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Autore: chanandler_bong    06/04/2020    0 recensioni
[Elena Ferrante-L\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\'amica Geniale]
É un pomeriggio come gli altri nella nuova casa sulla ferrovia, fino a che ad un certo punto non lo è più. E allora Lina ed Elena devono venire a patti con ciò che è la loro amicizia e cosa potrebbe diventare, cosa rappresenti il loro legame in un mondo che cerca di inghiottirle.
Ambientato a partire dalla prima parte di Storia del nuovo cognome, per poi divergere e seguire una timeline coerente solo in parte con la saga di Elena Ferrante
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                 Capitolo uno:

                                   

Terminammo di fare sesso e immediatamente Lila balzò fuori dal letto, fiondandosi nel bagno.
Mi lasciò lì, il lenzuolo morbido che mi copriva sino al seno, lo sguardo di un cerbiatto spaurito. Non avevo realizzato ancora con sicurezza cosa fosse accaduto tra noi poco prima; i baci febbrili, i respiri mozzati, la lingua di Lila prima contro la mia e poi in mezzo alle cosce. Lo strusciarsi nei nostri corpi nudi, che si aggrovigliavano uno all'altro, mischiandone fluidi e gemiti. E infine, un orgasmo, il più intenso che avessi mai provato, che arrivato quasi come uno schiaffo mi aveva paralizzato le membra per lunghi attimi.
Ora, che gli effetti erano passati e avevo ripreso a respirare con regolarità, fissavo l'armadio in legno della bellissima camera da letto di Lila e Stefano, domandandomi cosa davvero stesse avvenendo in quella stanza solo fino ad una manciata di minuti prima, quanto tutto ciò fosse frutto di un'allucinazione davvero molto realistica e quanto fosse stato invece reale e infine come quel "reale" fosse davvero potuto accadere.
Mi sfiorai le punte dei capelli, erano umide. Segno che ero davvero stata in quel bagno, nella vasca d'acqua  bollente che profumava dei sali che vi erano stati sciolti, il corpo rilassato dalle pressioni della giornata di scuola. Che Lila era stata davvero seduta sul bordo, parlando con tono vivace del più e del meno finché d'improvviso, con una naturalezza impensabile, si era sporta verso di me e aveva posato le labbra bollenti sul mio collo. Non trovando la mia resistenza a quel gesto, una mano era scesa sino al mio seno e le sue labbra mi avevano percorso la mascella in una scia di baci, sino ad arrivare alla mia bocca. Era stato affrettato per la paura di essere scoperte, eppure il più delicato dei baci che avevo scambiato fino ad allora; era stato strano, estremamente strano, eppure così intenso che dapprima, quando mi ci ero trovata immersa, era soprattutto la confusione a travolgermi. Poi un brivido di piacere mi aveva scossa, perforandomi in una fitta quasi dolorosa al basso ventre. Da lì in poi, quando avevo ricambiato quel bacio umido, tutto si era susseguito in maniera tanto veloce da non permettermi di processare le mie stesse azioni.
Avvertii i rumori che provenivano dal bagno. Non erano che un promemoria di ciò che mi circondava, mentre mi perdevo in quei pensieri e mi sembrava di trovarmi sospesa a mezz'aria in un'altra dimensione; in sequenza, lo sciacquone, l'acqua del lavandino che si apriva, il getto corrente interrotto ad intermittenza perché qualcosa vi veniva posto sotto e infine il rubinetto che veniva chiuso. Il rumore di passi, piedi nudi sulle piastrelle in ceramica del pavimento ed ecco che Lila riappariva nella camera da letto. La schiena dritta, i capelli scombinati e ancora solo una sottana estremamente trasparente a coprirle il corpo al di sotto.
