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Ed è scomparso sin troppo presto.
La
prima volta che succede è quindici anni dopo la caduta del Primo Ordine, dopo
la sconfitta definitiva dell'Imperatore.
Sono trascorsi esattamente quindici anni
e ventitré giorni dalla morte di Ben Solo.
La
Nuova Repubblica, o sarebbe più accurato dire Nuova Nuova, intende festeggiare l'anniversario in pompa magna e
Rey, in qualità di Primo Jedi del Nuovo Ordine Jedi, con il titolo onorifico di
Maestra tra i Maestri che da allora hanno rinfoltito i loro ranghi, è tenuta a
presenziare in veste ufficiale alla commemorazione.
Il
suo posto è tra quelli d'onore, tra i regnanti e i nobili, le caste facoltose
del pianeta ospitante, gli ambasciatori e le fazioni di giovani senatori.
I
due posti accanto al suo sono ancora vuoti. Finn è rimasto all'Accademia,
disinteressato a fare la sua apparizione mentre Poe è impegnato in quella che è
diventata la sua missione dopo la fine della guerra: restituire a persone come
Jannah le loro identità, rintracciando le loro famiglie d’origine. È un lavoro
difficile, alcuni lo definiscono l’impresa di un folle, ma Poe è testardo e con
l’aiuto di Lando e Chewbacca sta ottenendo risultati insperati, soprattutto
dopo essere riuscito a penetrare nel deposito protetto di uno dei pianeti base
del Primo Ordine ed eseguire il backup dei dati.
Rey
osserva con sguardo critico il fasto dell'occasione e ripensa all'orrore della
guerra, alla fame che le bucava lo stomaco durante le lunghe notti solitarie
nel deserto di Jakku.
Il
fruscio delle stoffe preziose, l'altezza vertiginosa delle acconciature delle
dame, il cicaleccio delle conversazioni della folla radunata, il tepore del
sole sulla pelle, il profumo dolce dei fiori lanciati dai balconi.
Ci
sono troppo rumori, troppi odori, troppi colori. È trascorso molto tempo
dall'ultima volta in cui è stata circondata da così tante persone. Forse
troppo, sussurra una voce da qualche parte dentro di lei.
Di
solito conduce un'esistenza appartata, limitando allo stretto necessario le
uscite pubbliche. Non del tutto solitaria, non una completa eremita, non ai
livelli di Luke perlomeno. Dopo i primi cinque anni trascorsi su Tatooine,
tornare a una quotidianità totalmente differente da quella a cui si era abituata
è stato difficile. Affiancata da Finn per rifondare l'Accademia,
ha cominciato a viaggiare da un estremo all'altro della Galassia, in cerca di
allievi a cui poter mostrare le vie della Forza, da poter chiamare apprendisti,
a cui trasmettere il sapere dei tempi antichi e a cui passare il testimone un
giorno.
"Ehi,
Leggenda Jedi," dice una voce alla sua sinistra prima che una figura in blu
occupi il posto che dovrebbe essere di Finn.
Rey
non può evitare un ampio sorriso mentre coglie le occhiate scandalizzate che
gli astanti stanno indirizzando nella loro direzione. Contrariamente
all'etichetta che l’evento formale imporrebbe, Rose ha scelto un vestito che,
per quanto elegante, risulta persino appariscente nella sua pratica semplicità.
"Ciao
anche a te, straniera."
Gli
occhi di Rose sono penetranti come al solito mentre la scrutano da capo a
piedi. Il cenno che le rivolge è di completa approvazione.
Rey
indossa le vestigia del suo Ordine, facilmente riconoscibili nella sobrietà che
le caratterizza: una tunica di un candore quasi opalescente e un mantello verde
muschio che ricorda l'erba sui dirupi di Ahch-To. Unico tratto di vanità sono
le trecce che le circondano il capo come una corona, simbolo di una donna
straordinaria diventata icona.
"Finn
mi ha chiesto di riferirti che era troppo impegnato a fingere di avere qualcosa
da fare per presentarsi perciò ha delegato me."
Contro
la sua volontà, le sue labbra si arcuano di nuovo in un sorriso più discreto.
Senza distogliere lo sguardo dalla cerimonia sottostante, annuisce. "Molto
saggio da parte sua."
Rose
fa un sospiro teatrale, sventolando la mano davanti al viso accaldato. Il sole
è al suo apogeo e l'aria comincia a farsi soffocante. "Molto conveniente,
è quello che intendi. Che ne è di Poe? Qual è la sua scusa invece?"
"Semplice
buon senso."
Rose
fa una smorfia, riconoscendo la fondatezza dell’osservazione.
Le
occhiate attorno a loro sono diventate insistenti e i sussurri calano e salgono
come una marea. Rey cerca di non badarci e assume un'espressione accuratamente
neutra. Al contrario, Rose sembra pronta a dar battaglia. Per placarla Rey le
poggia una mano sul gomito. "Lascia stare," ordina in tono fermo,
tassativo.
Con
la coda dell'occhio la vede sgonfiarsi, percepisce la rabbia retrocedere
gradualmente, trasformandosi in blando fastidio e noia.
