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Autore: Ofeliet    14/02/2020    2 recensioni
Venezia ricordava vagamente quel fratello incagliato nella penisola, sotto le amorevoli cure di un impero ormai morto. Lui non era mai incorso nell’amore del grande Impero Romano, e nemmeno in quello che poi l’aveva succeduto, cosa di cui poteva invece vantarsi Napoli, amato fin dalla sua nascita e trattato come unico vero erede di tutta quella ricchezza che ormai stava svanendo e marcendo in giro per il mondo. Napoli sembrava essere nato per essere amato da imperi, che si trattasse della loro famiglia o di stranieri.
{ Risorgimento italiano | accenni holytalia e spamano }
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per mughetto nella neve per il superamento di un esame.
Mi era stato chiesto tutt'altro prompt, ma alla fine l'ispirazione mi ha scagliato verso lidi ben diversi da quelli di partenza, e sono stata abbastanza soddisfatta del risultato finale che ho deciso di pubblicarla nonostante la tematica inusuale.
Qualche precisazione, Italia e Romano in questa storia sono riferiti come "Venezia" e "Napoli", nazioni che rappresentavano prima del risorgimento italiano (in quanto vivo della headcanon che siano in effetti gli unici due "superstiti" del processo di unificazione) e spero non sia troppo di confusione. Inoltre ho fuso in questa storia un'altra mia headcanon, ovvero sul perché il cognome umano dei due fratelli sia così spagnoleggiante. Lo scoprirete andando avanti nella lettura.
Cronologicamente inoltre la storia è ambientata nell'autunno del 1860, non ho voluto dare una datazione precisa per via della mia conoscenza parziale degli eventi e del poco tempo per documentarmi.





Da quando Venezia era stato introdotto al Palazzo Reale si era reso subito conto del cambio dell’atmosfera.
Napoli, fuori dalle mura del palazzo, festeggiava. Venezia poteva sentire le sue urla di gioia, quelle di festa, quelle di un popolo che non vedeva l’ora di essere una cosa unica. Durante tutta quella guerra, aveva pensato che per Napoli fosse la stessa cosa.
Gli altri fratelli erano entusiasti, volevano vivere insieme, o almeno così dicevano. La realtà al nord era ben chiara, da soli erano deboli, uniti sarebbero stati molto più forti. Nessuno si biasimava per un simile scopo egoistico, tanto meno Venezia stesso che era stato inizialmente restio a partecipare a tutto ciò ed era stato più trascinato dentro con Lombardia che per reale accettazione.
Napoli, invece, sembrava più opposto a una simile scelta.
Venezia ricordava vagamente quel fratello incagliato nella penisola, sotto le amorevoli cure di un impero ormai morto. Lui non era mai incorso nell’amore del grande Impero Romano, e nemmeno in quello che poi l’aveva succeduto, cosa di cui poteva invece vantarsi Napoli, amato fin dalla sua nascita e trattato come unico vero erede di tutta quella ricchezza che ormai stava svanendo e marcendo in giro per il mondo. Napoli sembrava essere nato per essere amato da imperi, che si trattasse della loro famiglia o di stranieri. Chiunque venisse a contatto con Napoli sembrava amarlo così naturalmente da fargli quasi spavento, e nei secoli Venezia aveva nutrito curiosità per quel fratello che nell’antichità si era adoperato per sopprimere per poter dominare quel mare che aveva considerato suo, unica eredità su cui era stato in grado di mettere la mano e restio a lasciarsi strappare via.
Ora invece erano di nuovo una famiglia.
Venezia era curioso di quel fratello, ma Napoli continuava a nascondersi nel Palazzo Reale, rifiutava di ricevere alcuno, e si rifiutava persino di mettere piede fuori per qualsiasi ragione. Venezia aveva scritto a Piemonte a riguardo, e questi aveva risposto in maniera sbrigativa, probabilmente con parole di Cavour più che sue, di attendere ancora, di avere ancora un po’ di pazienza, e poi di costringere Napoli a uscire ed accettare la realtà dei fatti.
Venezia non era troppo sicuro di una simile risoluzione, e anzi si chiedeva quando si sarebbe parlato di riprendere il Veneto dagli austriaci, ma alla fine aveva messo in sospeso la stesura della lettera per focalizzarsi su come far uscire Napoli dal suo stesso isolamento. Non sarebbe stato facile, anzi, aveva l’impressione di un’impresa impossibile.
