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Autore: AleDic    25/04/2020    1 recensioni
[Post-Finale ǀ Glinda!Centric ǀ Dream!Fic ǀ accenni Glinda/Fiyero e Glinda/Elphaba]
Forse è perché lo ha fatto per troppo tempo, mentire a se stessa. Ripetersi che andava tutto bene, che stesse facendo la cosa giusta, che la realtà fosse diversa da come la vedeva lei – da come volava vederla lei. E ora… Forse ora è troppo stanca per esserne in grado.
Così chiude gli occhi e il dolore arriva.
È sempre lì, anche quando è sveglia, lo indossa come un abito che non può mai togliersi. È solo brava a nasconderlo – o sono tutti gli altri che, come lei un tempo, vedono solo quello che vogliono vedere.

{Storia scritta per l'event "Tana Libera Fill WEEK" indetto dal gruppo We are out of prompt su Facebook}
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Glinda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: non sono miei, ovviamente.
Generi: Introspettivo, Angst, Sentimentale.
Avvertimenti: si tratta della descrizione di sogni/incubi, per cui è tutto un po’ confuso, mezzo flusso di coscienza, mezzo nonsense.
Rating: Giallo.

Contesto: dopo il finale.
Personaggi: Glinda.
Pairings: Accenni Glinda/Fiyero, Glinda/Elphaba.

 

 

 

 

 

 

 

Come fuoco che brucia

 

{ 577 parole }

 

 

 

 

 

 

 

 

C’è sempre tanto dolore.

Non ha una precisa origine, non ci sono ferite sul suo corpo, nessun livido, cicatrice, neanche un graffio.
No, Glinda è più sana e splendida che mai, sulla Torre della Città di Smeraldo, la Strega Buona, bianca e candida – pura, è così che la vedono tutti, il popolo di Oz la osanna, la ringrazia, la onora (è amata, è potente, è benvoluta, è tutto ciò che è sempre voluta essere) – eppure.

 

C’è il vento di un tornado e macerie che cadono su di lei e non la colpiscono, ma Glinda sente dolore, lo sente come se ogni scheggia, pietra, mattone la centrassero una ad una – e crede di vedere un esile braccio penzolare inerme sotto una porta di cedro.

 

Altre volte, è in un campo di grano e Fiyero è lì da qualche parte – sente le guardie pronunciare frasi incomprensibili ad alta voce, scorge punte di lance brillanti sotto il sole – ed è tutto rosso. Il sole, il cielo, la terra – dalle piantagioni comincia a scorrere un liquido scuro, scarlatto che inonda il campo.

Glinda sa bene cos’è.
Anche le lance in lontananza sono sporche di sangue.

 

È tutto confuso, tutte le volte che chiude gli occhi – e sarebbe più facile (sopportabile) se potesse dire a se stessa “va tutto bene, Glinda, è solo un sogno”, ma--

Forse è perché lo ha fatto per troppo tempo, mentire a se stessa. Ripetersi che andava tutto bene, che stesse facendo la cosa giusta, che la realtà fosse diversa da come la vedeva lei – da come volava vederla lei. E ora… Forse ora è troppo stanca per esserne in grado.

Così chiude gli occhi e il dolore arriva.
È sempre lì, anche quando è sveglia, lo indossa come un abito che non può mai togliersi. È solo brava a nasconderlo – o sono tutti gli altri che, come lei un tempo, vedono solo quello che vogliono vedere.
Poi chiude gli occhi e il dolore sembra esplodere: in un attimo non è più solo con lei, è dentro, è ovunque, pelle, ossa, sangue. Ogni notte ogni cellula del suo corpo brucia. È straziante.

 

E tutte le volte, arriva la pioggia. Non scende a gocce, ma cade come una cascata tra le montagne. Si riversa a fiotti su di lei mentre il dolore la infiamma, e ogni volta, per un momento, prova sollievo – forse l’acqua spegnerà le fiamme.

 Ma poi l’acqua le tocca la pelle e lei urla.

E, lentamente, si scioglie.

 

In quegli istanti di pura agonia, quando il dolore è così intenso da annullarla, non viene risucchiato tutto dal nero, ma dal verde. Si espande davanti e dietro le palpebre, dipinge tutto il mondo di smeraldo – non il falso luccicante della Città. È il verde dell’erba dei caldi prati del Sud, brillante e accogliente e famigliare. Linee sfocate danzano nel colore e crede di riconoscere delle forme emergerle davanti – occhi, naso, labbra, mani.

E poi una voce.

«Elphie…»

Sussurra quel nome quasi fosse una preghiera – ora che non c’è più nessun Mago di Oz ad ascoltarle, le sue si perdono nell’aria. E nel dolore.

 

 

Riapre gli occhi ogni giorno, sorride e cerca di aiutare il popolo che si affida a lei per vedere esauditi i propri desideri. Stringe al petto il Grimorio come a volerne trarre la forza necessaria a non crollare, e va avanti fino a sera.

Poi torna a casa, posa la testa tra i cuscini del letto e chiude gli occhi.

E tutto ricomincia.
   
 
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