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Autore: Babbo Dark    05/05/2020    3 recensioni
Il destino è un gran bastardo... Un burlone, uno stronzo...
Ti fa passare le pene dell’inferno e per cosa poi? Un pugno di mosche? Ti distrugge poco alla volta, ti toglie la vita e solo quando arrivi in un letto d’ospedale ti scoppia a ridere in faccia.
Alcune volte la vita prende delle strade inaspettate e ti ritrovi con il cuore a pezzi mentre scrivi una lettera destinata a nessuno, mentre ti prepari a salutare il Sole per l’ultima volta… Ti ricordi come è iniziato tutto, Derek? Come potresti dimenticarlo, nessuno può.. Non potresti mai dimenticare il vuoto che hai sentito nel petto quando l’hai visto, inerme e senza vita, in quel letto d’ospedale…
Storia facente parte della raccolta "The DarkStar Cronicles"
Genere: Angst, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Il branco, Sceriffo Stilinski, Stiles Stilinski
Note: OOC, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'The DarkStar Cronicles'
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Note iniziali: questa storia è nata in una notte d’insonnia ed è piena di angst (non uccidetemi!); la prima parte della storia è narrata in terza persona, così come l’ultima, mentre la parte centrale è narrata da Derek in persona. Noterete che i personaggi siano molto OOC ma è stata una necessità, la frase iniziale mi è stata detta da una paziente che ho incontrato durante il mio tirocinio a medicina; spero che la storia vi piaccia e che riesca a colpirvi nel profondo, di farvi provare le stesse emozioni che ho provato io quando la scrivevo.
 
Come per le altre, è stata ricacciata fuori dal famoso computer e quindi farà parte della raccolta “The DarkStar Cronicles”.

Buona lettura a tutti.
 



 
The DarkStar Cronicles - Piccolo alieno
 
 


“Il destino è un gran bastardo... Un burlone, uno stronzo...

Ti fa passare le pene dell’inferno e per cosa poi? Un pugno di mosche? Ti distrugge poco alla volta, ti toglie la vita e solo quando arrivi in un letto d’ospedale ti scoppia a ridere in faccia.
 
Anonimo”
 
 


Alcune volte la vita prende delle strade inaspettate e ti ritrovi con il cuore a pezzi mentre scrivi una lettera destinata a nessuno, mentre ti prepari a salutare il Sole per l’ultima volta… Ti ricordi come è iniziato tutto, Derek? Come potresti dimenticarlo, nessuno può.. Non potresti mai dimenticare il vuoto che hai sentito nel petto quando l’hai visto, inerme e senza vita, in quel letto d’ospedale…
 


 
O.O.O.O.O.O.O.O
 


Erano mesi ormai che non vedevo più Stiles, mesi in cui il mio lupo ululava e graffiava nel petto, mesi in cui il mio istinto diceva che stava per succedere qualcosa di terribile… Inizialmente avevo dato la colpa al Branco di Alpha, a Jennifer e a tutto il caos sovrannaturale che mi aveva portato a cedere il mio status di Alpha per salvare la vita a mia sorella; quando poi quella stronza è morta, quando Deucalion se n’è andato ho creduto la situazione sarebbe migliorata ma non fu così, nulla sarebbe migliorato.

Le prime settimane dopo il risveglio del Nemeton le passai ad allenare Scott, era diventato un Alpha ma l’età e l’inesperienza gli erano contro, aveva bisogno di me; i miglioramenti del ragazzo e il periodo pacifico mi convinsero a prendere una decisione: non c’era bisogno della mia presenza e sfruttai quest’opportunità per partire verso il Sud America, volevo riportare mia sorella dal Branco che l’aveva ospitata, volevo conoscerli e ringraziarli.
 