Lila mi fulminò con solo uno sguardo veloce, che le prese non più di una manciata di secondi dalle attività in cui era impegnata: appoggiare alla poltrona nera alcuni dei cuscini ornamentali che erano caduti dal letto
( o meglio, che avevamo fatto cadere noi, scaraventandoli sul pavimento mentre nelle foga dei baci eravamo passate dalla vasca da bagno al letto)
riaprire le tende scure della finestra che dava sulla ferrovia, aggiustare la piega del lenzuolo dalla parte in cui lei era stata sdraiata.
"Lenù, chiudi la bocca" esclamò ad un certo punto;  il tono divertito, un sorrisetto tagliente ad alzarle il lato destro della bocca. Ma tuttavia ancora senza guardarmi, girata di spalle mentre era impegnata a piegare dei vestiti, a riporli nella cassettiera. 
Non riuscii a muovermi per svariati secondi, il suono del mio nome mi convinse poi a voltare il viso solo di quel tanto che bastava per rincontrare la figura di Lila, ora posta in piedi, sul ciglio opposto del letto a quello in cui mi trovavo io. 
Mi sentii in imbarazzo e abbassai gli occhi, immediatamente. Lila era praticamente nuda di fronte a me. La sottana non copriva neppure metà delle cosce, i capezzoli si intravedevano da sotto il tessuto in seta.
Mi stupii, non riuscivo a capire come Lila potesse non provare disagio, ma al contrario, trovare quella situazione così naturale; svolgere attività abitudinari, come se tra noi non fosse successo nulla che non accadesse tutti i giorni, come se ciò che avevamo fatto non meritasse alcuna parola per essere spiegato. Come se in quella vasca io avessi continuato a studiare fino a che l'acqua non si fosse raffreddata, per poi uscire, rivestirmi, ritrovarla in soggiorno.
No, quelle erano le nostre attività quotidiane, a cui mi ero abituata dopo il matrimonio di Lila e il trasferimento nella nuova casa. Quei baci, il piacere che ci eravamo procurate a vicenda non aveva nulla di abitudinario.
Eppure Lila sembrava non averlo notato; ora era tornata a guardarmi, con quegli occhi neri ed espressivi, che potevano dire tutto oppure nulla. In silenzio eppure prendendomi in giro, come se la pazza fossi io, come se la reazione normale a quanto era accaduto fosse la sua.
"N-non..." abbozzai, mi resi conto che non avevo voce.
L'ultima volta che l'avevo usata era stato per gemere, più forte di quanto avessi voluto ma senza riuscire a trattenermi, attraversata da un'orgasmo che mi aveva fatto stringere i capelli di Lila tra le dita.
A quel pensiero rabbrividii ancora, ancor più non riuscii ad articolare alcun suono. 
Lila mi fissò a lungo, le sopracciglia alzate, le mani sui fianchi. Un raggio di sole la colpiva alle spalle, dando un'aurea di luce ai capelli neri che le incorniciavano il viso, riflettendo in penombra la pelle olivastra delle braccia e delle spalle.
"Vestiti, preparo il caffè" sentenziò infine, in quello che sembrò un ordine. 
Mi tirò addosso i vestiti: il maglione blu, la gonna, le calze, la sottana. Tutto ciò che avevo lasciato in bagno, prima di entrare nella vasca. Non risposi ancora, rimasi immobile mentre Lila mi passava davanti agli occhi e usciva dalla stanza. Richiuse la porta con in mano i suoi stessi vestiti che aveva raccolto da terra. 