Aveva parlato con uno dei servitori diretti del regno.
Questi non aveva prospettive troppo lucenti, e nemmeno parole troppo buone per il padrone che serviva. Napoli era chiamato “malerba” da chi lo seguiva, anche se probabilmente non di persona. Aveva liquidato il servitore, cercando di decidere se tenerlo oppure se sbarazzarsene alla prima occasione. Di certo possedeva informazioni di cui aveva bisogno, ma non era sicuro che gli fossero di alcuna utilità ormai.
La sera, però, aveva comunque deciso di sostituirsi a lui, prendendo il vassoio con la cena e infilandosi direttamente dalla porta principale. Le stanze private di Napoli erano certo scelte con cura tra le più belle del palazzo, spesso riservate a figure importanti, quale Napoli in effetti era. Venezia non aveva frequentato luoghi simili come nazione libera da secoli, ormai. Il palazzo napoletano, comunque, non aveva niente di austriaco. Era squisitamente influenzato da altre corti, altre idee e altre architetture. Venezia non era cieco, era perfettamente in grado di vedere di chi fosse la vera influenza sul regno di Napoli.
« Chi sei tu? » l’improvvisa voce lo coglie di sorpresa, il piatto che tiene in mano vacilla un poco. Quello di fronte a lui era Napoli. Se per secoli uno dei suoi fratelli maggiori era una figura sfocata, ora Venezia aveva di fronte Napoli nella sua forma concreta.
Non si sbagliava a pensare che in effetti Napoli fosse il più bello tra di loro, e dire che nel nord di fratelli con cui paragonarlo ne aveva tanti. Nonostante la sua nobiltà la sua pelle era piacevolmente scura, non come quella di un contadino, ma di un incarnato quasi esotico che accompagnava i capelli scuri e gli occhi, un misto curioso tra verde e marrone.
« Che strano. » mormora, battendo le ciglia.
« Cosa? » borbotta l’altro, improvvisamente distratto da quella figura sconosciuta nel suo luogo più privato.
« Nei tuoi quadri hai sempre gli occhi verdi. » dice, appoggiando quindi il piatto, cercando di evitare la caduta.
« Ce li ho verdi. » replica Napoli.
« A me sembrano marroni. » controbatte Venezia, e vede il pallore farsi strada sulle gote di Napoli, che si affretta a cercare uno specchio. Venezia lo osserva specchiarsi in silenzio, come se trovasse qualcosa di sgradevole nel suo viso, portandosi le mani ad esso. Napoli trema, e all’improvviso si gira, dando le spalle allo specchio. « Non te n’eri accorto? » chiede quindi Venezia, sorridendo.
Un errore che poteva evitare di fare, ma parlare senza che gli fosse consentito era una qualità che nemmeno la casa austriaca era riuscita a sopprimere. Napoli infatti si rende nuovamente conto della sua presenza nella stanza, lo vede chiaramente tremare. Non era una reazione normale, anche se faticava a coglierne le motivazioni.
« Vattene. » sibila improvvisamente. « Vattene! » strilla, più forte.
Era un qualcosa che però non spaventava Venezia come avrebbe dovuto, infatti questi piega la testa leggermente di lato, per far intendere di non essere stato minimamente intimidito da un simile atteggiamento. Napoli lo guarda e lo comprende subito.
Forse finalmente si era reso conto con chi aveva a che fare.
« Chi sei tu? » Venezia esita, non sapendo come rispondere. In quel ventennio aveva dato una decina di nomi, tutti diversi, tanto che iniziava a divertirsi per trovarne sempre di più fantasiosi. A questo giro sceglie probabilmente quello più sciocco che gli era venuto in mente.
« Feliciano Scarpa. » Napoli inarca un sopracciglio, non sembra molto convinto.
