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Autore: Cress Morlet    31/12/2019    21 recensioni
[Ben/Rey] AU Modern
Ecco la verità di cui tanto avevi paura e da cui sei scappato: Rey non amava lati di te. Lei amava te. E ti avrebbe amato nonostante il tuo passato.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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J

Note di inizio lettura.

Solamente la prima scena è dal punto di vista di Rey. Tutte le altre scene sono dal punto di vista di Ben. Le scene completamente in minuscolo sono dei flashback. Buona lettura!







"Non ti sto capendo, Rey."
Non era questo il vero problema? Il non riuscire a spiegargli e il non riuscire a mostrargli l’entità della sua sofferenza? Aver taciuto talmente tanto a lungo, aver sopportato ogni situazione più improbabile e non aver mai chiesto con insistenza una spiegazione plausibile? Non era questo il problema che avrebbe voluto esporgli?

Perché non ne era in grado?
Aveva creduto che un paziente silenzio fosse il metodo migliore da utilizzare per comunicare con un uomo complesso come lui. Aveva sperato che lasciargli i suoi spazi avrebbe aiutato il loro rapporto a crescere e a maturare lento nel tempo. E aveva sbagliato. Forse ogni cosa era semplicemente stata colpa sua. La consapevolezza di ciò che aveva realmente compiuto era riuscita a far vacillare il suo mondo e l’asse stesso del suo universo. Aveva compiuto ogni scelta sbagliata nei confronti di Ben. Non aveva sbagliato ad innamorarsi di lui - non era neanche stata una scelta, era stato naturale - e non aveva sbagliato a cercare di creare una vera relazione con lui. L’opinione contraria dei suoi pochi amici non era riuscita a fermarla. Ma aveva sbagliato a credere che una relazione di silenzi fosse una relazione destinata a durare. Avevano sbagliato entrambi e avevano complicato ogni cosa. Incomprensioni su incomprensioni. Sentimenti mai espressi e sensazioni rinchiuse in un vecchio e malconcio baule. Come aveva potuto sbagliare così tanto?
“Credo che dovremmo fermarci. Credo che riflettere sia la cosa giusta da fare.”
Le sue mani stringevano talmente tanto forte lo schienale di una delle sedie della cucina da essersi procurate strisce rosse e profonde. La sedia di un tavolo da pranzo era un appoggio di poco conto, riusciva a mala pena a permetterle di non crollare a terra. Nulla avrebbe avuto il potere di aiutarla ad affrontare una situazione così dolorosa. Un momento che era in grado di stringerle il cuore e di farlo sanguinare senza tregua - nulla avrebbe potuto conferirle la forza necessaria.
“Non sto capendo, Rey. Cosa è cambiato da questa mattina? Cosa è successo?”
Niente. Tutto. Come puoi non vederlo?
“Non è come pensi. Posso giurartelo.”
Ben eliminò la poca distanza che ancora li separava e sfiorò un suo braccio con le punta delle dita. Il suo sguardo era spaventato e insicuro. Guardarlo significava provare una sofferenza atroce. Significava assaporare un’angoscia tale da renderle la vista opaca e la gola arrossata dalle spine delle grosse lacrime di pianto che si ostinava ad ingoiare e a trattenere con ogni più ostinata briciola di volontà. Ma non abbassò il capo. Continuò ad osservarlo e a lottare contro ogni suo istinto e ogni suo desiderio.
“Spiegami, Rey. Perché?”
Come posso spiegarlo? Come puoi non comprenderlo? Come puoi davvero non vederlo?
“Non funziona. Non può funzionare in questo modo e ho cercato di dirtelo, ogni giorno ho provato a creare un legame con te, ma...”
“Io e te abbiamo un legame!”
Ben strinse il suo gomito e la avvicinò al suo corpo, scombussolando la sua pancia attorcigliata e la sua mente spaccata.
“Tu lo sai che io e te abbiamo un legame, tu sai che io non mai ho provato questo e che ci capiamo, che io e te ci capiamo e che ci sentiamo. Tu lo sai.”
Rey posò la fronte contro la sua spalla e cercò di rispondergli con ogni pagliuzza di dolcezza che aveva centellinato in un punto profondo dentro il suo animo.
“Ma tu non ti fidi di me. E non mentirmi, Ben. Dobbiamo smetterla di riempire la nostra vita di bugie.”
Lo sguardo di Ben cambiò e divenne ancora più spaventato, ancora più insicuro. Le sue labbra si mossero un attimo senza emettere alcun suono e lei percepì il suo sforzo e il suo tormento. Lo stava dilaniando.
“Come puoi dire che non mi fido di te? Tu sei sotto la mia pelle, tu sei... È per l'altra mattina? Perché non ho risposto alle tue domande?”
Avevano fatto l’amore, per la prima volta, solamente pochi giorni prima.
“Quando mai hai risposto alle mie domande? Quando mai mi hai raccontato qualcosa della tua famiglia o di qualsiasi altra cosa?”
La mattina dopo ogni suo sogno era crollato. Insieme avevano preparato la colazione e poi Ben aveva risposto ad una chiamata di suo padre. Non sapeva che cosa doveva essere stato sbagliato, non lo sapeva. Lui non aveva risposto alle sue domande e tutto il giorno era stato agitato. Lei aveva tentato di consolarlo. Gli aveva chiesto di sfogarsi con lei, di non avere paura. Percepiva nelle sue vene la sua rabbia confusa ad una strana forma di disperazione e di infelicità. Sentiva le sue emozioni che si trasformavano e l’eco dei suoi pensieri angosciati.
“Mi stai lasciando perché non... perché non ti dico ogni mio segreto? Per questo?”
Lo aveva abbracciato stretto tante volte e tante volte gli aveva detto di non avere mai paura di ricordare il suo passato davanti a lei. Avrebbero potuto affrontarlo insieme. Perché non era lì per giudicarlo e mai lo sarebbe stata. Era lì per costruire qualcosa con lui.
“Non può esistere una relazione basata sul silenzio e non può esistere nessun futuro basato sulle menzogne e sulle omissioni. Tutto questo mi spaventa, mi spaventa tantissimo. Come può esserci qualcosa tra di noi se tu non mi vuoi veramente nella tua vita? Ci sono dei momenti in cui mi sembra di sentirti e di comprenderti in ogni modo possibile. Altre volte invece diventa impossibile anche solo pensare di potersi avvicinare a te. Non riesco a capire.”
Perché hai così tanta paura? Perché mi allontani e non mi permetti di essere dalla tua parte?
Non poté chiedergli altro e non poté continuare a spiegargli ciò che più temeva e ciò che più desiderava. Lo sguardo di Ben era indescrivibile. Lui deglutì e Rey sentì il suo groppo in gola. Sentì il suo caos e sentì troppe sue sensazioni strisciare sul suo viso e intristire i suoi occhi e le sue labbra.
“Mi stai lasciando.”
Non ti sto lasciando. Non potrei mai lasciarti.
Ma non riuscì a dirglielo. Lo sconforto di Ben confondeva anche i suoi pensieri e scomponeva le sue parole. Provava troppe emozioni.
“Credo che abbiamo bisogno di tempo per riflettere.”
E riuscì soltanto a mormorare una frase sbagliata. Una frase che scavò un immenso baratro tra loro.            

