Note di inizio lettura.
Solamente la prima scena è dal punto di vista di Rey. Tutte le altre scene sono dal punto di vista di Ben. Le scene completamente in minuscolo sono dei flashback. Buona lettura!
"Non
ti sto capendo, Rey."
Non era questo il vero problema? Il non riuscire
a spiegargli e il non riuscire a mostrargli
l’entità della sua sofferenza? Aver
taciuto talmente tanto a lungo, aver sopportato ogni situazione
più improbabile
e non aver mai chiesto con insistenza una spiegazione plausibile? Non
era
questo il problema che avrebbe voluto esporgli?
Perché
non ne era in grado?
Aveva
creduto che un paziente silenzio fosse il metodo migliore da
utilizzare per comunicare con un uomo complesso come lui. Aveva sperato
che
lasciargli i suoi spazi avrebbe aiutato il loro rapporto a crescere e a
maturare lento nel tempo. E aveva sbagliato. Forse ogni cosa era
semplicemente
stata colpa sua. La consapevolezza di ciò che aveva
realmente compiuto era
riuscita a far vacillare il suo mondo e l’asse stesso del suo
universo. Aveva
compiuto ogni scelta sbagliata nei confronti di Ben. Non aveva
sbagliato ad
innamorarsi di lui - non era neanche stata una scelta, era stato
naturale - e
non aveva sbagliato a cercare di creare una vera relazione con lui.
L’opinione contraria dei suoi pochi amici non era riuscita a
fermarla.
Ma aveva sbagliato a credere che una
relazione di silenzi fosse una relazione destinata a durare. Avevano
sbagliato
entrambi e avevano complicato ogni cosa. Incomprensioni su
incomprensioni.
Sentimenti mai espressi e sensazioni rinchiuse in un vecchio e
malconcio baule.
Come aveva potuto sbagliare così tanto?
“Credo
che dovremmo fermarci. Credo che riflettere sia la cosa giusta da
fare.”
Le
sue mani stringevano talmente tanto forte lo schienale di una delle
sedie della cucina da
essersi procurate strisce rosse e profonde. La sedia di un tavolo da
pranzo era
un appoggio di poco conto, riusciva a mala pena a permetterle di non
crollare a
terra. Nulla avrebbe avuto il potere di aiutarla ad affrontare una
situazione
così dolorosa. Un momento che era in grado di stringerle il
cuore e di farlo
sanguinare senza tregua - nulla avrebbe potuto conferirle la forza
necessaria.
“Non
sto capendo, Rey. Cosa è cambiato da questa mattina? Cosa
è successo?”
Niente.
Tutto. Come puoi non vederlo?
“Non
è come pensi. Posso giurartelo.”
Ben
eliminò la poca distanza che ancora li separava e
sfiorò un suo
braccio con le punta delle dita. Il suo sguardo era spaventato e
insicuro.
Guardarlo significava provare una sofferenza atroce. Significava
assaporare
un’angoscia tale da renderle la vista opaca e la gola
arrossata dalle spine
delle grosse lacrime di pianto che si ostinava ad ingoiare e a
trattenere con
ogni più ostinata briciola di volontà. Ma non
abbassò il capo. Continuò ad
osservarlo e a lottare contro ogni suo istinto e ogni suo desiderio.
“Spiegami,
Rey. Perché?”
Come
posso spiegarlo? Come puoi non comprenderlo? Come puoi davvero non
vederlo?
“Non
funziona. Non può funzionare in questo modo e ho cercato di
dirtelo,
ogni giorno ho provato a creare un legame con te, ma...”
“Io
e te abbiamo un legame!”
Ben
strinse il suo gomito e la avvicinò al suo corpo,
scombussolando la
sua pancia attorcigliata e la sua mente spaccata.
“Tu
lo sai che io e te abbiamo un legame, tu sai che io non mai ho provato
questo e che ci capiamo, che io e te ci capiamo e che ci sentiamo. Tu
lo sai.”
Rey
posò la fronte contro la sua spalla e cercò di
rispondergli con ogni
pagliuzza di dolcezza che aveva centellinato in un punto profondo
dentro il suo
animo.
“Ma
tu non ti fidi di me. E non mentirmi, Ben. Dobbiamo smetterla di
riempire la nostra vita di bugie.”
Lo
sguardo di Ben cambiò e divenne ancora più
spaventato, ancora più
insicuro. Le sue labbra si mossero un attimo senza emettere alcun suono
e lei percepì
il suo sforzo e il suo tormento. Lo stava dilaniando.
“Come
puoi dire che non mi fido di te? Tu sei sotto la mia pelle, tu
sei... È per l'altra mattina? Perché non ho
risposto alle tue domande?”
Avevano
fatto l’amore, per la prima volta, solamente pochi giorni
prima.
“Quando
mai hai risposto alle mie domande? Quando mai mi hai raccontato
qualcosa della tua famiglia o di qualsiasi altra cosa?”
La
mattina dopo ogni suo sogno era crollato. Insieme avevano preparato la
colazione e poi Ben aveva risposto ad una chiamata di suo padre. Non
sapeva che
cosa doveva essere stato sbagliato, non lo sapeva. Lui non aveva
risposto alle
sue domande e tutto il giorno era stato agitato. Lei aveva tentato di
consolarlo. Gli aveva chiesto di sfogarsi con lei, di non avere paura.
Percepiva
nelle sue vene la sua rabbia confusa ad una strana forma di
disperazione e
di infelicità. Sentiva le sue emozioni che si trasformavano
e l’eco dei suoi
pensieri angosciati.
“Mi
stai lasciando perché non... perché non ti dico
ogni mio segreto? Per questo?”
Lo
aveva abbracciato stretto tante volte e tante volte gli aveva detto di
non avere mai paura di ricordare il suo passato davanti a lei.