« Il tuo vero nome. Sei uno dei lacchè di Piemonte? Me lo ricordo, non gli assomigli più di tanto. » Napoli fa una pausa, massaggiandosi una tempia. « Oppure sei uno dei cari nipoti dello stato pontificio? »
« Sono Venezia. »
« Ah. » la reazione di Napoli è delusa. « Pensavo che mandassero qualcuno di importante, per me. Non uno dei cani austriaci. »
« Sono italiano tanto quant- »
« No, non lo sei. Non assomigli molto a me. O a Firenze, se proprio dobbiamo fare paragoni. » Venezia stringe le labbra, ma cerca di mantenere la sua compostezza. Lui era La Serenissima, doveva atteggiarsi come tale, come aveva sempre fatto. Non sarebbe certo stata una nazione di radici più illustri ad oscurare la sua tempra.
« Sì, questo è l’aspetto di una nazione che è cresciuta senza le sottane di imperi a cui aggrapparsi. » Napoli sgrana gli occhi, probabilmente punto sul vivo. Non era una buona mossa, ma di certo Venezia non avrebbe abbassato la propria stima per farli usare all’altro come gradini. Napoli apre bocca un paio di volte, probabilmente cerca di trovare una risposta ma non riesce ad articolarla, facendo intendere a Venezia di aver vinto quello scontro.
« Il tuo cognome comunque è orribile. » dice finalmente, facendo intendere come si stesse ritirando in maniera strategica. Venezia inarca un sopracciglio.
« È il cognome che io ho scelto per me, quando- »
« Prenderete tutti il mio cognome. » Venezia mi morde la lingua, detestando come Napoli non avesse alcun rimorso ad interromperlo o a essere diplomatico con lui. Forse in quello stava la differenza tra di loro, tra un viziato e uno che aveva sempre fatto tutto da solo. Tutta la nobiltà di Napoli terminava lì, il suo comportamento era maleducato e probabilmente incoraggiato dall’antica influenza spagnola. Venezia si impone la calma, la serenità, desideroso di terminare quel colloquio al più presto.
« Non penso Piemonte accetterà. » replica lapidario.
« Lo farà se vuole l’amore del mio popolo. »
Una simile replica colpisce Venezia. Napoli non era stupido, sembrava sapere cosa aveva a disposizione da barattare per la sua posizione. È una rivelazione che lo colpisce in positivo.
Napoli era un connubio di vizio e illuminazione, una combinazione rara in una terra di nazioni ambiziose e aggressive. Di certo non poteva aver preso dall’antico impero simile attitudine, o forse sì. Lui non ne aveva memoria, ma fratelli della pianura avevano spesso solo parole gentili per l’anziano impero, cosa che Venezia continuava a non condividere ma a cui sorrideva e annuiva, fingendo di comprendere ciò a cui si stavano riferendo.
« Non penso gli serva a molto. »
« Se non gli servisse, dubito si ostinerebbe a tenerti con sé. »
« Che intendi dire? »
« Sento le voci sul come desideriate strappare il Veneto all’Austria, state solo aspettando di trovare l’alleato giusto. »
« Acuta osservazione, e io che pensavo fosse una corte di artisti e illuminati. » Napoli si appoggia a un mobiletto, sembra improvvisamente stanco.
« Voglio cenare. » dice, voltandogli le spalle e spingendosi verso una stanza interna. « Fammi compagnia. »
Venezia lo guarda sparire dietro la porta e tentenna.
Un confronto simile non gli era piaciuto, in realtà desiderava girarsi a sua volta e abbandonare quel luogo, insieme a Napoli, tornare al nord, pensare a come riprendere la sua città, la sua terra, la sua gente. Venezia sentiva la loro sofferenza, il loro desiderio di unirsi agli altri sotto un’unica bandiera sotto la pelle. Non aveva idea di cosa stesse facendo lì, nel sud, sotto ordine di Piemonte, che più che un fratello sembrava solo un altro dominatore sulla sua testa.
Eppure, nonostante tutto, Venezia prende quel piatto inizialmente abbandonato e segue la scia lasciata dall’altro, in silenzio.
La camera in cui entra è persino più lussuosa della precedente, gli ricordava un po’ la propria quando era una repubblica, una ricca e indipendente che spadroneggiava su qualsiasi avversario, che aveva piegato persino un impero pur di non farsi conquistare. Non godeva di un simile lusso da un bel po’ di tempo.
Con calma appoggia quindi il piatto di fronte a Napoli, sedendosi quindi di fronte a lui, in attesa. Questi osserva il suo piatto, prende le posate che accompagnano la portata, e mettendole a lato lo allunga verso di lui.
