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Autore: MackenziePhoenix94    01/05/2020    0 recensioni
TERZO LIBRO.
“Sara inspira una seconda volta, vedo i suoi occhi scuri diventare lucidi ed una lacrima, ribelle, le scivola lungo la guancia destra.
“E se fosse cambiato? E se davanti ai miei occhi dovessi ritrovarmi un uomo completamente diverso da quello che ho conosciuto e di cui mi sono innamorata? Ho paura, Theodore” mi confessa con voce tremante “ho paura che Michael Scofield non esista più”.”
Dopo altri sette anni trascorsi a marciare in una cella a Fox River, Theodore Bagwell si trova finalmente faccia a faccia con ciò che lui ed i membri dell’ex squadra di detenuti hanno anelato per lungo tempo: la libertà.
La libertà di essere un normale cittadino.
La libertà di crearsi una nuova vita.
La libertà di lasciarsi il passato alle spalle per sempre.
Sono questi i piani della Serpe di Fox River, almeno finché il passato non torna a bussare con prepotenza nella sua vita tramite un oggetto apparentemente insignificante: una busta gialla e rettangolare, spedita dallo Yemen.
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non è mai semplice fare i conti con la realtà, soprattutto se dopo un anno trascorso in una grande città ti ritrovi di nuovo catapultata in un piccolo paese di provincia, di un altrettanto piccolo Stato del Sud.

Mia madre e Zack sono all’oscuro della maggior parte degli eventi che si sono verificati nell’ultimo periodo della mia permanenza a Chicago: non sanno nulla né del mio incontro con Theodore né della nostra fugace ‘relazione’ (sempre se così può essere definita) né tantomeno della storia delicata in cui mi sono ritrovata coinvolta mio malgrado; per quanto riguarda il braccio rotto, infatti, ho giustificato la frattura scomposta con una mia sbadataggine durante un pomeriggio trascorso su una pista per il pattinaggio sul ghiaccio in compagnia di Ashley, e loro ovviamente ci hanno creduto.

Come hanno creduto, senza alcun dubbio o sospetto, alla mezza bugia che ho raccontato loro al mio ritorno: con voce che mi tremava, ho spiegato di essere rimasta delusa dal mondo della moda in seguito ad un provino che doveva essere il mio trampolino di lancio e che, invece, ha solo infranto il sogno della mia infanzia ed adolescenza.

Ed infatti questo è vero, ma non potevo aggiungere che il colpo di grazia me lo ha assestato Theodore con il suo tradimento e rifiuto; a volte la mia mente è stata attraversata dal pensiero di vendicarmi, di raccontare a mia madre e Zack del nostro incontro e di inventarmi cose orribili che, in realtà, non ha mai fatto, solo per restituirgli tutto il dolore che mi ha procurato, ma sono sempre riuscita a fermarmi in tempo, a prendere un profondo respiro, ed a capire che sarebbe una bastardata senza senso.

Soprattutto perché le conseguenze si abbatterebbero anche su Benjamin, e lui non c’entra nulla con quello che c’è stato tra me e suo padre.

Non ho ripreso gli studi in veterinaria, tuttavia sono riuscita a trovare un impiego stabile che, però, nasconde un risvolto poco piacevole: per ironia della sorte sono stata assunta nella stessa biblioteca in cui lavorava l’ex compagno di mia madre, e devo svolgere il ruolo che una volta ricopriva lui; in sintesi, mi devo occupare delle richieste dei clienti, di ordinare i libri che non sono disponibili in biblioteca e di tenere sempre in ordine i numerosi scaffali.

Devo fare tutto questo ignorando la ferita che non riesce a sanarsi, perché mi basta fermarmi un solo istante e tutto in questo posto mi ricorda lui.

E nonostante siano trascorsi già sette mesi dal mio ritorno a Tribune, fa ancora terribilmente male.

È proprio in uno dei momenti di maggior sconforto che ricevo un aiuto del tutto inaspettato da quella che è la mia ancora di salvezza da una vita: mio fratello Zack.

Lo vedo entrare in biblioteca con in mano due bicchieri di cartone, ed io mi affretto ad asciugarmi le lacrime che non sono riuscita a trattenere per l’ennesima volta, prima che lui le veda; scendo dalla scala a pioli e gli rivolgo uno dei miei migliori sorrisi.

“E questa sorpresa?” domando, indicando con l’indice destro prima lui e poi i bicchieri.

“Passavo di qui per caso, ed ho pensato di portare una cioccolata calda con panna e marshmallow alla mia sorellina preferita”

“Ti ringrazio, ma il tuo gesto dolce conta ben poco dal momento che sono la tua unica sorella”

“Ma sei comunque la mia preferita, dovresti essere lusingata di questo”

“Sei davvero un idiota!” esclamo, senza riuscire a trattenere una risata, mentre prendo in mano un bicchiere; ecco una delle tante sfaccettature del carattere di Zack che adoro: è in grado di risollevarmi l’umore e di farmi ridere in qualunque situazione, perfino adesso che mi sento imprigionata in un periodo nero e buio dal quale non so come uscire.

