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Autore: 7Zip    30/12/2019    0 recensioni
Rekhyt, guerriero, o meglio, avventuriero nord, dopo una vita trascorsa all'insegna dell'avventura, senza una dimora fissa, decide di acquistare il tanto agognato riposo a Windhelm, città comandata da Ulfric Manto Della Tempesta, nel pieno della Guerra Civile. Rehkyt è uno spirito libero a tutti gli effetti: non é oppresso né oppressore e vive senza regole, appellandosi solamente al suo senso d'onore e di umanità. Si troverà invischiato in diverse questioni, senza gloria né infamia: Rehkyt non ha mai voluto diventare un eroe. Il suo unico desiderio è Sovngarde, come ogni Nord che si rispetti.
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ulfric Manto della Tempesta
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Quando Rehkyt imparò ad urlare aveva appena 13 anni, ad insegnarglielo fu suo padre. Egli voleva prepararlo ad affrontare il mondo che lo attendeva laggiù, tramandandogli l'antica lingua dei draghi. Ovviamente ciò non avvenne senza le dovute raccomandazioni: maneggiare la lingua dei draghi non era maneggiare una spada.
Adesso, con 49 primavere (o forse inverni, data tutta la neve che aveva visto in vita sua) sulle spalle, Rehkyt era infinitamente grato per gli insegnamenti di suo padre. Grazie a lui era uno spirito libero, senza essere né oppresso né oppressore, poiché gli aveva insegnato a non dare o farsi dare del "lei", o del "mio signore".
Libero non solo nei modi: nel corso della sua vita viaggiò per Skyrim in lungo e in largo, da Solitude a Riften, da Whiterun a Winterhold, trovando ospitalità talvolta in qualche taverna accogliente, talvolta negli autoritari palazzi degli Jarl. Non aveva mai avuto una fissa dimora, per questo gli parve un momento infinitamente surreale quando gli vennero affidate le chiavi di Hjerim. Dopo una vita di avventure, voleva acquistare il tanto agognato riposo.
Riposo, tuttavia, relativo. Windhelm non era di certo una città designata per la tranquillità, specialmente in quel periodo in cui la Guerra Civile dilaniava e straziava Skyrim ed aveva il fulcro proprio nella città innevata, per non menzionare tutte le voci su Aventus Aretino e la Confraternita Oscura. Eppure tra la neve e i suoi consanguinei Nord si sentiva a casa, una parola a lui del tutto sconosciuta. Non era intimidito da un bambino che cercava di performare il Sacramento Nero o da qualche imperiale che avrebbe potuto espugnare la città: nonostante la sua età effettiva, dimostrava di avere almeno dieci anni in meno, sia nel fisico che nelle capacità, con la spada tanto quanto con l'arco.
Della politica non gli era mai interessato più di tanto, ma l'affare durò ben poco. Non aveva militato nella Grande Guerra, sapeva che l'Impero sarebbe stato inesorabilmente sconfitto, ma avrebbe preferito che si fosse lasciato distruggere piuttosto che scendere a patti con l'invasore, per giunta facendosi sottomettere e manipolare come un burattino e i suoi fili.
Il Concordato Oro-Bianco lo mandò su tutte le furie.
Non gli erano mai piaciute le regole, pertanto non abbandonò il culto di Talos, anzi portava sempre con lui un amuleto.
Scoppiata la guerra civile non prese parte. Sebbene simpatizzasse per i Manto Della Tempesta e ne augurasse la vittoria finale non combatté mai per loro, almeno non ufficialmente.
Disprezzava, tuttavia, la condizione in cui erano lasciati elfi e argoniani. "Skyrim è terra dei Nord e ci appartiene legittimamente, ma Skyrim è anche di chi ama e onora questa terra", questa era la sua filosofia.
Solo i Nove sanno perché Windhelm le era diventata tanto cara.
Disprezzava la mentalità razzista e intollerante di alcuni dei suoi abitanti e di come gli stranieri erano ridotti a dei veri e propri schiavi, non sopportava come le guardie cittadine riservavano parole e atti ostili agli abitanti senza motivo alcuno; eppure avrebbe passato il resto dei suoi giorni a bere idromele, ascoltare i bardi cantare canzoni di libertà e osservare la neve, pura e candida, congiungersi con le grigie, fredde, imponenti mura della città e le strade che si diramavano in tutta la sua estensione fino ad arrivare al Palazzo dei Re.