« Mangia. »
« No grazie. » Napoli non risponde, assottiglia lo sguardo, e Venezia lo ricambia, per niente intimidito. Il silenzio continua per un po’.
« Non capisco perché tu mi abbia chiesto di rimanere se non hai intenzione di parlarmi. » dice allora, e Napoli non alza gli occhi dal suo piatto, continuando a mangiarlo senza prestargli attenzione. Era un comportamento che stava iniziando a dare al suo stomaco dal fastidio, tanto che pondera l’idea di alzarsi e andarsene senza dare alcuna spiegazione.
« Sto cercando di capire perché Piemonte ha mandato te. »
Nuovamente silenzio. « Non hai più un’importanza strategica, anzi, tutto ciò che è tuo è ancora in mano agli Asburgo. »
La cosa irritante di Napoli era che poneva le stesse domande che si era fatto lui, anche se non l’avrebbe ammesso ad alta voce e soprattutto non in simile sede.
« Probabilmente contava sul mio bell’aspetto. » risponde allora, sorridendogli. Napoli inarca un sopracciglio, ma non sembra avere altro da aggiungere.
« Perché siete così ostinati nel volere anche me sotto la giurisdizione di Piemonte? » chiede all’improvviso, prendendo Venezia in contropiede.
« Non- »
« Sappiamo entrambi che è così. »
« Allora saprai anche quanto siamo deboli se non ci uniamo. » finalmente il segreto di pulcinella era all’aperto, finalmente lui l’aveva detto. « Non abbiamo avuto alcuna possibilità contro Francia, tanto per citarne uno. » Napoli storce la bocca, probabilmente ricordando qualcosa di sgradevole. Probabilmente le voci in cui era stato definito barbaro dalla bocca dello stesso Francia avevano un fondamento. « Diventare una famiglia è l’unica soluzione valida, per adesso. »
« Io ho avuto una famiglia. » risponde quindi Napoli. « Di recente ho anche sposato Sicilia, anche se è un matrimonio durato poco. » fa una pausa, come se ricordasse qualcosa di ancora più sgradevole. « E posso dire di averli seppelliti tutti. »
« Curioso che tu stia dando Spagna per morto. »
Venezia sapeva di toccare un tasto particolarmente dolente in Napoli, e in fondo a nessuno nel Mediterraneo era sfuggita la devozione che la nazione iberica provava per quel regno, di quella miriade di quadri commissionati, vestiti in cui lo viziava, di come si toglieva il pane di bocca per poterlo nutrire e tenerlo semplicemente sulle sue ginocchia. Era un attaccamento che aveva incuriosito un po’ tutti, della cui natura un po’ tutti avevano speculato ma su cui nessuno aveva osato fare domande.
In Venezia aveva scatenato una sorda gelosia. Napoli continuava a essere amato, tanto da fargli chiedere ciclicamente cosa avesse più di lui. Certo era stato amato a sua volta, ma il suo amato aveva infranto promesse che probabilmente non era stato in grado di mantenere fin dal principio, lasciandogli solo amaro in bocca.
Forse era dopo simile evento che Venezia aveva finalmente compreso il suo bisogno di essere amato, un bisogno che aveva sopperito maltrattando i suoi vicini e primeggiando su quelli che non poteva maltrattare, ma non aveva mai goduto dell’amore che invece sembrava essere destinato solo a Napoli. « Oppure lo consideri ugualmente morto? »
Napoli stringe le labbra, sembra mortalmente offeso da simili insinuazioni.
« Non ti azzardare a- »
« A dire la verità? Non sto mentendo, le notizie di Spagna sembrano tutt’altro che buone. » quella sensazione di supremazia sull’altro stava iniziando a piacergli, anche se Napoli era nel suo territorio, nel suo posto, nelle sue stanze, Venezia stava riuscendo a metterlo alle strette.
Non doveva farlo, non era quello il modo migliore per conquistare la sua fiducia, eppure non riusciva a fermarsi.
Napoli si irrigidisce sulla sedia, muove febbrilmente gli occhi. La sua reazione era tutt’altro da quella di una nazione liberata da un dominatore straniero.
Ed è lì che la realizzazione lo colpisce.
Napoli amava Spagna.