Assaporo un sorso di cioccolata calda e poi attacco i marshmallow: prendo una delle piccole e soffici nuvole bianche, raccolgo un po’ di panna, e lo faccio sparire in bocca.

Sì, adesso mi sento decisamente meglio.

“Posso farti una domanda?” mi chiede Zack, sorseggiando la sua bevanda calda; sollevo il sopracciglio destro e gli rivolgo uno sguardo scettico, perché quando usa quel tono di voce così serio non significa mai nulla di buono.

“Spara”

“Davvero sei tornata a casa per colpa di quel provino andato male?”

“Sì, perché?”

“Sei davvero sicura che dietro non ci sia un altro motivo?” domanda ancora, appoggiandosi alla scala “andiamo, Gracey, sono tuo fratello: conosco tutto di te, so quando c’è qualcosa che non va, mi basta guardarti negli occhi per capirlo. Ed in questo momento c’è proprio qualcosa che non va, perché da quando sei tornata a Tribune sei strana, anche mamma lo ha notato, sai? Ed è molto preoccupata”

“Apprezzo molto il fatto che ti stia così a cuore il ruolo di ‘fratello maggiore iperprotettivo’, ma va tutto bene! Sono solo triste perché a Chicago non ho trovato ciò che speravo di trovare, ma passerà. Il tempo guarisce ogni ferita, giusto?” rispondo, scrollando le spalle e sorridendo; ma Zack insiste ancora una volta: mi rivolge uno sguardo scettico e pronuncia il mio nome con un sospiro esasperato.

“Gracey…”

“Va bene, d’accordo… D’accordo!” mi arrendo, alzando entrambe le mani; decido così di svuotare il sacco, con la speranza di ricavarne qualche beneficio o di trovare una spalla su cui piangere, tuttavia preferisco continuare a tacere qualche ‘piccolo’ particolare per non sconvolgere la vita a mio fratello ed a mia madre, altrimenti non riuscirebbero più a guardarmi come prima “mentre ero a Chicago ho… Ho conosciuto un ragazzo. Ci siamo frequentati per due mesi, circa, e tutto sembrava essere perfetto… Almeno finché lui non mi ha detto che era meglio troncare perché la nostra storia era destinata a finire da un momento all’altro. Non riuscivo a capire il perché di questa sua decisione drastica, visto che fino al giorno prima tutto andava a meraviglia, e poi ho scoperto il vero motivo che si nascondeva dietro a tutto: si era rivisto con la sua ex ragazza ed avevano fatto… Sesso. tutto qua”

“Lo sapevo io!” esclama Zack, scuotendo la testa: mi basta una sola occhiata per intuire che in questo momento vorrebbe essere faccia a faccia con la persona che mi ha spezzato il cuore per picchiarla selvaggiamente “sapevo che aveva a che fare con un ragazzo, me lo sentivo… Devi lasciare perdere questo coglione, Gracey, non vale la pena soffrire per lui. Se è stato così idiota da lasciarsi scappare una ragazza stupenda come te, allora è un problema suo. Non merita le tue lacrime”

“Ma io ci credevo moltissimo in questa storia” mormoro, rigirandomi il bicchiere tra le mani “e lui si era presentato come il… Ragazzo perfetto. Ed io, come una stupida, sono caduta letteralmente ai suoi piedi. Avrei dovuto capirlo fin dall’inizio che mi stavo infilando in una situazione poco chiara, ed invece non ho voluto vedere ed ascoltare i segnali… Ed eccomi qua”

“Lascialo perdere, davvero, non ne vale la pena. Non voglio vederti star male per un cretino simile” Zack appoggia l’indice destro sotto il mio mento, invitandomi a sollevare il viso “e adesso fai un bel sorriso per il tuo fratello preferito”.

In automatico, le mie labbra si distendono in un sorriso.

Mio fratello è davvero l’unica persona al mondo ad avere un ascendente così forte su di me.

È davvero la mia ancora di salvezza: senza di lui sarei già colata a picco.

“Ti prometto che farò di tutto per togliermelo dalla testa il prima possibile, ma tu, in cambio, non devi dire nulla a nostra madre. Sai benissimo come reagirebbe, ed io non voglio farla preoccupare inutilmente”

“D’accordo”

“Zack?”

“Sì?”

“Grazie… Di tutto”

“È a questo che servono i fratelli, giusto?”.

Mi fa l’occhiolino ed esce dalla biblioteca; sorrido di nuovo, l’osservo allontanarsi e salgo nuovamente in cima alla scala a pioli perché devo ancora occuparmi di uno scaffale in cui regna letteralmente la polvere.

