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Autore: Der_Ausserirdische007    14/04/2020    0 recensioni
Per ritrovare se stessi è talvolta necessario accettare ciò che siamo stati e ciò che ci ha resi come siamo ora.
Kirk dovrà affrontare i suoi mostri per poter andare avanti, e questo comporterà un viaggio involontario nei meandri del suo subconscio.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: La Casa del Tempo Ritrovato
Autore: Der_Außerirdische007
Rating: PG
Categoria:Shipper, Angst.
Spoiler: “The city on the Edge of Forever” ("Uccidere per Amore") 01X28. 
Coppie: het - James T. Kirk/ Edith Keeler
Disclaimer: I personaggi di Kirk, di Spock, di McCoy e di Edith Keeler non sono miei ma appartengono a Gene Roddenberry e compagnia. Questo mio racconto è una fanfiction senza scopo di lucro o simili, ma l’ho creata per solo motivo di svago e di passatempo. Non ho scritto molti racconti, ma spero comunque che valga la pena leggerla.

Feedback: Sì grazie! Potrebbero aiutarmi a migliorare. Per favore scrivere alla mia e-mail
c.albertazzi27@gmail.com


 

“Diario del capitano, data astrale 4632.3. Il maggiore Corot della base astrale sei ha contattato la federazione per denunciare la misteriosa scomparsa di alcuni uomini. Simili accuse sono state lanciate dalle basi astrali quattro e otto e pare che tutte e tre delimitino un territorio ristretto noto ma non molto frequentato, ai confini con la zona neutrale. La U.S.S Enterprise è stata incaricata di condurre le indagini in tale proposito e per questo motivo ci stiamo dirigendo verso il territorio designato.”

  “Capitano…”

  “Sì, Spock?”

  “Gli strumenti indicano la presenza di forme di vita di tipo… Di tipo umanoide, signore… Esattamente sulla nostra rotta.”
  “Ma dove? Non vedo pianeti.”

  “Perché difatti non ce ne sono, signore.”

  “Cosa sta dicendo, Spock? Non è possibile, ci deve essere un guasto…”

  “Ho già controllato. Tutto risulta in ordine e perfettamente funzionante.”
  “Come lo spiega, allora?”

Il primo ufficiale rifletté per qualche breve istante, inarcando il sopracciglio destro come suo solito fare.

  “Non lo spiego…”

  “… Continui ad indagare. Non è possibile che ci sia un pianeta che sta usufruendo di schermi protettivi?”
  “Ciò, signore, spiegherebbe il fattore invisibilità, ma se tali schermi fossero effettivamente in funzione il computer non registrerebbe nemmeno la presenza di eventuali forme di vita.”

  “Sì, me ne rendo conto, ma non riesco altrimenti a comprendere…”

 “INFATTI NON DEVE COMPRENDERE, JIM”

 

Una voce metallica ed amplificata da chissà che tipo di microfono o artefatto alieno invase il ponte di comando e ogni corridoio e reparto della nave

  “Su che canale siamo stati contattati, Uhra?”
  “Nessun canale, signore! Non capisco! Non capto alcun segnale, tutte le frequenze sono libere!”

Il capitano lasciò il suo posto alzandosi in piedi e avvicinandosi allo schermo difronte a lui, guardandosi intorno, come cercando di capire da dove potesse provenire quella voce.

  “Chi sei?” 

 

  “SONO UN VECCHIO AMICO, JAMES, DI LUUUNGA DATA.”

 

In quel mentre il dottor McCoy fece il suo ingresso sul ponte, incuriosito da quella voce che rimbalzava persino tra le pareti spoglie dell’infermeria.

 

  “Come comunichi con noi? E dove sei? Non registriamo alcun tipo di pianeta o base spaziale in questa zona.”

 

  “Non potete conoscere né di conseguenza registrare molte cose che in realtà esistono, mio caro capitano, e io sono una di queste, così come il mio pianeta. Ma bando ai preamboli. Sono qui per farti un regalo, in nome della nostra amicizia.”
 

  “Io non ho idea di chi tu sia.”

 

  “Sono convinto che lo capirai presto. Per ora non è importante.”

  “Cosa vuoi da noi?”

 

   “Io niente, sono proprio io che voglio dare qualcosa a te, o meglio. Credo di avere qualcosa o qualcuno che conosci molto bene e che vorresti rivedere?”

 

   “Sarebbe?”

  “Keeler, caro Jim, Edith Keeler”

 

L’espressione di James Kirk mutò di scatto, e a quella perplessa e ansiosa di prima presero presto posto i lineamenti di un uomo sorpreso e colpito che cerca, con tutto se stesso, di non crollare a terra. 

 

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

 

 

Sei mesi prima…

 

Riattraversando quel portale significava tornare al futuro, così come abbandonare l’incubo che l’aveva condotto in quei lontani anni venti in chissà quale cittadina degli Stati Uniti meridionali. 

Eppure era un incubo travestito da sogno, e come ogni sogno, ritornare alla realtà significava morire. E in fatti lui era morto, tornando in quel suo prezioso presente che aveva cercato di ritrovare sfidando l’impossibile. Non c’era scelta. Non c’era dubbio sul fatto che quella che aveva preso fosse la decisione giusta, eppure l’immagine di Edith Keeler non riusciva ad abbandonargli la mente. Era morta così, davanti ai suoi occhi. Lui avrebbe potuto salvarla, ma non l’aveva fatto. Perché non aveva scelta.

 “Jim..” 

   - 

 “Jim!” Bonce si faceva insistente.

 “Sì, mi dica dottore.” 

Il suo alloggio gli sembrava così freddo, così vuoto…

“Spock mi ha raccontato quello che avete passato per venirmi a cercare.”

Il capitano James Kirk si voltò verso la porta della sua camera. Non si era nemmeno accorto che McCoy fosse entrato.

 “Se ha qualcosa da dirmi, dottore, mi dica.” 

 “Sì Jim. Non so quello che Lei ha provato per quella donna, ma posso immaginarlo. E Lei si sta struggendo all’idea di averla lasciata morire. Volevo solo dirLe che la scelta che ha preso è stata la più giusta. O meglio. Non c’era altra possibilità.”
  “No, non c’era scelta… Eppure non riesco a perdonarmelo…”

  “E’ da più di ventiquattro ore che non riposa, capitano…”

  “Grazie dell’interesse, dottore, ma so badare a me stesso.”
  “Non è solo a nome di suo medico che Le parlo, ma come amico. La lasci andare, Jim.”

  “Lei non capisce Bonce… non capisce…”

  “No, è vero, forse non lo so. Ma Le racconterò un aneddoto. Un bel po’ di anni fa, non so… una quindicina di anni saranno passati da allora… Be’, un giovane tenente aspirante medico di bordo entrò all’accademia. Al mondo che si apprestava a conoscere apparteneva una realtà magica ed estremamente vasta e lui provava insicurezza ma allo stesso tempo sentiva di avere la possibilità di far prendere alla sua vita la piega che aveva sempre desiderato. Eppure era così timoroso, aveva così tanta paura di sbagliare… Qualche tempo dopo, tuttavia, incappò in un’altra giovane matricola, un ragazzo più giovane di lui, che pareva essere il suo opposto. Questo cadetto era forte, estremamente estroverso e amante del pericolo e delle situazioni scomode, tanto che sembrava andarsele a cercare apposta. Questo giovanotto, ribelle e belloccio, si appassionò delle astronavi e del mondo all’infuori del pianeta Terra e per questo motivo si iscrisse all’accademia, volenteroso di imparare l’arte di saper governare un’astronave. Tra i due nacque quasi subito una bella amicizia, e poco tempo dopo divennero inseparabili, quasi come due fratelli. Il più giovane, che noi chiameremo con un nome casuale come… chessò, James per esempio. Ecco sì, James, era un ragazzo sfrontato e turbolento che amava sfidare chi non gli andava a genio e non si faceva certo problemi a dar dimostrazione della sua sfacciataggine, eppure si era guadagnato un grande rispetto da tutti, proprio perché oltre a questo era un ragazzo buono e giusto, con un ottimo senso dell’umorismo e un’infinita sete di giustizia. Le decisioni che prendeva potevano talvolta risultare assurde, pazze, ma se le aveva prese significava che secondo lui potevano giovare a chi ne aveva bisogno. Un altro lato caratteriale di questo giovane James era la sua generosità. Era disposto a mettere sempre se stesso in secondo piano se ciò poteva servire per aiutare qualcun altro. E Le posso garantire, capitano, che James è ancora così. Ora riesce a contenere un po’ di più il suo animo turbolento, ma per il resto non è cambiato.”

