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Autore: mirkovilla7    03/01/2020    0 recensioni
Dal PROLOGO: "La Sala del Consiglio cadde in un silenzio cupo creato dalle ultime parole del Governatore Barber.
La stanza era grande e per la maggior parte vuota. Sulle pareti grigie l’unica decorazione consisteva nei quadri raffiguranti i Governatori successi prima di quello attuale. Su un lato una porta di vetro scorrevole con di guardia due uomini lasciava intravedere un lungo corridoio che terminava con una porta identica. Tre sedie completavano l’arredamento con un tavolo ovale posto al centro della Sala. Sulle sedie, con aria stanca di chi discuteva da ore, c’erano due uomini ed una donna."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eravamo partiti da circa mezz’ora quando sentimmo il primo scoppio provenire dal villaggio di Ridash.
Istintivamente, ci nascondemmo dietro un albero per proteggerci, anche se di fatto niente lasciava intravedere una possibile minaccia per noi.
Nonostante non fossimo direttamente coinvolti nell’esplosione, tutti e tre decidemmo che fosse cortese andare a vedere quale fosse il problema e vedere se fosse necessaria una mano.
Non ci fu bisogno di parlare, ma bastò uno scambio di sguardi con Johanna e Sam per capirci e girarci per correre verso Ridash.
Eravamo partiti all’alba, portandoci dietro cibo per qualche giorno e con la speranza di trovare un rifugio sicuro e con risorse da sfruttare, almeno per il momento. Poi, con calma, avremmo pensato al futuro.
Avendo, quindi, pochi viveri, corremmo indietro a perdifiato verso il villaggio che ci aveva ospitato.
Durante la corsa notammo rivoli di fumo provenire dal villaggio conditi da numerose grida di puro terrore.
Arrivammo a Ridash e, appena mettemmo piede nel villaggio, mi salì un conato di vomito.
C’era gente sfregiata in faccia, c’erano persone senza arti, c’erano bambini pieni di sangue e adulti di cui non si riconosceva nemmeno il volto tumefatto.
Poche persone si erano abbastanza riprese da riuscire a dare una mano ai feriti come meglio riuscivano.
«Tu vai di là» mi disse Johanna indicando un gruppo di capanne davanti a noi.
Mi piaceva che avesse preso in mano lei la situazione, anche perché io non avrei avuto la minima idea di cosa fare.
Johanna sbraitò ordini anche a Sam e, di seguito, si incamminò verso alcune persone che vagavano zoppicando nel villaggio. Le prese e le aiutò a spostarsi fuori dal villaggio, dove uno spiazzo d’erba tra gli alberi era stato allestito alla bell’è meglio come infermeria.
Seguii il suo esempio e, in poco più di un’ora, riuscimmo a trasportare tutte le persone ancora vive nella zona.
Non fu raro di tentare di prendere un corpo per poi accorgersi che era privo di vita e ogni volta un crampo allo stomaco mi colpiva come se stessi per vomitare.
Al termine della processione di feriti verso l’infermeria temporanea ci dissero che ci sarebbe stata una riunione per parlare dell’accaduto e che avremmo partecipato anche noi, anche se non sapevamo ancora cosa fosse successo realmente.
Prima della riunione ci occupammo di trasportare i medicinali dall’edificio grigio mezzo distrutto alla nuova infermeria.
Non si poteva fare a meno di notare, passando tra i feriti, la paura sul volto di quelle persone e mi chiesi se, una volta capito cosa realmente fosse successo, avremmo potuto fare qualcosa per vendicare ciò che era accaduto loro.
 
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Al termine del trasporto di medicinali ci ritrovammo, lontani dai feriti, per la riunione.
A capo di questo incontro vi era Laurine, che esordì con un «Silenzio!» detto ad alta voce al fine di zittire le numerose voci che continuavano a discutere per tutto quell’appezzamento di bosco.
«Quello che è successo stamattina ha segnato tutti, e tutti lo abbiamo subito.» continuò la donna.
Alzai la mano come a scuola e, senza attendere che mi diedero il permesso di parlare, chiesi: «Cosa è successo esattamente?»
«New Town ha sparato qualcosa contro il nostro villaggio. Sembrerebbe un coso di metallo simile a quello che nell’antichità veniva chiamato missile.» rispose Laurine, fulminandomi con lo sguardo.
«Chiaramente New Town si è alleata con la tribù Eradash per colpirci, firmando una netta dichiarazione di guerra!» continuò la donna.
Sembrava che si fosse studiata il discorso prima di partecipare all’incontro, ma quasi tutti i partecipanti (poco più di dieci, se il mio conto era giusto) pendevano dalle sua labbra.
La donna riprese parola: «Purtroppo devo informarvi che il nostro capo tribù non ce l’ha fatta ed è morto salvando la vita a suo figlio». Mentre disse queste parole, si girò verso un ragazzo poco più che quindicenne, che si sentiva palesemente fuori luogo ed in imbarazzo, con lacrime che gli scivolavano per il viso.
«Quindi, in qualità di vice-capo della tribù, assumerò io il comando in attesa che venga eletto il nuovo capo tribù.» e lo disse gonfiando il petto, «Adesso abbiamo due opzioni secondo me: o cercare una maniera di andare avanti e lasciare che a loro fili tutto liscio o andare…»
Laurine venne interrotta da un sibilo proveniente dal cielo. Alzammo lo sguardo in tempo per vedere, con nostra incredulità, un altro missile piovere da New Town.
Come se fosse a rallentatore, seguimmo con lo sguardo il missile, impotenti e immobili, e lo vedemmo schiantarsi sopra all’infermeria temporanea.
Il botto fu fragoroso ed alcune schegge colpirono alcune persone della riunione.
Il figlio di Clyde venne colpito in un punto accanto all’occhio, ma quasi non se ne accorse.
Ebbi un tuffo al cuore e, in men che non si dica, ci stavamo precipitando per la seconda volta nella stessa giornata al luogo di un genocidio.
 