Trascorrono appena pochi secondi prima che alle mie orecchie giunga di nuovo il suono inconfondibile della piccola campanella posta in cima allo stipite della porta: ogni volta che viene aperta, il trillo del monile mi avvisa dell’arrivo di un cliente.

“Arrivo subito!” grido, per farmi sentire “mi scusi, ma devo finire di occuparmi di questo scaffale”

“Non ti preoccupare, dolcezza, ho tutto il tempo del mondo”.

Mi blocco nello stesso istante in cui ricevo una risposta da una voce maschile, e rischio di perdere l’equilibrio e di fare una rovinosa caduta a terra; sbatto più volte le palpebre, confusa, senza staccare lo sguardo dalla superficie ormai pulita e dal panno che stringo nella mano destra: il tono, le parole strascicate, ma soprattutto l’epiteto ‘dolcezza’, appartengono solo ad una persona di mia conoscenza, che non vedo da sette mesi.

Inizio a ripetermi che non può essere possibile, lui non può essere qui perché non sa dove abito, l’unica spiegazione plausibile è che sono appena rimasta vittima di una allucinazione uditiva a causa dei ricordi che sono riemersi durante la conversazione che ho avuto con Zack, e così cerco di vedere l’intera situazione con occhio critico e razionale: in fin dei conti sono ancora scossa da tutto quello che è successo, come ho confessato a mio fratello, ed è sufficiente un piccolissimo particolare per risvegliare ancora… Tutto; e poi esistono tantissimi ragazzi sulla faccia della Terra che per provarci in modo spudorato utilizzano l’epiteto ‘dolcezza’.

Ma quando distolgo lo sguardo dallo scaffale, abbassandolo in direzione del cliente che è appena entrato, sono costretta a ricredermi totalmente: anche se ha i capelli più corti e lisciati all’indietro con del gel, anche se ha il viso completamente sbarbato, il ragazzo appoggiato al bancone, che mi sta rivolgendo un cenno di saluto con la mano sinistra, è indubbiamente lui.

Scendo dalla scala, lo raggiungo e lo guardo negli occhi senza pronunciare una sola parola; allungo il braccio destro e quando sento la consistenza della camicia jeans che indossa sotto i polpastrelli delle mie dita, mi rendo finalmente conto che non si tratta di un’allucinazione e ritiro la mano di scatto.

“Tu?” domando, con un filo di voce, incredula.

“In carne ed ossa, dolcezza, ti sono mancato? A giudicare dalla tua accoglienza calorosa direi di si” risponde Whip, con un sorriso compiaciuto; non so da dove abbia origine la sua allegria, ma io sono appena ripiombata nel malumore più assoluto.

“Come hai fatto a trovarmi?”

“Diciamo che ho… Seguito il mio cuore. Ed il mio cuore mi ha sussurrato ad un orecchio di venire a Tribune”

“Come hai fatto a trovarmi?” ripeto, per la seconda volta, scandendo le parole; Whip solleva gli occhi al soffitto e sbuffa, passandosi la mano destra tra i capelli: è sufficiente questo gesto involontario per provocarmi una fitta al cuore, perché è lo stesso che fa sempre suo padre quando è nervoso o esasperato.

Ma perché deve assomigliargli così tanto?

“D’accordo, d’accordo, volevo solo essere romantico perché so che voi ragazze avete un debole per queste frasi sdolcinate da film d’amore… Ho chiesto al vecchio se poteva darmi il tuo indirizzo, ma visto che la nostra conoscenza è ancora ad un livello superficiale ho preferito non bussare alla porta d’ingresso di casa tua. Così ti ho osservata per un po’ di tempo, e quando ho capito che lavoravi qui… Ho aspettato il momento migliore e poi sono entrato”

“Sei inquietante” mormoro, scuotendo la testa, sconvolta dalla sua confessione, soprattutto perché non ho  mai sospettato di essere seguita ed osservata da qualcuno.
“Sai, questa è la prima volta che una ragazza mi definisce ‘inquietante’. Di solito le altre preferiscono descrivermi con aggettivi diversi che iniziano con la lettera ‘i’… Incredibile, indimenticabile, instancabile… Vuoi sapere perché mi hanno detto che sono instancabile?”

“No, grazie” rispondo, seccata, voltandogli le spalle “adesso puoi andartene. Sono molto occupata”

“Perdonami, dolcezza, ma siamo completamente soli qui dentro. Sei davvero sicura di non avere il tempo per scambiare qualche parola con me?”

“Si può sapere per quale motivo sei venuto a Tribune?”

