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Autore: Infected Heart    15/03/2020    2 recensioni
Capitolo finale della serie "Ti Chiamerò Hanami".
Decisioni da prendere e un futuro incerto, ma due cuori più vicini che mai. Cherry ed Hanami sono ad un bivio: che strada sceglieranno?
I capitoli precedenti li trovate sul mio profilo.
Buona lettura.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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HANAMI POV


Domani partirà, e già lo so: ci ritroveremo entrambe con segni tangibili sul corpo e un vuoto cosmico, costellato da soli “what if?”
Non so cosa fare, né cosa dire, mentre mi perdo nei suoi occhi chiari che brillano nel Sole.
Sole di entusiasmo, mentre mi racconta della neve sulle sue montagne; luccichio di commozione, quando cerca di parlarmi della sua micia, morta di ictus qualche anno prima. Radiosità nel suo sorriso, mentre decanta le lodi del suo mentore, arrangiatore e amatissimo insegnante di conservatorio.


Più la osservo, e più sprofondo nella mia stessa tristezza, se penso a come sia ingiusto che un sentimento così intenso e puro debba andare disperso, senza essere mai vissuto pienamente.
Mi piace tutto di lei: dalla sua risata scomposta, alla sua voce dal volume sempre troppo forte, al modo in cui mi guarda come se mi leggesse nel pensiero. Persino il modo in cui beve il caffè al ginseng (mangiando rigorosamente prima la schiuma) mi affascina a tal punto che le sue labbra sono una calamita, mentre lambisce il cucchiaino con gusto e passa la lingua ad accarezzarne i bordi.


-Se penso che da domani non potrò più baciarti, mi manca l’aria.- la interrompo bruscamente, senza nemmeno rendermene conto, e lei inclina il capo, sfiorandomi teneramente con lo sguardo. Spreme quelle stesse labbra in un sorriso spiacente e serrato, poi le schiude per parlare, incerta.


-Ne abbiamo già parlato… Era… è inevitabile. Non possiamo sconvolgere le nostre vite.-


-Io l’ho già fatto.-


Le mostro il dato di fatto, testimoniato dall’anello mancante al mio anulare sinistro. Quell’anello che Alessia mi aveva regalato per il nostro primo anno insieme giusto un mese prima. E che io ho restituito al mittente appena ho capito che l’amore è un colpo di fulmine.
Sarò folle, visionaria, egoista… ma qualcuno una volta mi ha detto che l’Amore, quello vero, è qualcosa che cambia completamente il tuo modo di osservare il mondo. Un’entità invisibile di una forza incommensurabile, che distrugge la vita come la conoscevi fino a quel momento, per disegnare una nuova realtà piena di prospettive a cui non avevi mai pensato prima.
E io ci credo, ora più che mai.


-Cosa significa?- mi chiede, perplessa e schernita.


Stringo le sopracciglia, quasi fino a farmi venire mal di testa. Il suo tono aspro mi indispone e mi ferisce, ma incasso il colpo e proseguo, secca:


-Significa che ho lasciato definitivamente Alessia. Non posso continuare a stare con una persona se io sono da tutt’altra parte.-


-Tu sei pazza.- Scuote la testa, in segno di disapprovazione.


-Lo so, e te lo ripeto per l’ennesima volta in questi giorni: non mi importa.-


Annega gli occhi nel mare alla sua destra, ignorando completamente le mie parole. Ormai l’ho capito, è un meccanismo di difesa in cui si rifugia ogni volta in cui non è pronta ad affrontare la paura.
Io però mi sto arrabbiando: perché si ostina a non ascoltare? Non vede che le sto offrendo il mio cuore?
Lo dico un’altra volta anche a me stessa: non mi importa se non ci vuole credere. Ci credo io abbastanza per tutte e due. Almeno per adesso, che abbiamo ancora tutto da giocarci.
Anche se le carte non sono le migliori del mazzo.
Io ho preso una decisione e con questa andrò fino in fondo.
Costi quel che costi, le mostrerò la portata di ciò che abbiamo di fronte.
Qualcosa di così immenso da superare l’orizzonte.
Approfitto del momento di distrazione e le rubo un bacio.
Un bacio che sa di disperazione e passione.
Un bacio che lei afferra e poi rifiuta, in maniera quasi furiosa.


