Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: ireland3    01/01/2020    16 recensioni
Mi sono sempre chiesta come avessero affrontato i Nostri la via del ritorno, dopo essere passati in casa di Alain nel momento delirante della tragedia di Diane.
Poche righe raccontano la mia versione, prendendo spunto non solo dall'anime, ma soprattutto dall'ultimo capitolo di Cuore di burro di Madame Grandier, che mi ha stimolato in tal senso a procedere con la scrittura e che ringrazio dal profondo per questo spunto in odore di spin off...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Non voglio tornare in caserma adesso”
“Nemmeno io…”
Uno scambio timido, a mezza voce, giù dabbasso alle scale. Senza forza.
Aveva dimenticato il suo fazzoletto ricamato nella piccola stanza. Lì, ai piedi di quel letto che era diventato un sudario ed il crogiuolo di un dolore senza fine e senza perché.
Se lo portava sempre appresso, da quella sera, in cui vi aveva asciugato lacrime di preoccupazione ed insperato sollievo. Solo perché era stato lui a porgerglielo, sollecito e caldo come in ogni momento che contava. Nel bene e nel male. Lui c’era.
Ma stavolta non se l’era cavata nessuno. Suo padre, mesi prima, era stato graziato da una pallottola che lo aveva colpito di striscio, e non era nemmeno destinata a lui. Adesso quel rettangolo di stoffa che sapeva di Andrè, che custodiva nelle pieghe dei suoi abiti ogni giorno da allora, che aveva premuto spasmodicamente tra le labbra e le narici per resistere a quell’odore nauseabondo, giaceva lassù, tra le assi di quel pavimento. Ai confini dell’Ade.
Stava pensando a questo, Oscar, quando si era infilata in strada, con Andrè accanto. Sfuggiti come due ladri colti con le mani nel sacco, sbiaditi da tutta quell’atroce sofferenza che mai avrebbero immaginato di respirare, lei riusciva a focalizzare la sua attenzione solo su quello. Su quell’unica traccia di bianco che risaltava in quella modesta abitazione.
Era tutto buio, lì dentro. Buio e denso. Potevi toccare qualsiasi cosa, se solo avessi voluto. Il puzzo di marcio, il nero del dolore, l’annichilimento dell’uomo, non si vedevano soltanto. Li toccavi. E quando Andrè, dopo ripetuti richiami caduti nel pozzo del silenzio, aveva scostato quella tenda, aveva spalancato gli occhi incredula. Incredula, impotente, pesante, fuori posto….il fazzoletto era caduto a terra.
Un passo indietro, d’istinto anche lui. Per non farsi mangiare vivi dallo stesso incubo, con una mesta litania nelle orecchie: il fioco lamento di quella madre spezzata, un passerotto raccolto tra i legni di una seggiola. Orfana della figlia, orfana della vita.
Le parole erano morte in gola, come i respiri. Che cosa avrebbero potuto dire? Come avrebbero fatto a dar voce al conforto, a motivare l’impossibile, a spiegare l’inspiegabile? Non osavano nemmeno avvicinarsi a lui, a quel povero Cristo che dava loro le spalle, con l’anima trafitta da un colpo mortale ed il costato sanguinante di un dolore senza risorsa.
L’unica cosa che aveva dato loro il coraggio di riscuotersi da quel torpore che sbiadiva nelle membra, tanto da averli tramutati in statue di sale, fu quella figurina snella e dolce, che dava l’impressione di adattarsi alla vita come il giunco flessuoso che  si modella al vento.  Era una giovane donna. Di una bellezza capricciosa, ma non sfacciata. Dai modi lievi, con una purezza nello sguardo che duellava con la scintilla del fiero orgoglio, senza deporre mai le armi.
Chissà che posto occupava tra le loro vite, se lo chiesero entrambi. In particolare Andrè, che dalla semplice solidarietà maschile e cameratesca, era passato a breve ad un’amicizia profonda con Alain. Piena di silenzi che spesso riempivano con le bevute, ma anche di pensieri vivi e raccolti, di squarci sulle loro anime che non riuscivano mai del tutto a chiudere, nemmeno narcotizzandoli con l’oblio dei sensi. Sapeva tutto, o perlomeno lo credeva, dell’adorata sorella minore dell’amico. Ma di questa ragazza non compariva traccia nei suoi resoconti. Una piega mesta gli fece incurvare suo malgrado il labbro: “Quello che amiamo di più, lo proteggiamo in fondo a noi “, pensò.