Avrebbero potuto
affrontarlo insieme. Perché non era lì per
giudicarlo e mai lo sarebbe stata.
Era lì per costruire qualcosa con lui.
“Non
può esistere una relazione basata sul silenzio e non
può esistere
nessun futuro basato sulle menzogne e sulle omissioni. Tutto questo mi
spaventa, mi spaventa tantissimo. Come può esserci qualcosa
tra di noi se tu non mi
vuoi veramente nella tua vita? Ci sono dei momenti in cui mi sembra
di sentirti e di comprenderti in ogni modo possibile. Altre volte
invece diventa
impossibile anche solo pensare di potersi avvicinare a te. Non riesco a
capire.”
Perché
hai così tanta paura? Perché mi allontani e non
mi permetti di
essere dalla tua parte?
Non
poté chiedergli altro e non poté continuare a
spiegargli ciò che più
temeva e ciò che più desiderava. Lo sguardo di
Ben era indescrivibile. Lui
deglutì e Rey sentì il suo groppo in gola.
Sentì il suo caos e sentì troppe sue
sensazioni strisciare sul suo viso e intristire i suoi occhi e le sue
labbra.
“Mi
stai lasciando.”
Non
ti sto lasciando. Non potrei mai lasciarti.
Ma
non riuscì a dirglielo. Lo sconforto di Ben confondeva anche
i suoi
pensieri e scomponeva le sue parole. Provava troppe emozioni.
“Credo
che abbiamo bisogno di tempo per riflettere.”
E
riuscì soltanto a mormorare una frase sbagliata. Una frase
che scavò un immenso
baratro tra loro.
*
Erano
trascorsi tre giorni.
Ben scosse la testa e massaggiò la sua fronte contratta.
C’era troppo
rumore intorno a lui e troppo persone che chiacchieravano di
banalità mentre
lui cercava invano di concentrarsi. La macchina degli adduttori e il
bruciore
dei suoi tendini non erano in grado di distrarlo dai suoi pensieri
tormentati. E come
sarebbe stato possibile? Tre giorni. Non
parlava con Rey da tre maledetti giorni. Ogni pomeriggio in palestra
l’aveva
osservata, tra i recuperi di un esercizio e l’altro, ma non
era mai riuscito ad
avvicinarsi e a chiederle un nuovo confronto. Oggi doveva riuscirci.
Allentò
la carica degli adduttori e sbuffò esasperato. Sembrava
essere tornati all’inizio di ogni cosa e non riusciva
più a respirare
pienamente. Come quando l’aveva vista la prima volta ed era
rimasto incantato a
guardarla -
meravigliato e stupito, folgorato.
Sembrava
che insieme avessero compiuto mille e mille e mille passi
indietro e che avessero scelto di separarsi e di costruire una vita
sbagliata,
una vita in cui erano distanti e persi.
Rey
era riuscito a conquistarlo dal primo istante - così irraggiungibile
e
introversa, nessuno era riuscito ad avvicinarsi realmente a lei e mai
lui aveva
creduto di poter essere un’eccezione.
Come
era potuto accadere? Come aveva potuto nuovamente distruggere
qualcosa di tanto bello e importante?
Non
riusciva a sopportarlo.
Afferrò
la bottiglietta dell’acqua che aveva posato vicino alle sue
gambe
e notò che Rey era in difficoltà a causa di
alcuni nuovi esercizi. Trattenersi
dall’aiutarla fu come strapparsi un braccio con
l’altro braccio. Una
lacerazione sbagliata e crudele. Masochista. Perché non
poteva più accostarsi a
lei e non poteva più aiutarla?
Perché
sento questa infinita distanza tra di noi?
Si
asciugò la bocca con il dorso della mano e strinse la
plastica un po’
troppo forte. Rey non riusciva a sollevare i nuovi pesi e ogni muscolo
delle
sue braccia era in tensione, affaticato e stanco. Sbagliava la
posizione delle
gambe e questo inficiava gravemente su ogni altro aspetto.
Provò a voltarsi
dall’altra parte, ma il rumore di un peso caduto e di un
mezzo grido soffocato
lo trattennero.
Basta,
questa situazione è assurda.
Oltrepassò
velocemente la sala delle macchine e non prestò attenzione
ad
uno dei suoi compagni di corso che gli voleva chiedere un consiglio o
chissà
cosa altro.
Calpestò
i tappetini di gomma sparpagliati in maniera disordinata vicino
al cesto degli attrezzi e si accostò a Rey, schiarendosi la
voce. Posso
avvicinarmi? Posso ancora essere presente nella tua vita?
“Ti
sei fatta male?”
Non
trattenne il suo istinto e accolse la sua mano arrossata tra le sue.
Massaggiò le sue ossa carpali e valutò
rapidamente in che modo avrebbe potuto
aiutarla.
Ma
lei non vuole il tuo aiuto, ancora non lo hai capito?
“Non
è niente. Sto bene.”
La
sua mano era semplicemente arrossata a causa dell’urto, ma
lui continuava
a massaggiare il suo dorso e le sue dita con estrema attenzione. Gli
sembrava
l’unico tremulo legame che era riuscito a riconquistare dopo
giorni di silenzio
e di macerazione interiore.
E posso finalmente respirare.
“Andiamo
a cercare del ghiaccio”, propose, facendo attenzione a non
calpestare il blocco pesi caduto a terra.
“Non
credo sia necessario, Ben.”
Ben. Era sempre
stata una sensazione estraniante sentire la voce di Rey che pronunciava
il suo nome. Gli graffiava le vene dei polsi e del collo.
“Cerchiamo
questo ghiaccio e basta.”