-Dimmi il tuo nome.- quasi le ordino, con voce ferma.


-No.-


Le mie labbra di nuovo sulle sue, supplicanti, e ‘stavolta siamo entrambe senza fiato. Ora una lacrima trema, sull’orlo delle sue guance color del tramonto.


-Dimmi il tuo nome.- le domando, un’altra volta, con più convinzione.
Mi scappa da ridere, mentre mi tiene a distanza con le braccia tese e al contempo mi morde le labbra, stringendo la mia camicia fino quasi a strapparla.


Ci stacchiamo all’improvviso, e questa volta è lei a parlare.


-Non mi fido.-


La bacio di nuovo, ma sulla fronte, e lì mi fermo.
La abbraccio, cercando di far scorrere la mia energia, per connettermi con la sua.


-Ora?-


-Non mi fido.-


-Cosa posso fare ancora per dirti che ho scelto te?-


-E se mi tradisci come hai tradito lei?-


-E se invece sei tu che non mi vuoi?-


Ho un contraccolpo quando, con una mossa veloce, mi intrappola la gamba tra la sedia e il suo polpaccio.
Mi rivolge uno sguardo di sfida, di quelli che si dedicano agli acerrimi nemici, e per una frazione di secondo ho paura. Ho paura davvero.
Resto pietrificata, mentre con le unghie lei mi arpiona la carne del polso, bloccandomi al tavolo.


Silenzio.
Ho capito.


Dio, è così facile la comunicazione tra di noi, che nemmeno mi stupisco, mentre senza dire nulla, le faccio un leggero cenno col capo e le prendo la mano.
I panni sporchi non si lavano in pubblico. Certe parole non vengono declamate ad alta voce. E certi atti non vengono performati davanti ad una platea.
A meno che non sia vuota.
E io so esattamente dove andare mentre, dell’alto, un pittore dipinge il cielo con arance rosso sangue.


Dal porto, la guido verso il centro, e scansiamo veloci i passanti, incuranti di tutto ciò che c’è attorno a noi.
Ho fretta, abbiamo fretta, e hanno fretta anche i nostri baci, che scappano, tra un passo e l’altro.


-Ora chiudi gli occhi.- le intimo, mentre cingo le sue spalle tese e faccio scorrere i pollici su di esse, in un lieve massaggio.


Sento il suo petto sollevarsi, mentre si affida a me, e obbedisce.
Mi assicuro che non sbirci, mentre dalla borsa prendo delle grandi chiavi di ferro vecchio e pesanti.
Chiavi di cui ho la responsabilità, soprattutto stasera, che le uso in modo illecito.
Apro con circospezione il grandissimo portone di vecchio noce, ed entriamo, mentre lo scricchiolio rimbomba nella pietra delle stanze.
Posiziono la mia piccola Cherry proprio al centro, e poi mi raccomando:


-Non muoverti di qui. Torno subito. Non fare nulla finché non te lo dico.-


Non so se fidarmi o meno della sua promessa, ma mi precipito ad accendere le luci.
I lampadari di cristallo sfarfallano, e il rosso dei drappi prende vita, insieme a tutto il teatro Piccinni che si dischiude di fronte allo sguardo incantato di Cherry, che muove le labbra senza che riesca ad uscirle un suono.


-Vedo con piacere che ho ottenuto l’effetto desiderato.- rido sotto i baffi, mentre la osservo guardarsi attorno con meraviglia.




-Dove siamo?- le uniche due parole che dice, mentre fissa la balconata regale sopra l’entrata principale.
Lunghi sipari dorati la incorniciano, e sembra lei stessa un quadro, tra loggioni e affreschi ottocenteschi.


-Ti piace? Siamo al Teatro Piccinni, il più antico di Bari. Volevi tanto vedermi recitare, e visto che domani parti… eccoci qui.- la raggiungo, quasi sfilando sul tappeto rosso che attraversa il parterre.
La avvolgo in un abbraccio delicato, e lei sfrega dolcemente la sua guancia sulla mia spalla, come fanno i gatti quando cercano di lasciare il loro profumo per l'imprinting.
Ma lei già lo sa che io le appartengo, in qualche modo.


