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Autore: Lolimik    21/03/2020    6 recensioni
"Successe però che forse successe."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sana Kurata/Rossana Smith
Note: AU, Nonsense, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Fragole



Non c’era molto da capire, davvero.

Non c’era molto da capire in una ragazza con le trecce e con in testa un cappello di paglia.

Non c’era molto fascino nel suo prendisole azzurro, né in quel modo impacciato di bere il thè, seduta al tavolino in ferro battuto di un bar.

Non c’era molta sensualità nel modo inconsueto che aveva di trangugiare quei pasticcini standosene lì seduta, attenta solo a non imbrattare le riviste che lo tappezzavano.

Ma io non avevo molta dimestichezza con le negazioni e il più delle volte quel “non” mi sfuggiva dalle mani senza neanche accorgermene.

A conti fatti, le cose peggiori della mia vita mi erano sempre arrivate per quella sana abitudine.

Successe così anche quella volta in cui ti vidi e decisi di togliere quella negazione alla frase “parlare con gli sconosciuti.”

«E’ una cosa importante il tempo! Io ad esempio cerco sempre di usarlo per lasciare qualche segno del mio passaggio su questa terra! Perché è questo che vorrebbe fare ogni persona, non credi?»

Io annui, francamente non capii molto di ciò che mi stavi dicendo, non ero attento per quelle cose.

Per esempio però ero attento a notare il colore dei tuoi occhi intimidire quello dei miei.

«Tu non sai in quanti modi si possa fare! Devi solo trovare quello giusto e buttarci dentro tutto te stesso fino a…. Ad assorbire il tuo tempo, saziare la tua creatività! Ad esempio mi era venuta questa voglia di creare delle scarpe… Così…»

Ah, la sintesi, questa sconosciuta, vero?

Ti guardai male ma tu, presa com'eri, neanche te ne accorgesti.

«Quindi cosa sei? Una specie di designer di moda? Per questo leggi tutte queste riviste?»

«No! Quello era prima ora sto… Beh non lo so ancora bene, però devo trovare un modo e… Insomma c’è questa cosa che io sento dentro e che… Dio tu non hai…?»

«Fame?»

«Si! Ma anche sete! Credo si dica più sete, sai?»

«Vabbè… Nel frattempo che decidi… Degli altri pasticcini?»

«No!»

Lo hai urlato, ma poi hai riso, Dio se hai riso. Una risata che sapeva di aria buona.

«Fame creativa…. O forse sete… Intendevo una cosa del genere! Suppergiù…»

Non è che ti capissi più di tanto però mi ricordo che mi perdevo nel suono delle cose che dicevi, negli acuti che lanciavi e neanche te ne accorgevi.

«Sei strano.»

Poi mi hai detto.

Annuii ma non ti dissi che più strano era il tuo modo di essere.

Il the era bollente e io un po’ ti invidiai, non era un bel periodo per me e mi lasciai travolgere volentieri dal tuo entusiasmo, dal brio delle tue facce, dalla fluidità sconnessa delle tue parole.

Parlavi, tu.

Cazzo se parlavi, ma di quelle due ore intere con te conservo intatto solo quel mio desiderio di piacerti.

E allora annuivo, fingevo di capire e nel frattempo mi chiedevo perché lo volevo.

Piacerti, dico.

In fondo perché? Cos’eri per me?

Eri solo due chiassose trecce rosse che sfogliavano riviste, ma più lo facevi più mi deliziavi. E mi rapivi. E mi conquistavi.

Sono certo che non lo sapevi, forse neanche lo volevi, ma lo facevi.

Eppure non mi piacevi, meglio dire, non volevo che mi piacevi.

Successe, però, che forse successe.

C’era un ché di bambina nel tuo modo di fare, un ché di donna nel tuo modo di guardare.

E mi guardavi, anche mi confondevi.

Eppure non volevo mi confondessi.

In fondo perché? Cos’eri per me?

Eri solo una un po’ più strana di una qualunque. E questo bastava per evitare, non per restare.

Eppure restavo, ti guardavo. Tu ridevi, mi piacevi e io non l’evitavo.

E io non lo so perché ma sentivo che mi inchiodavi, eppure non lo facevi.

Tu no, non lo facevi, ma gli occhi tuoi sì.

Lo capii quando già ridevano dei miei che ancora non sapevano, non capivano.

E poi così, parlavi e muovevi le mani sottili, disegnavi qualcosa nell’aria e io non so, davvero non so cosa dicevi, ma per un istante pensai solo a immaginarti intorno una stanza in cui ti muovevi allegra e agitavi le mani per fare quei disegni con tutti i colori che emanavi.

Pensai che mi sarebbe piaciuto essere quella stanza.

Ma non lo so se avrei avuto mura ancora bianche da farti sporcare.

I pasticcini che mangiavi sapevano di fragole, me ne sono accorto perché dopo che ti ho visto addentarne uno, ogni tua parola aveva quel profumo.