"Hanno
bisogno di questo," risponde alla domanda inespressa, la solita, la stessa
di sempre. Come fai, ma soprattutto
perché ti sottoponi a tutto questo?
La
risposta è facile. Hanno bisogno di lei, l'unica apprendista di Luke Skywalker,
la jedi che ha sconfitto l'Imperatore. La pace, ha imparato, poggia le sue
fondamenta sulle menzogne che spesso servono ad alimentarne la fiamma e sui
sacrifici che vengono collezionati per ottenerla. Uno di questi è stato capire
che nessuno abbia realmente bisogno di lei. Nessuno vuole Rey Skywalker, ma
allo stesso tempo ne hanno assoluto bisogno. Non di Rey quando era nessuno, ma
del lustro del nome che ha scelto, della grandezza e della fama intemerata che
lo scortano, della leggenda che rappresenta. Non la povertà e la solitudine in
cui è cresciuta da bambina, raccattando pezzi dai relitti delle astronavi e
rivendendoli in cambio di cibo, ma la gloria effimera
di una vittoria ottenuta a caro prezzo.
Un
tempo avrebbe disprezzato tutto questo, lo avrebbe trovato insopportabile.
Essere voluta non per ciò che è, ma in funzione del messaggio di cui è
portatrice. Non essere accettata, non realmente. Sì, un tempo, mille vite fa,
quando era giovane e nessuno era ancora morto per lei, non aveva ancora provato
sulla propria pelle la libertà impagabile di un amore concesso senza
condizioni, avrebbe odiato tutto questo.
Sotto
il mantello, nascosta alla vista e alla curiosità, Rose poggia la mano sulla
sua, nel saldo cameratismo che contraddistingue un'amicizia lunga un decennio.
Rinfrancata
dal conforto che accompagna il gesto, Rey la ascolta mentre la aggiorna sui
recenti sviluppi nell'Orlo Esterno, l'ultima riparazione che ha fatto, il flusso
ininterrotto di notizie che girano sulle antiche rotte commerciali. Annuisce
quando serve, interviene se necessario, è attiva quanto basta. Le rughe che
increspano la fronte di Rose si alleggeriscono notevolmente e la tensione
attorno alla sua bocca scompare come se le fosse stato tolto un peso.
"Cosa
mi dici di te?"
Le sue
dita hanno un leggero spasmo. Sa cosa vuole davvero sapere, cosa sta chiedendo.
"Cosa vuoi sapere?"
"Rey."
La voce ridotta a poco più di un sussurro, la preoccupazione che divampa nei
suoi occhi come un incendio localizzato. Il frastuono del mondo che la presenza
di Rose era servita ad acquietare ritorna maestoso, mangiandole il cuore,
sommergendola. "Sono trascorsi venti giorni..."
No,
non è vero. Sono trascorsi quindici anni e ventitré giorni. Il lutto è una
massa viva, incandescente. È una larva Divvik deposta nel suo cervello, un
parassita che risiede nei suoi polmoni, dentro la sua ombra, dietro il confine
sicuro della sua memoria, contro il contorno delle palpebre ogni volta che
chiude gli occhi.
Rose
non insiste.
Il
discorso di apertura è alla sua conclusione. Sul podio allestito appositamente
per lo scopo, c'è un senatore di cui Rey ricorda vagamente la fisionomia. Pavla
Satu, le sembra che si chiami. Di chiunque si tratti, è un oratore nato. Pause
d'effetto che culminano in scroscianti applausi, contegnoso in modo appropriato
e non esagerato, abbastanza da ottenere reazioni di empatia non del tutto
simulate. Rey cerca di concentrarsi su quello che sta dicendo -
"Il
nuovo governo ha raccolto la triste e pesante eredità lasciata dal passato
regime. È nostro dovere portare avanti il patrimonio ideale dei nostri
predecessori..."
- e
fallisce spettacolarmente. Nonostante gli amplificatori, le parole le arrivano
ovattate. È solo una macchia nell'adunanza variopinta di dignitari. È sola come
lo è stata negli ultimi quindici anni. La cicatrice del legame reciso brucia
come veleno, come il morso di un Neelig.
Ai
margini del suo campo visivo qualcosa cattura la sua attenzione. Un disturbo
nella forza. Sono come onde di calore sull'orizzonte di una landa desolata.
È
questione di un istante. I fiori danzanti che riempiono l'aria, il profilo
acuminato dei palazzi nella piazza in cui si trovano, i raggi di sole che si
rifrangono contro gli spruzzi d'acqua costanti della fontana al suo centro e di
fronte alla quale è stato costruito il podio. Tutto si immobilizza,
cristallizzato in un attimo di stasi assoluta, di calma apparente. La quiete
prima della tempesta.
L'attimo
dopo c'è la prima esplosione, proprio sotto il podio e una cacofonia di urla e
panico le riempie le orecchie. Rey è già in piedi con la spada laser attiva, il
mantello giace dimentico ai suoi piedi mentre i suoi occhi saettano a destra e
a sinistra cercando di individuare la fonte dell'attacco. Rose non è da meno.
In meno di cinque secondi le copre le spalle e impugna un blaster.
Suo
malgrado, Rey è impressionata. "Dove lo tenevi?"