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Arrivammo in pochi secondi, ma stavolta non c’era bisogno di alcun soccorso.
Tutti i feriti erano diventati cadaveri, così come le due persone che erano rimaste lì a curarli al posto che partecipare alla riunione.
Johanna, una delle persone più forti che avevo mai conosciuto, stava piangendo tra le braccia di Sam, anch’esso in lacrime.
Anche io ero arrivato sull’orlo di trattenere i singhiozzi.
L’unica persona che non sembrava affatto scossa dell’accaduto era Laurine.
«Andiamo ad una grotta ai piedi della montagna qui vicino e lì decideremo cosa fare» disse con autorità.
Tutti troppo scossi per poter pensare ad altro, ci incamminammo verso la grotta.
 
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Il viaggio fu breve e ci ritrovammo in un’ampia grotta abbastanza grande da ospitare un centinaio di persone.
Laurine raccontò che la grotta avrebbe dovuto essere utilizzata solamente in caso di emergenza e per questo motivo nessuno tranne il capo-tribù e il suo vice ne era a conoscenza.
Ci sistemammo e, sotto ordine della donna, cercammo qualcosa di commestibile.
Non trovammo praticamente nulla e, quindi, quella sera rimanemmo a secco di cibo.
La nostra unica consolazione fu che nella grotta scorreva un rivolo di acqua fresca e potabile che potevamo bere per dissetarci.
La notte scese rapida e, nonostante la stanchezza della giornata, non riuscii ad addormentarmi.
Decisi di fare un giro al villaggio distrutto.
Camminai per molto, osservando le capanne distrutte e cercando di evitare i corpi.
Mi fermai davanti alla capanna che supposi fosse quella del capo-tribù, stranamente intatta.
Entrai, e la scena che mi si parò davanti fu terribile.
Il corpo di Clyde Brady giaceva immobile a terra, con le mani piene di piccoli taglietti e la congestione già in fase di avanzamento. Pozze di sangue invadevano il pavimento tutto intorno al cadavere, come se stesse nuotando in una vasca di passata di pomodoro.
Nonostante il mal di stomaco dovuto al cadavere, mi avvicinai e lo misi in posizione supina e fu lì che notai un dettaglio che non quadrava: uno squarcio alla gola che, a mio parere, non poteva essere un segno casuale.
 