-E’… magico. Ma come diavolo fai ad avere le chiavi?- mi domanda, con voce da bambina.


-Ssssh, è un segreto!- porto l’indice davanti alle labbra e scappo dietro le quinte, per farle scoprire tutto il mio mondo nascosto.
Voglio svelarglielo, magari mentre le presento i personaggi della nuova commedia.
Sento i suoi passi rincorrermi e riecheggiare sul parquet del proscenio.
Io mi nascondo tra i costumi, e ne esco con una parrucca vittoriana di boccoli bianchi.
Faccio un inchino e le offro la mia mano. Lei me la prende, come in una scena ripetuta cento volte, in questi ultimi giorni volati chissà dove.


-Mi concede questo ballo?-


Le sue guance si sollevano, a mostrarne il sorriso più bello. Alza gli occhi al cielo e si abbandona a me, che metto la mano libera alla base della sua schiena. La sollevo leggermente, e la faccio girare insieme a me. E’ uno scricciolo di cinquanta chili scarsi, ed è incredibile come sia facile farla volare.
La sorreggo in un casquet, e le recito un piccolo passo di Pirandello:


“Povero amorino mio, tu guardi smarrita, con codesti occhioni belli: chi sa dove ti par d’essere! Siamo su un palcoscenico, cara! Che cos’è un palcoscenico? Ma, vedi? E’ un luogo dove si gioca a far sul serio. Ci si fa la commedia. E noi ora faremo la commedia. Sul serio, sai! Anche tu…”


Le dedico un occhiolino, e la avvolgo nello scialle di una nobildonna ottocentesca, che fa uno strano effetto sopra la sua gonna anni ’50.


Questa volta è lei a sorprendermi, rubando un ventaglio dagli oggetti di scena. Si scherma il viso, lasciando scoperti solo gli occhi, e sbatte lentamente quelle lunghe ciglia dipinte di un mascara più scuro della notte.
Nero che fa brillare ancora di più la lussuria nei suoi occhi di cristallo.


-Facciamo finta che sia per sempre?- me ne rendo conto, la imploro in maniera infantile, ma non me ne vergogno.


Lei mi restituisce uno sguardo triste e annuisce.


-Dicono che a forza di fingere, la finzione diventa realtà.-


E io darei qualunque cosa per realizzare questo sogno, per vederla felice davvero.


Io e lei, in uno spazio senza tempo, con tutta la vita davanti, per amarci, per conoscerci, per litigare e poi fare pace infinite volte.


Ma entrambe sappiamo che domani arriverà in un soffio.
Le bacio la fronte, proprio nello spazio tra gli occhi, quello dove risiede l’Anima, secondo alcune filosofie orientali.
Io voglio proteggerla. Anche quando non ci sarò, anche quando non la vedrò, ma potremo sentirci, in un altro modo che non sia per forza tangibile.
Perché, lo ripeto ancora a me stessa, io ci credo.


Dalla fronte scendo, sfiorandola come se fosse di porcellana. Traccio una scia che passa dalle tempie e percorre le alture degli zigomi.
Le scaldo il collo, e lei freme, quando pizzico la sua pelle con i denti. Piccoli, umidi morsi che scaricano elettricità costante, nel circuito che termina sulle sue labbra.
Lei si impossessa delle mie, appena le appoggio, e inizia la gara a chi ha più fame.
La trascino nella sala dove facciamo le prove con la compagnia, ed è solo qui che ci concediamo un attimo di tregua.
Mentre disegno le linee delle sue scapole e le abbasso la spallina del reggiseno.
Mentre lei bacia il fiore di ciliegio che ho tatuato sul bassoventre, e mi guarda  un’ultima volta, prima di farmi crollare definitivamente sul divano di broccato rosa antico.
Quando sento che sto per raggiungere il limite, decido che no, non voglio che finisca qui.
Ribalto la situazione, e ora sono io ad osservarla dall’alto, in tutta la sua bellezza.
A lei il ciliegio, a me i papaveri, che le circondano il seno, e scendono fino all’ombelico, in un intricato percorso di radici e pensieri.
La stuzzico, giocando con il suo piercing, finché non circonda con le gambe la mia vita.
Sentirla così, interamente vicina, è un calore mai provato prima.
Le accarezzo una guancia e le sorrido, commossa.
Quasi mi sembra impossibile, poterla stringere a tal punto da sentire vibrare la sua pelle d’oca.