Rose
le fa l'occhiolino. "Ogni ragazza ha i suoi segreti."
La
risata di Rey è liberatoria, come il primo sorso d'acqua sotto un sole cocente,
dopo una mattinata trascorsa nella carcassa di uno Star Destroyer. Assaggia il
sapore dell'adrenalina sulla punta della lingua e si sente rinfrancata. Nell'immediatezza
dell'azione, ogni briciolo di concentrazione deve essere riservato al presente.
I fantasmi del passato, di ciò che in un mondo più giusto, più compassionevole
sarebbe potuto essere, retrocedono nella bolla di scintillante perfezione che
Rey custodisce gelosamente in un angolo dentro di sé, la parte più segreta e
intima, quella che difficilmente mostra alla luce del sole.
Il
suo corpo freme e il sangue le ribolle nelle vene. Si sente viva e nel qui,
nell'ora, l'assenza al suo fianco diventa quasi tollerabile, il dolore -
attutito dalla necessità e dal dovere - non le impedisce di respirare. Si sente
come si è sentita a vent'anni, quando per un attimo tutto ha avuto un senso:
intera, invincibile, forte.
Rose
la sta guardando con una nota di affettuosa esasperazione. Deve trasparire
qualcosa dalla sua espressione perché scuote la testa. Sembra divertita.
"Sei una creatura incredibilmente strana, dico sul serio."
"Non
rovinarmi il divertimento," dice Rey e poi di nuovo seria, un po' più
composta: "Da adesso dovrai cavartela da sola."
Rose
sta per rispondere, probabilmente con qualcosa di pungente, ma una seconda
esplosione tronca la conversazione sul nascere.
"Vai,"
dice invece con determinazione e Rey ricorda all'istante l'altro rovescio della
medaglia, il terrore che si cela dietro la possibilità di una sconfitta, quando
ci si scontra con i postumi della battaglia, la perdita. Non provava questa
sensazione, un misto di ansia e paura, da -
"Vai,"
ripete Rose con la stessa urgenza, ma più gentilmente, il volto animato e fiero.
"Vai e salva la galassia."
Rey
scatta, non prima di notare Radek e il resto della squadra appropinquarsi verso
Rose. Ovviamente. Non prova
risentimento, solo una calda gratitudine. Finn non l'avrebbe mai lasciata
venire da sola. Non perché è troppo preziosa, una pedina fondamentale nella
Ricostruzione come un tempo lo è stata per la Resistenza, il simbolo della
speranza, ma perché è la sua famiglia.
Rey
si muove in fretta, parando i colpi di blaster e facendosi largo tra i
rivoltosi che indossano elmetti stormtrooper. È come un viaggio nella gioventù.
Non
sono addestrati. È chiaro dal modo disordinato in cui si muovono, in cui
sparano a caso sui presenti. Chiunque sia l'orchestratore dell'attentato, è
lampante che lo scopo principale fosse quello di creare un'atmosfera generale
di confusione e allarmismo. A cosa mirano in realtà? Non sembra un attentato
alla sicurezza dello Stato o alla vita dei senatori presenti. È un attentato
alla morale? Al messaggio di pace? Non ne è più così sicura.
Tra
le macerie attorno al podio, i corpi sono più numerosi, non solo civili, ma
anche i rivoltosi rimasti vittime del loro stesso attacco. La Forza punta con
insistenza al sottosuolo, c'è un brusio di avvertimento nel retro della sua
coscienza che le intima di tenere le difese alzate, di rimanere vigile.
Prima
di calarsi nel tunnel della rete fognaria, Rey attiva il comlink.
A
rispondere è proprio Radek. "Maestro Skywalker," la saluta flemmatico
e Rey rotea gli occhi. Non è il momento per i convenevoli. Succintamente gli
rivela i suoi sospetti e ordina di sgombrare gli edifici limitrofi, di creare un
perimetro di sicurezza.
"Cosa
hai intenzione di fare?" Rose deve avergli strappato di mano il comlink.
Rey
esita, ma un attimo soltanto. "Quello che devo." Come sempre.
Inspira
profondamente, svuotando la mente dai ricordi, da lui. Spegne la spada laser prima di fare il salto nel buio.
-
*
Pavla
Satu di Chandrila è di fronte a lei, miracolosamente indenne e armato. Da
vicino Rey si rende conto perché durante il discorso abbia provato quella
strana sensazione di riconoscimento. Non si sono mai scambiati più di poche
parole, semplici frasi di circostanza, ma negli ultimi anni i loro passi si
sono spesso incrociati nei corridoi del Senato. L'espressione di contegnoso
rispetto è stata dismessa, rivelandosi per la maschera che era. Ora trasuda una
baldanzosa arroganza.
Non
è vecchio né giovane, esattamente come lei. Non appartiene alla generazione che
è venuta con l'avvento della pace, non è neppure un figlio nato durante la
guerra. Il suo sguardo, nel puntarsi su di lei, ha una luce fanatica ed
esaltata.
