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Autore: Sgrolboffia    27/04/2020    0 recensioni
Un semplice oggetto della sua infanzia fa ricordare a Chuuya il suo passato.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un peluche. Un coniglietto, precisamente. Bianco, con naso e orecchie rosa. Parenti lontani, quando venivano a trovare me e la mia famiglia a casa, giudicavano strano che un bambino possedesse un compagno così femminile, a detta loro. Eppure, quello era indubbiamente il mio peluche preferito. 

Ricordo ancora il giorno in cui lo ottenni. Avevo cinque anni. Io e i miei genitori, di alta estrazione sociale, avevamo affittato una bellissima casa fuori città per passare le vacanze estive. Quel giorno, eravamo andati a visitare un luna park, ad appena un paio di chilometri dal nostro alloggio. Ero felicissimo; per me era la prima visita in un parco giochi del genere, l’ideale per il bambino che ero a quell’età. Passai tutta la mattinata sulle attrazioni adatte a me, dal momento che, data la mia giovinezza, non potevo andare sulle giostre per i più grandi

Fattosi tardo pomeriggio, i miei genitori mi invitarono ad andarcene: inutile dire che non volevo assolutamente e che avevo presto iniziato a piangere, nel disperato tentativo di convincerli a farmi fare un altro giro sulle giostre. Mio padre mi prese in braccio per consolarmi. Era forte, alto, dolce. “Sei un ometto, Chuuya! – mi disse – Non devi piangere perché finirà questa giornata, ma sorridere perché l’hai vissuta!” 

Lo guardai perplesso. In quel momento non capii le sue parole, ma ora sì. È stato, indubbiamente, un grande consiglio.  

Prese ad accarezzarmi la schiena, cantandomi la mia canzone preferita per calmarmi. Mia madre, dietro di noi, ci guardava e sorrideva. Ad un tratto, vide una di quelle macchinette dove, anche se molto raramente, è possibile pescare peluche o altri giocattoli. “Che ne dici, vuoi provarla? Facciamo un tentativo e torniamo a casa”, mi disse lei. Io risposi subito di sì, riguadagnando il sorriso. Papà mi mise giù, tirò fuori una monetina, la inserì e, insieme, governammo il braccio meccanico. Adocchiai un coniglietto, “Papà, voglio quello!”, esclamai. Dirigemmo il braccio finché non si trovò esattamente sopra il mio desiderio. Papà mi permise di premere il bottone che lo avrebbe azionato, e lo feci, trattenendo il respiro. Lentamente, scese; le dita metalliche arpionarono senza pietà il coniglio e il braccio lo direzionò verso il buco di erogazione. Gridai di gioia quando la macchina fece canestro, in un inaspettato e raro colpo di fortuna. Ritirai il mio nuovo amico e lo abbracciai, saltellando felice. “Luna!”, esclamai. 

“Cosa?” rispose la mamma. 

“Si chiama Luna!” dichiarai. “Perché viene dal luna park!” 

“Oh – sorrise mio padre – direi che ha senso.”  

I miei genitori ridacchiarono. Erano davvero una bella coppia. 

Dopo, non fui più triste. Un meraviglioso coniglietto mi era rimasto da quella giornata. Lo stesso che amai, con tutta la mia innocenza, per anni. Lo stesso con cui giocavo a prendere il tè, ai supereroi; lo stesso con cui dormivo ogni notte. Lo stesso che stringevo dopo ogni risveglio a causa di un incubo – anche al tempo ero troppo orgoglioso per correre dai miei per farmi consolare. Era lo stesso coniglietto che, quando tornavo da scuola, era sempre lì ad aspettarmi. Quello che, col tempo, si è rovinato, sfilacciato, sporcato, ma che è sempre rimasto lì accanto a me. Era proprio lui, lo stesso peluche che, terrorizzato, strinsi al mio petto martellante, mentre degli uomini sconosciuti si introducevano in casa mia e uccidevano i miei genitori. Lo stesso che inondai di lacrime, quella notte, immobilizzato sotto il tavolo, incapace di uscirne per la paura. Lo stesso che non mi fu permesso di portare in orfanotrofio, per qualche motivo, e che fu lasciato lì sotto, per anni, ad impolverarsi.  

Ed è anche lo stesso che, ora, sto stringendo in grembo. È molto più piccolo rispetto a come lo ricordavo, ma l’odore è sorprendentemente quello di casa. Dei miei genitori. 

È ora di liberarlo dai fantasmi di questa casa abbandonata. Lo porterò via con me, nella mia attuale dimora. Dazai è un uomo intelligente, di sicuro non farà domande. 






AA (che non è alcolisti anonimi, ma angolo autrice!): Spero vivamente che questa breve storia, scritta circa due anni fa e mai pubblicata per motivi che mi sono ancora sconosciuti, sia stata di vostro gradimento! L'ho trovata ieri sera mentre, annoiata, passavo in rassegna di tutte le storie che ho iniziato ma che non ho mai finito; l'ho letta, mi è piaciuta, ed ho deciso di tirarla fuori dal dimenticatoio!
Alla prossima, grazie per essere arrivati fino a qui!

   
 
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