                                                                                                                                    
                                                                                                                                                         *

Erano trascorsi tre giorni.
Ben scosse la testa e massaggiò la sua fronte contratta. C’era troppo rumore intorno a lui e troppo persone che chiacchieravano di banalità mentre lui cercava invano di concentrarsi. La macchina degli adduttori e il bruciore dei suoi tendini non erano in grado di distrarlo dai suoi pensieri tormentati. E come sarebbe stato possibile? Tre giorni. Non parlava con Rey da tre maledetti giorni. Ogni pomeriggio in palestra l’aveva osservata, tra i recuperi di un esercizio e l’altro, ma non era mai riuscito ad avvicinarsi e a chiederle un nuovo confronto. Oggi doveva riuscirci.

Allentò la carica degli adduttori e sbuffò esasperato. Sembrava essere tornati all’inizio di ogni cosa e non riusciva più a respirare pienamente. Come quando l’aveva vista la prima volta ed era rimasto incantato a guardarla - meravigliato e stupito, folgorato.
Sembrava che insieme avessero compiuto mille e mille e mille passi indietro e che avessero scelto di separarsi e di costruire una vita sbagliata, una vita in cui erano distanti e persi.
Rey era riuscito a conquistarlo dal primo istante - così irraggiungibile e introversa, nessuno era riuscito ad avvicinarsi realmente a lei e mai lui aveva creduto di poter essere un’eccezione.
Come era potuto accadere? Come aveva potuto nuovamente distruggere qualcosa di tanto bello e importante?
Non riusciva a sopportarlo.
Afferrò la bottiglietta dell’acqua che aveva posato vicino alle sue gambe e notò che Rey era in difficoltà a causa di alcuni nuovi esercizi. Trattenersi dall’aiutarla fu come strapparsi un braccio con l’altro braccio. Una lacerazione sbagliata e crudele. Masochista. Perché non poteva più accostarsi a lei e non poteva più aiutarla?
Perché sento questa infinita distanza tra di noi?
Si asciugò la bocca con il dorso della mano e strinse la plastica un po’ troppo forte. Rey non riusciva a sollevare i nuovi pesi e ogni muscolo delle sue braccia era in tensione, affaticato e stanco. Sbagliava la posizione delle gambe e questo inficiava gravemente su ogni altro aspetto. Provò a voltarsi dall’altra parte, ma il rumore di un peso caduto e di un mezzo grido soffocato lo trattennero.
Basta, questa situazione è assurda.
Oltrepassò velocemente la sala delle macchine e non prestò attenzione ad uno dei suoi compagni di corso che gli voleva chiedere un consiglio o chissà cosa altro.
Calpestò i tappetini di gomma sparpagliati in maniera disordinata vicino al cesto degli attrezzi e si accostò a Rey, schiarendosi la voce. Posso avvicinarmi? Posso ancora essere presente nella tua vita?
“Ti sei fatta male?”
Non trattenne il suo istinto e accolse la sua mano arrossata tra le sue. Massaggiò le sue ossa carpali e valutò rapidamente in che modo avrebbe potuto aiutarla.
Ma lei non vuole il tuo aiuto, ancora non lo hai capito?
“Non è niente. Sto bene.”
La sua mano era semplicemente arrossata a causa dell’urto, ma lui continuava a massaggiare il suo dorso e le sue dita con estrema attenzione. Gli sembrava l’unico tremulo legame che era riuscito a riconquistare dopo giorni di silenzio e di macerazione interiore.
E posso finalmente respirare.
“Andiamo a cercare del ghiaccio”, propose, facendo attenzione a non calpestare il blocco pesi caduto a terra.
“Non credo sia necessario, Ben.”
Ben. Era sempre stata una sensazione estraniante sentire la voce di Rey che pronunciava il suo nome. Gli graffiava le vene dei polsi e del collo.
“Cerchiamo questo ghiaccio e basta.”