“Ohh, dobbiamo rifare lo stesso balletto del nostro primo incontro? Te l’ho spiegato poco fa, Gracey, sono venuto qui per chiacchierare un po’ con te… Sei letteralmente scappata da Chicago senza dire una sola parola, pensavamo che ti fosse accaduto qualcosa. A Benjamin è dispiaciuto molto non salutarti… Non so perché, ma mi ha raccomandato di non chiederti mai di preparare dei biscotti al cioccolato”

“Non è assolutamente vero che me ne sono andata senza avvisare: la mia famiglia e la mia migliore amica sapevano della mia partenza”

“Ahh, la tua migliore amica? La bionda intelligente? Come sta?”

“Sta bene” dico, in un soffio “ed ha avuto molta più fortuna di me: ha fatto un provino ed è riuscita ad ottenere una piccola parte in un film”

“L’avevo capito fin dal primo momento che quella è una ragazza che nasconde un enorme potenziale” commenta lui, ed il suo sorriso mi fa capire che non si sta affatto riferendo al talento di Ashley nella recitazione; è il mio turno di alzare gli occhi al soffitto e prego affinché questa tortura finisca il prima possibile.

“Lascia perdere. Sta con un ragazzo da un paio di mesi, e poi non sei il suo tipo. A lei non piacciono le persone inquietanti, per quanto possano essere incredibili, indimenticabili ed instancabili”

“Noto una leggera vena di sarcasmo nella tua voce, dolcezza, e questo mi fa capire che abbiamo iniziato la nostra rimpatriata nel modo sbagliato, quindi cercherò di ricominciare dall’inizio e di porvi rimedio prima di rovinare tutto: allora… Come stai?”

“Secondo te?”

“Sei ancora arrabbiata con mio padre?”.

Perfetto, penso, come se la situazione non fosse già abbastanza difficile da gestire, ecco un’altra pugnalata a tradimento.

“No, ma se lo vedi digli che per quel che mi riguarda può marcire all’inferno”

“D’accordo, sei ancora arrabbiata con lui… Lo sai che quando te ne sei andata ha provato a chiamarti più volte per avere una conversazione più pacifica?”

“No, non lo sapevo perché ho cambiato numero. E comunque, immagino che lui abbia rinunciato in fretta a cercare un modo per contattarmi perché sarà stato molto impegnato con Nicole”

“Sì, in effetti quei due hanno molto da chiarire”

“Immagino benissimo in quale modo” commento, rivolgendogli un’occhiata risentita.

“Dolcezza, la vita sessuale di mio padre non rientra nelle mie priorità, ma se per te è così importante la prossima volta ti posso portare un grafico. E poi, sono sicuro che al momento lui e Nicole abbiano ben altre preoccupazioni perché devono trovare un accordo sull’affidamento congiunto di Ben”

“Non sono affari che mi riguardano” mi sposto dietro al bancone e mi occupo di alcuni libri da catalogare al computer; non è un lavoro della massima urgenza, ma ho bisogno di qualcosa che mi aiuti a scaricare il nervosismo, altrimenti rischio di mettere le mani addosso a Whip e di beccarmi una denuncia per aggressione fisica “alla fine l’hai stappata la famosa bottiglia di spumante?”

“No, non sono un amante dello spumante, e poi trovo che sia terribilmente deprimente bere da soli. Preferisco stappare una bottiglia di birra in compagnia… Ti andrebbe di farlo con me?”.

Il volume che ho in mano cade sul pavimento con un tonfo sordo; giro il viso di scatto in direzione del mio ‘stalker’ e lo fisso con gli occhi sgranati, incapace di sbattere le palpebre e di pronunciare una sola parola.

Non posso credere a ciò che ho appena sentito.

“Mi stai chiedendo di uscire insieme?”

“Sì, non è evidente?”.

Oh, mio dio.

“Stai scherzando, vero?”

“E secondo te io avrei fatto chilometri e chilometri per venire a Tribune solo per farti uno scherzo di pessimo gusto? Credi davvero che la mia vita sia così patetica e banale? Ti sto chiedendo di uscire, Gracey, vorrei trascorrere qualche ora in tua compagnia e bere qualcosa insieme, e dopo tutta la strada che ho fatto non sono intenzionato ad accettare un ‘no’ come risposta”

“Perché dovrei uscire con te?”

“La vera domanda è: perché non dovresti uscire con me?”

“Non ti conosco neppure”

“Allora questa potrebbe essere un’ottima occasione per conoscerci a vicenda, non trovi? E poi, non dimenticare che sette mesi fa mi sono occupato di vegliare su di te e su Ben. Quando siamo stati attaccati da quel sicario, sono stato io a portarti in ospedale, e sono stato sempre io a rimanere a tuo fianco, per settimane, fino a quando non è tornato mio padre. E l’ho fatto nonostante il pugno che mi hai dato all’occhio sinistro. Sei in debito con me, Gracey, di conseguenza accettare il mio invito sarebbe un modo carino per pareggiare i conti”.