-Posso?- Non c’è bisogno di spiegazioni. Lei sa cosa intendo.
Mi guida le mani, in mezzo ai seni, sullo sterno, sulla cicatrice bianchissima appena sotto le costole.
Custodisce la mia mano nella sua, sopra la conchiglia di venere, che sento pulsare distintamente.
Posso contare i battiti, mentre nel silenzio più assoluto, la sua voce osa.


-Fammi urlare il tuo nome.-


Mi chino a sussurrarglielo nell’orecchio, come la formula magica di un antico incantesimo mai pronunciato prima.
E lei lo grida, mentre senza preavviso affondo nella sua oscurità, e insieme scendiamo nell’abisso.
Ed eccolo quel vuoto, quel gelo che mi scuote da capo a piedi quando mi risveglio da sola, in quel posto che ora ha il nostro odore.
Tasto i cuscini, per assicurarmi di essere effettivamente sveglia, e mi guardo attorno, nel panico più totale.


-Cherry?- la chiamo, più volte, ma l’aria mi rimanda una stridente, insopportabile eco.


Guardo l’ora: è quasi il mezzogiorno di una domenica che sicuramente non può andare peggio.
Il telefono segna quindici chiamate perse dal lavoro, ma tutto ciò che riesco a pensare è che non ce n’è nemmeno una da lei.
Lei, con cui ho appena fatto l’amore, e che ora è sparita nel nulla.
DI NUOVO.


Provo a chiamarla.


“Vodafone, il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La invitiamo a riprovare più tardi, grazie.”


Dovrei essere al ristorante tra dieci minuti, ma non mi importa.
Non ho nemmeno il tempo di incazzarmi con lei, che non si è nemmeno degnata di lasciarmi un biglietto, un qualcosa.


Niente.


Tranne l’unica, solitaria informazione che oggi sarebbe volata a casa, con l’unica partenza verso la sua provincia.


Più veloce che posso controllo i voli per Cuneo sul sito dell’aeroporto, che -Oh, che novità!- è poco collaborativo.


Appena spuntano degli orari, mi precipito fuori dal teatro, e corro verso la macchina.
Perché diavolo parcheggio sempre così distante?!
Affannata e tremante, infilo le chiavi nel quadro, e sfreccio nel traffico per raggiungere il terminal.


Non posso perderla. Non così. Non senza avere almeno una scelta.
Non senza sentire prima dalla sua voce che non mi vuole mai più rivedere.


E Dio, io non so nemmeno il suo nome!


Strombazzo a un deficiente che non rispetta lo Stop, e nel frattempo litigo con l’addetta al call center dell’aeroporto, infrangendo almeno un milione di norme stradali.
Cerco di prenotare un volo, ma senza dati alla mano non mi è possibile.
DANNAZIONE!
Tiro un pugno al volante, mentre parcheggio di corsa, e tento di superare i controlli per vederla un’ultima volta.
La voce di servizio agli altoparlanti annuncia il volo in partenza, e io non posso fare altro che reggermi sulle ginocchia, senza fiato.


Ormai è andata.


E non mi ha dato nemmeno la possibilità di salutarla.


Mi maledico, per avere perso la testa per qualcuno che non ha nemmeno il coraggio di dirmi addio.


Nè di dirmi il suo nome.


Sconfitta, torno alla mia auto, e stringo i denti per impedirmi di piangere dalla rabbia.
Accendo la radio per distrarmi, e vengo investita da note che mi sembrano un’insegna luminosa.
Life On Mars riempie l’abitacolo, e mi sembra di avere Cherry qui, come ieri sera.
Istintivamente chiamo il Bistrot, sperando di trovare qualcuno dall’altra parte del telefono.


Al terzo squillo, tiro un sospiro di sollievo.