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Dovevo dirlo a qualcuno e, ovviamente, i primi due nomi che mi vennero in mente furono Johanna e Sam. Corsi verso la grotta e rallentai quando la vidi comparire nel mio sguardo. Entrai, infine, quatto, cercando di non svegliare i superstiti che dormivano.
Arrivai nel punto dove i miei compagni di avventura dormivano e mi stupii nel trovare solamente i loro zaini. Mi prese il panico e iniziai a respirare affannosamente.
Come mai i miei amici non erano dove li avevo lasciati?
Mentre mi arrovellavo per trovare una soluzione a quell’enigma, qualcuno mi strinse un braccio attorno al collo e mi mise una mano sulla bocca. Poi, mi prese e mi trascinò fuori dalla grotta.
Mi dimenai, ma la forza di quella persona non mi permetteva di liberarmi dalla sua presa.
Mi spostò per diversi minuti, prima di liberarmi. Mi girai di scatto, pronto a combattere in caso di necessità, ma la persona che mi trovai di fronte non era altri che il figlio del vecchio capo tribù. Pensai di affrontarlo, ma mi fermò il suo sguardo, che non era di sfida, ma colpevole.
«Non colpirmi, ti prego» mi chiese, quasi piagnucolando.
Non avevo molta voglia di ascoltarlo e la mia pazienza, dopo la giornata appena passata, si stava esaurendo. Quindi, gli chiesi semplicemente: «Perché?»
La sua risposta fu pronta: «Ti devo spiegare cosa sta succedendo. Innanzitutto, io sono Joseph Brady, figlio di Clyde Brady e diretto erede a capo-tribù della tribù di Ridash, e ho bisogno di aiuto»
La mia replica fu ancora breve: «Spiegati meglio»
Iniziò un racconto: «Era da parecchi giorni prima che arrivaste voi che avevo notato che qualcosa non andava. La gente si muoveva con fare sospetto, borbottava tra di sé, era più restia a prendere decisioni e un malumore stava iniziando ad aleggiare nell’aria.
«Poi siete comparsi voi, vi abbiamo catturato e abbiamo indetto una seduta per decidere cosa fare di voi. Papà è stato inamovibile e, nonostante le pressioni di Laurine, ha deciso di non uccidervi ma di curarvi.
«Lì sono ricominciati i malumori. Non di tutta la tribù, sia chiaro, ma di alcuni pezzi grossi amici di Laurine. Una sera, all’incirca una settimana fa, non riuscivo a dormire e, mentre facevo una passeggiata, ho intravisto Laurine che parlava con qualcuno.
«Sembrava che si stesse mettendo d’accordo su un compenso. Ho provato a raccontare a papà l’accaduto, ma è stato inamovibile e mi ha detto che mi stavo inventando tutto.
«Poi, c’è stato il missile mentre ero in casa con papà. L’esplosione è stata forte, ma non ha colpito casa nostra. Allora, papà mi ha fatto nascondere sotto al letto ed è partito per cercare di dare una mano, ma non ho sentito la porta di casa chiudersi e, dopo un attimo, papà implorava a qualcuno di smetterla e di lasciarlo in pace.
«Ho sentito uno schianto a terra e, poco dopo, qualcuno che mi portava fuori da sotto il letto. Mi sono ritrovato faccia a faccia con Laurine che mi ha intimato di non raccontare a nessuno dell’accaduto e di andarmene in infermeria.»
Lo interruppi con le mani alzate, facendogli capire che il resto della storia lo conoscevo già. Gli chiesi cosa ne fosse stato dei miei amici e mi disse che Sam era stato preso dagli uomini di Laurine, mentre lui aveva aiutato Johanna a fuggire ed a nascondersi in un luogo chiamato “Promontorio” a qualche chilometro da lì.
«Andiamo da Johanna», gli dissi, «poi penseremo a cosa fare.»
 
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Il viaggio durò tutta la notte e, nonostante Joseph volesse fermarsi e riposare per qualche ora, non lo feci fermare e procedemmo spediti.
All’alba, raggiungemmo un ponte artificiale che, a detta di Joseph, era un cimelio dei tempi in cui la terra era ancora abitata dalla popolazione mondiale e non solamente da tribù.
Feci per uscire dalla boscaglia e attraversare il ponte quando il ragazzo mi mise una mano sul petto, bloccandomi.
«Aspetta, il ponte è controllato dalla tribù di Eradash. Se ci vedono ci uccidono.»
«Come facciamo a passare?» Gli chiesi.
«Non dobbiamo. “Promontorio” si trova dopo il bosco dall’altra parte della strada.» mi rispose «Adesso riposiamo. Quando il sole è più in alto, una pattuglia di Eradash dà il cambio ad un’altra. Quello è il momento di passare.»
Ci sedemmo e Joseph estrasse un frutto simile ad una mela. Me lo offrì e, malgrado non mi fidassi ancora ciecamente del ragazzo, dovetti cedere alle richieste sofferte del mio stomaco e accettai.
Aspettammo diverso tempo, nel quale il ragazzo mi insegnò a leggere l’ora in base alla posizione del sole ed all’ombra di un bastone trovato nel bosco.
Quando il sole fu alto nel cielo, sentimmo alcuni rumori, passi rapidi e voci concitate. Joseph mi fece restare quatto in una posizione che dall’esterno era impossibile da scorgere, con i nostri pochi averi in spalla, pronti allo scatto.
Li vedemmo, quattro uomini di stazza robusta, vestiti tutti uguali con una tuta mimetica, pistole alla cintura, anfibi ai piedi e taglio militare. Non ci notarono e procedettero nella loro marcia verso la loro tribù.
Quando scomparvero dalla nostra vista, contammo a bassa voce tre minuti, in quanto sulla base delle informazioni di Joseph, una nuova truppa di quattro uomini sarebbe passata a distanza di sei minuti da quella precedente.
Dopo i tre minuti, corremmo a perdifiato, tenendoci il ponte sulla destra.
Arrivammo dall’altra parte, scavalcammo una piccola staccionata e ci addentrammo nuovamente in un bosco.
Joseph sapeva la strada e, dopo pochi minuti, capii di essere vicino al mare.
Non c’era bisogno di aver già sentito l’odore del mare, perché quel profumo stava ad indicare solamente una parola: mare.
 
Uscimmo dal bosco, percorremmo un breve tratto di sabbia e scalammo alcune rocce fino a trovarci su un pezzetto di roccia sul quale ci stava a malapena un piede. Procedemmo con le spalle al muro sulla roccia, arrivando fino ad una grotta. Joseph entrò e io lo seguii.
Gli sbattei contro appena entrato. Era bloccato di fronte a me, pietrificato.
Seguii il suo sguardo e vidi il motivo del suo stop improvviso: Johanna si trovava cinta da una donna all’incirca della nostra età. Il particolare più spaventoso, tuttavia, era che la donna puntava un coltello alla gola della mia amica.
  
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