Cazzo.

Anche se non sono intenzionata a dirlo ad alta voce, Whip ha ragione: nei suoi confronti ho un debito che non ho mai saldato; e poi, ho l’impressione che un semplice rifiuto non lo farebbe affatto desistere dall’obiettivo che si è prefissato.

In sintesi: non ho affatto voglia di uscire con lui, ma sono costretta a farlo.

“In centro città c’è un piccolo pub. Non è difficile da trovare, lo vedi subito perché ha un’enorme insegna rossa con le luci ad intermittenza… Possiamo trovarci lì per le nove, ma a due condizioni: non accetto un solo minuto di ritardo e si tratta solo di bere una birra insieme, togliti qualunque altra idea dalla testa, d’accordo?”

“D’accordo. Alle nove mi troverai fuori dal pub ad aspettarti” mormora lui, facendomi l’occhiolino prima di uscire dalla biblioteca.

Non ho la più pallida idea di dove trascorra l’intera giornata, e neppure voglio saperlo, ma incredibilmente quando scoccano le nove in punto di sera, Whip mi sta aspettando fuori dall’ingresso principale del pub di cui gli ho parlato: speravo in un suo ritardo, in modo da potergli dare buca, invece è stato fin troppo puntuale e di parola.

“Hai mantenuto la promessa” commento, infilando le mani nelle tasche della giacca.

“Questo perché io mantengo sempre le mie promesse”

“Buffo… Anche tuo padre mi ha detto spesso queste stesse parole, e poi non lo ha quasi mai fatto”

“Ma io non sono mio padre, dolcezza” risponde lui, sorridendo; per la prima volta mi accorgo delle fossette che gli appaiono sulle guance ogni volta che distende le labbra, e mi domando come abbia fatto a non notarle in precedenza.

Non so spiegarmi il perché, ma questo pensiero mi agita e così sposto il peso del corpo da un piede all’altro.

“Possiamo entrare? Fa freddo e non vorrei mai che qualcuno mi riconoscesse”

“Perché? Ti vergogni di me?”

“Ho detto a mia madre ed a mio fratello che sono uscita con alcune colleghe. Non potevo raccontare che avevo un appuntamento con un ragazzo di cui non conosco neppure il nome”

“Ohh, ma questo significa che sono il tuo piccolo e sporco segreto. Intrigante”

“Possiamo entrare?” insisto per la seconda volta, a denti stretti, e finalmente Whip apre la porta facendomi cenno di entrare per prima; senza neppure guardarmi attorno, mi fiondo subito in direzione del primo tavolo libero che vedo, mi siedo e sfrego i palmi delle mani l’uno contro l’altro per scaldarmi.

Odio con tutta me stessa l’inverno, se fosse per me dovrebbe essere estate trecentosessantacinque giorni l’anno.

Whip occupa l’altra sedia, schiocca le dita della mano sinistra in direzione di un cameriere e ordina due bottiglie di birra, senza neppure chiedermi se ho qualche preferenza; in realtà, neppure mi piace la birra, ma lui non sembra interessato a voler conoscere questi piccoli particolari.

E quando arriva la nostra ordinazione, infatti, la mia bottiglia resta letteralmente intatta, mentre il contenuto di quella del mio ‘stalker’ sparisce in fretta nel suo stomaco; non contento se ne ordina un’altra e, mentre l’aspetta, si accende una sigaretta.

Stringo le labbra ed esprimo il mio disappunto in tono duro, senza mezzi termini: ho sempre odiato le persone che fumano e bevono senza alcun ritegno, adesso ancora di più perché sono due azioni che collego a Theodore.

“Credevo che a voi ragazze piacessero i ragazzi con l’aspetto da ‘bello e dannato’. Tutte le donne che ho avuto mi hanno sempre confermato che trovate terribilmente irresistibile l’immagine del maschio alpha che si porta alle labbra una sigaretta ed aspira una boccata di fumo”

“Mio padre era un alcolizzato. Non ricordo molto di lui perché ero solo una bambina quando i miei genitori si sono separati, ma mia madre mi ha raccontato che un giorno è arrivato a spaccare un bicchiere in testa a mio fratello, e Zack lo ricorda ancora benissimo. Di conseguenza non ho un’alta stima delle persone che abusano di bevande alcoliche”

“Vuoi fare una partita a biliardo?”

“Hai sentito una sola delle parole che ho appena pronunciato?”

“Si, infatti ti ho chiesto se vuoi fare una partita a biliardo visto che c’è un tavolo ancora libero”

“Non so giocare”

“Ti insegno io”.

Controvoglia, sono costretta ad abbandonare il tavolo ed a seguire Whip, ritrovandomi tra le mani una stecca di legno che non so neppure come impugnare; sposto lo sguardo dall’oggetto al mio accompagnatore e sollevo il sopracciglio sinistro.