Mi ritrovai perciò da sola, nuovamente, in quella stanza che mi dava i brividi. Vi ero stata molte volte, ma mai avevo pensato che era lì che Lila e Stefano dormivano, che condividevano la notte, ipotetici rapporti fisici da moglie e marito. Ed ora, era anche lì che io e Lila avevamo altrettanto...
Colta da quel pensiero, mi tirai in piedi in uno scatto fulmineo, riscoprendo la mia nudità. Non avevo niente addosso. Me ne vergognai e arrossi, come notai quando vidi riflessa allo specchio la mia immagine svestita curva e pallida. Molto meno attraente di quella che avevo scorto poco prima sotto la sottana di Lila, la stessa che ricordavo aver toccato avidamente, senza alcun indumento a fare da tramite, che avevo stretto nel palmo della mia mano.
Mi sentii sporca a quei pensieri, volli rivestirmi in fretta, l'idea era di andare via. Uscire da quell'appartamento, dimenticare qualsiasi cosa fosse accaduta, reale o no, tra me e Lila. Mi sarei convinta fosse stato solo frutto della mia fantasia, sarebbe sbiadito come fanno i sogni quando ci si sveglia; possono spaventare per un po', ti lasciano paralizzata nel letto nel buio della notte, ma poi si dissolvono e la mattina non ce ne se ricorda più.
Questo pensavo mentre alzavano la zip della gonna, mi sistemavo i capelli alla bella e meglio. Cercai intorno a me e trovai infine anche gli occhiali, appoggiati sulla cassettiera tra un portagioie e la foto del matrimonio. Evitai accuratamente di guardarla,  come avevo fatto in quel processo di guardare ogni ulteriore parte di quella stanza che non era altro che un ricordo continuo di ciò che volevo invece dimenticare.
Aprii infine la porta con uno scatto, ritrovandomi nella casa senza alcun rumore. Le luci spente, c'era odore di caffè, di sapone per piatti al limone. 
Mossi i primi passi lentamente priva del coraggio necessario, poi più in fretta ma sempre silenziosa, come un ladro o un assassino; arrivata a metà del corridoio, inclinai il busto in avanti e vidi Lila in cucina, di nuovo vestita, che appoggiata al tavolo in legno guardava fuori dalla finestra. 
Mi sentii orribile, ma pensai che era l'occasione ideale per andare via senza il suo interrogatorio. Era girata di schiena, perciò ne approfittai per superare la cucina e avvicinarmi all'uscio. Presi il cappotto dall'attaccapanni, lì accanto c'erano anche le mie scarpe e la cartella con i libri di scuola.
Esitai, cercando di calzare le scarpe silenziosamente avevo scontrato uno dei mobili e Lila in cucina aveva mosso qualche passo. Poco dopo la sentii prendere dalla credenza quelle che credetti essere una tazzina, perciò presi la palla al balzo e mi affrettai ad aprire la porta, fiondarmi fuori, richiuderla alle mie spalle.
Ancora sulla soglia di casa Carracci, con la placca dorata sulla porta a ricordarmelo, ispirai e poi espirai profondamente, mi sentii improvvisamente persino più nauseata di quanto non fossi stata in precedenza. Era come se mi avessero appena presa a pugni. Lo stomaco mi bruciava, vibrava sotto i colpi immaginari mi venivano inferti. Cosa stavo facendo, non potevo scappare così, era un'idea stupida.
D'un tratto, da dentro casa la voce di Lila chiamò "Elena?" e io codardamente, dimenticai quei rimorsi e  affrettai a fiondarmi già per le scale.