Trovare il ghiaccio non era stato troppo difficile. Era stato più laborioso convincere Rey ad indossare una fasciatura improvvisata di cui in realtà non aveva alcun bisogno. La mano non aveva subito un trauma grave, ma non gli importava. Lui non riusciva ancora ad allontanarsi da lei. Era sordo a tutto a causa del battito del suo cuore che martellava nelle sue orecchie. Un cuore che non gli permetteva di esprimere le parole giuste e necessarie. Sono confuso e non capisco più niente.
Sospirò piano e si mangiò le labbra cercando di trattenere un altro sospiro.
Non stava andando tutto bene? Eravamo felici insieme. Io ero felice. Perché vuoi così tanto sapere del mio passato? È meglio ignorarlo e dimenticarlo. Fidati di me. Ignoriamolo e dimentichiamolo.
Erano seduti nella sala d’attesa della palestra e Ben riusciva soltanto a sistemarle il sacchetto del ghiaccio sulla fascia rossa utilizzata come benda e a guardare le loro mani intrecciate. Anche Rey era persa ad osservare il modo in cui le loro dita si erano strette - in maniera così naturale e così spontanea.
Non sembrava infastidita dal suo tocco e non gli stava chiedendo di andarsene. Era un momento di quiete che non voleva perdere e a cui si stava disperatamente aggrappando.
Il mio passato può solamente danneggiarci. Dimentichiamolo e passiamo oltre a questa follia. Il silenzio e le omissioni sono necessarie con le persone sbagliate come me. È una protezione. Proteggo te e proteggo la nostra vita dagli errori del mio passato. Ogni cosa era già giusta così, non ricordi? Perché mai dovremmo cambiare? Che cosa ci mancava?
Le sollevò il mento e cercò il suo sguardo.
“Mi manchi”, esalò, svuotato.
Gli parve di aver ripreso a respirare ossigeno puro dopo secoli di pulviscolo nero. Perse un altro pezzo di se stesso negli occhi di Rey e nelle parole che gli mormorò con un filo di voce.
“Anche tu mi manchi.”
Un sospiro ferito tra i suoi pensieri squarciò la sua ragione e la ridusse a brandelli di coriandoli. Si protese verso di lei e parlò senza riflettere.
“Perché non mettiamo da parte questa stupidaggine della pausa e del riflettere? Non dobbiamo dirci necessariamente ogni cosa e stare lontani è una perdita di tempo. Lasciamo perdere il passato e viviamo alla giornata.”
Torniamo esattamente come prima e abbandoniamo questo limbo spaventoso.
“Che cosa vuoi dire? Preferisci una relazione vuota e superficiale? Un rapporto squilibrato?”
No.
“Sì. No. N-non volevo dire sì, non volevo dire sì! Vorrei soltanto tornare ad essere quello che eravamo pochi giorni fa, ecco che cosa ti sto dicendo.”
Non era una conversazione degna della storia che avevano condiviso in quei mesi. Era un vano arrampicarsi sugli specchi. Calpestava ogni momento essenziale che avevano vissuto insieme e lo trasformava in un evento insignificante. Dimentichiamo i possibili problemi e le difficoltà già presenti, nascondiamo le preoccupazioni. Ecco cosa stava proponendo.
Ed erano ridotti a masticare frasi e a discutere a bassa voce nella sala di una palestra gremita di persone. Avrebbero potuto risolvere ogni cosa tempo prima, senza obbligarsi a patire un supplizio infiniti nei giorni appena trascorsi. E di chi era la colpa?
“E che cosa eravamo? Io ti ho confidato ogni cosa di me. Non è stato facile. Sono sempre stata molto sola nella mia vita e sono stata abituata a superare ogni situazione senza l’aiuto di nessuno. Ma ho permesso a te di vedermi e di conoscermi. Tu invece... mi sei vicino, ma non sei mai completamente tu. Lo sento che qualcosa ti sta dilaniando e che ne soffri. Ci blocca in questa strana situazione che non riesco neanche a definire. Ben, io non capisco. Parlami.”
Era sua la colpa. Non voleva sentire ragioni, non accettava più alcun tipo di cambiamento. La sua vita era stata un groviglio arruffato di scelte sbagliate e di azioni buone mancate. Rey era stata un miracolo e aveva giurato di proteggerla da se stesso e dai suoi sbagli.
Non posso perderti. L'unico pensiero coerente che gli era rimasto.
Ma le sue parole lo spaventavano e la paura aveva sempre mutato malamente il suo animo. Diventava un bambino senza raziocinio, un ragazzino spaurito che feriva le persone senza fermarsi a riflettere e a vedere la verità. Un uomo accecato dall'insicurezza.
Non ti basta ciò che già ti ho raccontato di me? Non ti basta nulla? Non vale nulla? Perché vuoi ogni cosa e non ti fermi mai? Perché mi stai facendo questo? Perché ci stai rovinando? Perché stai trasformando in realtà ogni mio incubo?
Domande su domande che si affastellavano sulla sua fronte e che pesavano sulle sue ciglia.
Non so cosa devo fare.
Rey gli strinse la mano e abbozzò un sorriso. La speranza che gli tendeva senza paura scombussolò completamente la sua scarsa lucidità.
Perché stai rendendo tutto così difficile?
“Perchè mi stai chiedendo questo, a quale scopo? Come puoi pensare di capire me o chiunque altro se tu non conosci neanche te stessa? Ma perché siamo ancora qui a parlarne?”
Le guance di Rey avvamparono come il suo collo e il suo mento. Nella sua espressione dignitosa fece capolino una ferita antica che non era mai riuscita a rimarginarsi. Un’improvvisa stretta gli serrò il petto e credette di star affogando.
Che cosa ho fatto?
Aveva utilizzato come arma affilata una sua confidenza importante. Un dono che gli aveva offerto tra le lacrime e che lui aveva appena disintegrato tra le proprie mani. Neanche dei pezzi di rottame erano rimasti integri tra di loro.
Ben, io non ho mai conosciuto i miei genitori. Come posso pensare di conoscere il mondo se non conosco neanche me stessa?
“Hai ragione. Perché siamo ancora qui a parlarne?”
Che cosa ho fatto?
Rey sfilò la mano dalle sue dita e lasciò cadere il sacchetto di ghiaccio a terra. Non ebbe neppure il coraggio di trattenerla. Sentiva sulla sua pelle la desolazione che era riuscito ad infliggerle. Talmente tanto imponente da bloccarlo su quella sedia scomoda e da provocargli un forte attacco di nausea. Nausea di se stesso e del mostro che era sempre stato.
Che cosa ho fatto?
                                                                                                                                       *