Trovare
il ghiaccio non era stato troppo difficile. Era stato più
laborioso convincere Rey ad indossare una fasciatura improvvisata di
cui in
realtà non aveva alcun bisogno. La mano non aveva subito un
trauma grave, ma
non gli importava. Lui non riusciva ancora ad allontanarsi da lei. Era
sordo a
tutto a causa del battito del suo cuore che martellava nelle sue
orecchie. Un
cuore che non gli permetteva di esprimere le parole giuste e necessarie. Sono confuso e non capisco
più niente.
Sospirò
piano e si mangiò le labbra cercando di trattenere un altro
sospiro.
Non
stava andando tutto bene? Eravamo felici insieme. Io ero felice.
Perché vuoi così tanto sapere del mio passato?
È meglio ignorarlo e
dimenticarlo. Fidati di me. Ignoriamolo e dimentichiamolo.
Erano
seduti nella sala d’attesa della palestra e Ben riusciva
soltanto a
sistemarle il sacchetto del ghiaccio sulla fascia rossa utilizzata come
benda e
a guardare le loro mani intrecciate. Anche Rey era persa ad osservare
il modo
in cui le loro dita si erano strette - in maniera così
naturale e così
spontanea.
Non
sembrava infastidita dal suo tocco e non gli stava chiedendo di
andarsene. Era un momento di quiete che non voleva perdere e a cui si
stava
disperatamente aggrappando.
Il
mio passato può solamente danneggiarci. Dimentichiamolo e
passiamo
oltre a questa follia. Il silenzio e le omissioni sono necessarie con
le
persone sbagliate come me. È una protezione. Proteggo te e
proteggo la nostra
vita dagli errori del mio passato. Ogni cosa era già giusta
così, non ricordi?
Perché mai dovremmo cambiare? Che cosa ci mancava?
Le
sollevò il mento e cercò il suo sguardo.
“Mi
manchi”, esalò, svuotato.
Gli
parve di aver ripreso a respirare ossigeno puro dopo secoli di
pulviscolo nero. Perse un altro pezzo di se stesso negli occhi di Rey e
nelle parole
che gli mormorò con un filo di voce.
“Anche
tu mi manchi.”
Un
sospiro ferito tra i suoi pensieri squarciò la sua ragione e
la ridusse
a brandelli di coriandoli. Si protese verso di lei e parlò
senza riflettere.
“Perché
non mettiamo da parte questa stupidaggine della pausa e del
riflettere? Non dobbiamo dirci necessariamente ogni cosa e stare
lontani è una
perdita di tempo. Lasciamo perdere il passato e viviamo alla
giornata.”
Torniamo
esattamente come prima e abbandoniamo questo limbo spaventoso.
“Che
cosa vuoi dire? Preferisci una relazione vuota e superficiale? Un
rapporto squilibrato?”
No.
“Sì.
No. N-non volevo dire sì, non volevo dire sì!
Vorrei soltanto tornare
ad essere quello che eravamo pochi giorni fa, ecco che cosa ti sto
dicendo.”
Non
era una conversazione degna della storia che avevano condiviso in quei
mesi. Era un vano arrampicarsi sugli specchi. Calpestava ogni momento
essenziale che avevano vissuto insieme e lo trasformava in un evento
insignificante.
Dimentichiamo i
possibili problemi e le difficoltà già presenti,
nascondiamo le
preoccupazioni. Ecco cosa stava proponendo.
Ed
erano ridotti a masticare frasi e a discutere a bassa voce nella sala
di una
palestra gremita di persone. Avrebbero potuto risolvere ogni cosa
tempo prima, senza obbligarsi a patire un supplizio infiniti nei giorni
appena trascorsi.
E di chi era la colpa?
“E
che cosa eravamo? Io ti ho confidato ogni cosa di me. Non è
stato facile.
Sono sempre stata molto sola nella mia vita e sono stata abituata a superare
ogni
situazione senza l’aiuto di nessuno. Ma ho permesso a te di
vedermi e di
conoscermi. Tu invece... mi sei vicino, ma non sei mai completamente
tu. Lo
sento che qualcosa ti sta dilaniando e che ne soffri. Ci blocca in
questa
strana situazione che non riesco neanche a definire. Ben, io non
capisco.
Parlami.”
Era
sua la colpa. Non voleva sentire ragioni, non accettava più
alcun tipo
di cambiamento. La sua vita era stata un groviglio arruffato di scelte
sbagliate e di azioni buone mancate. Rey era stata un miracolo e aveva
giurato
di proteggerla da se stesso e dai suoi sbagli.
Non
posso perderti. L'unico
pensiero coerente che gli era rimasto.
Ma
le sue parole lo spaventavano e la paura aveva sempre mutato malamente
il suo animo. Diventava un bambino senza raziocinio, un ragazzino
spaurito che
feriva le persone senza fermarsi a riflettere e a vedere la
verità. Un uomo accecato dall'insicurezza.
Non
ti basta ciò che già ti ho raccontato di me? Non
ti basta nulla? Non
vale nulla? Perché vuoi ogni cosa e non ti fermi mai?
Perché mi stai facendo
questo? Perché ci stai rovinando? Perché stai
trasformando in realtà ogni mio incubo?
Domande
su domande che si affastellavano sulla sua fronte e che pesavano
sulle sue ciglia.
Non
so cosa devo fare.
Rey
gli strinse la mano e abbozzò un sorriso. La speranza che
gli tendeva
senza paura scombussolò completamente la sua scarsa
lucidità.
Perché
stai rendendo tutto così difficile?
“Perchè
mi stai chiedendo questo, a quale scopo? Come puoi pensare di capire me
o chiunque altro se tu non conosci neanche te
stessa? Ma perché siamo ancora qui a parlarne?”
Le
guance di Rey avvamparono come il suo collo e il suo mento. Nella sua
espressione dignitosa fece capolino una ferita antica che non era mai
riuscita
a rimarginarsi. Un’improvvisa stretta gli serrò il
petto e credette di star
affogando.