Kirk accennò un vago sorriso, talmente debole che in breve si trasformò più verosimilmente in quella che sembrava ad una smorfia di dolore. Dopo qualche attimo di silenzio si voltò e prese un sorso d’acqua dal bicchiere posato sulla scrivania vicino al letto.

  “Dove vuole arrivare McCoy?”

   “Quello che sto cercando di dirLe, capitano, è che Lei ora deve andare alla ricerca di quel ragazzo che era e che è ancora dentro di Lei e trovare quel coraggio che L’ha sempre caratterizzato e che Le ha permesso di affrontare le situazioni più difficili. Quella ragazza è morta, è vero, ma quello che è successo era necessario per permettere a migliaia di altre vite di sopravvivere. Capisco che ci stia male, capisco questo stato d’angoscia e di dolore che non L’abbandona, ma La smetta di colpevolizzarsi, poiché non è colpa sua. Lei sarebbe morta comunque…”

Kirk lasciò che un profondo sospiro tagliasse l’aria davanti a lui, come a voler cercare di liberarsi di quel dolore che gli attanagliava lo stomaco così come quel pesante respiro. Improvvisamente, prima che potesse rispondere al dottore, lo chiamarono dal ponte di comando.

  “Spock a capitano Kirk. Risponda per favore.”

   “Qui Kirk.”
   “Una nave Romulana è appena entrata nel nostro raggio visivo.”

   “Arrivo subito. Kirk chiudo.” - “Andiamo, McCoy. Vediamo cosa vogliono in territorio federale i Romulani.”

    “Jim…” 

I due si scambiarono un veloce sguardo d’intesa per poi dileguarsi velocemente, pronti come sempre ad iniziare un nuovo capitolo. Questa volta, tuttavia, la pagina pareva restia a volersi voltarsi.

  

 

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Lo sguardo di McCoy cadde velocemente sulla figura del capitano.

  “Non è possibile!” Esclamò di scatto.  “Jim, lasci perdere, andiamocene di qui!”

   “Chi è Edith Keeler, capitano?” Chiese Uhra.

Kirk non abbandonava lo sguardo dallo schermo centrale, mentre tratteneva le sue mani dal tremare. Con voce sicura si rivolse nuovamente all’alieno, non badando all’intromissione del dottore, né del tenente Uhra.

 

 “E’ a causa tua che delle persone sono scomparse dalle basi spaziali?”

 

 “Risponderò a tutte le tue domande, a patto che tu scenda sul mio pianeta, nella mia realtà.”

 

 “Quale realtà, non esiste alcun pianeta! Anche volendo non potrei materializzarmi da nessuna parte!”

 

 “Non serve. Ci penso io a prelevarti.”

 

  “Capitano.” Intervenne Spock - “Anche ammesso che esista un pianeta o un qualsiasi altro luogo sul quale teletrasportarsi, cosa di cui ho ragione di dubitare, sarebbe assai illogico accettare tale proposta.”

  “Oh! Grazie Spock!”, convenne McCoy - “Per una volta ci troviamo d’accordo.”

 

“Siccome comprendo la vostra natura sospettosa, vi darò dodici ore del vostro tempo. Al termine di questo, mi rifarò vivo io.”

 

  “E se rifiutassimo?” Minacciò Kirk.

 

   “Dubito lo farete, ma in tal caso non rispettereste gli ordini a voi imposti dalla federazione, vale a dire indagare su quelle scomparse. Non è forse vero?”

 

Già… Aveva ragione.

“Ah, e inoltre Jim… E’ la tua occasione per affrontare i tuoi fantasmi… Te la vuoi lasciar sfuggire?”

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L’aria che si respirava in sala riunioni era raramente stata così pesante. Il silenzio che aleggiava tra i membri dell’equipaggio seduti al tavolo sembrava bloccarli, comprimendoli impedendo loro qualsiasi tipo di movimento. La voce profonda del capitano spezzò quel filo rumoroso di pensieri che si era andato ad intrecciare sopra le teste dei componenti di quella riunione straordinaria.  

 

  “Vi ho convocato qui per organizzare e discutere la procedura da seguire mentre io sarò sul quel… dovunque io sarò.”

  “Non penserà veramente di accettare quella proposta assurda, Jim!” McCoy era incredulo.

  “Mi permetta di concordare con il medico, capitano.” Asserì Spock. “Come ho detto, rischierebbe inutilmente.”

  “Anch’io sono d’accordo, capitano.” Si intromise Scott.
  “Signori, non mi pare abbiamo scelta. Dobbiamo scoprire che fine hanno fatto quelle donne e quegli uomini, e dal momento che in questa zona non c’è assolutamente niente, per ora l’unica spiegazione potrebbe fornircela quella voce. A chiunque appartenga…”

  “Ma è una pazzia!” Sbottò Bonce.

  “Dottore, Lei vede alternative?” Quella di Kirk era una domanda retorica, e lo sapeva bene. Non avevano molta scelta.

  “No, non ne ho, ma questa non mi pare nemmeno una cosa concepibile.”

  “Dal momento che non abbiamo altri dati e io voglio trovare altri indizi ad ogni costo, mi assumo il rischio di assecondare quell’alieno.”

  “In tal caso, mi permetta di venire con Lei.” Aggiunse il primo ufficiale.

Il dottor McCoy si alzò di scatto dal suo posto, incredulo nel sentire tali proposte.

  “Ma voi siete completamente matti! Se andate voi vengo anch’io!”

  “McCoy, si segga! Nessuno verrà con me! Non me la sento di ordinare una cosa simile!”
  “Ma non c’è bisogno che la ordini!” Continuò McCoy.

  “Ho detto di no.”

  “Ma capitano!”

  “Basta!”, Ora era Kirk che si era alzato in piedi, sbattendo un pugno sul tavolo. - “Voi tutti rimarrete qui! E’ un ordine!” Inspirò profondamente e riabbassò la voce, che aveva alzato senza rendersene conto. “Come mi avete fatto notare anche voi, questa situazione è assurda e senza senso, anche per me. Dopodiché è l’unica cosa che possiamo fare, quella di sfruttare ogni pista che ci si presenta davanti, ma dal momento che ci sono alte probabilità che io non torni… Be’, non voglio che per una mia decisone ci rimetta la vita qualcun altro.”

Il capitano si sedette nuovamente e bevve un sorso del bicchiere d’acqua posto difronte a lui.

  “Per questo motivo, una volta che io in qualche maniera mi sarò smaterializzato, sarà opportuno allontanare la nave dal raggio orbitale del pianeta… O meglio… Dal momento che in questo caso specifico il pianeta non c’è, direi che sarà sufficiente lasciare la zona. Spock, Lei avrà il comando, mentre Lei Scott si occupi di far sì che i motori ricevano tutta l’energia possibile per allontanarsi alla massima velocità dalla zona. Per ragioni di sicurezza convogli un po’ di energia sugli schermi.”

  “Ma capitano!” Intervenne Scott

  “Niente ma, faccia quello che Le ho detto. Non ho voglia che quell’alieno che ci giochi un brutto tiro una volta che sarò sceso dalla nave. Inoltre ci daremo appuntamento ogni quattro ore e vi comunicherò la mia situazione.”

 

Una volta conclusa la riunione, il capitano rimase seduto a pensare ancora per qualche attimo e Bonce e Spock ne approfittarono, trattenendosi sulla porta aspettando che gli altri uscissero.

