime. Dall'altra parte della porta sentiva dei rumori. Qualcuno cercava di aprire: batteva i pugni, urlava, tossiva, calciava, tirava. Un rumore di metallo stridente annunciò la rottura della maniglia e, nonostante ciò, la porta rimase ostinatamente sigillata. 

Jimin perse definitivamente i sensi nel momento in cui le fiamme raggiunsero l'angolo nella stanza. 

Circondarono il suo corpo lentamente, come un predatore che si avvicina cautamente alla preda. 

E, alla fine, lo ricoprirono interamente.

   
 
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