                                                                                                ______
  
Prima di quel pomeriggio, un rapporto tra me e Lila che andasse oltre il platonico non mi aveva mai neppure minimamente sfiorata, per un innumerevole numero di ragioni.
In primo luogo, perché era sempre stata la mia migliore amica, quasi una sorella, con cui ero cresciuta e a cui ricollegavo parte della mia infanzia del rione. Poi perché, non meno importante, avevo creduto sempre di provare attrazione soltanto per ragazzi: amavo Nino da quanto più riuscissi a ricordare, c'era Antonio, di cui non ero innamorata, ma di cui mi piacevano i baci e le carezze, da cui ero più volte sentita eccitata. Le donne, al contrario, non avevano mai attirato veramente la mia attenzione; avevo sempre osservato quelle del rione e persino quelle delle televisione, riconoscendone la bellezza di alcune, ma senza mai nemmeno considerare di esserne attratta. 
Ma la ragione più importante e che doveva essere alla base dell'aver sempre escluso a priori ogni implicazione romantica tra me e Lila, era l'assoluta estraneità dal nostro mondo di una relazione che uscisse dai canoni dell'etero normatività. Perché nel rione, nulla che si trovasse fuori dal "normale" poteva essere neppure concepibile, nemmeno immaginabile. La parola omosessualità era qualcosa che non poteva essere pronunciato ad alta voce, come se ci si infangasse solo all'idea, solo a rendere atto dell'esistenza di tale perversione 
Ricchione  era un termine che avevo sempre sentito, fin dall'infanzia. Dai miei amici, dai miei genitori, da chiunque abitasse il rione; come presa in giro, insulto, come uno dei più alti segno di mancanza di rispetto. Non che, però, al di là di ciò,  gli avessi mai attribuito alcuna connotazione reale. Non sapevo neppure cosa significasse davvero. Chi chi non è uomo,  avrei risposto se me lo avessero chiesto, ma non sapevo cosa facesse un ricchione per meritarsi questa nomea tanto disonorevole. Ne avevo scoperto la definizione vera e propria a circa dodici anni, quando fu proprio Lila a spiegarmela. Sedute su una panchina in un pomeriggio d'estate, alla mia domanda aveva risposto "Sono gli uomini che stanno con altri uomini". Aveva usato una voce ben scandita, in italiano e questo mi stupì. Nessuno utilizzava un tono del genere parlando di sesso, figuriamoci tra ricchioni. 
Ma ancora, anche a quel punto, non era qualcosa di reale; rimaneva un'espressione, come lo erano stronzo o uomo di merda o qualsiasi altra che veniva vomitata nel mare di insulti in dialetto di chi mi circondava. 
Soltanto frequentando la scuola con compagni nuovi che non appartenevano al mio quartiere, avevo poi schiarito l'idea nebulosa che Lila mi aveva donato. Ero entrata in contatto con persone che di sicuro avevano più cultura di chi condivideva il rione con me, con orizzonti più aperti di quelli a cui ero stata educata.
Eppure, sebbene non fossi apertamente contraria, ancora non mi era sembrava reale. L'avevo studiato: l'omosessualità era nella storia dell'antica Grecia, era un tema ricorrente nello studio dei romanzi di Oscar Wilde. Ma lo leggevo come si legge di un viaggio nel mondo dei morti, dall'Inferno al Paradiso, di un quadro che invecchia al posto del suo proprietario. Non ero mai riuscita a trasportare quel tipo d'amore nella realtà quotidiana, neppure quella più lontana da me, lontana da casa mia.
Avevo assaggiato un morso di quella realtà soltanto quando nel bagno di casa Carracci, le labbra di Lila avevano toccato le mie. Anche se senza saperlo negli anni precedente l'avessi desiderato ardentemente non l'avrei mai potuto scoprire, se Lila quel pomeriggio non mi avesse baciata. Come chi non conosce l'elettricità e non gli viene in mente di accendere una lampadina,  a me non sarebbe mai balenata l'intuizione né di prendere tale iniziativa, né tantomeno che Lila avrebbe potuto  compiere tale atto. Mi ero solo avvicinata approsimatamente a quell'idea senza mai raggiungerla davvero, posso affermare a posteriori: il giorno del suo matrimonio con Stefano, quando l'avevo osservata nuda nella vasca, ipnotizzata dalle sue forme, anche se non per una ragione strettamente sessuale; o ancora,  quando più tardi, ero scappata insieme ad Antonio. In quell'occasione avevo sentito il bisogno di una vicinanza con Lila, che da lì a poco sarebbe stata toccata da un uomo e  avevo ritenuto giusto che sperimentassimo l'atto sacrale - come mi era sembrato in quel momento- del sesso nel medesimo istante. Ma solo perché volevo rimanere nella sua ombra, che non mi lasciasse indietro; volevo rispettare quello che era il modo in cui io e lei facevamo tutto da sempre, insieme; perché come le avevo promesso da bambina quello che fai tu lo faccio io. E per quanto ciò che avevo provato fosse totalizzante il modo in cui percepivo la vicinanza all'esistenza della mia migliore amica, non avevo mai davvero creato l'immagine di noi due insieme.
Era dunque immediatamente chiaro che, per l'ennesima volta, Lila stava un passo avanti a me. Era riuscita, pur essendo cresciuta nel mio stesso rione e senza l'esempio della cultura di cui invece ero stata provvista io, a rendere reale l'idea di un bacio con un'altra ragazza. Un reato, al quale tutti, nessuno escluso, neppure io stessa, nel rione sarebbe rabbrividito. Ma ero sicura che a Lila non importasse nulla, lo aveva fatto comunque.
Mentre percorrevo le strade polverose del rione, quei pensieri mi rimbombavano nella testa come spari a Capodanno. Tremavo come una foglia seppur il clima fosse piuttosto mite, le lacrime mi pungevano gli occhi.
A malapena ricordo cosa successe dopo: rientrai in casa ciondolante, l'aspetto di una moribonda. Mia madre mi gridò contro per aver passato l'intero pomeriggio fuori casa senza fare nulla e io mi giustificai solamente balbettando che dovevo avere la febbre. Così non cenai neppure e mi misi a letto, per restarvi fino al mattino seguente.