  “Jim, lo sa anche Lei che non è possibile. E’ solo un modo per convincerLa a sbarcare.” Disse McCoy.

  “E’ assurdo che chiunque egli sia sappia il suo nome, Bonce. Perché avrebbe dovuto saperlo?” La voce del capitano lasciava trasparire la tensione che egli cercava in ogni modo di nascondere.

  “Capitano,” intervenne Spock - “gli interrogativi sono molti in questa faccenda, ma di una cosa possiamo esserne certi. Questo alieno La conosce bene, altrimenti non si spiega il riferimento alla signorina Keeler. Inoltre anche lui stesso ha affermato di essere un suo ,,vecchio amico’’.”

  “Sì, è vero! Ha idea di chi possa essere?”

Il capitano avrebbe dato qualsiasi cosa per avere una benché minima idea di chi potesse essere il proprietario di quella voce.

 

°°°°°°°°°°°°°°°°

 

Dodici ore dopo quello che era stato il primo contatto con la voce aliena, il capitano Kirk, il primo ufficiale Spock, Scott, il dottore e gli altri tenenti affidati al ponte di comando attendevano tesi di risentire nuovamente l’echeggiare inquietante di quella voce metallica pronta a dare altre indicazioni in merito al da farsi.

 

  “ECCOMI DINUOVO QUI COME CONVENUTO!” 

 

Infatti non tardò ad arrivare.

 

  “ALLORA JAMES, HAI DECISO?”

 

  “Sì. Verrò dove hai detto di essere.” 

 

 “BENE… VISTO? TE L’AVEVO DETTO CHE NE ERO SICURO”

 

E così dicendo, la figura del capitano scomparì sotto gli occhi attoniti degli altri ufficiali.

 

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Il capitano si ritrovò disteso a terra, in quello che doveva essere un locale sotterraneo. 

Sentiva un leggero ma fastidioso continuo pulsare alla nuca, come se fosse stato colpito e di conseguenza fosse svenuto. Almeno poteva constatare di essere vivo e di essere atterrato da qualche parte, cosa che visti i presupposti non era da sottovalutare.

  Si alzò in piedi, ma subito barcollò e perse l’equilibrio cadendo in avanti. Sebbene non riuscisse a comprendere la natura di quella debolezza, non riusciva a governare il suo corpo, anzi, al contrario pareva non appartenergli. Cominciò a mancargli l’aria. 

  In quel frangente gli sembrò di essere in quel laghetto nel quale era caduto quando era ancora troppo piccolo per poterlo ricordare, e infatti quella visione fu un flash inaspettato al quale non aveva mai assistito prima. Ricordò con vivida angoscia l’incapacità di riuscire a rimanere a galla e quell’impossibile desiderio di saper nuotare o di poter respirare sott’acqua.

Quei sentimenti, quella terribile sensazione di stare per affogare, di morire e di dover stare a guardare senza poter far niente… Quei sentimenti li provò anche in quel frangente sebbene non li sapesse spiegare. Non riusciva più a respirare, né a muoversi. Sebbene quella sensazione fosse del tutto irrazionale, e di ciò se ne rendeva conto, aveva l’impressione di stare soffocando, di annegare.

  Nonostante ciò cercò di muoversi, di cercare un’uscita.

  “Non si affatichi, capitano.”

  Quella voce… Era quella dell’alieno, ma più reale, non più avvolta da quell’eco che poco prima (era davvero passato poi così poco tempo? Di ciò non poteva essere più molto certo) la rendeva potente e distante tra le pareti dell’Enterprise. Ora sembrava più reale… Più umana…

  “C-cosa vuoi da me” esalò Kirk, cercando tuttavia di mostrarsi, per quanto possibile, sicuro e spavaldo, nonostante non riuscisse a fare almeno di combattere per respirare.

  “Voglio darti una possibilità. Voglio testarti. Voglio vedere chi, alla fine, di noi due aveva ragione ai tempi dell’accademia.”

In quella una figura comparve difronte a lui e il dolore scomparve, come se un interruttore fosse stato spento da qualche parte, e lui finalmente si alzò da terra, tuttavia con non poca fatica. Sforzò la vista per vedere attraverso il buio il volto del suo interlocutore e quando vi riuscì sul suo viso si fece posto lo stupore.

  “Charles… Charles Wilson…”

  “Già… Ne è passato di tempo, eh Jim?”

  “Cosa ci facciamo qui? Cos’è questo posto?”

  “Calma, calma… Ogni cosa a suo tempo. Come ti ho detto voglio darti l’opportunità di trovare quelle persone.”
  “Perché lo faresti? Sei stato tu a prenderle, o sbaglio?” 

  “Non giudicarmi senza prima aver ascoltato le mie ragioni. Loro sono qui per te, Jim.”

  “Cosa stai dicendo?”
  “Ti ricordi all’accademia? Ricordi perché la lasciai?”
  “Certo. Secondo te la federazione era inutile e perseguiva sogni irrealizzabili.”
  “Sbagliato. E’ vero, non credevo nella federazione, così come non ci credo tutt’ora, ma credevo ai suoi ideali di pace e fratellanza tra uomini e specie aliene. Ciò che contestavo erano i metodi che utilizzate. Pace contro guerra, amore contro morte. In altre parole per voi il Bene è la chiave.”
  “Già, ora ricordo… Tu dicevi che per combattere il Male, sia nell’universo che sulla Terra stessa, occorresse prima avere uno scontro alla pari, Male contro Male, così da poter rivoluzionare il modo di vedere le cose.”
  “Esatto… La federazione ha sempre voluto credere, o far credere, che la realtà, per renderla giusta, non abbia bisogno di una rivoluzione. Vuole ingannare dicendo che è possibile applicare lievi modifiche al fine di purificarla. Il problema sussiste se poi è proprio la federazione stessa ad essere la contraddizione di quel Pensiero.”

  “Dove vuoi arrivare?”

  “La mia domanda è come può una realtà fatta di odio e guerra essere cambiata dalla pace se proprio coloro che la predicano fanno guerre a destra e manca?”
  “La federazione non ha mai dichiarato guerra a nessun altro pianeta.”
  “No, ufficialmente no… Ma tutte le colonizzazioni? Non le chiami guerre quelle? Avete fatto estinguere popolazioni e culture.”
  “Ti sbagli. Quello che la federazione offre è aiuto e sostegno a popolazioni che lo necessitano.”
  “E’ proprio per questo che ti ho fatto venire qui, James. Tu ricredi veramente a quegli ideali. Tutte le prove che ho raccolto finora dimostrano le mie convinzioni, ossia che non solo il Male genera Male, ma che il Bene non ne esce quasi mai vincitore in uno scontro diretto. Tu sei la mia eccezione.”

  “Di quali prove parli?”
  “Gli uomini e le donne prelevati ovviamente. Loro mi hanno dimostrato che un ideale non viene reso tale dalle parole, quanto più dalle convinzioni e di conseguenza dalle azioni che per esso operano. In altre parole predicavano senza essere disposti a sacrificarsi per le loro idee. O peggio ancora. Senza saper come o cosa fare per sacrificarsi per esse.”
  Kirk aveva riacquisito velocemente vigore e ora digrignava i denti per potersi controllare. Non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma per il momento la cosa migliore da fare sembrava assecondarlo. 

  “Dove… Che fine hanno fatto?”
  “Nessuna fine. Sono tutti qui. Compresa lei.”

Il capitano provò una morsa allo stomaco, una sensazione con la quale aveva ormai imparato a convivere ma che faceva sempre male come la prima volta.

 “Non ho idea di come tu sappia di lei, ma in ogni caso sei stato malinformato. Lei è morta.”

Charles scoppiò in una fragorosa risata. 

  “Oh, no che non lo è. Seguimi.”

 

Sebbene l’idea di essere lì lo rendesse estremamente inquieto ed teso, non poteva né avrebbe voluto tornare indietro. Se voleva andare fino in fondo a questa storia, allora avrebbe dovuto fare come gli diceva lui.