“Tu a cosa pensi poco prima di addormentarti?”
“Immagino un oceano. Un oceano immenso con un’isola bellissima. Io sono sull’isola e nessuno può farmi del male.”
“Mi sembra di vederla.”
“È una cosa stupida. Non preoccuparti me ne rendo conto io stessa. Ma da bambina utilizzavo questo trucco e riuscivo così ad addormentarmi nelle camere comuni dell’orfanotrofio. E poi credo di non essere più stata in grado di abbandonarla completamente. La mia isola.”
Era inutile nascondersi. La consapevolezza dell’amore che provava era un’accettazione serena e delicata. L’aveva amata dal primo istante. Perché amarla significava essere un uomo capace di realizzare un respiro completo senza più degli opprimenti e angoscianti pesi al petto. L’amava e desiderava proteggerla.
Ma come posso proteggerla da me stesso?
L’abbracciò e le permise di celare il suo volto contro il suo petto. Non voleva perdere Rey. Non voleva perdere tutto.

                                                                                                                                      *

Sdraiato sul letto e adagiato su un fianco viveva una spiacevole insofferenza che gli marchiava la gola con cocci di ghiaccio e che gli infastidiva la schiena contratta. Era una sofferenza atroce che lo costringeva ad ammirare la bellezza della notte mentre macerava una pietra nel suo petto, una pietra che si era incastrata caparbia tra due sue costole. Era un’abituale insofferenza che aveva ormai deciso di legarsi ai suoi talloni arrossati.
L’ho persa.
Arrovellava la sua mente tra pensieri squilibrati che spezzavano la sua volontà. Dimenticava di respirare e affrontava una guerra di stille cremisi versate impunemente sul suo petto. Costringeva se stesso ad abbracciare un nuovo male, un nuovo malessere che aveva cominciato a sperimentare da poco più di dieci giorni.
L’ho persa per sempre.
Ogni istante era un progetto vacuo che sbiadiva nello stesso modo in cui delle immagini sbiadite scompaiono in delle pozze di acqua e fango. Erano aspirazioni simili a delle impronte secche impresse su della terra sporca. Lei non c’era e nulla aveva più senso.
Doveva convivere con la costante sensazione di avere mille spine sul suo sterno, doveva accettare di trascorrere ogni secondo in bilico, con il capo rivolto verso gli abissi più profondi della sua anima.
Rey. Dove sei?
Aveva promesso a se stesso che non le avrebbe mai fatto del male, che l'avrebbe protetta da se stesso. Non l'ho fatto, non l'ho protetta, l'ho persa.
E aveva perso ogni cosa.


                                                                                                                                                     *

Ben baciò le sue labbra e intrecciò le loro cosce nude e sudate. Continuavano a sfiorarsi alla ricerca bramosa di un contatto più profondo, più avvolgente. Rey ansimava sulla sua bocca in respiri spezzati mentre le sue dita gli accarezzavano le spalle, la schiena e i glutei. Percepiva il suo desiderio crescere e bruciargli il ventre. Bruciava il suo addome, sconquassava il suo sterno. Erano vene che battevano frenetiche alle tempie, ai polsi, tra le gambe. Reticoli di vasi che si attorcigliavano e che muovevano il suo corpo in un dondolio lento, delicato, a tratti esasperante. Rey ansimò più forte contro la sua bocca e gli graffiò le braccia, sollevando il suo bacino.
“Entra dentro di me.”
Gli strinse i fianchi con i polpacci, le ginocchia, le piante dei piedi, ma Ben legò tra le sue nocche la collana che le aveva regalato tempo prima e premette il ciondolo contro il suo seno. Si fermò ad osservarla e brividi di desiderio colarono lungo la sua schiena. Mormorava - tra i suoi capelli, sul suo collo, sulle sue ossa sporgenti - litanie di promesse e di giuramenti sacri. Parole stupende, parole spaventose. Parole struggenti.
Devo proteggerti. Devo proteggerti anche da me. Voglio proteggerti da tutto.
Sciolse la corda della collana dalle sue dita scosse e il ciondolo rotolò tra di loro. Rey lo baciò e lo guidò dentro il suo corpo. E Ben tremò, l’abbracciò e balbettò impacciato. Graffi di piacere avvolsero la sua pancia e i gemiti di Rey gli accarezzarono il collo e gli riempirono le orecchie. Il suo sguardo stupito gli strappò il cuore dalle costole, obbligandolo a fermarsi. Rey balbettò qualcosa senza fiato. Forse gli aveva detto di amarlo. I loro palmi uniti mentre le loro dita accoglievano tra loro stesse. L’interno dei polsi batteva frenetico. Lei allungò la mano sinistra e gli accarezzò la fronte che doveva aver aggrottato. Lo fece piano, spaventata. Forse temeva che potessero spezzarsi entrambi, rompersi in tanti cocci di vetro, prima in silenzio e poi con un rumore acuto e doloroso. Lo aveva già sfiorato in quel modo. Un tocco leggero, davvero impalpabile, quasi avesse paura di arrecargli un torto. La mano scese vicino all'attaccatura del suo naso e poi gli distese le sopracciglia fino ad arrivare alla tempia destra. Solamente lo sforzo dei suoi muscoli tesi per non gravarle con il suo peso gli dava la certezza dell'esistenza di quel momento.
"Hai degli occhi bellissimi”, gli sussurrò, sorridendo. Il suo mento si colorò di chiazze rosse, dovevano esserlo anche le orecchie. Rey lo aveva mormorato lentamente, come se stesse seguendo un ragionamento che l’aveva portata lì, in quel letto, insieme a lui, a dire quella frase.
Era incantato da lei.
E si mosse adagio dentro di lei. Adagio. Piano, pianissimo.
Non voglio farti male. Non potrei sopportarlo. Non voglio farti male.