-Pronto? Scusate, sono venuta a cena insieme ad un’amica, venerdì sera… lei ha cantato, e mi chiedevo se aveste per caso tenuto il foglio della scaletta della jam session…-




Mi rifiuto di non conoscere nemmeno la sua vera identità.
Anche se i nomi sono solo un’etichetta, come le avevo ricordato io, durante la nostra prima chiamata.
Anche se le nostre Anime si sono intrecciate in una trama perfetta, senza bisogno di interpretazione.


-Lei è la signorina bionda del tavolo 15, giusto?-


Strabuzzo gli occhi, un tantino stranita.


-Sì, perché?-


-Abbiamo qualcosa da parte per lei, se ha piacere di venirlo a ritirare.-


Mi massaggio le tempie: e tutti questi colpi di scena mi hanno fatto venire un gran mal di testa.


Tempo mezzora e sono al locale, ora aperto per il pranzo.
Mi accoglie un elegante uomo sulla cinquantina, che mi fa cenno di seguirlo sul retro.


-E’ una fortuna che ci abbia chiamato, la avremmo contattata in questi giorni. Questo è per lei.-


Mi mette tra le mani un pacchettino nero, insieme ad una busta, ornata da intricati arabeschi dorati.


-G… grazie.- Non so cosa altro dire, la mia mente sta correndo ai mille all’ora, e sfida il mio cuore ad una gara in cui non si sa chi vincerà.
O chi arriverà primo in Piemonte, a questo punto.


-C’è un tavolino lì a sinistra, dove può prendersi un momento, se lo desidera.-


La mia difficoltà è così palese?
Rivolgo al gentil uomo un sorriso tirato, e non me lo faccio ripetere due volte: raggiungo la postazione, quasi claudicante, e cerco di darmi una calmata.




Con timore reverenziale apro la busta, e resto in apnea, mentre una scrittura curata mi descrive i moti del suo cuore.






“A te, un fiore selvatico nato sul ciglio della mia strada.
Quel fiore che continuerà a crescere nonostante tutto
Perché sbocciando mi ha insegnato ad amare
E io non lo dimenticherò
Ad ogni passo che mi sarà concesso di fare verso la Felicità.
Sempre grata.
L.”








Ogni parola letta scioglie una lacrima, che va ad annaffiare il fiore di ciliegio appeso ad una sottile catenella.
Me lo rigiro tra le mani, pensando che lei lo ha toccato, che lei lo ha dedicato a me.
Pensando che così la avrò sempre con me.
Ed è un attimo: scatto in piedi, chiamo Hanami, e con voce sicura confermo la decisione che cambierà per sempre la mia vita.


-Kimi, io mi licenzio. No, è definitivo. Vengo in questi giorni per i dettagli. Ciao.-


Indosso la collana, ed esco con un gran sorriso.
Faccio la strada a ritroso, e in un batter d’occhio sono di nuovo al checkpoint dell’aeroporto.


-Un biglietto per Cuneo Le Valdigi, grazie.-


Rileggo per l’ennesima volta quella poesia, firmata con il suo vero nome, e mi faccio coraggio.
Vado a prendermi la felicità.
E so che andrà tutto bene.




N.d.A: Ciao a tutti! Non mi sembra ancora vero, ma siamo arrivati alla fine di questo incontro a porte spalancate. Ebbene sì, ho lasciato un finale aperto (dalle sensazioni positive, eh! Perché di negatività ce n’è già abbastanza), quindi potete immaginare il loro futuro come meglio vi piace. Potrebbe andare bene, come no, ma in qualunque caso, queste due Anime si sono lasciate qualcosa di indelebile. Cosa ne pensate? Per me è stata una scrittura catartica, difficile a tratti, ma che mi ha fatto tanto bene.
Vi va di dirmi cosa vi ha trasmesso questa storia?
Io sono davvero grata a tutti voi che avete scelto di leggermi, e spero di essere riuscita a farvi sognare almeno un pochino, con questa sorta di favola moderna.
Per me lo è stata davvero.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci terrei tantissimo.
Un abbraccio gigante,

Infected Heart.

P.s: No, non vi ho svelato i loro veri nomi e non lo farò mai, rassegnatevi. MUAHAHAHAHAH :P
  
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