  Attraversarono un tunnel sotterraneo che li condusse ad una scala in pietra ascendente scavata tra le rocce e la percorsero fino a quando non raggiunsero la superficie.
Inaspettatamente Kirk si ritrovò circondato da un bosco fitto e verde, come uno di quei posti che rimpiangeva della Terra. Poco distante dal punto in cui si trovavano i due uomini si stagliava una casa bianca dalle imposte azzurro chiaro. O almeno qualcosa che ne aveva prese le sembianze. 

  Charles si diresse in quella direzione e, aprendo la porta di ingresso, fece cenno al capitano di entrare.

Appena entrati si potevano riconoscere una cucina sulla sinistra e un salotto sulla destra. Sembrava proprio una baita di campagna. Di fronte all’entrata una scala portava al piano superiore dove probabilmente c’erano le camere da letto.

Inaspettatamente, Kirk non la trovò vuota. Al contrario sembrava abitata. Abitata da volti conosciuti, già incontrati da qualche parte ma incapace di ricordare con lucidità le circostanze o di collocarle nel tempo.

  “Si può sapere dove siamo? Che posto è questo? E chi sono tutte queste persone?”
Kirk cominciava a perdere il senso dell’orientamento. Non sapeva dove si trovasse, né ciò che avrebbe dovuto fare. Charles sorrise bonariamente.

  “Questo è il posto dove il Tempo Perduto e il Tempo Ritrovato si fondono. Hai mai letto Proust, Jim?”

  “Sì, certo.”

  “Allora saprai anche cosa voglio dire.”
  “No, non capisco invece. Proust diceva che le persone che fummo e le persone che siamo ora non hanno niente a che vedere tra loro.”

  “Esattamente. E per ritrovare se stesso egli si ritrovò a compiere quel viaggio temporale attraverso tutti quei ricordi involontari che portava con sé. Ricordi fatti da emozioni, da quelle sensazioni… Impossibili da descrivere e magiche proprio per la loro impossibilità nel poter essere ricordate con precisione.”
  “E cosa c’entra tutto questo con…”
In quel mentre un rumore di passi leggeri che scendevano le scale di fronte a loro richiamò l’attenzione del capitano. Egli si voltò, distogliendo per un attimo lo sguardo da Charles. Quella figura femminile esile e forte si fermò su un gradino. Jim si fermò a guardarla, senza respiro. Il suo cuore sprofondò. Non poteva essere.

  “Questa è la tua ricerca del tempo perduto, Kirk.” Rispose Charles a quella domanda dell’amico rimasta inespressa.

 

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  “James.” 

Quello di Edith fu più un sussurro che un’esclamazione.

  “Charles… Non può essere. Lei non può essere qui.” 

Il capitano era immobile, incapace di qualsiasi decisione. Si avvicinò quasi involontariamente a quella che contro ogni logica pareva essere proprio lei, Edith. Edith Keeler.

Lei gli si avvicinò lentamente, fino a quando non gli si buttò tra le braccia con gli occhi lucidi. Lui non poté far altro che avvolgerla in un caldo abbraccio, lasciandosi sprofondare tra i suoi soffici capelli color pece, assaporando quel profumo di cui sentiva tanto la mancanza.

Senza lasciare la presa principiò a sussurrargli parole lente, parole intrise di un dolore a lungo represso.

  “Non… non puoi essere qui. Tu non sei reale.”

  “Io qui sono reale tanto quanto lo sei tu”

Il capitano si allontanò lentamente da lei, giusto per poterla guardare in viso, senza però arrischiarsi a lasciarla andare, come se temesse che se l’avesse fatto sarebbe scomparsa dalle sue braccia per sempre. Di nuovo.
Lasciò che la sua mano le accarezzasse delicatamente il viso, ancora incredulo di ciò che vedeva.

 La voce di Charles interruppe quel dialogo silenzioso che intercorreva tra Edith e il capitano.

  “Suppongo ti voglia unire a noi per il pranzo, Jim. Nel frattempo la signorina Edith ti mostrerà il resto.”

  “Il… Resto?”

  “Sì, ti farà fare un giro! Sai, si sta bene qui, è proprio un bel posto!”

  “Charles, io avrei molte d…”
  “Dopo, James, dopo. Avrai tutto il tempo per schiarirti le idee.”

 

Kirk seguì Edith nuovamente fuori da quella strana casa e lo condusse in quel fitto bosco di querce e betulle che insieme a Charles avevano attraversato poco prima. 

Poco più in là si estendeva un vasto prato, al confine col bosco in prossimità di un piccolo bacino d’acqua che pareva sfociare qualche chilometro più a sud in quello che sembrava essere un mare. 

  Edith camminava poco più avanti di lui e si fermò non appena uscirono dal bosco, avvicinati alla spiaggia del laghetto. 

  “Edith… Dove… Dove siamo?”
  “Secondo te dove pensi ci troviamo?”

  “Non… Nulla ha senso qui. Sembra di essere sulla Terra, in un posto nel quale sono già stato tanto tempo fa… Mi ricorda molto gli Stati Uniti settentrionali… Il Minnesota forse… Anche se lì non c’è il mare, e la temperatura non è così mite. Poi tutte quelle persone… Tu… Perché sono qui?”

  “E’ come ti ha detto Charles… E’ il luogo nel quale il Tempo ritrova la sua circolarità, dove l’Essere non si alterna al Non-Essere, ma all’Essere in divenire. Tu qui puoi ritrovare te stesso.”

  “Dove sono gli altri uomini scomparsi? Tu lo sai?”

  “Loro… Loro non fanno parte di questa realtà. Loro sono in un altra provincia, in un’altra casa.”
  “E… dove si trovano queste… “province”? Sono lontane da qui?” 

  “Chi può dirlo… Alcune sì, altre sono più vicine di quanto ci si aspetti.” 

Lo sguardo della donna si perse a guardare il mare in lontananza. Il sole stava per raggiungere il suo Zenit, e i suoi caldi raggi le illuminavano il viso pallido.

  “Edith.” Kirk le prese gentilmente le spalle, facendo sì che si voltasse verso di lui. “Edith, io devo trovare quelle persone e portarle da dove sono venute.”
  “Spetta a loro questo. Loro possono tornare al loro presente quando saranno pronte.”
  “Così come dovrebbe accadere a me?”
  “Esattamente.”
  “In altre parole, io ora posso essere ritenuto scomparso come loro..?”
  “Tu non sei scomparso, James. Tu sei sempre dove sei stato tutto il tempo. Puoi andartene da qui quando vuoi, e tornare alla grotta dal quale sei uscito. Devi solo volerlo.”

  “E se lo volessi?”

  “Lo vuoi veramente?” 

  Si osservarono per lunghi istanti, poi Edith si voltò e cominciò a camminare lentamente sulla sabbia, fermandosi ad osservare l’acqua cristallina, che di quando in quando si increspava formando onde leggere le le sfioravano le punte delle scarpe.

  “E tu? Perché tu sei qui, Edith?” Volle sapere Kirk.

  “Tu mi ci hai voluto, Jim.” 

Il capitano stava sforzandosi di risolvere quelli che sembravano indovinelli anziché risposte.

  “Io non ho voluto tutto questo.” 

La donna si alzò, fronteggiandolo di nuovo.

  “No, coscientemente no. Ma fa parte di te ormai. Devi accettare quello che sei per poter ritrovare te stesso. Solo allora sarai pronto e libero.”

  “Dove sono.” Ripeté Kirk.

  “Sei nel tuo subconscio, capitano. Tu sei qui perché non riesci ad accettare il tuo passato e non sai più chi sei. Per questo motivo io sono qui. Sono qui insieme a tutto ciò che non ti ha abbandonato mai.”

  “Quindi ciò che vedo sono solo… allucinazioni?”

  “Quasi… Una via di mezzo tra un ricordo e un sogno. Una realtà vivida come lo sono i ricordi e al tempo stesso caotica e fumosa come lo sono i sogni, dove il passato e il futuro non esistono più.”