Che
cosa ho fatto?
Aveva
utilizzato come arma affilata una sua confidenza importante. Un dono
che gli aveva offerto tra le lacrime e che lui aveva appena
disintegrato tra le
proprie mani. Neanche dei pezzi di rottame erano rimasti integri tra di
loro.
Ben,
io non ho mai conosciuto i miei genitori. Come posso pensare di
conoscere il mondo se non conosco neanche me stessa?
“Hai
ragione. Perché siamo ancora qui a parlarne?”
Che
cosa ho fatto?
Rey
sfilò la mano dalle sue dita e lasciò cadere il
sacchetto di ghiaccio
a terra. Non ebbe neppure il coraggio di trattenerla. Sentiva sulla sua
pelle
la desolazione che era riuscito ad infliggerle. Talmente tanto
imponente da
bloccarlo su quella sedia scomoda e da provocargli un forte attacco di
nausea.
Nausea di se stesso e del mostro che era sempre stato.
Che
cosa ho fatto?
*
“Tu
a cosa pensi poco prima di addormentarti?”
“Immagino
un oceano. Un oceano immenso con un’isola bellissima. Io sono
sull’isola e nessuno può farmi del male.”
“Mi
sembra di vederla.”
“È
una cosa stupida. Non preoccuparti me ne rendo conto io stessa. Ma da
bambina utilizzavo questo trucco e riuscivo così ad
addormentarmi nelle camere
comuni dell’orfanotrofio. E poi credo di non essere
più stata in grado di
abbandonarla completamente. La mia isola.”
Era
inutile nascondersi. La consapevolezza dell’amore che provava
era
un’accettazione serena e delicata. L’aveva amata
dal primo istante. Perché
amarla significava essere un uomo capace di realizzare un respiro
completo
senza più degli opprimenti e angoscianti pesi al petto.
L’amava e desiderava
proteggerla.
Ma
come posso proteggerla da me stesso?
L’abbracciò
e le permise di celare il suo volto contro il suo petto. Non
voleva perdere Rey. Non voleva perdere tutto.
*
Sdraiato
sul letto e adagiato su un fianco viveva una spiacevole
insofferenza che gli marchiava la gola con cocci di ghiaccio e che gli
infastidiva la schiena contratta. Era una sofferenza atroce che lo
costringeva
ad ammirare la bellezza della notte mentre macerava una pietra nel suo
petto,
una pietra che si era incastrata caparbia tra due sue costole. Era
un’abituale
insofferenza che aveva ormai deciso di legarsi ai suoi talloni
arrossati.
L’ho
persa.
Arrovellava
la sua mente tra pensieri squilibrati che spezzavano la sua
volontà. Dimenticava di respirare e affrontava una
guerra di stille
cremisi versate impunemente sul suo petto. Costringeva se stesso ad
abbracciare
un nuovo male, un nuovo malessere che aveva cominciato a sperimentare
da poco
più di dieci giorni.
L’ho
persa per sempre.
Ogni
istante era un progetto vacuo che sbiadiva nello stesso modo in cui
delle immagini sbiadite scompaiono in delle pozze di acqua e fango.
Erano
aspirazioni simili a delle impronte secche impresse su della terra
sporca. Lei non
c’era e nulla aveva più senso.
Doveva
convivere con la costante sensazione di avere mille spine sul suo
sterno, doveva accettare di trascorrere ogni secondo in bilico, con il
capo
rivolto verso gli abissi più profondi della sua anima.
Rey.
Dove sei?
Aveva
promesso a se stesso che non le avrebbe mai fatto del male, che
l'avrebbe protetta da se stesso. Non
l'ho fatto, non l'ho protetta, l'ho persa.
E aveva perso ogni cosa.
*
Ben
baciò le sue labbra e intrecciò le loro cosce
nude e sudate.
Continuavano a sfiorarsi alla ricerca bramosa di un contatto
più profondo, più
avvolgente. Rey ansimava sulla sua bocca in respiri spezzati mentre le
sue dita
gli accarezzavano le spalle, la schiena e i glutei. Percepiva il suo
desiderio
crescere e bruciargli il ventre. Bruciava il suo addome, sconquassava
il suo
sterno. Erano vene che battevano frenetiche alle tempie, ai polsi, tra
le
gambe. Reticoli di vasi che si attorcigliavano e che muovevano il suo
corpo in
un dondolio lento, delicato, a tratti esasperante. Rey
ansimò più forte contro
la sua bocca e gli graffiò le braccia, sollevando il suo
bacino.
“Entra
dentro di me.”
Gli
strinse i fianchi con i polpacci, le ginocchia, le piante dei piedi,
ma Ben legò tra le sue nocche la collana che le aveva
regalato tempo prima e
premette il ciondolo contro il suo seno. Si fermò ad
osservarla e brividi di
desiderio colarono lungo la sua schiena. Mormorava - tra i suoi
capelli, sul
suo collo, sulle sue ossa sporgenti - litanie di promesse e di
giuramenti
sacri. Parole stupende, parole spaventose. Parole struggenti.
Devo
proteggerti. Devo proteggerti anche da me. Voglio proteggerti da
tutto.
Sciolse
la corda della collana dalle sue dita scosse e il ciondolo
rotolò
tra di loro. Rey lo baciò e lo guidò dentro il
suo corpo. E Ben tremò,
l’abbracciò e balbettò impacciato.
Graffi di piacere avvolsero la sua pancia e
i gemiti di Rey gli accarezzarono il collo e gli riempirono le
orecchie. Il suo
sguardo stupito gli strappò il cuore dalle costole,
obbligandolo a fermarsi.