«Dovresti assaggiarli! Sono ottimi, sul serio!»

Mi hai detto proprio così mentre un po’ di quella rosea cremina ti macchiava un lato della bocca.

«No, grazie, ma li assaggerei dalla tua bocca, quello volentieri.»

Questo però non te l’ho detto, ma lo volevo, sul serio.

Mi piaceva il modo che avevi di atteggiare le labbra quando pensavi a cosa dire. Le muovevi all’insù gonfiando il labbro superiore e io rimanevo zitto, in bilico, a guardarti mentre mi cullavo in quel tuo movimento involontario.

Ma durava poco perché il silenzio non ti piaceva.

Me n’ero accorto.

C’era un vuoto che dovevi riempire.

Lo riempivi col suono. Quello veloce delle tue parole e quello lento delle risate.

Lo riempivi con i movimenti, quelli leggeri delle tue labbra, quelli nervosi del tuo corpo.

Neanche tu dovevi aver avuto molta pace, mi ricordo di averlo pensato, ma mica te l’ho detto.

Non lo volevo sapere di quel tuo passato silenzioso, neanche volevo esserci, mi piaceva molto di più quel presente assordante fatto di me e te seduti a un tavolino di ferro battuto.

Tu che volevi parlare.

Io che mi lasciavo innamorare.

Mi hai dato informazioni che non ti avrei chiesto, ma non perché non mi interessavano e neanche perché non ne avevo il coraggio.

Era più una questione di interruzioni.

Mi sarebbe sembrato di essere una diga, non avrei mai voluto contenere lo straripante e violento fluido di ciò che eri.

«Io comunque sono Sana.»

Me l’hai detto così, per gioco, quando ti sei alzata da quel tavolino senza neanche tendermi la mano.

Poi hai aggiunto tante altre parole, un indirizzo, forse un numero, non lo so, so solo che per tutto il tempo mi chiesi solo perché non ti interessasse sapere di me.

E poi te ne sei andata, ma io sono rimasto.

E' così che mi hai lasciato.

Lì seduto con un the ormai freddo e il mio nome tra la lingua e le labbra.

Cosa avrei dovuto fare?

Mi leccai un pasticcino senza più quel profumo e pensai che le fragole, senza di te, non è che fossero questo granché.

Speravo non finisse, invece te n’eri andata.

Poi però ti sei voltata.

Da lontano mi hai fatto un sorriso e ti sei riavvicinata.

«Mi è piaciuto parlare con te. Questo è il mio numero.»

Mi hai detto così e mi hai avvicinato un pezzo di carta, poi hai affondato un dito fra la crema di ciò che avevi lasciato.

«Promettimi che la prossima volta che ci vediamo mi porterai le fragole, quelle vere!»

Ti dissi sì senza capire, chi se ne fregava delle fragole.

A me, in fondo, bastava solo sapere di doverti rivedere.

Non c’era molto da capire, davvero.

Eppure quel giorno pensai che sarei volentieri finito col passare la vita a guardare delle trecce rosse poggiate su un prendisole azzurro.

E’ forse per questo che oggi mi sento così.

C’è un camion dei rifiuti davanti casa nostra.

Io esco giusto un attimo e gli lascio della roba.

L’autista mi guarda come se non fossi in me, ma mille pezzi di me.

Per un istante mi chiedo se ti vede incastrata tra uno di questi o se forse sei nascosta ancora lì, in mezzo a due dei mille pezzi che hai fatto di me.

Se così fosse gli chiederei di non toccare perchè anche se fai male è meglio se ti lascia stare.

Sotto sotto ci spero, ma lui non me lo dice e io gli chiedo di aspettare.

Torno dentro allora e cerco qualcosa che sa di me e te ancora da buttare.

Guardo le pareti di casa nostra, mi ricordo dei miei jeans e della tua salopette. Della mia faccia sporca di vernice e di te.

Pensavo che non mi sarei mai stancato di vederti imbrattare la mia casa o la mia giornata ma mi hai detto che ora i colori non ti piacciono più.

Vuoi del bianco o forse del nero.

Cerco.

Ma poi mi scoraggio.

A che serve buttare?

Ormai tu neanche mi parli eppure sai restare?

Mi passa del tempo e non so come.

Sento un silenzio e anche lui sa restare e allora ti immagino qui con tutte le parole che ancora mi vuoi dare ma che questa volta, senza la tua faccia che si muove proprio non riesco ad ascoltare.

Ma poi mi tornano in mente le fragole che ti avrei dovuto portare e sto un po’ meglio.

Quando tornerà quel tempo mangerò solo quelle.

Anche solo per vederti tornare.

Care amiche,

non so cos'ho creato.

Trattasi di delirio notturno che mi rendo conto avrei anche potuto evitare però mi è uscito e quindi... Boh ho pensato di metterlo X-D

Un bacio grande <3


  
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