“Che cosa dovrei fare con questa in mano?”

“Spaccare le palle… Non le mie, sia chiaro, perché mi è già bastato il calcio di sette mesi fa… Vedi questa bianca?” mi dice, indicandomela, ed io annuisco “devi colpirla con la punta della stecca, con più forza possibile, in modo da colpire le altre palle, disposte a triangolo, e sparpagliarle sul tavolo. Questo serve per iniziare la partita, il resto te lo spiegherò passo dopo passo. Guarda, ti faccio vedere come devi impugnare la stecca in modo corretto”.

Si sistema alle mie spalle, senza smettere di parlare per un solo secondo, mostrandomi effettivamente come devo usare l’oggetto e come devo posizionare le braccia per effettuare un tiro mirato e preciso; ma lo ascolto in modo distratto, senza prestare attenzione alle sue istruzioni, perché continuo a pensare al suo petto premuto contro la mia schiena, alle sue mani grandi e calde che coprono le mie, ed alla sua guancia sinistra appoggiata alla mia destra.

È troppo vicino.

Troppo, troppo vicino ed io sento le gambe trasformarsi improvvisamente in gelatina tremolante; e ciò contribuisce solo a confondermi sempre di più: se lo odio, perché è chiaro che lo odio, perché allora mi provoca questo effetto?

Quasi non mi accorgo di muovere la stecca in direzione della palla bianca che colpisce le altre colorate, sparpagliandole per il tavolo ricoperto da un tappetino verde; Whip si allontana da me, ed il mio respiro torna ad essere regolare, lasciandomi però i palmi delle mani appiccicosi a causa del sudore.

“Allora? Sono stata brava?”

“Sì, non male per una principiante, ma solo perché hai un ottimo insegnante”

“Dove stai andando?”

“Ohh, tranquilla, dolcezza, non ti voglio abbandonare. Mi assento solo per qualche minuto perché ho bisogno di svuotare il serbatoio, purtroppo la birra mi fa sempre questo effetto”.

Dopo avermi dato quell’elegante e raffinata spiegazione fin troppo dettagliata, Whip si allontana in direzione del bagno ed io mi aggrappo con entrambe le mani ai bordi del tavolo, piegandomi leggermente in avanti, e prendo una serie di lunghi respiri per calmarmi; il breve contatto fisico tra i nostri corpi sarà durato non più di una ventina di secondi, eppure è stato sufficiente per farmi perdere lucidità e per non farmi capire più nulla.

E la cosa peggiore è che non riesco a dare una motivazione a ciò che si agita dentro di me; so solo che non mi piace e che non voglio portare avanti l’appuntamento per un solo minuto in più: quando lui ritornerà dal bagno, difatti, gli dirò che per me è tardi e che è arrivato il momento di tornare a casa prima che Zack e mamma inizino a preoccuparsi.

Lo ringrazierò e gli dirò di non tornare mai più a Tribune e di uscire per sempre dalla mia vita.

Sarà un discorso chiaro, semplice, lineare ma diretto e chiuderò questa faccenda una volta per tutte.

Dopo la brutta esperienza che ho avuto non ho alcuna intenzione di uscire con un ragazzo, soprattutto se il ragazzo in questione è un tipo inquietante, arrogante e sbruffone, oltre ad essere il figlio maggiore della persona che mi ha prima usata e poi abbandonata come una bambola di pezza.

Strofino i palmi delle mani sulla stoffa dei jeans, continuando a ripetermi mentalmente il discorso da fare a Whip, ma vengo bruscamente interrotta da qualcuno che mi appoggia una mano sulla spalla destra; sollevo gli occhi dal tappetino verde del tavolo e mi ritrovo a fissare un giovane uomo sconosciuto, che mi rivolge un sorriso fin troppo ammiccante.

“È da un po’ che ti osservo” dice, ed il modo in cui strascica le parole mi fa subito capire che ha già alzato parecchio il gomito “che ne dici di unirti alla mia compagnia per bere qualcosa insieme?”.

Lancio una breve occhiata in direzione del gruppo che mi indica con un cenno del capo: anche loro hanno sicuramente bevuto e non c’è una sola ragazza.

Un campanello d’allarme inizia a trillare con forza nella mia testa, perché questa è esattamente una di quelle situazioni in cui una diciassettenne come me non vorrebbe mai trovarsi.

“No, grazie” rispondo, in tono fermo, spostando lo sguardo altrove.

“Andiamo, ti piacerà”

“Ho detto di no” ripeto per la seconda volta, continuando a lanciare occhiate in direzione della porta del bagno.

Dove diavolo è finito il mio ‘stalker’? Possibile che sparisca proprio nell’unico momento in cui ho bisogno della sua presenza?