 
O.O.O.O.O.O.O.O
 


Quando torno c’è uno strano odore nell’aria, una puzza di morte e desolazione che ricopre tutto e tutti, mi sento soffocare e, cosa ben peggiore, non riesco a capirne le origini; giro a vuoto per ore, sperando di trovare la carcassa di qualche animale, ma alla fine torno al mio loft, la ricerca non ha dato risultati. Quando la spessa porta di metallo viene aperta mi ritrovo davanti lo sceriffo Stilinski e mio zio Peter, il primo che viene abbracciato e consolato dal secondo; sono passati solo tre mesi dalla mia partenza eppure Noah sembra così stanco, così invecchiato... La divisa è sporca e sgualcita, segno che probabilmente non la cambia da giorni, il volto è smagrito con profonde occhiaie che circondano i suoi occhi spenti e privi di vita.
 

«Che succede?» domando entrando nell’appartamento e chiudendomi la porta alle spalle; arriccio il naso a causa dell’odore di lacrime e tristezza e, concentrandomi meglio sul volto dello sceriffo, noto che ci sono delle lacrime che si sono seccate, deve aver pianto parecchio.

«Derek, ragazzo…» comincia Noah facendo un passo avanti nella mia direzione, il suo cuore batte forte, sembra impazzito, e il suo odore ha assunto le aspre note della preoccupazione; tremo per ciò che sta per dirmi perché ho il presentimento che non sarà nulla di buono «Appena hai del tempo, e se ne hai voglia naturalmente, ti va di recarti al Beacon Hills Memorial Hospital per trovare Stiles?» mi chiede torturandosi le mani, un gesto così simile a quello tipico del figlio.

«Stiles sta molto male, Derek…» continua mio zio e a quelle parole sgrano gli occhi; lui sta male? E perché nessuno mi ha avvertito?! Ecco allora cos’era quell’orribile sensazione che sentivo alla bocca dello stomaco, ecco perché il lupo dentro di me era così irrequieto ultimamente…

«Sono giorni che chiede di te…» la voce di Noah s’incrina di poco, l’odore di tristezza e lacrime si diffonde nuovamente attorno all’uomo e capisco che sta facendo di tutto per non piangere «Vuole vederti prima che…» le parole gli muoiono in gola. Lo sceriffo, un uomo che avevo sempre visto come una roccia, come un qualcosa di irremovibile ed eterno, scoppia a piangere davanti ai miei occhi; in questo momento mi sembra così fragile, come un velo di cristallo su cui si abbattono le intemperie. L’uomo viene abbracciato da mio zio che mi guarda, mi prega con gli occhi; so benissimo che lui ha un rapporto bizzarro con Stiles, posso definirlo un suo fan, e so anche che quello sguardo significa una sola cosa: la situazione è critica.

«Oggi verrò da Stiles.» sussurro dolcemente, accennando un sorriso; Noah alza velocemente la testa e mi fissa sbalordito, forse non pensava che avrei risposto in questo modo «Per le tredici sarò li.» l’uomo mi abbraccia con tutta la forza che ha e solo quando entriamo in questo contatto così intimo sento un nuovo odore: alcool. Possibile che si sia dato all’alcool? Da quanto ne so ha avuto problemi con l’alcolismo quando sua moglie morì e mi chiedo cosa lo abbia spinto a buttarsi nuovamente in quel turbine.
 


 
Stiles è qui,
dentro a un’idea!
Lo porto in me…
Stiles è mio!
Ha dato un senso a tutto e poi,
è volato via…
 
 

Mi stacco e sorrido nuovamente all’uomo che mi ringrazia, ricambia il sorriso e si asciuga un paio di lacrime prima di uscire dal loft, nessuna parola lascia le nostre bocche, so che farebbe troppo male parlarne; aspetto con ansia che il rumore della volante si allontani dal loft mi volto verso mio zio, lo vedo triste e solo il fatto che la sua voglia di scherzare e deridermi è praticamente assente mi mette a disagio. Apro il congelatore e tiro fuori un pasto già pronto e lo metto nel microonde per scaldarlo, attivo il tutto e mi appoggio al mobile che si trova di fronte all’elettrodomestico, incrociando le braccia e iniziando a riflettere sulle poche informazioni che ho; Peter sembra capire ciò che mi passa per la testa perché imita la mia posizione e mi fissa prima di sospirare tristemente.
 