                                                                                                                                                      *


La vacuità e l’insensatezza della città addobbata e dei canti natalizi turbò il flusso dei suoi ragionamenti. Le persone erano troppo rumorose e le luminarie troppo brillanti. Lo distraevano e non gli permettevano di riflettere.
Coprì mento e bocca con il bavero del cappotto e diresse il suo passo verso alcune stradine più isolate. Sopportare la spensieratezza della gente era un’agonia brutale che gli ricordava cosa era sempre stato: un debole e un codardo.
Solo e imbronciato tra allegria e risate che non gli appartenevano. Perché non avrebbero dovuto trascorrere la Vigilia di Natale separati. Era tutto sbagliato e poteva incolpare soltanto se stesso. I programmi a cui inizialmente avevano pensato insieme erano molto diversi. Passeggiare, divertirsi, mangiare, scambiarsi i regali. Lui l’avrebbe ascoltata parlare di qualsiasi cosa. La immaginava spensierata nel suo sorriso rilassato. E avrebbe riscaldato le sue mani - Rey dimenticava sempre i suoi guanti grigi, sempre - e avrebbe nascosto i suoi palmi freddi nelle tasche calde del suo cappotto nero. Una stupida scusa pur di sentirla sempre vicino. L’istinto costringeva ogni parte di loro a cercarsi costantemente. Un legame di mente e anima e corpo. Il contatto fisico non era mai abbastanza. Era un vincolo di cui non era mai stato spaventato e a cui aveva sempre anelato - una sola anima in due corpi, la forza della vita stessa.
Il suo timore era sempre stato un altro ed alla fine era riuscito a realizzarlo.
Non è forse vero che siamo noi a creare i mostri che temiamo di più?
D’improvviso sollevò lo sguardo e si rese conto di essersi rinchiuso in un vicolo cieco. Gli salì una risata isterica sulle labbra. La storia della sua vita.
Che magnifica ironia.
Non era mai stata sua reale intenzione isolarsi dal mondo. Era capitato. Forse l’inconscio era stato il burattinaio delle sue stupide reazioni e aveva sabotato ogni occasione della sua vita. O forse lui era sempre stato una causa persa e ancora una volta era riuscito a dimostrarlo a se stesso e agli altri. Eccelleva nel rovinare ogni legame.