Rey balbettò qualcosa senza fiato. Forse gli aveva detto di
amarlo. I loro palmi uniti mentre le loro dita accoglievano tra loro
stesse. L’interno dei polsi
batteva frenetico. Lei allungò la mano sinistra e gli
accarezzò la fronte che
doveva aver aggrottato. Lo fece piano, spaventata. Forse temeva che
potessero
spezzarsi entrambi, rompersi in tanti cocci di vetro, prima in silenzio
e poi
con un rumore acuto e doloroso. Lo aveva già sfiorato in
quel modo. Un tocco
leggero, davvero impalpabile, quasi avesse paura di arrecargli un
torto. La
mano scese vicino all'attaccatura del suo naso e poi gli distese le
sopracciglia fino ad arrivare alla tempia destra. Solamente lo sforzo
dei suoi
muscoli tesi per non gravarle con il suo peso gli dava la certezza
dell'esistenza di quel momento.
"Hai
degli occhi bellissimi”, gli sussurrò, sorridendo.
Il suo mento
si colorò di chiazze rosse, dovevano esserlo anche le
orecchie. Rey lo aveva
mormorato lentamente, come se stesse seguendo un ragionamento che
l’aveva
portata lì, in quel letto, insieme a lui, a dire quella
frase.
Era
incantato da lei.
E
si mosse adagio dentro di lei. Adagio. Piano, pianissimo.
Non
voglio farti male. Non potrei sopportarlo. Non voglio farti male.
*
La vacuità e l’insensatezza della città
addobbata e dei canti natalizi
turbò il flusso dei suoi ragionamenti. Le persone erano
troppo rumorose e le
luminarie troppo brillanti. Lo distraevano e non gli permettevano di
riflettere. Coprì
mento e bocca con il bavero del cappotto e diresse il suo passo
verso alcune stradine più isolate. Sopportare la
spensieratezza della gente era
un’agonia brutale che gli ricordava cosa era sempre stato: un debole e un
codardo.
Solo
e imbronciato tra allegria e risate che non gli appartenevano.
Perché
non avrebbero dovuto trascorrere la Vigilia di Natale separati. Era
tutto
sbagliato e poteva incolpare soltanto se stesso. I programmi a cui
inizialmente
avevano pensato insieme erano molto diversi. Passeggiare, divertirsi,
mangiare,
scambiarsi i regali. Lui l’avrebbe ascoltata
parlare di qualsiasi cosa. La
immaginava spensierata nel suo sorriso rilassato. E avrebbe riscaldato
le sue
mani - Rey dimenticava
sempre i suoi guanti grigi, sempre - e avrebbe nascosto
i suoi palmi freddi nelle tasche calde del suo cappotto nero. Una
stupida scusa
pur di sentirla sempre vicino. L’istinto costringeva ogni
parte di loro a
cercarsi costantemente. Un legame di mente e anima e corpo. Il
contatto fisico non era mai abbastanza. Era un vincolo di cui non era
mai stato
spaventato e a cui aveva sempre anelato - una sola anima in due corpi,
la forza
della vita stessa.
Il
suo timore era sempre stato un altro ed alla fine era riuscito a
realizzarlo.
Non
è forse vero che siamo noi a creare i mostri che temiamo di
più?
D’improvviso
sollevò lo sguardo e si rese conto di essersi rinchiuso in
un
vicolo cieco. Gli salì una risata isterica sulle labbra. La
storia della sua vita.
Che magnifica ironia.
Non era mai stata sua
reale intenzione isolarsi dal mondo. Era capitato. Forse
l’inconscio era stato
il burattinaio delle sue stupide reazioni e aveva sabotato ogni
occasione della
sua vita. O forse lui era sempre stato una causa persa e ancora una
volta era
riuscito a dimostrarlo a se stesso e agli altri. Eccelleva nel rovinare
ogni
legame.
Dunque
era questa la verità che avrebbe dovuto rivelare a Rey? Avrebbe
dovuto smascherarsi e ammettere che la sua completa solitudine era una
punizione giusta? Un castigo costruito da ogni suo
comportamento passato.
E che cosa avrebbe pensato di
lui? Rey era cresciuta in un orfanotrofio e non
aveva mai conosciuto i suoi genitori naturali. Cosa avrebbe potuto
pensare di
un uomo che aveva avuto una bella famiglia e che era riuscito a
distruggere il
rapporto con suo padre a causa di una serie di innumerevoli
incomprensioni?
Raccontarle ciò che gli aveva urlato in momenti di grave ira
e il modo
impietoso in cui aveva cacciato sua madre dal suo appartamento: non
avrebbe
smesso di amarlo?
E
adesso, invece, credi che ti amerà di più? Non
cambi mai. Sei ancora un
ragazzino spaventato che preferisce nascondersi dietro una maschera
crepata.
Non sei in grado di affrontare la realtà. Codardo.
Rabbrividì
e alzò gli occhi verso l’alto. Il cielo era una
nuvola grigia
sopra il suo capo. Gli schiamazzi della città in festa erano
ovattati. Gli
sembrava di essere in un altro universo. Idee dissonanti gli occupavano
la
testa e assediavano il suo corpo in un angolo. Il nevischio imbrattava
il suo
cappotto e i suoi capelli. Si impigliava tra le sue ciglia e crollava
ai suoi
piedi.
Non
so cosa fare.
Era
una strada dimenticata e derelitta che lo aveva attirato nella sua
rete. Il suo corpo era immobile e stanco.
O
forse so cosa devo fare. Ma non so se ho la forza di farlo.
Abbandonò
le braccia lungo i fianchi e tese le dita verso il vuoto. Il
petto gli doleva, i polmoni erano arpionati in una morsa che gli
soffocava il
respiro in un modo strano. Era come piangere senza lacrime e senza
singhiozzi.