Come aveva ottenuto il diritto di acquistare la sua proprietà è una storia lunga.
Appena giunse a Windhelm si prese il suo tempo per esplorare ogni angolo della città. Iniziò col lasciarsi rapire dal panorama mozzafiato tipico di Skyrim che si poteva intravedere dal ponte antecedente al maestoso e glorioso ingresso. Appena entrato, subito notò la taverna: non indugiò a farci un balzo prima di proseguire.
Non passò di certo inosservato: il lungo mantello rosso che lo seguiva ovunque e la spada daedrica che custodiva gelosamente bastavano ad intimorire chiunque gli regalasse uno sguardo. A completare la figura vi erano dei bracciali d'oro intagliati e decorati che lasciavano scoperte le sue braccia possenti e muscolose. Della stessa visibilità non godevano le gambe: gli stivali d'acciaio proteggevano fino a poco sotto le caviglie e la corazza, arrugginita per i suoi anni di onorato servizio, nascondeva una tunica rossa come il mantello che si estendeva dove gli stivali non arrivano. A primo impatto si poteva avere l'impressione di trovarsi davanti un imperiale, ma l'ipotesi era tradita dalla tipica postura fiera di un Nord e dalle cicatrici che portava in volto con orgoglio.
Si rivolse cordialmente all'oste, chiedendogli di riservargli una stanza per la notte. Accordato il prezzo di dieci septim versò il pagamento, aggiungendo una moneta per una bottiglia di idromele.
Dopodiché avanzò una richiesta al bardo, naturalmente sotto pagamento.
«Potresti suonare "L'Era dell'Oppressione?»
«Naturalmente. Lei non è di queste parti, vero? Non l'ho mai vista in giro.» la giovane donna si permise di avviare una breve conversazione.
«Ti prego, non darmi del lei. No, non sono di Windhelm. Giro per Skyrim, a dire il vero, non ho una dimora fissa.» precisò con la voce bassa ma potente.
«Lo vedo, lo vedo. L'insofferenza al clima della città ne è la prova.»
«Ecco, io sono cresciuto su una montagna, come dire, conosco il vero gelo.» precisò sorridendo Rehkyt, strappando la sua bottiglia d'idromele e accomodandosi tra le altre persone che popolavano la locanda.
«Per i veri figli di Skyrim»
Le note della canzone da lui richiesta occuparono tutto l'ambiente. Rehkyt si lasciò trasportare dalla melodia e dalla soave voce dell'interprete. Chiuse gli occhi e assaporò il dolce ma deciso sapore dell'idromele, trovandosi catapultato in una dimensione quasi onirica.
Finito il sogno, si congedò e tornò ad esplorare la città.
Con sua spiacevole sorpresa, vicino alla Sala dei Morti, si imbatté davanti al corpo nudo e lacerato giacente su una lastra di ferro circondato da alcune guardie.
Mosso da autentica compassione, si avvicinò per sincerarsi dell'accaduto, quando una guardia si affrettò ad allontanarlo dalla scena del crimine fornendogli tutte le spiegazioni del caso. Un assassino stava terrorizzando la città mettendo a punto degli omicidi ai danni di alcune donne di giovane età. La vittima più illustre era Friga Frantuma-Scudi, figlia minore del clan Frantuma-Scudi, famiglia più potente ed influente dell'intero feudo.
La guardia, però, lo avvertì: aveva bisogno del consenso del sovrintendente di corte per poter prendere parte alle indagini.
«La giustizia non conosce consenso che regga. Lascia fare» così rispose Rehkyt, lasciando la guardia sul posto, che in tutta risposta sputò per terra.
Rehkyt seguì la scia di sangue che aveva sotto i piedi: se ne accorse dalla macchia sugli stivali. La scia si esauriva in una casa, Hjerim. Non fu semplice accedervi, ma trovò il modo per scassinare la serratura della porta.
L'abitazione era spoglia di qualsiasi arredo, l'unica variazione alla struttura erano grandi chiazze del liquido rosso sulle pareti, sul pavimento e persino sul soffitto.