  “Quindi tu non sei reale…” La sua voce era divenuta più un flebile sussurro.

  Lei si fece più vicina, avvicinando le sue labbra a quelle di lui, e gli sussurrò un’ultima cosa prima di colmare quella breve distanza che ormai li allontanava. “Questo lo deciderai tu.”

 

 

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C’era freddo. Ma non lo avvertiva. Il suo corpo era immobile, fisso alla parete, sebbene non capisse né come né perché, ma in realtà nemmeno se lo poneva più. Non sapeva dove si trovasse, tutto ciò che riusciva a vedere era buio, buio intenso, senza nemmeno una traccia di tenue luce che potesse dare sollievo ai suoi occhi. Di quando in quando tremava, ma non per il freddo. Per la paura forse, ma non avrebbe potuto giurarlo. Paura di cosa, d’altronde? Non pensava nemmeno più, ormai. Niente aveva più importanza.

 

 

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Fecero presto ritorno alla casa bianca per il pranzo. Ad aspettarli c’era una tavola imbandita in giardino, appena difronte alla facciata frontale. Era paradisiaco. I raggi del sole cadevano caldi sopra i piatti bianchi in porcellana, che di quando in quando riflettevano la sua luce abbagliante. Ovunque si poteva avvertire un lieve profumo di gelsi e ciclamini che ricordavano maggio. E poi nei piatti si potevano vedere già le pietanze fresche, la cui sola vista induceva a mangiare a sazietà. Altro che quei cibi sintetici dell’Enterprise ai quali Kirk aveva dovuto abituarsi. 

  Dalla porta principale fece capolino la testa sorridente di Charles, il quale teneva tra le mani un lungo vassoio di quelli che sembravano essere sottaceti.

  “Ehi James! Vedo che siete tornati! Prego accomodatevi dove preferite!”

 Kirk non sapeva come avrebbe dovuto agire. Tutto ciò che avrebbe voluto in quel momento sarebbe stato abbandonarsi a quella situazione e a quelle sensazioni afrodisiache e vedere come sarebbe andata a finire, ma dall’altra sapeva che sarebbe dovuto tornare sull’astronave. Anche se era tutto così magico lì… Eppure ancora non capiva se tutto ciò fosse reale oppure se fosse solo frutto della sua immaginazione. Ma perché avrebbe dovuto? Lui si trovava effettivamente lì e poteva pensare ed agire come meglio preferiva, non come in un sogno. Nei sogni non si è mai veramente padroni di se stessi e delle proprie scelte. Eppure Edith aveva detto che tutto ciò era frutto del suo subconscio. Ma ancora, perché tutt’ad un tratto una tale visione avrebbe dovuto concretizzarsi così? Lui non sapeva molto di psicologia, ma per quello che ne sapeva, il subconscio è dettato dall’esperienza; e tutto ciò non era mai avvenuto. E poi, se proprio fosse stato tutto nella sua testa, perché Charles? Perché proprio Charles Wilson? Nemmeno si ricordava di lui a momenti. E tutte le altre persone che erano lì? Avrebbe potuto giurare di non ricordare di averle mai viste.

  “Charles… io dovrei contattare la mia astronave. Ho detto ai miei uomini che avrei dato mie notizie dopo quattro ore dal mio sbarco qui.”
  “Hahahaha Jim! Sempre ligio al dovere vedo! Ma non devi preoccuparti, qui il tempo non passa come per il tuo equipaggio. Anzi, direi che non scorre affatto! Quando tornerai indietro saranno passati solo pochi secondi dal momento in cui ti ho portato qui!”
Nulla aveva senso. Forse la cosa più sensata da fare sarebbe stata tornare subito indietro e fare in modo di tornare sull’Enterprise. Ma c’erano ancora troppi interrogativi. Inoltre la sua missione era quella di ritrovare gli altri uomini e l’unico modo che lui conosceva per poter venire a conoscenza di qualche benché minima informazione era quello di rimanere lì, almeno finché non avrebbe scoperto qualcosa di più. E poi lui voleva, doveva sapere.

  “Su, non startene lì impalato!” Tuonò di nuovo Charles “So che vorresti pormi un sacco di domande, ma abbiamo tutto il tempo del mondo, anche di più! Quindi ogni cosa a suo tempo, come si suol dire!”

Il capitano si volse verso Edith al suo fianco, la quale gli sorrise e annuì lievemente, come se potesse avvertire la sua inquietudine e volesse tranquillizzarlo.

 

“E’ incredibile! La pensiamo proprio allo stesso modo noi due, è come se potessi leggermi nel pensiero!”

 

La frase di lei gli tornò prepotentemente in mente, vivida come il momento in cui la pronunciò quella volta.

Si morse il labbro e la seguì a tavola.

  Quando tutti presero posto alla lunga tavolata, Charles, che sedeva a capotavola, si alzò in piedi richiamando l’attenzione dei commensali, i quali saranno stati all’incirca sei, oltre egli stesso. 

  “Amici, oggi a pranzo abbiamo l’onore di avere con noi un mio vecchio amico, James Kirk!

Jim, loro sono Emma, Paul, Aaron, e… be’, ovviamente Edith.”
Kirk sorrise nella sua direzione.

  “Signori, questo è un ospite di riguardo, quindi cerchiamo per quanto possibile di non farlo scappare!” E con quella egli scoppiò in una fragorosa risata.

 

Il banchetto durò per diverso tempo e, contrariamente a quanto Kirk si sarebbe aspettato, era stato molto piacevole. Tutto di quel luogo lo affascinava e lo intrigava e più lo conosceva, più se ne innamorava.

Erano tutti molto gentili e di spirito e la loro compagnia era molto allegra. Avrebbe parlato con quei ragazzi per ore senza stancarsi mai. 

Alla fine, quando tutti ebbero finito di mangiare e di conversare, c’è chi andò a coricarsi e chi invece preferì andare a fare una cavalcata nel bosco. Questo fu un altro aspetto che colpì il capitano. Una caratteristica di quel luogo erano le numerose specie di animali, tra cui una quantità incredibile di cavalli. Scoprì che tutti loro amavano cavalcare e si sorprese nel vedere che bel rapporto ci fosse tra le specie equine e quegli uomini.

A tavola rimasero solo Kirk e Charles, nuovamente soli.

  “Allora capitano.” Principiò Charles. “Avanti, fammi tutte le domande che vuoi. Sarò felice di rispondere.”
Kirk rimase per qualche attimo in silenzio, poi cominciò. 

  “Dove sono gli scomparsi? Sono qui?”
  “In un certo senso. Sono in un posto simile a questo. Ma comunque veramente, torneranno alla realtà quando vorranno loro e quando e se saranno pronti. Tu non puoi fare nulla per loro.”
  “Allora per ora cominciamo con me. Perché sono qui?”
  “Edith non te l’ha detto?”
  “Ha detto che sono qui per ritrovare me stesso”
  “E’ vero. Io non potrei risponderti in maniera più esauriente.”

  “Charles… Lei, tu, tutti… Siete reali?”
  “Dipende cosa intendi tu con realtà. Certo che lo siamo. Tu mi puoi toccare, parlare, sentire. Perché non dovremmo essere reali?”
  “Perché è… illogico.” per un attimo ebbe l’impressione di stare trasformandosi in Spock. 

  “Illogico?”

  “Esattamente. Non ha senso che tu sia qui, ad anni e anni luce dalla Terra. E poi Edith… Io l’ho… Io l’ho vista morire, davanti ai miei occhi.”

Distolse lo sguardo.

Charles trasse un profondo sospiro.

  “Vedi Jim, tu puoi scegliere. Puoi scegliere di tornare da dove sei venuto, tornare alla tua nave, ai tuoi doveri… Ai tuoi rimorsi… Oppure puoi rimanere qui. Questa realtà non è diversa da quella dalla quale provieni tu. E’ ugualmente reale.”
  “E’ il mio subconscio quello nel quale sto vivendo?”