Un fischio alle sue orecchie e sospiri trattenuti in gola che si
scioglievano
in ogni parte del suo corpo. Una sofferenza che divagava nelle sue vene
come
fuoco e veleno. Pensieri bianchi e sfocati nella sua mente e una
stretta alla
sua pancia che gli piegò le ginocchia. Un tormento simile
non era umanamente
sopportabile.
Ben.
Ed
esisteva in lui un senso di appartenenza che gli incubi del suo passato
non erano mai stati in grado di strappargli. Lo completava in
profondità, sotto le
costole. La bellezza di loro due insieme.
Io
ti amo, Ben. Ti amerò per sempre.
Glielo
aveva sussurrato ogni notte. La bocca sul suo orecchio sinistro e
le braccia a cingergli i fianchi.
Io ti amerò per
sempre.
Perché
non l’aveva ascolta veramente? Perché non aveva
compreso ciò che
aveva cercato di dirgli in ogni momento? Perché non aveva
creduto in loro?
Ecco
la verità di cui tanto avevi paura e da cui sei scappato:
Rey non
amava lati di te. Lei amava te. E ti avrebbe amato nonostante il tuo
passato.
Trascorsero
minuti eterni in cui si confuse. Non ricordava il modo in cui
era precipitato nell’insicurezza - impantanato in un fango
limoso da cui era
impossibile salvarsi.
Millesimi
di secondi eterni in cui scorse un futuro che aveva la stessa
consistenza di un sogno e l'armonia di una tempesta. Lo scosse con un
calore
di solletico di ali di farfalle e si rintanò in
profondità dentro la sua anima.
Il suo cuore sulla lingua e uno spasimo tra le sue costole. Le vene del
suo
polso che battevano furiose e insolenti. Un sapore di speranza che si
riversò nel
suo costato e che gli aprì ferite che non sapeva di
possedere. Era un dolore dolce
che stava rischiarando i suoi pensieri.
So
cosa devo fare.
Corse.
Lasciò
il dedalo di strade in cui aveva perduto se stesso,
abbandonò ogni
minimo pensiero rimasto ancora coerente e ogni più che
necessario istinto di
conservazione. Il grave peso del passato non poteva fermarlo - e non avrebbe
dovuto farlo mai più.
Ma
potresti distruggerla. Lasciala sola. Continua a vivere nella tua
intatta bambagia di solitudine e proteggi il mondo
dall’orrore di te stesso.
Rinuncia a Rey.
Voci
che non sarebbero riuscite a fermarlo - non questa volta, questa
volta no.
Rinuncia.
Dovresti scomparire dalla sua vita.
Voci
che insinuavi visioni sinistre e meschine - ma non sarebbero riuscite
a fermarlo, non questa volta.
Eppure
tu distruggi ogni cosa che tocchi.
Corse.
Calpestò immense pozzanghere nevose e lasciò
impronte scoordinate e
pesanti. Rischiò di scivolare, cercò di
sostenersi ad un muro viscido, rischiò
nuovamente di cadere e di sbattere la sua fronte contro il marciapiede
sporco.
Non
importava, nulla
importava più.
Lei
ti vorrà ancora?
Corse.
Il suo corpo riuscì a farsi largo tra la folla natalizia,
attraversò un bivio senza fermarsi a controllare il
semaforo, chiese scusa al
conducente di una macchina rossa che aveva rischiato di investirlo e ad
una
coppia di ragazzini che lui poco dopo aveva quasi travolto nella sua
corsa
cieca. Correva e respirava con difficoltà. La sua gola era
avvolta da un
fastidioso pizzicore e la sua vista era offuscata.
Non
importava, nulla
importava più.
Lei
vorrà vederti, lei vorrà ascoltarti?
Rischiò
ancora di scivolare e dopo un tempo che gli parve infinito vide la
finestra illuminata del suo appartamento. Si aggrappò alla
maniglia del portone
di casa mentre schiacciava con insistenza il pulsante grigiastro del
citofono.
Con il pollice destro che tremava schiacciò cinque volte
quel rettangolo
grigiastro. Poi sei volte, sette volte, otto volte, nove volte e poi
perse il
conto perché un groppo in bocca lo obbligò ad
appoggiare la testa contro il
vetro opaco. Trattenne la nausea che rimescolava la sua pancia.
Biascicava e
cercava di non soffocare e di non cadere in ginocchio.
“Che
cosa sta succedendo? Chi è?”
Gli
avrebbe permesso di parlare?
“Rey,
apri il portone. Per favore, apri il portone.”
Lo
avrebbe perdonato ancora?
“Ben?”
O
lo avrebbe ignorato come suo padre?
“A-avevi
ragione. D-davvero. Non riesco a parlare, non... avevi ragione e
io... ti prego,
a-apri il portone. Volevo proteggerti. Non posso perderti, Rey.
Ho sbagliato. Sono stato uno stupido. S-sono uno stupido, ma apri
questo
maledetto p-portone e io... Rey. Per favore.”
Calò
il silenzio e la sua nausea crebbe. L’assurdità
delle sue azioni
ridicole lo travolse. Lo spaventò, lo costrinse ad
indietreggiare.
Un’altra
stupidaggine? Non ho rispettato i suoi spazi e non ho ascoltato
le sue richieste? La sto tormentando e la sto allontanando da me? Ho
sbagliato
ancora? Sto complicando ogni cosa?
Sì
sentì sciocco e senza speranza. Una causa persa di essere
umano. Chinò
la testa e si strinse il petto nel tentativo di placare il respiro.
Credo
che il cuore sia sul punto di scoppiare e di scappare via.
Osservò
il citofono e annuì stanco.
Erano
passati soltanto pochi secondi, ma a lui sembrarono secoli.
Posò
nuovamente il capo sul vetro e quasi perse l’equilibrio.