E la riprova fu quello che stava accadendo sotto i loro occhi, inebetiti e increduli: una pietà, nel vero senso del termine, si consumava davanti a loro. Come quelle rappresentate nei secoli dagli artisti. Senza la tregua di un silenzio che preannuncia la gloria di una Resurrezione salvifica e vittoriosa, bensì con la timida presenza di un fiore d’acciaio che sorreggeva, assieme a quell’uomo deposto, parte del suo dolore e del suo fallimento. Per riuscire a rileggere ancora una fiammella di speranza.
Un saluto frugale, a mezza bocca. Non osava nemmeno sfiorarlo, Andrè. Posò la busta con i quattro soldi della paga che si stava quasi dimenticando di consegnargli, sul tavolo lì accanto. Adesso parevano non avere più alcun valore, ma avrebbero avuto il loro senso quando la sopravvivenza del corpo fosse andata di pari passo con quella dell’anima. Uno sguardo negli occhi di Oscar. Poi giù. Avrebbero avvisato chi di dovere della disgrazia. Intanto volevano solo scivolare via.
 
Camminavano lenti, i passi cadenzati attutiti dal tappeto di foglie bagnate cadute nei giorni precedenti. Tra le dita, le briglie. Avevano preferito scendere da cavallo e proseguire a piedi il tratto di strada che li separava dal loro alloggio in caserma. Era diventato più difficile muoversi in groppa alle loro cavalcature quando, dall’imbuto che coniugava la via dove viveva Alain al ponte di pietra di fronte la Conciergerie, si erano imbattuti in una folla dimostrante. I troppo recenti spettri di Saint Antoine li avevano per un attimo freddati, specie lei, che aveva voluto accompagnarlo dall’amico perché non ne voleva più sapere di separarsi da lui. Mai.
Ma era una massa ordinata e composta, guidata dall’arringatore di turno, che chiedeva a gran voce la convocazione degli Stati Generali, che chiedeva, in via del tutto eccezionale, di contare davvero qualcosa. Niente a che vedere col branco famelico assetato di giustizia e affamato per troppo tempo del pane, la cui privazione aveva portato al totale dissenno di varie sere prima.
In ogni caso, era meglio non dare più nell’occhio. Erano due soldati, di gran bell’aspetto per giunta. Ed una boccata d’aria sincera, una passeggiata in riva alla Senna, tra le ombre della sera che andavano schierandosi, era la giusta maniera di liberare i reciproci pensieri, di decantare – se mai fosse stato possibile! –quella tragedia ingiusta che aveva colpito in modo così feroce l’uomo che si era dimostrato loro più fedele, e che di lealtà e generosità aveva pregno il cuore, sia come soldato che come amico.
Pensieri paralleli allo scorrere dell’acqua, sospinti dal vento freddo che spirava da Nord, li stavano sovrastando. Ne avvertivano l’aggrovigliarsi, ci avrebbero potuto scommettere che stavano provando la stessa emozione. Erano combattuti tra quella nebbia, palpabile, del doloroso stupore appena vissuto e la brezza leggera che pervade il cuore degli amanti, e li rende invulnerabili alle quotidiane miserie che gli occhi innamorati mitigano.
Questo erano: innamorati. E se Andrè lo sapeva ormai da tutta la vita, Oscar aveva scostato quel velo che faceva da cataratta al suo cuore, solo da un po’. Ma lui lo aveva capito, e stava calmierando giorno dopo giorno questa consapevolezza silenziosa dentro di sé, osservando quella che considerava la sua donna ancora di più di quanto i suoi occhi malandati potessero concedergli, guardandola attraverso l’acuirsi di ogni senso e facoltà in suo possesso. Aveva imparato a sentirla.
“ Attraversiamo questo ponte, Andrè?”
“Rientreremo molto più tardi del previsto, Oscar…”
“ Non m’importa, troverò una giustificazione. Non posso rientrare ora…..e tu?”
“ Speravo che me lo dicessi, davvero. Non ho voglia di affrontare i compagni e raccontare loro di un Alain irriconoscibile, e la piccola Diane ridotta ad un cadavere putrefatto. E che tutto questo mi sta esplodendo nello stomaco…col senso di inutilità che mi fa sentire in colpa….”