«Leucemia fulminante.» dice solamente facendomi sgranare gli occhi; l’osservo attentamente per capire se ha mentito ma purtroppo non è così, il suo battito è rimasto regolare e la sua espressione non cambia, così come il suo odore. Non mi rendo conto del suono del microonde, sono troppo impegnato a metabolizzare la notizia «Buffo eh?» domanda muovendosi per la stanza, lo seguo con lo sguardo e d’un tratto tutta la consapevolezza della situazione mi cade addosso come un macino «Quel ragazzino è sopravvissuto al sottoscritto, a un kanima, a Gerard, una Darach e un Branco di Alpha eppure…» mormora abbattuto e non riesco a non dargli ragione, Stiles ha affrontato tutto quello e non può lasciarsi andare a causa di un tumore, non può… Non ora… «Tutto è iniziato pochi giorni dopo la tua partenza.» Peter si siede sul divano, incrocia le gambe e poggia le braccia sulla spalliera, il volto è occupato da un’espressione seria e la sua voce non subisce alcuna modifica; mi avvicino di qualche passo a lui, temendo le parole che mi dirà «Ci riunimmo nel bosco per allenarci, tutto filò liscio come l’olio fin quando, improvvisamente, Stiles cadde al suolo; il suo odore mutò drasticamente. Lydia avvisò suo padre mentre io e Scott lo portammo all’ospedale. La sera stessa avemmo la conferma.» deglutisco alla sola idea di quello che Stiles ha dovuto passare, a quello che Noah sta passando a causa di quel male tanto pericoloso e letale «Il trattamento chemioterapico iniziò fin da subito ma il tumore era troppo esteso e ce ne siamo accorti troppo tardi…» Peter sospira e io con lui; purtroppo ci sono alcune malattie che si manifestano in maniera così violenta e immediata che il nostro olfatto non riesce a percepirle fin quando non è troppo tardi per intervenire «Nel giro di una settimana gli caddero completamente i capelli ma sai come reagì?» mi domanda e nego, non trovo la voce per rispondere «“Sto bene, ho sempre adorato avere una palla da bowling al posto della testa…”» una piccola risata amara lascia le labbra di mio zio, capisco che sta rivedendo la scena nella sua mente e, seppur debolmente, anche io mi ritrovo a sorridere; quel ragazzino è insuperabile, anche nella malattia trova le forze per essere sarcastico, anche quando sta male pone gli altri prima di sé… «Poi però le cose sono peggiorate.» Peter torna a guardare avanti a sé e io mi siedo alla poltrona che si trova davanti al divano «Le chemio non servirono a nulla e in poco tempo il corpo di Stiles subì la furia della malattia; i medici sospesero la cura, capirono che non c’era nulla da fare e non li biasimo per questo, forzare un ragazzo a sottoporsi a estenuanti cicli di chemioterapia, pur avendo la certezza che la sua vita stia per finire, beh…, io la vedo come una presa in giro.» annuisco a quelle parole e poco dopo si alza per poi uscire dal loft, lasciandomi da solo con i miei pensieri; non lo fermo, ho bisogno di stare da solo…
 


 
Angelo mio!
Quel giorno ti ho promesso le mie favole…
Le mando io nel palloncino rosso tra le nuvole…
Il tuo cuore è qui e significa che vive in me,
non si fermerà…
Hai combattuto a lungo ma la tua anima adesso è libera…
 
 