Dunque era questa la verità che avrebbe dovuto rivelare a Rey? Avrebbe dovuto smascherarsi e ammettere che la sua completa solitudine era una punizione giusta? Un castigo costruito da ogni suo comportamento passato.
E che cosa avrebbe pensato di lui? Rey era cresciuta in un orfanotrofio e non aveva mai conosciuto i suoi genitori naturali. Cosa avrebbe potuto pensare di un uomo che aveva avuto una bella famiglia e che era riuscito a distruggere il rapporto con suo padre a causa di una serie di innumerevoli incomprensioni? Raccontarle ciò che gli aveva urlato in momenti di grave ira e il modo impietoso in cui aveva cacciato sua madre dal suo appartamento: non avrebbe smesso di amarlo?
E adesso, invece, credi che ti amerà di più? Non cambi mai. Sei ancora un ragazzino spaventato che preferisce nascondersi dietro una maschera crepata. Non sei in grado di affrontare la realtà. Codardo.
Rabbrividì e alzò gli occhi verso l’alto. Il cielo era una nuvola grigia sopra il suo capo. Gli schiamazzi della città in festa erano ovattati. Gli sembrava di essere in un altro universo. Idee dissonanti gli occupavano la testa e assediavano il suo corpo in un angolo. Il nevischio imbrattava il suo cappotto e i suoi capelli. Si impigliava tra le sue ciglia e crollava ai suoi piedi.
Non so cosa fare.
Era una strada dimenticata e derelitta che lo aveva attirato nella sua rete. Il suo corpo era immobile e stanco.
O forse so cosa devo fare. Ma non so se ho la forza di farlo.
Abbandonò le braccia lungo i fianchi e tese le dita verso il vuoto. Il petto gli doleva, i polmoni erano arpionati in una morsa che gli soffocava il respiro in un modo strano. Era come piangere senza lacrime e senza singhiozzi. Un fischio alle sue orecchie e sospiri trattenuti in gola che si scioglievano in ogni parte del suo corpo. Una sofferenza che divagava nelle sue vene come fuoco e veleno. Pensieri bianchi e sfocati nella sua mente e una stretta alla sua pancia che gli piegò le ginocchia. Un tormento simile non era umanamente sopportabile.
Ben.
Ed esisteva in lui un senso di appartenenza che gli incubi del suo passato non erano mai stati in grado di strappargli. Lo completava in profondità, sotto le costole. La bellezza di loro due insieme.
Io ti amo, Ben. Ti amerò per sempre.
Glielo aveva sussurrato ogni notte. La bocca sul suo orecchio sinistro e le braccia a cingergli i fianchi.
Io ti amerò per sempre.
Perché non l’aveva ascolta veramente? Perché non aveva compreso ciò che aveva cercato di dirgli in ogni momento? Perché non aveva creduto in loro?
Ecco la verità di cui tanto avevi paura e da cui sei scappato: Rey non amava lati di te. Lei amava te. E ti avrebbe amato nonostante il tuo passato.
Trascorsero minuti eterni in cui si confuse. Non ricordava il modo in cui era precipitato nell’insicurezza - impantanato in un fango limoso da cui era impossibile salvarsi.
Millesimi di secondi eterni in cui scorse un futuro che aveva la stessa consistenza di un sogno e l'armonia di una tempesta. Lo scosse con un calore di solletico di ali di farfalle e si rintanò in profondità dentro la sua anima. Il suo cuore sulla lingua e uno spasimo tra le sue costole. Le vene del suo polso che battevano furiose e insolenti. Un sapore di speranza che si riversò nel suo costato e che gli aprì ferite che non sapeva di possedere. Era un dolore dolce che stava rischiarando i suoi pensieri.
So cosa devo fare.
Corse. Lasciò il dedalo di strade in cui aveva perduto se stesso, abbandonò ogni minimo pensiero rimasto ancora coerente e ogni più che necessario istinto di conservazione. Il grave peso del passato non poteva fermarlo - e non avrebbe dovuto farlo mai più.
Ma potresti distruggerla. Lasciala sola. Continua a vivere nella tua intatta bambagia di solitudine e proteggi il mondo dall’orrore di te stesso. Rinuncia a Rey.
Voci che non sarebbero riuscite a fermarlo - non questa volta, questa volta no.
Rinuncia. Dovresti scomparire dalla sua vita.
Voci che insinuavi visioni sinistre e meschine - ma non sarebbero riuscite a fermarlo, non questa volta.
Eppure tu distruggi ogni cosa che tocchi.
Corse. Calpestò immense pozzanghere nevose e lasciò impronte scoordinate e pesanti. Rischiò di scivolare, cercò di sostenersi ad un muro viscido, rischiò nuovamente di cadere e di sbattere la sua fronte contro il marciapiede sporco.
Non importava, nulla importava più.
Lei ti vorrà ancora?
Corse. Il suo corpo riuscì a farsi largo tra la folla natalizia, attraversò un bivio senza fermarsi a controllare il semaforo, chiese scusa al conducente di una macchina rossa che aveva rischiato di investirlo e ad una coppia di ragazzini che lui poco dopo aveva quasi travolto nella sua corsa cieca. Correva e respirava con difficoltà. La sua gola era avvolta da un fastidioso pizzicore e la sua vista era offuscata.
Non importava, nulla importava più.
Lei vorrà vederti, lei vorrà ascoltarti?
Rischiò ancora di scivolare e dopo un tempo che gli parve infinito vide la finestra illuminata del suo appartamento. Si aggrappò alla maniglia del portone di casa mentre schiacciava con insistenza il pulsante grigiastro del citofono. Con il pollice destro che tremava schiacciò cinque volte quel rettangolo grigiastro. Poi sei volte, sette volte, otto volte, nove volte e poi perse il conto perché un groppo in bocca lo obbligò ad appoggiare la testa contro il vetro opaco. Trattenne la nausea che rimescolava la sua pancia. Biascicava e cercava di non soffocare e di non cadere in ginocchio.
“Che cosa sta succedendo? Chi è?”
Gli avrebbe permesso di parlare?
“Rey, apri il portone. Per favore, apri il portone.”
Lo avrebbe perdonato ancora?
“Ben?”
O lo avrebbe ignorato come suo padre?
“A-avevi ragione. D-davvero. Non riesco a parlare, non... avevi ragione e io... ti prego, a-apri il portone. Volevo proteggerti. Non posso perderti, Rey. Ho sbagliato. Sono stato uno stupido. S-sono uno stupido, ma apri questo maledetto p-portone e io... Rey. Per favore.”
Calò il silenzio e la sua nausea crebbe. L’assurdità delle sue azioni ridicole lo travolse. Lo spaventò, lo costrinse ad indietreggiare.
Un’altra stupidaggine? Non ho rispettato i suoi spazi e non ho ascoltato le sue richieste? La sto tormentando e la sto allontanando da me? Ho sbagliato ancora? Sto complicando ogni cosa?
Sì sentì sciocco e senza speranza. Una causa persa di essere umano. Chinò la testa e si strinse il petto nel tentativo di placare il respiro.
Credo che il cuore sia sul punto di scoppiare e di scappare via.
Osservò il citofono e annuì stanco.
Erano passati soltanto pochi secondi, ma a lui sembrarono secoli. Posò nuovamente il capo sul vetro e quasi perse l’equilibrio.
Il rombo del vento nelle sue orecchie aveva mascherato il suono di un portone aperto dall’interruttore.