Il
rombo del vento nelle sue orecchie aveva mascherato il suono di un
portone aperto dall’interruttore.
*
E adesso?
Ben salì le scale e scorse l’uscio
dell’appartamento socchiuso, ma nessuno
presente sulla soglia ad aspettarlo. Annaspò alla ricerca di
altra aria e
coraggio. Decise che sarebbe stato inutile bussare e richiuse
velocemente la
porta alle sue spalle.
E
adesso cosa posso fare?
Tentò
di darsi un contegno e si rese conto di essere ridicolo anche senza
le pieghe sul maglione.
Adesso
dirò la verità e non avrò
più paura.
Si
mosse verso la cucina e trovò Rey intenta a litigare con i
fornelli e
con la cena che doveva aver bruciato. Non appena si avvicinò
al tavolo lei si
voltò adirata e lasciò cadere sul piano cottura i
cibi precotti che era
riuscita a distruggere.
Mi
odi tanto?
“Vuoi
spiegarmi che cosa avevi in mente con il tuo brillante piano di
assediare il mio citofono senza darmi il tempo di rispondere?”
Avevo paura che non
avresti mai risposto.
Credevo di essermi perso in un altro universo e che non avresti mai
sentito la mia voce disperata che ti chiamava e che ti chiedeva perdono
e
un’ultima possibilità.
Non
rispose nulla del genere e nascose le mani nelle tasche profonde del
suo cappotto nero e poi strinse il vuoto e le sfilò
nuovamente. L’attesa era la
ruggine di un traballante rapporto. E la sua mente era uno
straordinario caos
di pensieri.
Ho
sbagliato, vero?
Non
riuscì neppure a chiederglielo. Rey aveva iniziato in
maniera decisa a
riversargli contro un oceano di concetti che si scontravano contro il
caos
imperverso della sua testa.
E pensava a lei, vedeva soltanto lei.
Era
meravigliosa. I capelli raccolti in una coda scompigliata, il viso
struccato e l’espressione sconvolta. Il pigiama sformato e le
calze spugnose ai
piedi.
Era
meravigliosa. Così
tanto. Così tanto meravigliosa da stringergli
il
cuore in un'oppressione bellissima da cui era impossibile fuggire.
Annaspò ancora.
Trattenne il respiro e continuò ad osservarla senza
ascoltare le sue parole di
disapprovazione e di rimprovero. Avrebbe avuto tutto il tempo di
ascoltarla
meglio dopo. Avrebbero avuto tutta la vita. L’eternità
insieme.
È
così non è vero? Non è troppo tardi,
giusto? Oppure ho già rovinato ogni
cosa?
Le
sue mani ancora tremavano quando le coprì le guance con i
suoi palmi e
quando alcune ciocche dei suoi capelli andarono ad impigliarsi tra le
asole
delle sue dita. Rey continuava imperterrita a snocciolare insulti
contro il suo
comportamento maleducato e sciorinava frasi su frasi che si
attorcigliavano su
loro stesse senza mai bloccarsi ad assumere una forma concreta di
significato.
Il suo cuore sanguinava al centro del suo petto.
Ma
è troppo tardi? È così troppo tardi
per noi?
Lui
la baciò. Un contatto di labbra su labbra che gli scucirono
un rantolo
di piacere profondo. Un gemito che non era riuscito a trattenere e che
scosse
il corpo e la mente di entrambi. Era un bacio casto, erano labbra che
si
assaggiavano con estrema indolenza. Strinse il suo volto, i suoi
capelli, le
sue orecchie. Sentì le mani di Rey abbracciare i suoi
fianchi e aggrapparsi al
suo maglione. Ben abbassò la schiena e cercò di
chinarsi di più alla sua
altezza. Il suo cuore batteva troppo forte. Lo sentiva sulla lingua e
tra i
denti. Tra le loro bocche e sul suo sorriso.
Ti
bacerei anche in ginocchio, ma ti prego non smettere di stringermi.
Sono tuo, stringimi. Sono tuo. Sono tuo e basta, basta. Solo tuo.
Avrebbe
voluto dirle che la amava e che non poteva vivere senza di lei.
Che non aveva vissuto prima di lei, che ogni cosa aveva un senso solo
vicino a
lei. Che voleva fare l’amore con lei, che voleva sentirsi
vivo dentro di lei e
sentirsi amato. Che avrebbe cercato con tutto se stesso di non
deluderla mai
più. Avrebbe voluto rivelarle che amava troppo ogni suo
aspetto e ogni suo
tratto e che non era più spaventato dal suo stesso passato.
Ma
non riusciva a smettere di baciarla. Con una mano reggeva la sua nuca
mentre con l’altra scendeva lungo tutta la linea della sua
colonna vertebrale.
Più toccava il suo corpo più il bacio cambiava.
Riuscire a trattenere i sospiri
era impossibile. Cercava il suo corpo e continuava a stringerla al suo
petto.
Tuo,
solo tuo.
Lei
gli accarezzò la pelle nuda della schiena e il suo gesto
dolce e
sensuale gli strappò altri profondi gemiti di cui non ebbe
il tempo di
vergognarsi. Ti amo
troppo.
Rey
riusciva a scombinare ogni sua certezza. Trasformava una carezza in un
gesto erotico capace di soggiogarlo. Riusciva a farlo sentire allo
stesso tempo
uno stupido ragazzino incapace e un uomo sicuro di se stesso. Le sue
mani e il
suo corpo accogliente assumevano la forma del mondo in cui avrebbe
desiderato
vivere ogni secondo di ogni giorno. Stringerla tra le braccia era un
privilegio. Baciarla era un miracolo. E io ti amo, io ti amo. Ti amo,
ti amo
con tutto me stesso, ti amo. Non posso vivere senza di te. Non posso.