  “Se vuoi chiamarlo così, allora sì.”
  “Quindi voi siete solo nella mia testa. Perché?”
  “Il fatto che esistiamo nella tua testa non ci rende meno reali. Noi siamo qui perché tu non sei capace di lasciarci andare.”
  “Non ti seguo. Io mi ero dimenticato di te, perché dovresti essere qui?”
  “La tua mente cosciente mi aveva cancellato, non l’essenza della tua mente. E l’essenza risiede nell’inconscio, la cui caratteristica sta nel fatto di non poter essere influenzato, né da te né da nessun altro.”

  “Dove vuoi arrivare?”
  “Tu ti sei voluto dimenticare di me, ma non per cinismo o cattiveria, ma per una sorta di auto-conservazione.”
  “Perché avrei dovuto farlo?”
  “Davvero non ricordi?”

In quel momento gli tornò la sensazione di non poter più respirare, la stessa che l’aveva colto non appena arrivò in quel posto.

 “Noi non eravamo rivali all’accademia, anzi…”

Gli mancava l’aria, si sentiva annegare.

  “Noi non siamo mai andati all’accademia insieme.”
Poteva sentire l’acqua riempirgli i polmoni, soffocandolo e spingendolo a fondo.

  “Un giorno andammo al lago insieme, eravamo piccoli, e mentre facevamo il bagno tu ti allontanasti per un attimo, mostrandomi quanto veloce potevi nuotare.”

Sentiva il sangue scorrere sempre più lentamente e sempre più freddo nel suo corpo. La vita gli stava scivolando via così lentamente, così inevitabilmente.

  “Io volli farti uno scherzo e andai sott’acqua, così che tu ti saresti girato e non trovandomi mi avresti cercato. Ma io sarei risalito a galla di colpo, facendoti spaventare a morte.”

Stava per svenire, forse era già svenuto. Non aveva più forze. 

  “Ma non risalii mai…”

  “BASTA!” Kirk urlò senza più forze, annaspando alla ricerca di aria, gli occhi colmi di lacrime. “Perché?? Perché mi stai dicendo tutto questo?”
  “Tu ti incolpasti sempre di quel fatto, e credesti sempre che tutto ciò fosse accaduto per colpa tua odiandoti tanto che ti autoconvincesti che ciò non era in realtà mai avvenuto. E allora ecco che siamo cresciuti insieme e che abbiamo frequentato insieme l’accademia. Ed eccomi qui. Noi siamo i tuoi rimpianti, le tue angosce, i tuoi incubi peggiori. La sola differenza è che qui siamo sogni, siamo vivi e stiamo bene, vivendo felici e in armonia.”

 “Non può essere!” Kirk aveva gli occhi sempre più lucidi, tentando di controllare l’angoscia che aveva preso il controllo della sua mente e del suo corpo. Le sue mani erano serrate in forti pugni . 

  “Se ciò è vero, se tu sei nella mia mente, io non posso essere stato teletrasportato qui.”

  “Sì invece, Jim.”
  “Non puoi essere stato tu, sei solo… solo una proiezione.”
  “Infatti non sono stato io… A portarti qui è stato un mostro.”

  “E… e chi sarebbe?”

 “Tu, mio caro James.”

 

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 “Tu sei il mostro. O meglio. Il tuo lato malvagio, che ti tiene ancorato al passato, a noi… Come ho detto puoi andartene, ma solo se affronterai i tuoi mostri.”

 

Kirk era così stanco… Improvvisamente si sentiva vuoto, svuotato di tutte le sue forze. Si alzò da tavola e si diresse assente verso il bosco. Una volta addentratosi levò lo sguardo al cielo terso. Il sole stava lentamente tramontando, e la forza dei suoi raggi stava indebolendosi.

Avrebbe dovuto andarsene da lì. Ma davvero lo voleva? Perché sarebbe dovuto tornare indietro, tornare al suo futuro? Ne valeva la pena? Lì si stava così bene… Stava ritrovando tutto ciò che aveva perso e là non l’avrebbe certo perso nuovamente. C’era così tanta pace lì…

  “Jim…”

La voce calma e dolce di Edith lo sfiorò alle spalle. Si voltò lentamente e le rivolse un debole sorriso che lei ricambiò. Avrebbe voluto stare lì per sempre.

  “Disturbo?”
Lui fece segno di diniego con il capo, sorridendole poi nuovamente.

  “No, certo che no.”
Lei si fece più vicina, alzando gli occhi al sole, come aveva fatto lui poco prima.

  “Il sole sta tramontando.” Affermò lei. “Vuol dire che tra poco deciderai…”

  “Ma qui il tempo non esiste…” disse interrogativo Kirk.

  “Oh no, infatti. Il sole qui non rappresenta il Tempo, bensì te stesso. Vedi, quando sei venuto qui era mattina, quando hai cominciato a capire il sole era allo Zenit, e ora i raggi solari sono diventati più tenui, hanno perso di vigore, proprio come te. Prima eri determinato a capire cosa stesse succedendo, a trovare gli altri e a tornare alla tua nave… Ora però è il momento del dubbio… Ti stai chiedendo se tutto ciò sia alla fin fine così importante.”
Kirk la guardò sorpreso.

  “E tu come lo sai?”
  “Ormai ti conosco troppo bene.” Gli sorrise. “Sono parte di te.”

  Lui la guardò intensamente e si fece più vicino e lentamente le prese il viso tra le mani e la baciò.

  “Sarebbe… sarebbe così sbagliato rimanere?” Le chiese lui e senza aspettare una risposta approfondì il bacio.

 

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Al capitano Kirk era sempre piaciuto Schiele. Le sue pennellate frenetiche, i colori confusi. Il dipinto che preferiva era “L’abbraccio”. Da quella tela traspariva tutta la passione dei due amanti abbracciati e allo stesso tempo l’ansia e l’angoscia di doversi lasciare, con la paura di perdersi per sempre non appena l’avrebbero fatto.

  Loro assomigliavano a quei due amanti immortalati in quell’olio su tela, intrappolati tra il pennello e il colore per sempre. Assomigliavano a loro in quel momento, sdraiati sull’erba, vestiti solo per metà, coinvolti in un abbraccio frenetico e passionale, intrappolati il un luogo non scalfito dal tempo.

I loro respiri erano pesanti e parole confuse si confondevano tra i loro baci sudati. 

  “Ti amo così tanto… Non lasciarmi mai.”

  “Non l’ho mai fatto, James, e non lo farò mai.”

I loro sguardi si persero l’uno nell’altro. Lei si muoveva con estrema grazia, assecondando ogni suo movimento, come se stessero ballando sulle note di un valzer che non era mai esistito se non per loro. Il loro ansimare si fece sempre più forte e i loro gemiti divennero una melodia classica suonata con maestria.

Erano una cosa sola, niente li avrebbe più separati.
I seni di lei tremarono contro il petto nudo di lui, così forte e sicuro, e lui si aggrappò a lei, come a voler impedire che si dissolvesse da un momento all’altro, come un naufrago si aggrappa ad uno scoglio.

  L’erba accarezzava la pelle esposta, un vento estivo leggero soffiava delicato tra le fronde degli alberi e il cinguettio dei pettirossi scalfiva il silenzio. La natura sembrava continuare a vivere, senza arrestarsi mai, inglobandoli nella sua magnificenza e grandezza.

  

  “Non puoi restare”. 

Erano sdraiati sul fianco, fronteggiandosi. Lui le accarezzava i capelli.

  “Perché no?”

  “Io non dovrei influire sulla tua decisione, ma il tuo posto non è qui, è sulla tua nave, nel tuo presente, non nel mio.”
  “Il mio posto è dovunque ci sia tu, anche se dovessi morire per poterti raggiungere.”

Gli occhi di lei sembravano più grandi, copiosi di lacrime che non era in grado di reprimere.

  “Non è giusto, Jim, anche se mi costa davvero tanto dirtelo. Io vorrei averti sempre qui con me, ma…”

  “Ora lo siamo, e possiamo rimanerci.”