                                                                                                                                          *


E adesso? 
Ben salì le scale e scorse l’uscio dell’appartamento socchiuso, ma nessuno presente sulla soglia ad aspettarlo. Annaspò alla ricerca di altra aria e coraggio. Decise che sarebbe stato inutile bussare e richiuse velocemente la porta alle sue spalle.

E adesso cosa posso fare?
Tentò di darsi un contegno e si rese conto di essere ridicolo anche senza le pieghe sul maglione.
Adesso dirò la verità e non avrò più paura.
Si mosse verso la cucina e trovò Rey intenta a litigare con i fornelli e con la cena che doveva aver bruciato. Non appena si avvicinò al tavolo lei si voltò adirata e lasciò cadere sul piano cottura i cibi precotti che era riuscita a distruggere.
Mi odi tanto?
“Vuoi spiegarmi che cosa avevi in mente con il tuo brillante piano di assediare il mio citofono senza darmi il tempo di rispondere?”
Avevo paura che non avresti mai risposto.
Credevo di essermi perso in un altro universo e che non avresti mai sentito la mia voce disperata che ti chiamava e che ti chiedeva perdono e un’ultima possibilità.
Non rispose nulla del genere e nascose le mani nelle tasche profonde del suo cappotto nero e poi strinse il vuoto e le sfilò nuovamente. L’attesa era la ruggine di un traballante rapporto. E la sua mente era uno straordinario caos di pensieri.
Ho sbagliato, vero?
Non riuscì neppure a chiederglielo. Rey aveva iniziato in maniera decisa a riversargli contro un oceano di concetti che si scontravano contro il caos imperverso della sua testa. E pensava a lei, vedeva soltanto lei.
Era meravigliosa. I capelli raccolti in una coda scompigliata, il viso struccato e l’espressione sconvolta. Il pigiama sformato e le calze spugnose ai piedi.
Era meravigliosa. Così tanto. Così tanto meravigliosa da stringergli il cuore in un'oppressione bellissima da cui era impossibile fuggire. Annaspò ancora. Trattenne il respiro e continuò ad osservarla senza ascoltare le sue parole di disapprovazione e di rimprovero. Avrebbe avuto tutto il tempo di ascoltarla meglio dopo. Avrebbero avuto tutta la vita. L’eternità insieme.
È così non è vero? Non è troppo tardi, giusto? Oppure ho già rovinato ogni cosa?
Le sue mani ancora tremavano quando le coprì le guance con i suoi palmi e quando alcune ciocche dei suoi capelli andarono ad impigliarsi tra le asole delle sue dita. Rey continuava imperterrita a snocciolare insulti contro il suo comportamento maleducato e sciorinava frasi su frasi che si attorcigliavano su loro stesse senza mai bloccarsi ad assumere una forma concreta di significato. Il suo cuore sanguinava al centro del suo petto.
Ma è troppo tardi? È così troppo tardi per noi?
Lui la baciò. Un contatto di labbra su labbra che gli scucirono un rantolo di piacere profondo. Un gemito che non era riuscito a trattenere e che scosse il corpo e la mente di entrambi. Era un bacio casto, erano labbra che si assaggiavano con estrema indolenza. Strinse il suo volto, i suoi capelli, le sue orecchie. Sentì le mani di Rey abbracciare i suoi fianchi e aggrapparsi al suo maglione. Ben abbassò la schiena e cercò di chinarsi di più alla sua altezza. Il suo cuore batteva troppo forte. Lo sentiva sulla lingua e tra i denti. Tra le loro bocche e sul suo sorriso.
Ti bacerei anche in ginocchio, ma ti prego non smettere di stringermi. Sono tuo, stringimi. Sono tuo. Sono tuo e basta, basta. Solo tuo.
Avrebbe voluto dirle che la amava e che non poteva vivere senza di lei. Che non aveva vissuto prima di lei, che ogni cosa aveva un senso solo vicino a lei. Che voleva fare l’amore con lei, che voleva sentirsi vivo dentro di lei e sentirsi amato. Che avrebbe cercato con tutto se stesso di non deluderla mai più. Avrebbe voluto rivelarle che amava troppo ogni suo aspetto e ogni suo tratto e che non era più spaventato dal suo stesso passato.
Ma non riusciva a smettere di baciarla. Con una mano reggeva la sua nuca mentre con l’altra scendeva lungo tutta la linea della sua colonna vertebrale. Più toccava il suo corpo più il bacio cambiava. Riuscire a trattenere i sospiri era impossibile. Cercava il suo corpo e continuava a stringerla al suo petto.
Tuo, solo tuo.
Lei gli accarezzò la pelle nuda della schiena e il suo gesto dolce e sensuale gli strappò altri profondi gemiti di cui non ebbe il tempo di vergognarsi. Ti amo troppo.
Rey riusciva a scombinare ogni sua certezza. Trasformava una carezza in un gesto erotico capace di soggiogarlo. Riusciva a farlo sentire allo stesso tempo uno stupido ragazzino incapace e un uomo sicuro di se stesso. Le sue mani e il suo corpo accogliente assumevano la forma del mondo in cui avrebbe desiderato vivere ogni secondo di ogni giorno. Stringerla tra le braccia era un privilegio. Baciarla era un miracolo. E io ti amo, io ti amo. Ti amo, ti amo con tutto me stesso, ti amo. Non posso vivere senza di te. Non posso.