Si erano convinti che fosse la cosa giusta. Appoggiati alla spalletta del ponte, con i visi rivolti in direzioni opposte, i gomiti vicini, si stavano mimetizzando con l’oscurità imminente. Eppure il senso d’oppressione che aveva fatto mancare loro la terra sotto i piedi, si confondeva ora con una fame d’aria diversa. Non avevano nemmeno il coraggio di guardarsi negli occhi: non era solo il senso d’impotenza a farli star male, ma anche quella scia di polvere da sparo che li percorreva da giorni e che rischiava di incendiarli nel fuoco inestinguibile del loro amore di lì a poco. Ma ora no, non così. Provavano il disperato bisogno di toccarsi, di abbracciarsi e donarsi senza remora alcuna, nell’attesa di un momento ideale, che fosse perfetto, che fosse il loro. Ma non esisteva. Sapevano in cuor loro che avrebbero dovuto vivere tutta questa meraviglia, nel groviglio quotidiano, in un mondo capovolto che stentava a raddrizzarsi.
Oscar ripensò a quel giorno ormai lontano, quando alla vigilia del famigerato ballo con Fersen, di fronte al cadavere del mancato attentatore della Regina, s’era rimproverata. “Non è il momento di pensare all’amore, questo.” Nemmeno adesso lo era. Ma sorrideva. Con le lacrime agli occhi, perché conosceva Diane, come a suo tempo aveva conosciuto la sfortunata Charlotte de Polignac, ed una fine del genere non gliel’augurava nemmeno ad un cane. Senza bivio, cadute nel vicolo cieco di orizzonti mancati.
Il suo, di orizzonte, invece era lì. Vicino due dita. Una lacrima amara gli stava scivolando giù, anche se si ostinava a trattenerla, come l’unica volta di cui aveva il ricordo d’averlo visto piangere. Bastava solo allungare una mano. O sarebbe stato sufficiente accostare le labbra e suggere quella lacrima dolente….
Se solo…se solo non le avesse rammentato nella forma il cappio col quale s’era ammazzata Diane, e forse l’ultima lacrima con la quale ella aveva salutato questo mondo, che non le apparteneva più.
Ora no, non così.
 
Nel torbido della sua visuale sfocata-ed ora erano le lacrime a renderlo cieco- Andrè si ricompose in fretta. L’aveva avvertita tremare. Per il freddo che stava diventando pungente, complice la sferza di quell’aria autunnale. E per quel gomitolo di emozioni che, lo sapeva, stavano trovando la via d’uscita nel loro personale labirinto di sentimenti. Loro malgrado, era ora di tornare.
“ Senti, Oscar, stasera non mi va di bere….dobbiamo rientrare”- una mano calda tra le scapole di lei.
“Non me la sento nemmeno io. Temo che tu abbia ragione…”- Dio! Era al riparo adesso.
Una spanna li divideva. Il rispetto per chi stava soffrendo, il bisogno di cullare un lutto che li aveva presi alla sprovvista, di striscio, ma che serpeggiava dentro le viscere fino a rimbombare dappertutto, li stava trattenendo dal raccontarsi di più, dal farlo con le labbra e con la pelle.
“Non tornare in camerata stanotte. Vorrei…vorrei che mi stessi accanto, come quando da ragazzi ascoltavamo stretti il temporale infuriare…”- sapeva che il bozzolo di quel dolore li avrebbe protetti, per quella notte, almeno. Lo sapeva anche lui. Non occorreva spiegare perché.
Un abbraccio stretto, nuovo, paziente….poi via. A testimoniare la verità, a sopportare lo sbigottimento altrui, a raccontarlo a chi non importava. A tenersi fermi e a rallentare insieme i battiti del cuore, per una volta ancora, com’era un tempo e come non sarebbe più stato.
Ma ora no, non così. 
 
 
 
   Gli appunti a piè pagina non sono il mio forte. Ma c’è dentro un pezzettino di me, anche nella scelta del titolo di questo piccolissimo racconto. “The last drop” ( “L’ultima goccia”) è un pub nel centro storico di Edimburgo, di secolare memoria. Nei tempi andati, trovandosi proprio nella piazza dove avvenivano le esecuzioni capitali, fungeva da “ristoro” per gli spettatori ( lo sapete, una volta anche la morte era considerata “spettacolo”) ed anche per il condannato di turno, cui veniva concessa l’ultima goccia di birra o whisky in questo mondo…..e dove veniva anche raccolta la sua ultima lacrima per questa Terra….
Visto il tema trattato e la similitudine “cappio-lacrima”, anche se non c’entra un accidente mi suonava bene intitolare così queste righe…..
Alla prossima (forse)…
Tamara Alessandra.
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 16 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: ireland3