  “Io sono morta James. Non facciamo più parte della stessa realtà.”
  “L’hai detto tu stessa, questa realtà è concreta quanto quella nella quale vivo io.”
  “E’ vero, ma sono comunque due universi separati. Io non sono che un ricordo ormai. Tu invece sei molto più di questo.”
  “Io non voglio tornare indietro. Che senso avrebbe? Da dove vengo non sono felice come lo sono qui.”
  “Non potrei dirtelo, ma se rimani qui… se rimani qui morirai.”
  “E’ quello che è successo anche agli altri? E’ per questo che non li troviamo più anche se nel luogo dove si trovano il tempo non scorre?”

  “Esattamente.”

  “Allora voglio morire come loro se questo mi assicurerà di restare al tuo fianco.”
  “Io sono solo nella tua testa, James. Quello che stai vivendo non è reale nel senso che intendi tu, è reale da un punto di vista metafisico, reale quanto può esserlo un sogno. Se tu morissi, con te morirebbero anche i tuoi sogni. Io vivo grazie a te, perché vivo insieme a te, qui dentro.”
Così dicendo pose la sua mano sottile all’altezza del cuore di lui.

  “Quando il tuo cuore smetterà di battere, smetterò di esistere anch’io con lui.”

  “Io non… io non voglio, non posso perderti di nuovo.” Lacrime leggere gli bagnavano il viso.

  “Le persone, Jim, non muoiono finché c’è qualcuno che le ricorda. Io sarò sempre con te, e mi troverai sempre in questo luogo ogni volta che lo vorrai. Ti basterà chiudere gli occhi, come in questo momento. Svegliati ora, James. Svegliati prima che sia troppo tardi.”
  “Non voglio, Edith.” La strinse a se ancora più forte.

  “Accetta il fatto che io non ci sia più, smetti di ripeterti che potevi fare qualcosa per salvarmi, perché non potevi. Era destino che io morissi. Accettalo. Così come devi accettare la morte di Charles e di tutte le cose che sono andate male. Non puoi governare il Destino, puoi solo abbracciarlo ed accettarlo. Lasciami andare.”
  “Non ci riesco.” Singhiozzò lui tra i suoi capelli.

  “Devi.” Gli prese il volto tra le mani. “Hai un futuro che ti attende, ma per affrontarlo devi lasciare andare il passato. Solo così potrai essere libero. Il mondo ha ancora bisogno di te.”
  Improvvisamente radici cominciarono ad uscire dal terreno e ad avvolgere la figura di Edith. Con gentilezza, come a volerla abbracciare. 

  “NO! NON PORTATEMELA VIA”

Kirk cercò di impedirlo, tentando di strapparle, senza ottenere però grandi risultati.

Il volto di Edith cominciò lentamente a mutare. Cominciò a sanguinare, a riportare ematomi ovunque, sul viso, sulle braccia sottili… Il suo corpo portava contusioni e ferite ovunque… Come quel giorno, dopo l’impatto con quella maledetta macchina.

  “No… non… non è possibile…” la voce del capitano era divenuta più un sussurro adesso… “Ti prego…”

Prese la mano a quello che ormai era il corpo reale di Edith Keeler, che proferì le sue ultime parole.

  “Vattene, Jim…”

In quella, le radici che ormai l’avevano avvinghiata la trascinarono sotto terra, lasciando alle loro spalle solo un mucchio di terra smossa e qualche radice rimasta per metà in superficie.

  “No… no, ti prego… E’ solo un incubo, devo svegliarmi…” si ripeteva Kirk in lacrime, prendendosi il volto tra le mani. 

  Ora tutto cominciò a girare. Attorno a lui un vortice di immagini si susseguivano una dietro l’altra, confuse.

Vedeva sua madre, suo padre, la prima volta che salì su un cavallo, la prima nuotata, Charlie… Quel bambino così bello e felice, con quei suoi occhi verdi così intensi… Finalmente li vedeva di nuovo e solo in quel frangente si rese conto di quanto gli erano mancati. Vide il suo primo bacio, la sua prima guida, l’accademia, McCoy, Edith… e l’Enterprise, Scott, e i pianeti visitati, le avventure vissute fino a quel momento. Poi ci fu il nulla. Buio.

 

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Tremava. E vedeva solo oscurità. Sapeva solo questo. Non aveva paura. Neanche freddo. Si sentì cadere a terra, senza forze, su una superficie di pietra dura. Poi non seppe più nemmeno quello. Sentì solo una voce amica che lo chiamava.

  “Jim! JIM! Spock, di qua!”

 

:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::……………..

 

Quando si risvegliò, il capitano Kirk si ritrovò in infermeria. Credette di sognare, o di vivere un’altra allucinazione.

Si mise seduto sul lettino sopra il quale si era trovato disteso, ma subito una fitta alla testa e al braccio sinistro gli causò un forte capogiro e si premette gli occhi, come a voler fermare il dolore. Si voltò verso l’arto dolorante e lo ritrovò ingessato.

  “No, no, no! Non credo proprio! Lei ora si stende, da bravo.”
L’infermiera lo invitò prontamente a sdraiarsi nuovamente, facendo pressione sulla sua spalla.

  “Dove… Christine?”

  “Sì, sono io capitano. Ora Le chiamo il dottor McCoy!”
Poco dopo il medico di bordo fece il suo ingresso scapicollandosi nella sala pazienti.

  “JIM!” Rendendosi conto che l’infermiera era ancora lì, il dottore si ricompose in fretta. “Ehm… Grazie Christine, può andare.”

Una volta lasciati soli, McCoy non si trattenne da un abbraccio fraterno che raramente si era lasciato sfuggire.

  “Bonce, Bonce! Veda di contenersi!” Sorrise Jim, che all’ingresso dell’amico si era nuovamente messo a sedere.

  “E perché mai! Questa volta ci ha fatto prendere un bello spavento, lo sa?”

  “Cosa… Come sono arrivato qui?” 

  “Ogni cosa a suo tempo, capitano. Come si sente?”

  “Bonce, come avete fatto a trovarmi?”

Il dottore era contrariato. Non voleva affaticarlo viste le sue condizioni, ma sapeva altrettanto bene che conoscendo l’amico egli non avrebbe desistito tanto facilmente. Non ne era affatto il tipo.

  “E va bene…” sospirò e poi continuò. “Non appena è scomparso dal ponte di comando, io e il signor Spock abbiamo fatto qualche ricerca, e alla fine sembrava che una considerevole quantità di energia elettrica venisse utilizzata su un pianeta di classe M vicino alla base spaziale 7.”

  “Perché la 7?”
  “Abbiamo controllato vicino a tutte le basi spaziali dalla 3 alla 8. Spock diceva che era illogico basare le ricerche in uno spazio limitato, e poi lei aveva dato ordine di non avvicinarsi più alle basi spaziali 4, 6 e 8. 

Passate le quattro ore che aveva fissato Lei, capitano, saremmo ritornati per metterci in qualche modo in contatto con Lei.”

  “Ma non è servito.” Dedusse Kirk.

  “Infatti. Il pianeta di cui stiamo parlando risultava disabitato sebbene le condizioni per permettere la vita fossero favorevoli. E questo era il primo fatto strano. Il secondo fatto strano è che non disponevamo di nessun’informazione riguardo a questo pianeta, solo che ci fosse una prevalenza di suolo roccioso, nient’altro. Abbiamo chiesto alla base 7, la quale disse che quello era un avamposto di sicurezza.”

  “Sicurezza? Che sicurezza?”
   “Ecco appunto. Secondo loro serve come base di attracco per eventuali navi con avarie ai motori. Inizialmente era un punto strategico per avvistare in anticipo navi spaziali nemiche ai tempi della guerra tra il pianeta Thalos e il pianeta Orgh. Dopo la pace tra i due, però, quella base risultò inutile e troppo danneggiata per poterla sfruttare per eventuali colonie della federazione. In altre parole, ora è un pianeta inospitale a causa dei danni provocati dalla guerra e inutile per la federazione.