Si
tengono sotto tiro a vicenda. A differenza sua che è immobile, lui le sta
girando attorno, la testa leggermente inclinata e gli occhi socchiusi che
sembrano analizzare ogni dettaglio di lei, catalogarla. "Devo ammettere
che le storie hanno ingigantito la grandezza delle tue gesta. In tutta
sincerità mi aspettavo di meglio dalla Prima Jedi. Uccisore dei Sith. Rey
Skywalker. O dovrei usare il tuo vero nome? Il nome che hai rinnegato,
scegliendo di servire il nemico della tua famiglia." Il suo volto si
deforma in una smorfia di rabbia e odio. "Ragazza ingrata."
Rey
non batte ciglio. Non è più una ragazza da molti anni ormai. "Ho rigettato
quel lignaggio. Ho fatto la mia scelta tempo fa." Credi di essere il primo ad offrirmi quanto ho già rifiutato? Non lo
sei. Non sarai neppure l'ultimo. Cosa speravi di ottenere? Quel regno di
caos è finito. Lei e Ben hanno riportato l'equilibrio nella Forza, la pace nella
Galassia.
"Non
cesserà mai," Pavla sta praticamente ringhiando. La sua assenza di
reazioni deve snervarlo. "La guerra che credi di aver vinto non è davvero
finita. Si era solo fermata. Presto risorgerà un nuovo Ordine, un nuovo Impero,
più forte di prima, inarrestabile."
"Anche
se fosse vero, non cambierebbe nulla. Abbiamo già combattuto contro di voi.
Abbiamo vinto ogni singola volta. Minacciate la pace e noi ci opporremo. Non
smetteremo mai di lottare per la giustizia. Resisteremo. Trionferemo. È il
nostro destino."
"Non
trionferanno. Non senza la loro migliore arma di difesa."
Senza
spostare il braccio dal suo fianco, Rey flette l'indice, attraendo a sé il
blaster che ora galleggia a mezz'aria al di fuori della sua portata. Chiude la
mano a pugno, deformando il metallo con la Forza al punto da renderlo
inutilizzabile, irriconoscibile. Quello che resta del blaster cade nella melma
del canale con un tonfo. Rey lo calcia via, colmando in pochi passi lo spazio
che li separava.
La
sua spada laser è l'unica fonte di luce. Le ricorda il sacrificio che è stato
necessario. Rappresenta ciascuna delle sue responsabilità. Coloro che
brandiscono spade laser gialle sono considerati Sentinelle e riconoscono che la
Forza non è la soluzione ad ogni problema. Come potrebbe essere altrimenti? La
Forza le ha dato tutto ciò che ha, l'ha resa la persona che è diventata. La
Forza e l'amore di un ragazzo solo e perso, di un uomo buono l'hanno riportata
in vita. È stata sempre la Forza, però, anche se indirettamente, a renderla
sola, a privarla di ciascuna delle persone che ha amato.
"Il
caos che cerchi non lo causerai uccidendo me. L'equilibrio non è mai stato una
persona sola. È solo nato da me."
"È
nato da te e morirà con te."
Rey
assottiglia lo sguardo. Dunque il bersaglio era lei. E’ sempre stata lei, sin
dall’inizio.
È
facile affondare la spada laser nel suo addome. Nel momento in cui la estrae,
Pavla Satu si affloscia su stesso, tenendosi la zona lesa e fissandola con uno
sbigottimento che lascia Rey insoddisfatta.
"Solo
perché ho rinnegato quel nome, non significa che non abbia compreso e accettato
l'oscurità dentro di me." Si piega sulle ginocchia e i loro occhi sono di
nuovo alla stessa altezza. "Ho parlato di equilibrio. Non hai
ascoltato?"
Pavla
scoppia a ridere e anche quella risata rievoca sensazioni spiacevoli. Diventa
così per tutti, ad un certo punto della propria vita? Si ritrovano brandelli di
passato, vecchi nemici e amici, negli occhi di coloro che ti circondano, che
incontri sul tuo cammino? O forse diventi soltanto più abile a riconoscere i
segnali, affini le tue capacità di giudizio?
La
risata si trasforma in un suono gorgogliante, come se stesse soffocando. Quando
lo vede prendere il dispotivo di innesco, è troppo tardi. Il mondo si trasforma
in una colonna di fuoco e nell'esplosione il suo corpo viene sbalzato
all'indietro dall'onda d'urto che la colpisce in pieno. Ha la prontezza di
riflessi di tenere a bada le fiamme, ma un detrito la colpisce in pieno viso,
distraendola.
Cade
e il resto è oblio.
-
*
Si
risveglia al suono del suo nome ripetuto insistentemente. Qualcuno la sta
chiamando e la voce è distorta, sembra provenire da molto lontano, come l'eco
di una trasmissione su una frequenza disturbata.
Batte
le palpebre e la prima cosa che vede - oltre la cortina di fumo che sta
progressivamente riempiendo il tunnel e sostituendo l'aria, oltre il blocco di
pietra che le è franato addosso e le impedisce di muoversi dalla vita in giù,
oltre la barriera di Forza che ha innalzato tra sé stessa e il fuoco in un
primordiale e innato istinto di autoconservazione - la prima cosa che vede è
lui. Lui. Ben Solo. Al suo capezzale
e ammantato dalla luce bluastra degli spiriti.