È una rivelazione che lo spinge a boccheggiare, salvo controllarsi poi. Certamente Napoli odiava Francia tanto quanto loro, se non di più forse, ma amava Spagna probabilmente di più. Non era una cosa buona, amare una nazione straniera non si rivelava mai qualcosa di positivo nella vita di nazioni come loro. Improvvisamente Napoli gli fa pena, quasi tenerezza, spogliato di quell’alterigia che lo aveva caratterizzato fino a quel momento.
« Faresti bene a dimenticarlo adesso. » dice quindi. « È meglio se lo fai adesso, invece di essere costretto a farlo quando non ci sarà più. » Napoli sembra riscuotersi dal suo torpore, il suo viso diventa più rigido.
« Cosa intendi? »
« Che ora sei parte del regno d’Italia, Napoli. Siamo una famiglia e ti sto dando un consiglio fraterno. »
« Non ne ho bisogno. »
« D’accordo, se preferisci vederla in questa maniera puoi anche non ascoltarmi. Ma io te lo dirò lo stesso, perché voglio essere onesto. Amare uno straniero non va bene, soprattutto se è uno straniero che ti ha dominato. »
Napoli di fronte a lui è livido, ancora più di prima. Venezia vorrebbe che avesse abbastanza buon senso per comprendere che non aveva alcuna intenzione di nuocergli, ma non ci sperava più. Il ritratto che aveva di Napoli stava lentamente venendo consumato dalla figura che aveva di fronte, diventando quasi una rappresentazione certamente più vera ma altrettanto grottesca della sua vera immagine.
« Che cosa ne puoi sapere tu? Non sai quello che- che quello che io- » Napoli si era alzato in piedi, si era messo a camminare furiosamente avanti e indietro. Sembrava mortalmente offeso dalle sue parole, più di quanto Venezia potesse immaginare. Era quindi quello fin dove arrivava l’amore tra le nazioni?
Era uno spettacolo ridicolo, ma del quale Venezia si sentiva particolarmente geloso. Quando una cosa simile era stata detta a lui era stato costretto a sorridere, a buttare giù tutto con un atteggiamento più positivo, a non mostrare quanto simili parole fossero come coltelli nella sua gola. Napoli invece poteva comportarsi così, incurante e spontaneo intorno alle persone che lo circondavano. Gli faceva paura, gli faceva persino ribrezzo. Aveva speso secoli ad immaginare quel fratello che si era rivelato solo una pallida persona rispetto alla sua fantasia.
Il pensiero che probabilmente l’annessione sarebbe stata difficile lo coglie subito dopo. Piemonte non sarebbe stato contento, quei sentimenti che Napoli provava per l’ormai andato impero spagnolo erano più un problema che una benedizione. Napoli non avrebbe avuto altri nel cuore per un bel po’, quella era una cosa che Venezia aveva compreso sul momento. Non poteva negare di essere nella sua stessa situazione, e per un breve momento si sente quasi affine a Napoli, così diverso ma improvvisamente uguale in maniera terribile.
« Hai altro da aggiungere? » gli chiede, alzandosi quindi dalla sedia. Napoli lo guarda, ma non gli risponde. « Bene, allora ti lascio alla tua cena. »
Venezia esce dalla stanza, chiudendosi la porta dietro le spalle e passandosi le mani tra i capelli. Forse era per quello che l’avevano mandato lì, invece di altri. Venezia all’improvviso si sente nudo, osservato e giudicato, come se i suoi sentimenti fossero scritti sulla sua pelle e visibili a tutti. Chissà se Napoli si sentiva così.
No, Napoli non sembrava provare alcuna vergogna per ciò che sentiva. Lui amava Spagna, forse più di quanto lui avesse amato Sacro Romano Impero. Non lo nascondeva, anzi, sembrava non vedere l’ora di urlarlo al mondo intero. Non era buono, non ne sarebbe uscito niente di buono da una situazione del genere. Se si era brevemente illuso riguardo alla situazione, sul come potesse andare d’accordo almeno con quel fratello così lontano e così ideale nella sua mente, ora la realizzazione lo colpisce con ancora più forza, facendolo quasi boccheggiare dal dolore.
Napoli non era il fratello che pensava. Napoli era un fratello che non lo avrebbe mai amato, così come non avrebbe mai amato alcuno al di fuori di Spagna.

   
 
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