Lasciò
le sue labbra, ma non smise di baciarle il viso mentre provava a
formulare qualche frase di senso compiuto.
“Perdonami.
Ho sbagliato e rimedierò ad ogni mio errore,
rimedierò ad ogni
cosa. Non dobbiamo lasciarci, possiamo farcela.”
Per
sbagliò baciò anche i suoi occhi, le sue ciglia.
Non riusciva a
fermare le sue parole e il suo ridicolo affanno.
“Possiamo
farcela.”
“Ben.
Ascoltami, devi avermi frainteso oppure io...”
Posò
la fronte contro il suo collo e continuò a parlarle senza
prendere
fiato.
“La
nostra vita insieme sarà meravigliosa, non possiamo
assolutamente
lasciarci. Parliamo, discutiamo, se preferisci dormo sul divano, ma
lasciarci
no. Ci amiamo, io ti amo e non possiamo perderci soltanto
perché io sono uno
stupido arrogante. Perdonami per ciò che ti ho detto
l’altro giorno e per ogni
altra cosa che non ti ho detto e che invece avrei dovuto dirti. Ero
spaventato,
avevi ragione. Ma io ti amo. Non so più cosa sto dicendo,
non credo di essermi
spiegato bene, ma io ti amo. Tu mi ami. Non è importante
questo?”
Rey
era tra le sue braccia. Lo ascoltava con la bocca schiusa e gonfia. Lo
osservava con quei grandi occhi scuri in cui c’era il
riflesso dei suoi
stessi tormenti. La sua pelle sotto i suoi polpastrelli. Il
suo sapore
sulle sue labbra, il suo bacino contro i suoi fianchi. Ed era tutto
reale - non
più un sogno, non più un’illusione.
Una
magnifica sensazione di tranquillità che gli scioglieva le
membra e
che sgonfiava il suo cuore.
“Ben,
ho sbagliato anche io. Mi sono spaventata e ho sbagliato, ho
complicato la situazione. Non riuscivo a parlare e non riuscivo a
spiegarmi
e... io non volevo lasciarti. Devi credermi.”
C'era qualcosa,
nel modo in cui gli sfiorò la guancia sinistra, che gli
bruciò la pelle come se fosse della fragile cartapesta. Gli
intorpidiva ansie
profonde e incubi crudeli. C'era qualcosa nel suo sguardo e nella sua
voce che gli
riscaldò lo sterno e l’addome. Gli
colpì ogni costola. Squarciò ogni velo.
“Ho
rovinato la vita della mia famiglia. Ho distrutto il rapporto con mio
padre e con mia madre. Sono stato un mostro con entrambi. E ho paura di
perdere
anche te. Ho costantemente paura. Non volevo ferirti e invece
l’ho fatto. Puoi
perdonarmi?”
Erano
intrecciati. Continuavano ad abbracciarsi in un angolo della cucina.
Le calze di Rey sulle sue scarpe e i polsi a solleticargli i capelli.
Lui
cingeva la base della sua schiena e confessava ogni suo peccato sulla
sua
bocca. Un’intimità estraniante che assomigliava ad
un filo rosso che li
avvolgeva e li aggrovigliava. Le loro stesse esistenze erano state
imbrigliate
da un gioco di mani e di sguardi. Neppure per un secondo avevano
tentato di resistere. Pensi
mai al nostro primo bacio? Le
ossa piene di lividi perché non riuscivamo a smettere di
stringerci.
“Non
c’era cattiveria in te e nelle tue parole. Io ti sento. Io lo
so che
tu non vuoi farmi del male. La nostra stupidità non
riuscirà a separarci. E tu
non devi avere paura di perdermi. Perché non sei
più solo”, gli mormorò, piano,
sulle labbra, sui denti, sulla lingua.
Neanche
tu lo sei. Noi non siamo più soli.
Percepì
le ossa della schiena e i muscoli delle braccia tremare, tanto
languidamente da dilaniargli e curargli una cicatrice sul petto e sul
viso. Un sorriso di speranza gli scucì la bocca in
una risata aperta e gli ricordò una mattinata non troppo
lontana.
Ben, hai mai provato a
posare una mano sopra una tazza di latte caldo? No, non intorno alla
tazza. Sopra la tazza. Non è bellissimo? Il calore sale e ti
avvolge il palmo come un guanto. Ti solletica come mille bolle di
corrente calda. Scoppia tra le tue dita e ti lascia una sensazione di
marchio indelebile. Hai mai provato una sensazione del genere?
"Possiamo parlare e intanto... intanto noi..."
Non riusciva a completare nessuna frase. I suoi palmi
avevano già iniziato a sfilarle i pantaloni non appena il
suo cappotto era stato gettato a terra. Lei lo baciava e gli sussurava
di amarlo con tutta se stessa.
Sono tuo, Rey. Provo
costantemente una sensazione del genere.
Angolo autrice.
Questa storia è dedicata alle mie amiche Reylo che mi hanno
sostenuta tantissimo in questi giorni difficili (Marika, Federica,
Eleonora, Polly, Claire, Ecate, Angel) e alla mia amica/sorella/beta
Harriet che ha riletto la storia mille e più volte. Vorrei
ringraziare Nat_Matryoshka che mi ha ispirato con la sua storia (la
citazione sul loro primo bacio è opera tua) e ringrziare Ben
e Rey che sono magnifici e stupendi in qualsiasi universo. Perdonatemi
se non vi ho reso giustizia, ma io vi amo da morire. Spero sia stata
una lettura abbastanza piacevole e perdonatemi invece se non vi
è piaciuta e avete perso del tempo a leggere questa mia
storia. Prometto che migliorerò. Buon nuovo anno! Io auguri
a tutti il meglio. E spero di non perdere mai l'universo di Star Wars e
la bellezza Reylo dal mio cuore.