Sta
sognando. Deve per forza trattarsi di un sogno. Eppure… Sente le sue dita
flettersi contro la guancia, fredde e immateriali. La vista le si offusca mentre
viene a patti con la verità inconfutabile che no, malgrado tutto, non si tratta
affatto di un sogno. Non può esserlo per innumerevoli motivi. Primo tra tutti
il sangue che scende copioso dalla ferita sulla fronte e il fatto che lui non
la stia sfiorando. È una presenza tangibile, ma anche in un momento simile
rimane fuori dalla sua portata.
Batte
le palpebre, assaggiando sudore e sangue sulle labbra e Ben Solo non scompare.
"Sei reale?" Allunga una mano verso di lui prima di ricordarsi che
anche se è lì, non significa che possa raggiungerlo. È cambiato tutto e non è
cambiato nulla. La mano le ricade contro il fianco come un peso inutile, inerme.
Lo
vede deglutire, chiudere gli occhi come se lo avesse colpito.
"Rey..." sospira. Sembra sopraffatto esattamente quanto lei dalla
loro prossimità. Quando lui riapre gli occhi, Rey è ancora disorientata. Ben invece
sembra di nuovo padrone di sé, del proprio raziocinio. Perlustra l'ambiente, si
sofferma sullo scudo che tuttora le impedisce di essere schiacciata dai detriti
o di essere bruciata. Annuisce, un cenno appena percettibile. Ha deciso il
piano di azione da adottare, le prossime mosse.
"Riesci
a muoverti?" Il tono è brusco, pratico e non conserva nulla della
meraviglia reverenziale di poco prima.
"Credevo
che -" non sa neppure lei cosa credeva, di preciso. Lo ha visto scomparire
sotto i suoi occhi, diventare un tutt'uno con la Forza e non si è mai sentita
più indifesa, più smarrita che nel momento in cui ha capito di averlo perso e
che nulla, nessun tentativo sarebbe valso a riportarlo indietro. "Non ti
sei mai mostrato prima. Perché?"
"I
soccorsi stanno arrivando," Ben risponde come se non l'avesse sentita,
come se non fosse l'unico argomento degno di considerazione per lei, come se
così facendo tutte le domande nella sua testa potessero magicamente scomparire.
Aveva dimenticato quanto frustrante potesse essere avere a che fare con lui, il
desiderio contrastante di afferrarlo e scuoterlo o di baciarlo, non
necessariamente in quest'ordine. "È di primaria importanza che tu riesca a
liberarti. Insieme dovremmo riuscire a -" Ben la guarda e finalmente deve
rendersi conto del suo insolito mutismo. "Mi stai ascoltando?"
Rey
cerca di sollevarsi sui gomiti, ma il movimento repentino le provoca un
giramento di testa. Ricade all'indietro - la sua caduta attutita da Ben
attraverso la Forza -, fissando lo scudo e sentendo il mondo tremare sotto i
suoi piedi per ragioni totalmente differenti. Ben è una presenza traslucida e
silenziosa mentre abbassa il braccio, quasi volesse negare quello che ha appena
fatto. Non si avvicina e non si muove verso di lei, ma Rey non può fare a meno
di notare la rigidità del suo corpo e il leggero tremore che gli attraversa le
mani.
"Tutto
questo tempo," inizia e la sorpresa sta cedendo il passo a qualcosa di
devastante, qualcosa che viene fomentato dalla sua esitazione, "per tutti
questi anni ho creduto che tu - non capisco. Perché nascondersi?"
"Non
volevo questo per te, per noi."
Rey
aggrotta le sopracciglia. "Di cosa stai parlando?"
All'improvviso
Ben non è più una statua ai suoi piedi, ma una creatura di carne, sangue ed
emozioni. Sprigiona una tale furia che l'aria attorno a loro sfrigola, carica
di elettricità statica. Il modo in cui la sta guardando è terrificante, pieno
delle contraddizioni di cui è sempre stato detentore: preoccupazione e accusa,
rimpianto e senso di colpa. "Dove hai trascorso i primi cinque anni dopo
la mia morte?"
Trattiene
il fiato e di colpo è il primo anniversario della caduta dell’Imperatore. È di
nuovo su Tatooine, nella fattoria che è stata la sua casa per cinque anni,
totalmente concentrata sul proprio sconforto, instupidita dal dolore e dalla
ferita ancora aperta del legame reciso, al punto che la realtà che la circonda
diventa un incubo a occhi aperti. Nel suo letto, raggomitolata su sé stessa,
fissa imbambolata il muro per intere ore, giorni. È sorda, cieca. Il suo corpo
non le appartiene più. Le è avulso.
"Ecco,"
lui dice inesorabile, spietato. "Ecco perché."
Rey
ritrova la voce con difficoltà e quando parla, forse è appena più aspra del
necessario: "Non stava a te deciderlo."
"Ti
ho derubato di molte cose. Non potevo derubarti della possibilità di costruirti
un futuro senza di me."
"Credi
che ci sia riuscita?" Lo vede battere le palpebre velocemente e volgere
verso di lei uno sguardo che, sopra qualsiasi altra cosa, esprime incertezza.