                                                                                                         __________
   
Ma non dormii affatto quella notte. 
Provai dapprima ad addormentarmi, ma fu un'impresa vana. Più le ore passavano immersa nelle lenzuola ruvide del mio letto, più mi rivedevo tra quelle costose del letto di Lila; più chiudevo gli occhi, più i fantasmi del rapporto sessuale che avevamo avuto tornavano a perseguitarmi in immagini che per metà mi spaventavano e per metà facevano tornare quel vecchio brivido di piacere.
Mi ritrovai, dunque, in piena notte, con gli occhi spalancati a fissare il soffitto. Mi rassegnai ad analizzarmi, dandomi l'obiettivo di arrivare a mattina con le idee chiare.
I miei dubbi, compresi, riguardavano in primo luogo Lila. Mi domandavo se l'idea di baciarmi era stato l'impeto di un secondo, oppure lo aveva progettato; se vi avesse riflettuto a lungo, ne avesse analizzato i pro e i contro. No, di questo ne ero certa. Lila non pensava mai alla conseguenze, agiva di pancia e anche se avesse progettato di darmi quel bacio, era stata una decisione presa senza riflettere.
Iniziai a chiedermi, se davvero era così, come l'avesse maturata. Se provasse dei sentimenti diversi per me e se sì, come se ne era accorta e come avevo fatto io invece a non rendermene conto. 
E ancora, mi domandavo se era qualcosa che risaliva all'età dei nostri giochi delle bambole, oppure se ne era resa conto solo di recente. L'origine di quel bacio, e dunque la sua razionale spiegazione, mi accorsi che mi perseguitavano senza dubbio in maniera particolare; forse perché era stata per me così improvvisa, che vi cercavo un incipit, un momento a cui aggrapparmi per darvi un senso.
Tutte cose che avrei potuto chiedere alla diretta interessata,  a dire la verità, se solo avessi avuto il coraggio di raffrontarla. Ma l'idea di dava i brividi e l'escludevo a prescindere
Soprattutto perché ciò che più mi faceva stare male, ciò che mi portava in quello stato di diniego, non era alla fine tanto cosa avesse provato Lila, ma piuttosto cosa avevo provato io. 
Perché più mi interrogavo su me stessa e più scavavo, più mi sentivo persa. Mi ripetevo in principio che volevo bene a Lila,  ma era un'altra storia rispetto a Nino o ad Antonio, erano sentimenti e attrazioni differenti. Le volevo bene come si vuole ad una migliore amica, anzi, come si vuole ad una sorella.
Poi, però, andavo oltre quel primo scudo istintivo, scavavo dentro di me, alla ricerca di una risposta. Perché se era vero che Lila aveva iniziato, io ero stata ben felice di continuare; tutti i dubbi che ora affollavano mi perseguitavano, non mi avevano neppure sfiorata quando mi trovavo con mie mani su di lei, con la sua bocca che mi percorreva il corpo, né tantomeno quando avevo stretto le lenzuola tra le dita nell'impeto dell'orgasmo.
Potevo avallare molte ipotesi, cercare mille scusanti, ma la verità era che mi era piaciuto fare sesso con Lila
E allora forse c'era davvero qualcosa tra me e Lila, nascosto nelle filamenta della nostra amicizia secolare. Un'attrazione naturale che sfuggiva agli schemi del resto del mondo, che aveva sfiorato il morboso, l'ossessione, che ci distruggeva a vicenda, ma, incredibilmente, allo stesso tempo ci ricostruiva. Ci sfilacciava, portandoci all'odio, ma poi insieme ci facevamo nuove e belle, pronte per il mondo e le nuove sfide che ci aspettavano. Che fosse la scuola, il rione, il lavoro. Crescere.
Cosa non avevo fatto per attirare la sua attenzioni, per riuscire a starle dietro e mantenere il suo passo agile, per confrontarmi con lei e far sì che ci fosse sempre una piccola parte di lei in me. Come mi avevano sempre attratto le sue idee, le sue parole, il suo estro naturale che non ero mai riuscita ad eguagliare, neppure con ore ed ore di studio. Cos'era stata Lina Cerullo se non la parte più bella di me, quella che avrei voluto vedere guardandomi allo specchio. E cosa poteva essere, dunque, quello se non una complicata forma d' amore.