Lasciò le sue labbra, ma non smise di baciarle il viso mentre provava a formulare qualche frase di senso compiuto.
“Perdonami. Ho sbagliato e rimedierò ad ogni mio errore, rimedierò ad ogni cosa. Non dobbiamo lasciarci, possiamo farcela.”
Per sbagliò baciò anche i suoi occhi, le sue ciglia. Non riusciva a fermare le sue parole e il suo ridicolo affanno.
“Possiamo farcela.”
“Ben. Ascoltami, devi avermi frainteso oppure io...”
Posò la fronte contro il suo collo e continuò a parlarle senza prendere fiato.
“La nostra vita insieme sarà meravigliosa, non possiamo assolutamente lasciarci. Parliamo, discutiamo, se preferisci dormo sul divano, ma lasciarci no. Ci amiamo, io ti amo e non possiamo perderci soltanto perché io sono uno stupido arrogante. Perdonami per ciò che ti ho detto l’altro giorno e per ogni altra cosa che non ti ho detto e che invece avrei dovuto dirti. Ero spaventato, avevi ragione. Ma io ti amo. Non so più cosa sto dicendo, non credo di essermi spiegato bene, ma io ti amo. Tu mi ami. Non è importante questo?”
Rey era tra le sue braccia. Lo ascoltava con la bocca schiusa e gonfia. Lo osservava con quei grandi occhi scuri in cui c’era il riflesso dei suoi stessi tormenti. La sua pelle sotto i suoi polpastrelli. Il suo sapore sulle sue labbra, il suo bacino contro i suoi fianchi. Ed era tutto reale - non più un sogno, non più un’illusione.
Una magnifica sensazione di tranquillità che gli scioglieva le membra e che sgonfiava il suo cuore.
“Ben, ho sbagliato anche io. Mi sono spaventata e ho sbagliato, ho complicato la situazione. Non riuscivo a parlare e non riuscivo a spiegarmi e... io non volevo lasciarti. Devi credermi.”
C'era qualcosa, nel modo in cui gli sfiorò la guancia sinistra, che gli bruciò la pelle come se fosse della fragile cartapesta. Gli intorpidiva ansie profonde e incubi crudeli. C'era qualcosa nel suo sguardo e nella sua voce che gli riscaldò lo sterno e l’addome. Gli colpì ogni costola. Squarciò ogni velo.
“Ho rovinato la vita della mia famiglia. Ho distrutto il rapporto con mio padre e con mia madre. Sono stato un mostro con entrambi. E ho paura di perdere anche te. Ho costantemente paura. Non volevo ferirti e invece l’ho fatto. Puoi perdonarmi?”
Erano intrecciati. Continuavano ad abbracciarsi in un angolo della cucina. Le calze di Rey sulle sue scarpe e i polsi a solleticargli i capelli. Lui cingeva la base della sua schiena e confessava ogni suo peccato sulla sua bocca. Un’intimità estraniante che assomigliava ad un filo rosso che li avvolgeva e li aggrovigliava. Le loro stesse esistenze erano state imbrigliate da un gioco di mani e di sguardi. Neppure per un secondo avevano tentato di resistere. Pensi mai al nostro primo bacio? Le ossa piene di lividi perché non riuscivamo a smettere di stringerci.
“Non c’era cattiveria in te e nelle tue parole. Io ti sento. Io lo so che tu non vuoi farmi del male. La nostra stupidità non riuscirà a separarci. E tu non devi avere paura di perdermi. Perché non sei più solo”, gli mormorò, piano, sulle labbra, sui denti, sulla lingua.
Neanche tu lo sei. Noi non siamo più soli.
Percepì le ossa della schiena e i muscoli delle braccia tremare, tanto languidamente da dilaniargli e curargli una cicatrice sul petto e sul viso.  Un sorriso di speranza gli scucì la bocca in una risata aperta e gli ricordò una mattinata non troppo lontana.
Ben, hai mai provato a posare una mano sopra una tazza di latte caldo? No, non intorno alla tazza. Sopra la tazza. Non è bellissimo? Il calore sale e ti avvolge il palmo come un guanto. Ti solletica come mille bolle di corrente calda. Scoppia tra le tue dita e ti lascia una sensazione di marchio indelebile. Hai mai provato una sensazione del genere?
"Possiamo parlare e intanto... intanto noi..."
Non riusciva a completare nessuna frase. I suoi palmi avevano già iniziato a sfilarle i pantaloni non appena il suo cappotto era stato gettato a terra. Lei lo baciava e gli sussurava di amarlo con tutta se stessa.
Sono tuo, Rey. Provo costantemente una sensazione del genere.







Angolo autrice.
Questa storia è dedicata alle mie amiche Reylo che mi hanno sostenuta tantissimo in questi giorni difficili (Marika, Federica, Eleonora, Polly, Claire, Ecate, Angel) e alla mia amica/sorella/beta Harriet che ha riletto la storia mille e più volte. Vorrei ringraziare Nat_Matryoshka che mi ha ispirato con la sua storia (la citazione sul loro primo bacio è opera tua) e ringrziare Ben e Rey che sono magnifici e stupendi in qualsiasi universo. Perdonatemi se non vi ho reso giustizia, ma io vi amo da morire. Spero sia stata una lettura abbastanza piacevole e perdonatemi invece se non vi è piaciuta e avete perso del tempo a leggere questa mia storia. Prometto che migliorerò. Buon nuovo anno! Io auguri a tutti il meglio. E spero di non perdere mai l'universo di Star Wars e la bellezza Reylo dal mio cuore.

   
 
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