"A costruirmi un futuro, intendo." Deve percepire l'indignazione e il
tradimento che la stanno facendo a pezzi. Il contrasto tra il tormento dentro
di lei e la pacatezza con cui ancora riesce a parlare sono la testimonianza del
tempo trascorso, della donna in cui è cresciuta. "Hai la minima idea di
come sia stato per me, di cosa significhi tutto questo? Quanto è stato duro
imparare a -" si blocca, a corto di ossigeno e di parole da scagliargli
contro. Non riesce neppure a guardarlo in faccia, a sopportarne la vista e non
è assurdo dopo che per anni è stata dilaniata dal desiderio opposto? Sognarlo e
svegliarsi piangendo per la paura di essere ad un passo dal dimenticare l’espressione
di tenerezza con cui l’ha guardata poco prima di morire, quel tocco possessivo contro
le labbra, quella morbidezza sotto le dita, la duttilità del suo sorriso.
"Ne
ho un'idea molto precisa. Ero con te ad ogni passo."
"No,
non c'eri!" Sta tremando, accecata dalla rabbia che si è vietata di
provare fino a quel momento. Odia il potere che esercita su di lei, come si
senta destabilizzata e fuori asse. "Hai scelto di non esserci! È per
punirmi perché sono sopravvissuta? Si tratta di questo?" E’ pressoché
impossibile, ma le sembra quasi che sia impallidito. E’ già pentita di quello
che ha detto, ma come ha potuto farle questo, fare questo a loro? Quindici
anni. Ha resistito quindici anni da sola, dilaniata dal rimorso, devastata dal
dolore e adesso lui è qui e le sta dicendo che per tutto il tempo, tutto il
dannato tempo, avrebbero potuto essere insieme, che non ha mai lasciato il suo
fianco. Come può non odiarlo? E come può non amarlo tanto più tenacemente,
disperatamente?
Tossisce
e quando scosta la mano dalla bocca non è sorpresa di trovarla macchiata di
sangue.
"Rey."
Il panico nella sua voce è reale quanto la vulnerabilità con cui la sta
guardando.
"Sto
morendo."
"No.
No. Devi ascoltarmi. Finn sta
arrivando. Devi rimanere cosciente."
È
stato un atto incredibilmente egoista. Eppure... lo è stato davvero in fin dei
conti? Non è stato esattamente il contrario? Era talmente afflitta
e in uno stato di prostrazione tale-
"Rey."
Si
sente così stanca. Deve lottare per mantenere gli occhi aperti. Dovrebbe
spostare i massi che le bloccano le gambe, ma ha perso troppo sangue. Tentare
non significherebbe solo fallire, comporterebbe morte certa. “Capisco perché
l'hai fatto,” mormora debolmente. “Non posso accettarlo, ma lo capisco.”
Nei
suoi occhi balena un lampo di sorpresa, combinato a qualcosa di indefinito,
qualcosa che assomiglia a rimorso. “Sei diventata saggia.”
Gli
rivolge l’ombra di un sorriso. Stranamente si sente in pace. Non vuole che le
ultime parole che si scambieranno siano di rabbia. Non vuole che sia questo
l’ultimo sentimento che proverà, soprattutto se è destinato a lui. “Tra i due
qualcuno doveva.”
Ben
si inginocchia di nuovo al suo fianco. Visto da vicino, non sembra trascorso neppure
un giorno dall’ultima volta che lo ha visto. Il tempo nel loro caso non è stato
clemente. Nel cambiamento di lei e nella perpetua inalterabilità di lui non fa
altro che accentuare la loro separazione, la differenza di esperienze a cui sono
stati sottoposti. Rey sa di essere diversa in modo sottile, inequivocabile.
Nuove rughe di espressione ai bordi degli occhi e della bocca, nuove cicatrici
e un carattere che spera sia meno impulsivo.
Dita
fantasma le scostano una ciocca di capelli dalla fronte e Rey sa che non sta
sta rabbrivendo per l’ipotermia. Sono più lunghi rispetto a quando lo ha
conosciuto, sciolti le arriverebbero ai fianchi.
Gli
occhi di Ben sono malinconici e carichi di affetto. “Mi piacciono.”
Lo speravo.
Quando
i soccorsi arrivano, Rey alterna brevi momenti di lucidità a lunghi momenti di
incoscienza. I volti preoccupati di Finn e Ben sono protesi sopra il suo ed
entrambi ripetono il suo nome quasi ininterrottamente per mantenerla sveglia.
Viene
trasportata all'esterno e c'è già un droide medico ad attenderla. In un barlume
di completa lucidità, Rey allunga una mano verso Ben. Sa cosa vuol dire, cosa
succederà una volta che sarà guarita e l'idea la sta uccidendo. (Se fosse in sé
noterebbe l'orrore di Finn, come il suo sguardo sgranato stia saettando da lei
a Ben. Noterebbe e ne trarrebbe le dovute conclusioni. Piccole stranezze, vezzi
che Finn non ha mai posseduto prima della fine della guerra. Gli sguardi persi
nel vuoto, il modo in cui a volte annuisca durante i Consigli, come se stesse
portando avanti una conversazione silenziosa con sé stesso. Ma è sempre stato
Ben. Ben non ha mai lasciato il suo fianco. Ha solo deciso di rendersi
invisibile. A lei, non a tutti gli altri.)