Una di queste esponeva alla vista un già ben visibile baule, nel quale Rehkyr non tardò a rovistarvi dentro. Rinvenì diversi fogli denominati "Diaro del macellaio" e uno strano amuleto.
Non volle caricarsi di altre responsabilità, per cui si limitò a consegnare ciò che aveva trovato ad una guardia, che assunse l'incarico di consegnarli a sua volta a chi di dovere.
Il giorno seguente, Rehkyr nuovamente passeggiava per le tristi strade di Windhelm, mentre fu intercettato da un messaggero dello Jarl che lo convocava personalmente a corte.
Non lo fece attendere, non era educato far aspettare un Signore, senza curarsi troppo del suo aspetto, puntò alla destinazione. Non ebbe problemi ad entrare nel maestoso Palazzo dei Re dopo aver mostrato alle guardie all'ingresso la convocazione ufficiale.
La sala del trono era in linea col resto della città: la fredda e grigia pietra che lo componeva non poteva essere riscaldata neanche dalla più calda delle torce.
Lo Jarl, Ulfric Manto della Tempesta, sedeva altezzoso sul trono, anch'esso di pietra, affiancato dal suo più fidato e temuto consigliere e generale, Galmar Pugno Roccioso.
Ulfric squadrò attento la figura ancora sconosciuta di Rehkyr mentre attraversava l'ampio salone per giungere a lui. Lo Jarl attendeva un inchino che non gli fu mai concesso, così attaccò il suo discorso, senza farsi mancare lo stupore dinanzi allo straniero che lo stava osando sfidare anche se indirettamente. Questa, però, era solo una congettura creata da Ulfric stesso, poiché quello era il naturale comportamento del Nord. Ne rimase, tuttavia, intrigato.
«Dovrei farti giustiziare per esserti intromesso in affari di corte che non ti riguardano, mentre ti avrei insegnato a rispettare uno Jarl inchinandosi dinanzi a lui. Qual è il tuo nome, forestiero?»
«Rehkyr. Il mio nome è Rehkyr», rispose prontamente, facendo riecheggiare la sua voce tra le mura del palazzo.
«Molto bene, Rehkyr. A quest'ora la tua testa dovrebbe già pendere nel mezzo del mercato, ma dal momento in cui hai contribuito a risolvere un problema primario, posso chiudere un occhio».
Ulfric scambiò uno sguardo d'intesa con Galmar, evidentemente cercando di replicare un copione già scritto.
«E proprio perché hai risolto un problema primario, posso offrirti una sistemazione a Windhelm, come ricompensa. Dammi il tempo di far risistemare la casa che quell'assassino ha messo sottosopra e sarà la tua nuova dimora. Fai qualche altra buona azione e magari potrò considerare l'idea di nominarti Thane dell'Eastmarch. È tutto. Guardie, scortatelo fuori!» Ulfric tuonò quest'ultima frase, intimorendo persino la servitù presente nella sala.
Rehkyr si lasciò scivolare tutte le parole dello Jarl addosso, tuttavia lieto della possibilità di poter possedere una dimora. Addirittura sembrava che fosse lui a dover scortare le guardie all'uscita, data la fierezza e la sicurezza con cui avanzava passo passo.
Ebbene, inutile dire che quelle buone azioni menzionate in precedenza riuscì a compierle, diventando Thane del feudo. Era diffidente del nuovo titolo ottenuto, poiché era ormai noto che Ulfric era alla ricerca di consiglieri militari e comandanti da arruolare nell'esercito da ricoprire della carica formale di Thane.
Rehkyr intendeva restare senza infamia e senza gloria, lasciando che la storia cancellasse le tracce della sua esistenza.

***

Prima di tutto, Greetings, il mio nome è 7Zip.
Non sono nuova alla scrittura, ma è la prima volta che mi trovo a maneggiare questo sito.
Questo è l'inizio di una ff basata su Skyrim (credo si sia capito) che spero di portare avanti il più possibile.
Spero che questo personaggio abbia suscitato almeno una minuscola parte della vostra curiosità e che vi abbia spinto a porvi alcune domande (ad esempio, chi è il padre di Rehkyr?)
Spero di poter sentire l'opinione di voi eventuali lettori, grazie dell'attenzione rivolta a questa storia.
Greetings.
   
 
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