 Visti i presupposti, era dunque altamente improbabile che una quantità simile di energia provenisse da lì, in quanto sarebbe stata inutile. Inoltre non risultava che tale pianeta venisse utilizzato per altri scopi se non per quelli appena citati. Così Spock si è deciso a sbarcare e, diciamo, gentilmente e civilmente l’ho convinto a portarmi con lui.” 

Kirk fece un lieve sorriso, immaginando il putiferio che McCoy aveva causato per andare a cercarlo insieme al primo ufficiale.

  In quel mentre fece ingresso in infermeria Spock, avvertito poco prima dal dottore stesso.

  “Capitano! Mi rallegra vederLa di nuovo sveglio!”

  “Spock, stavo giusto spiegando al capitano come lo abbiamo ritrovato.”
  “Oh sì, storia interessante, capitano.”

  “Interessante?? Spock! E’ stata una delle esperienze più pericolose che ci siamo ritrovati a vivere!” Obiettò McCoy.

  “Su questo concordo pienamente dottore, ma la figura di quell’uomo deve ammettere sia interessante.” Ribatté Spock.

  “Che uomo?” Chiese perplesso Kirk. McCoy si voltò nuovamente verso di lui.

  “Non si ricorda, Jim?”
   “Non… Ciò che ricordo non riguarda nessuna cosa che entrambi voi possiate aver visto…” abbassò lo sguardo. “Ebbene?” Continuò. “Che uomo?”

A rispondere fu Spock. “Egli si è definito uno ,scienziato’. L’abbiamo ritrovata in una grotta, capitano, addosso ad una parete immobilizzato da alcuni macchinari molto avanzati rispetto a quelli che conosciamo noi. Insieme a Lei abbiamo trovato anche gli scomparsi…”

Kirk sentì una fitta colpirgli lo stomaco. “Anche loro erano lì??”

  “Sì, ma purtroppo erano morti… Tutti quanti.” Intervenne McCoy.

  “Come… di cosa?”

  “Quell’uomo che abbiamo trovato, lo scienziato, voleva testare la volontà umana. Voleva vedere, a detta sua, come diverse specie aliene reagissero a contatto con quelli che lui definiva ,mostri’… Lei ha idea di cosa si tratti, Jim?” Chiese di nuovo Spock.

  “Sì, una vaga idea ce l’ho… Dove si trova questo… scienziato?”

  “In cella di massima sicurezza, signore.”

  “Devo andare da lui.”

  “Io non credo  proprio, Jim.” Obiettò il dottore, “Lei rimarrà esattamente dove si trova. Non mi costringa ad immobilizzarLa.”

  “McCoy, non ce n’è bisogno, mi sento molto meglio e devo parlare con quell’uomo!”

  “Chissà perché il mio referto dice tutt’altro invece! Trauma cranico con conseguente perdita di vista occasionale, braccio rotto, probabile stato di shock, emorragie interne… Devo andare avanti?”

  “Mi sento bene, Le dico!” E in quella scese di scatto dal lettino, ma un dolore lancinante alle costole lo colse alla sprovvista e se non fosse stato per l’intervento dei due amici sarebbe senza dubbio caduto.

  “Allora, si può sapere che Le salta in mente?? Nemmeno il corpo e il temperamento di Jim Kirk possono avere la meglio sulla Sua situazione attuale, quindi veda di rilassarsi e di accettare la situazione. Per almeno una settimana Lei da qui non esce!”
  “Ma Bonce,” obbiettò Kirk.

  “Niente proteste Jim: in questo caso ho maggiore voce di Lei in capitolo!”

  “Lei non capisce, io devo parlare con quell’uomo! Al più presto!”

  “Il Suo corpo non risponde ai Suoi comandi! Dove e come vuole andare a spasso per i corridoi in questa maniera?”
  “Be’… In tal caso userò una sedia a rotelle!”

  “Gesù! E sia, ma non appena il dolore ricomincia non accetterò nessuna lamentela e torneremo subito qui!”

  “Va bene. Spock, se ci sono problemi sul ponte non esiti a chiamarmi.”
  McCoy non credeva alle sue orecchie. “Ma Lei mi ascolta mai quando parlo?”

 

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McCoy accompagnò il capitano alla cella nel quale avevano rinchiuso quello che si definiva lo scienziato.

Dopodiché, su richiesta di Kirk, vennero lasciati nella stanza da soli, mentre il dottore attendeva fuori e le guardie controllavano che non accadesse nulla.

 

   “Guarda chi si rivede… Il capitano Kirk… La vedo bene, sa?”

Lo Scienziato stava seduto sulla sua brandina, immobile. Era molto magro, dalle sembianze umane.

  “Chi sei.” Volle sapere il capitano.

  “Il tuo salvatore, dovresti ringraziarmi.”
  “E per cosa??” Gridò il capitano. “Per avermi spaccato le ossa? O per avermi fatto vivere tutti i miei incubi di nuovo?? Solo più reali di quelli che faccio la notte!  Sì davvero, grazie! Sono proprio commosso!”

  “Devo dire che l’ha presa proprio male, capitano”

  “Ma dai! Cos’è, ti aspettavi un’onorificenza?”
  “Be’ poco male. Lei è la riuscita del mio esperimento! Mi rende fiero!”

  “Che esperimento?”

  “Lei ha sconfitto i suoi mostri!”
  “Tu invece hai ucciso sei uomini! Sei tu il mostro.”
  “Ma non capisce? Io non li ho uccisi. Loro si sono uccisi da soli, proprio come stava per fare Lei stesso. Invece ha trovato la forza per svegliarsi!”

  “Anche se fosse, cosa importa a te?? Cosa avevano a che fare quegli uomini l’uno con l’altro?”

  “Oh, non molto in realtà… Ho fatto una scelta progressiva. Ho selezionato prima un individuo debole di carattere e sono andato in progressione, scegliendone sempre uno più forte del precedente. Ma il settimo… Il settimo doveva essere il mio successo. L’ho selezionata con cura la sua mente, capitano Kirk, ed evidentemente ho scelto bene.”
   “Lei è un pazzo!”
  “Sono uno scienziato.”

  “Già, probabilmente anche Mendele lo diceva! Ma perché?”
  “Conoscenza. Volevo capire cosa rendesse una mente più forte o più debole di un’altra.”

  “E mi dica, cosa ha scoperto?” Il tono del capitano era tono di sfida più che di curiosità.

  “Che la mente non c’entra. Lei è estremamente caparbio e intelligente, non mi fraintenda, ma non è certo quello che l’ha salvata. Anzi. La sua mente si stava per arrendere.”
  “E allora cos’è che mi caratterizza?”

  “La natura delle sue emozioni. Più esse sono forti, più l’individuo è caparbio. Ed è quella tenacia che La rende forte, capitano, e quella stessa caparbietà la deve alla forza di ciò che prova. Gioia, Dolore, Amore… Lei non ha sfruttato la razionalità per uscire da lì, ha sfruttato il Suo dolore. E ciò Le ha permesso di accettarlo…”

I due si guardarono per lunghi istanti, poi Kirk chiamò le guardie e il dottore perché lo tirassero fuori da lì.

 

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  “Che Le ha detto, Jim?” Chiese McCoy non appena furono soli in corridoio.

  “Non molto… Solo che quegli uomini hanno deciso di morire autonomamente.”

  “Sì certo. Poteva inventarsene un’altra. La cosa più assurda che potesse dire. Perché avrebbero dovuto?”

  “Forse… Forse perché non riuscivano ad accettare quello che a causa dei loro mostri erano diventati… Forse la morte era preferibile all’accettazione. Hanno preferito vivere un’illusione, piuttosto che la realtà…”

  “Jim… Che cosa hai visto lì sotto?”

  “Solo ciò che non potrò più vedere in vita, Bonce… Ho vissuto solo quelli che sono i miei incubi se fossero sogni…”

 

 

FINE

   

 
   
 
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