Sii con me,
pensa con tutte le sue forze e trasmette il messaggio attraverso il legame finché
è ancora aperto. Sii con me.
La
disperazione del suo desiderio si riflette e sembra amplificarsi negli
avvallamenti del suo viso perseguitato, nel conflitto che gli legge negli occhi
e oh, oh, quanto le è mancato. Imparare a convivere con lo squarcio nella sua
mente, reale quanto un'amputazione, a sopravvivere all'idea di una vita senza
di lui... è stata un'impresa ardua, sovrumana, irreale. Dopo quello niente è
più sembrato impossibile.
Non posso. Non ancora.
Non
è più in grado di riconoscere a chi appartenga questo dolore lancinante, di
affermare con assoluta certezza se sia di lui o di lei. La verità è che è di
entrambi.
Non è ancora il momento.
Quando lo sarà? Mi sei mancato. Mi manchi
ogni ora di ogni giorno. Ti amo.
Ben
Solo è sempre stato il figlio di suo padre. Gli occhi sono quelli di Leia
Organa, vibranti e appassionati, ma il sorriso sbilenco è quello di un
contrabbandiere sbruffone.
Lo so.
-
*
È un
giorno come un altro. I soli sono tramontati da un pezzo e lo scorcio di cielo
che riesce a osservare dalla sedia su cui è seduta è buio come solo l'oscurità
sa essere. Dal retro della casa le arrivano il chiacchiericcio di BB-8 e Neja.
Sono rumori familiari quanto lo è diventato il silenzio fragoroso nella sua
testa.
Sembra
essere una maledizione in questa famiglia: perdere una parte di sé. È il prezzo
da pagare per scoprire la verità su se stessi.
Neja
sta brontolando mentre lavora sul motore del suo speeder e BB-8 interviene con suggerimenti
che Neja fingerà di non prendere in considerazione per poi seguirli alla
lettera. È un'immagine che conosce così bene che riesce quasi a vederli. Neja,
con i capelli che sembrano oro colato e che le piace legare con strisce di
tessuto dai colori vibranti, la testa china sul compartimento, la fronte
aggrottata e sporca di olio, le dita affusolate che si muovono veloci tra i
fili. BB-8 che fa avanti e indietro, girandole attorno.
L'ultima
tra i suoi apprendisti è una forza della natura, istintiva e appassionata. Non
è sempre stata così. Ricorda una bambina intraprendente e introversa, con occhi
intelligenti in un viso serio e appuntito. Ricorda, come la prima volta che
l'ha scoperta, dopo aver tracciato la scia del suo potere nei vicoli di una
città decadente ai confini dell’Orlo Esterno, il suo primo pensiero sia stato di
nostalgia per un altro bambino, uno che ha sognato per metà della sua vita e
non è mai nato, ma sarebbe potuto se solo lui -
Le
voci si affievoliscono e l'ultimo calore del giorno sembra scomparire di
colpo. E’ quasi ora di cena. Rey si raddrizza e il dolore arriva,
travolgendola. Cerca l'appiglio del mobile più vicino e piano, con ostinazione,
conta i battiti del proprio cuore in tumulto.
È
allora che lo vede. In piedi nell'angolo della stanza, circondato da un alone
che non è quello blu lapislazzuli degli altri fantasmi, ma ha il colore
metallico delle stelle e del Falcon.
È lo
stesso eppure, quando i loro sguardi si incrociano, nuove rughe compaiono ad
appesantirgli il viso - gemelle delle
sue -, una luce diversa gli trasfigura lo sguardo, rendendolo gentile come mai
le è parso prima di quel momento.
Al
confine tra i mondi, tra il mutevole e l'immutevole, il tempo si contrae nello
spazio che li separa, impossibile da sormontare e allo stesso tempo poco più di
un sospiro.
Perché
lui è lì e la sola vista del suo profilo regale basta a cancellare parte degli
spasmi al petto, il riverbero di una fitta che non è cominciata pochi istanti
prima, ma il giorno in cui l’ha perso.
“Sei
qui.”
“Non
sono mai andato via.”
È il momento?
Solo se tu vuoi che lo sia.
Rey
si guarda attorno, la casa che si è costruita su questo pianeta di alberi e
laghi, riposo e solitudine. E’ un ambiente accogliente, confortevole, adatto
alle esigenze di una persona sola. Sul tavolo c’è la ciotola con la frutta fresca
che ha comprato il giorno prima e la stanza degli ospiti è raramente vuota. C’è
sempre qualcuno che viene a trovarla, amici o vecchi allievi o la sua famiglia.
Ci sono ancora questioni in sospeso, problemi irrisolti. Lei è pronta ad
andare, ma non sa se il resto dell’universo è pronto a lasciarla andare.
Aspetterebbe
ancora se lei scegliesse di rimanere? Tempo preso in prestito. Tempo rubato.
Deglutisce.
“Lo faresti davvero?” Lo vede sorridere, quel suo sorriso asimmetrico che gli
riempie l’intero volto. Conosce la risposta.
Con
difficoltà,
ma lo farebbe, accetterebbe la sua decisione. Non c'è niente che non farebbe se
lei glielo chiedesse.