Ma questo era la parte più irrazionale di me a parlare, che in quella notte non aveva neppure il cinque percento di controllo del mio cervello. Così, ciò che prevaleva era la più feroce negazione; davvero pensavo non ci fosse modo in cui potessi provare attrazione per un'altra donna, davvero mi ripetevo con sempre più convinzione  che non ero stata che travolta da quelle azioni, azioni sbagliate, che non si sarebbero ripetute mai più. Che avevo ogni intenzione di evitare, rimuovendo il problema alla radice e smettendo di frequentare Lila. Non c'era modo di risolvere quella faccenda che non fosse dimenticare che fosse mai accaduta. E per farlo, Lila doveva uscire dalla mia vita. Forse per sempre.
Il risultato, l'insieme tra questi pensieri categorici e incerti, giusti ed errati, non avevano fatto altro che crearmi più confusione 
Arrivai a non sapere quali fossero le mie idee, quali quelle di Lila, quali quelle dei miei genitori. Così, arrivata al mattino seguente, quando mi alzai verso letto con zero ore di sonno a pesarmi sulle palpebre, mi resi conto che non avevo risolto nulla, se non aumentare avrei lo stato di nausea da cui ero già afflitta.
Nel dubbio, paralizzata dall'incertezza delle mie scelte, decisi  di non fare assolutamente nulla. Andai a scuola e al ritorno diversamente da come facevo da un mese a quella parte, tirai dritto. Non deviai verso il rione alto, anzi, presi la strada che vi passava più lontano.
Mia madre si sorprese di vedermi rientrare così presto, mi chiese spiegazioni e io la liquidai in poche parole. Avevo compiti da fare, interrogazioni per cui studiare, libri da leggere.
La verità era che, nell'incertezza, a vincere era stata la parte di me che cercava di insabbiare ogni cosa e anche se non riuscivo a darmi pace e la trovassi una soluzione approssimativa ai miei problemi, compresi che non volevo più vedere Lila. 
Questo mi portò inevitabilmente a rinchiudermi in casa. Era Autunno e faceva ancora relativamente caldo, perciò il rione era ancora popolata da molto ragazzi della mia età, usciti a passeggiare o ai tavoli del bar dei Solara. Specie nel fine settimana, mi parve di sentire la voce di Pasquale e di Enzo sotto la mia finestra. Nel pomeriggio di  Domenica mi parve di distinguere persino quella di Lila, ma non era strano, ormai sentivo la sua voce ovunque.
(Chiudi la bocca, Lenù ripetuto con quel tono tagliente, di derisione che cresceva sempre più man mano che veniva ripetuto nei miei ricordi).
Fatto sta che nessuno venne a chiamarmi e io fui ben contenta di restare in camera, facendomi piccola piccola e cercando di sfuggire anche alle attenzioni di mia madre, insospettita dalla mia auto reclusione. Non si capacitava di come avessi passato tanto tempo fuori casa nelle settimane precedenti, tanto che lei stessa mi aveva rimproverato per non fare altro che trascorrere i miei pomeriggi insieme a Lila, e ora, invece all'opposto non mi muovessi mai dal mio letto. Mi gridava di uscire, ad un certo punto mi chiese - più o meno velatamente- se avessi litigato "con la tua amica del cuore", riferendosi proprio a Lila. Io ovviamente glissai alla domanda, risposi che andava tutto bene con Lina, solo era occupata in casa.
Persino mio padre si insospettì ad un certo punto, preoccupandosi che non mi stessi ammalando, mi posava di continuo la mano sulla fronte per controllare non avessi la febbre.
Fu arrivata al Mercoledì, quasi una settimana più tardi, che decisi allora di scrollarmi di dosso quei quesiti esasperanti e anche per far contenti i miei genitori, accettai l'invito ad uscire di Antonio.


Note:


Ambientata all'inizio di Storia del nuovo cognome, da qualche parte durante i pomeriggi di Elena nella nuova casa di casa di Lila al rione alto. Saranno presenti alcune incongruenze, passate e futuro all'incipit di it's not living (if it's not with you), tra la storia originale e quella della ff.
 


 

   
 
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