“Avanti, ti ho solo chiesto di unirti a noi per una birra e per fare quattro chiacchiere”

“Ed io ti ripeto per la terza volta che non ho alcuna intenzione di muovermi di qui” ribatto a denti stretti, alzando apposta il tono di voce, sottraendomi alla sua presa, e per rimarcare il concetto gli do una spinta; lo sconosciuto retrocede di qualche passo, barcollando, ed alcune gocce di birra escono dal boccale che regge nella mano destra, macchiandogli la maglietta che indossa, e facendomi guadagnare un’occhiata furiosa.

“Vaffanculo, stronza” mi sibila contro, risentito per il rifiuto, e non si limita ad apostrofarmi con epiteti poco gentili: mi rovescia addosso il resto del contenuto del boccale, io non ho il tempo di spostarmi, e così mi ritrovo i capelli, il viso e la giacca fradici di birra rossa; ma proprio nell’istante in cui sto per aggredire lo stronzo, ripagandolo con un calcio al basso inguine, una figura appare a mio fianco e mi precede, scagliandosi contro il mio aggressore.

Impiego qualche minuto per rendermi conto che si tratta di Whip, ed altrettanti per notare che ha bloccato lo sconosciuto contro il tavolo da biliardo, tenendolo saldamente per il collo.

“Whip… Whip!” esclamo, precipitandomi da lui, stringendogli con entrambe le mani il braccio destro in modo da fargli allentare la presa “lascialo andare, lascialo andare immediatamente! Così lo ammazzi!”

“Questo figlio di puttana ti ha appena versato addosso della birra. Nessuno può azzardarsi a compiere un gesto simile a ciò che mi appartiene. Odio quando toccano le mie cose”

“Lascialo!” urlo di nuovo “lascialo andare! Ora!”.

Lentamente allenta la presa dalla gola dell’uomo, prima di allontanare la mano di scatto; lo prendo sottobraccio e gli mormoro che è arrivato il momento di pagare il conto e di andarcene, perché ormai abbiamo attirato l’attenzione di tutto il locale, ma nello stesso momento in cui poso una mano sulla maniglia della porta lo sconosciuto grida, con voce strafottente, una provocazione rivolta al mio accompagnatore.

“Bravo, segui il consiglio di quella stronza, femminuccia! È ovvio che ti mancano le palle, altrimenti avresti il coraggio di affrontarmi come un vero uomo!”.



 
“Fermo, non ti muovere” mormoro; strappo un piccolo batuffolo di cotone, lo imbevo di disinfettante e lo avvicino al profondo taglio che Whip si è procurato sulla fronte: tampono più volte la ferita con delicatezza ed il bianco del cotone s’impregna ben presto del rosso carminio del sangue, costringendomi a prenderne dell’altro.

“Ahh, cavolo, potresti essere più delicata? Fa terribilmente male!”

“In realtà dovrei metterci più forza, perché te lo meriti” borbotto, risentita, continuando ad occuparmi del piccolo flusso di sangue che non vuole saperne di arrestarsi “ti avevo detto di lasciar perdere, non avresti dovuto dar retta alle parole di quell’idiota”

“Ma hai sentito quello che mi ha detto? Mi ha chiamato ‘femminuccia’! Nessuno può chiamarmi ‘femminuccia’ e sperare di passarla liscia”

“Quell’uomo era completamente ubriaco, di sicuro domani mattina non ricorderà più nulla di quello che è successo… Ohh, quasi dimenticavo! Se lo ricorderà eccome perché gli hai spaccato la mandibola ed un paio di costole prima che riuscissi a trascinarti fuori da quel maledetto pub. Lo sapevo che non avrei mai dovuto accettare di uscire insieme a te…” insisto, scuotendo la testa “se la polizia…”

“Sei preoccupata per me, dolcezza?”

“No!” esclamo, esasperata, lanciando il cotone che ho in mano contro i sedili posteriore della macchina di Whip “non sono preoccupata per te, maledetto idiota! Sono incazzata! Furiosa! Semplicemente arrabbiata! Cazzo, possibile che tu non riesca a capirlo? Gli ultimi sette mesi sono stati infernali per me, ho provato in qualunque modo a dimenticare tuo padre, ma non ci sono riuscita e ancora non ci riesco. E poi ci sei tu, che compari all’improvviso, mi obblighi ad uscire per uno stupido appuntamento e mi coinvolgi in una stupida rissa!”

“Gracey…”

“Ohh, maledizione” lancio un’occhiata prima all’orologio che porto al polso sinistro e poi alla piazzetta isolata in cui ci troviamo, e mi stringo nelle spalle “accompagnami a casa. È terribilmente tardi e non voglio far preoccupare mia madre e mio fratello”

“Gracey…”

“Che cosa c’è?” chiedo, esasperata, dopo aver sentito per la seconda volta il mio nome; giro di scatto il viso verso di lui e sussulto, perché mi ritrovo il suo a pochi centimetri di distanza dal mio.