“Ho
aspettato cinquant'anni,” lui afferma e scrolla le spalle. “Cosa sono dieci o
cento di più?”
Il
suo cuore perde un battito e questa volta è un dolore piacevole.
“Sono
pronta.”
-
*
Si
guarda indietro e il suo corpo è lì, seduto nella sua poltrona preferita,
avvolto nello scialle che è stato un regalo di Rose. Il suo volto, segnato
dalle intemperie, dagli anni, dalle battaglie, è placido. Sembra che stia
dormendo.
Rey
lo osserva un’ultima volta, sentendo montare dentro di lei un sentimento che
non riconosce, qualcosa che non è rimpianto, non è malinconia, non è tristezza.
E’ solo un profondo senso di compiutezza. Sapere che è davvero finito. Il suo
viaggio, la sua vita, ogni promessa che ha fatto, ogni obbligo. Lo vede
scomparire e si sente trasportare, richiamata dalla Forza in un posto che è
lontano anni luce e allo stesso tempo incredibilmente vicino.
“Rey.”
Si
volta e lui è lì. Bello e così vicino da spezzarle il cuore per la speranza. Le
tende le mani e quando di rimando lei gli tende le sue, timorosa che lo
attraverseranno e tutto questo sarà soltanto un sogno, si rivelerà l’ennesima
illusione, le sue dita si scontrano contro pelle morbida, ossa forti,
polpastrelli ruvidi, palmi callosi.
Rey
sospira, rilasciando un respiro che non si era accorta di aver trattenuto,
sollevando gli occhi dalle loro mani intrecciate e fissandoli sul volto giovane
di Ben Solo.
“Ben,”
dice e questa volta è lui a protendersi in avanti per baciarla.
-
*
"Lo
so, BB-8. È quello che avrebbe voluto."
Lo
sa e allo stesso tempo non può non provare sconforto all’idea di aver perso la
sua Maestra, la donna che è stata per lei una madre e una sorella, che dal
momento in cui l’ha conosciuta ha rappresentato tutto ciò che avrebbe voluto
essere.
Neja
si asciuga le guance e sfiora un’ultima volta i vestiti ripiegati con cura sul
letto. Li ha trovati sulla poltrona – dopo essere accorsa per aver percepito un
disturbo nella Forza, la traccia distintiva di Rey che diventava indeterminata
e fioca - e ha capito subito cosa fosse successo.
Ci
sarà un funerale e probabilmente una cerimonia commemorativa. Ci sono così
tante questioni in sospeso e problemi che adesso, senza la sua guida, le
sembrano irrisolvibili.
Non sei sola, Jerneja. Un
sussurro nella sua mente, una carezza contro la guancia leggera come una brezza
di vento. Ha un groppo alla gola. Ovunque
andrò, sarò sempre con te.
-
*
Contro l'orizzonte del cielo che sta albeggiando si stagliano due figure, quella di un uomo e di una donna, uno accanto all'altra, le mani intrecciate e le teste accostate come se si stessero confidando segreti. Sembrano giovani e felici e quando la donna si alza sulle punte e poggia le mani ai lati del viso dell'uomo, lui che è tanto più alto di lei si protende in avanti e sembra volerla inglobare nel suo essere. Ridono spensierati ed è quel suono, sotto il cielo trapuntato dalle ultime stelle e dalle prime luci dell'alba, che Neja non dimenticherà mai. Non la leggenda. Non la storia come è stata tramandata. Non la tragedia. Solo un abbraccio scambiato alla fine del tempo, nel confine tra i mondi, mentre la Forza canta attorno a loro, sanando un legame di nuovo integro, profondo e complesso come la vita stessa.
N/a:
Spero
che questo tentativo non sia un completo fallimento. Non pubblico in italiano
da una vita – o così mi pare XD – perciò se doveste notare orrori grammaticali, vi
prego di farmelo notare!
Che
dire tranne che, nonostante abbia visto il film due volte, non sia riuscita
tuttora a capire se mi sia piaciuto o meno? Ho sentimenti contrastanti al
riguardo e molti headcanon. Il mio preferito è che il dolore di Rey, subito la
morte di Ben, sia “attutito” dalla certezza che lo rivedrà. Nessuno ha notato
il sospiro, come di sollievo, che esala dopo che lo vede scomparire per
diventare un tutt’uno con la Forza? Rey sa che lo rivedrà e questa consapevolezza
le permette di non lasciarsi andare completamente alla disperazione. Stando
così le cose, allora, perché Ben non compare insieme a Leia e Luke su Tatooine?
La risposta, per quanto improbabile, è che sia lui a non volerlo.
Qual
è il vostro pensiero? Avete già sfornato teorie? Oltre l’inconcepibile crimine
che è stato uccidere l’unico personaggio di spessore e privarci del tanto
sospirato lieto fine, cosa ve ne è parso del film? Riuscite ad immaginare Rey
che vive da sola, circondata dai Fantasmi della Forza, che medita con Maestro
Qui-Gon e Maestro Yoda, si allena con Ahsoka Tano, ripara vecchi droidi con
Anakin Skywalker parlando dei rispettivi tragici amori?