E prima che possa dirgli qualunque cosa, mi ritrovo la sua mano destra premuta sulla mia nuca e le sue labbra appoggiate sulle mie; quando si allontana chiedo subito spiegazioni riguardo a ciò che ha appena fatto.

“Un piccolo ringraziamento per esserti presa cura di me, anche se mi consideri un maledetto idiota che ti ha fatta incazzare, infuriare, semplicemente arrabbiare, che ti ha trascinata ad uno stupido appuntamento e che ti ha coinvolta in una stupida rissa”

“Era… Era un bacio?”.

Domanda retorica ed inutile, ovviamente.

“No” risponde, però, lui sorprendendomi “te l’ho detto: quello era solo un piccolo ringraziamento. Questo è un bacio”.

Prima che possa fermarlo, mi ritrovo nuovamente le sue labbra premute con forza sulle mie, in un contatto fisico molto meno dolce e delicato del precedente; sussulto sentendo la sua lingua sfiorare la mia, eppure non mi sottraggo al bacio: esattamente come è accaduto dentro al pub mentre m’insegnava a giocare a biliardo, un brivido caldo mi percorre la schiena, le gambe si trasformano nuovamente in gelatina e gli getto le braccia attorno alle spalle, premendo con più forza il mio viso contro il suo.

Ritorno in me solo quando sento le sue mani armeggiare con la zip dei miei pantaloni; lo allontano di scatto e lo colpisco con uno schiaffo.

“Ma che diavolo pensavi di fare? Per chi mi hai preso?” domando, riprendendo fiato.

“Perdonami, dolcezza, mi sono lasciato trasportare troppo dall’atmosfera che si era creata. Credevo che lo volessi anche tu… Sai… Per rimediare alla disastrosa serata…”

“Io non sono quel genere di ragazza che fa sesso al primo appuntamento… E poi sono ancora vergine” mormoro, confessando in modo indiretto che tra me e Theodore non c’è mai stato nulla al di là di qualche bacio e abbraccio; sul volto di Whip appare un’espressione sorpresa, sostituita quasi subito da una sollevata.

“Quindi, questo significa che tu e mio padre…”

“No”

“Ohh, grazie al cielo! Devo essere sincero con te, dolcezza, temevo che voi due aveste consumato”

“Temi il confronto?” decido di stuzzicarlo per vedere la sua reazione, ma lui incassa alla perfezione e si limita ad emettere uno sbuffo sonoro.

“Con chi? Con mio padre? No, non c’è alcun confronto. È ovvio che io lo batto, questo è assolutamente fuori discussione, magari a suo tempo avrà avuto i suoi assi nella manica, ma adesso è da rottamare… Comunque anche io sono vergine”

“Davvero?” chiedo, rivolgendogli uno sguardo scettico.

“Assolutamente no, ma mi sembrava una cosa carina da dire, dolcezza”.

Non so se la sua sia una battuta studiata con arguzia o se gli è venuta in mente spontaneamente dopo aver ascoltato le mie parole, in ogni caso scatenano in me una reazione del tutto inaspettata: mi copro la bocca con la mano destra, reprimo a stento un singhiozzo, e scoppio in una risata così divertita e contagiante che ci ritroviamo entrambi a ridere con le lacrime agli occhi, incapaci di fermarci e di riprendere fiato.

Nessun ragazzo, prima d’ora, era mai riuscito a farmi ridere così tanto, neppure mio fratello Zack.

Quando mi asciugo le lacrime e lo guardo negli occhi, mi sembra di vederlo veramente per la prima volta, come se qualcuno avesse appena tolto un panno che mi oscurava la vista; in un attimo, tutta la tristezza, la delusione ed il rancore che mi porto appresso da sette mesi spariscono, come se non fossero mai esistiti, insieme ai momenti trascorsi in compagnia di Theodore.

“Cavolo…”

“Che cosa c’è, Gracey?”

“Non capisco”

“Che cosa non capisci?”

“Non capisco perché solo ora mi rendo conto di quanto tu sia terribilmente bello ed affascinante”.

Nonostante gli abbia appena offerto su un vassoio d’argento un’occasione da non sprecare, Whip non inferisce su di me e non mi rivolge alcuna battutina piccante; potrebbe ordinarmi di uscire dalla macchina ed abbandonarmi nella piazzetta isolata in cui ci troviamo, visto l’atteggiamento ostile che finora ho avuto nei suoi confronti, eppure non lo fa.

Anzi.

Compie un’azione completamente diversa: distende le labbra, con l’angolo sinistro della bocca leggermente incurvato all’insù, nel sorriso sornione più compiaciuto e mozzafiato che io abbia mai visto in tutta la mia vita.

Ed è proprio quel sorriso sornione a fottermi completamente.
 
   
 
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