La testa mi vortica sempre più velocemente, tutto ruota attorno a lui. Com’è possibile? Lui ha combattuto contro tutto e tutti, è uscito vincitore da così tanti scontri con il sovrannaturale ma adesso? Non riesco a credere che un ragazzo così combattivo e determinato come Stiles sia stato piegato da qualcosa che di sovrannaturale non ha nulla… Mi alzo e vado in bagno, ignorando la fame e il pranzo che avevo preparato; devo farmi una doccia, ho bisogno di elaborare le idee, di capire… Il getto dell’acqua però non mi aiuta, anzi, peggiore la situazione; nella mia mente continuo a rivedere Stiles, a sentire la sua voce, a percepire il suo profumo. Quando esco mi rendo conto che sono in ritardo e, velocemente, mi preparo per poi prendere le chiavi della Camaro per dirigermi all’ospedale; non avrei mai pensato di recarmi in quel posto per trovare una persona cara, non di nuovo…

Parcheggio e mi dirigo alla hall, parlo con un paio di ragazzi, dei centralinisti credo, e mi faccio dire dove si trova Stiles; li saluto e m’incammino. Prendo gli ascensori e schiaccio il tasto con sopra il numero cinque mentre le porte si chiudono e il macchinario comincia la sua lunga salita.

La musica presente nell’ascensore è snervante, vorrei distruggere gli altoparlanti ma cerco di calmarmi, non posso perdere il controllo proprio ora; quando le porte si aprono vengo investito dall’odore del disinfettante, dei farmaci e di morte.

Cammino svelto per i corridoi bianchi, illuminati artificialmente da delle lampade dalla luce fredda, e svolto a destra per poi incontrare delle spesse porte d’acciaio sulle quali si trova una scritta che recita “Oncologia”; suono al citofono, so che non è orario di visite ma me ne infischio, possono dire ciò che vogliono ma nessuno m’impedirà di vederlo, di parlargli. Pochi istanti dopo un uomo sulla quarantina apre un’anta, ha i capelli leggermente brizzolati, un tempo dovevano essere castani come i suoi, e gli occhi sono di un triste azzurro, opacizzati dalle troppe lacrime e dal dolore che, probabilmente, devono sopportare lavorando in questo posto.
 


 
Angelo mio!
C’è ancora il tuo riflesso tra le lacrime…
Ti ho avuto io per darti quel che posso,
niente inutile!
Piccola alieno, esci di scena…
Ma rimango accanto a te!
Forse di notte tu dalla Luna cerchi me…
 

«Stilinski.» dico solamente e l’infermiere sgrana leggermente gli occhi prima di farsi da parte, permettendomi di entrare; in quel reparto gli odori che sentivo prima sono incrementati, sento anche l’olezzo della tristezza e delle lacrime unito al rumore di singhiozzi, pianti e preghiere.

«Stanza 17.» mi dice l’uomo prima di richiudere la porta; annuisco e m’incammino, leggendo di sfuggita i numeri e cercando di non concentrarmi sulle voci di quelle anime, le sento leggere e sfocate, come se potessero svanire da un momento all’altro.
 

Davanti la stanza si trovano Scott, Lydia, Allison e Isaac. Le ragazze sono sedute su una panchina mentre i ragazzi sono appoggiati al muro, il loro volto è percorso da un’espressione di amara tristezza e non ho bisogno di chiedere per sapere il motivo della loro presenza, sono qui per lui; mi avvicino ai quattro che mi guardano sbalorditi, non sapevano del mio rientro e non mi dilungo in saluti e motivazioni preferendo salutarli con un rapido gesto del capo.

Entro nella stanza e vedo che è occupata da due persone, un uomo anziano sull’ottantina che non emana l’odore della malattia, deve essere in via di guarigione, e Stiles…

Il ragazzo è circondato da numerose macchine, accanto a lui, seduto su una sedia, si trova lo sceriffo che lo guarda, tenta di sorridere e, al tempo stesso, di trattenere le lacrime; osservo colui che più di una volta mi ha salvato la vita e quasi non lo riconosco. Il corpo è smagrito, forse a causa della malattia oppure a causa della terapia, il volto è più pallido del solito e i suoi occhi sono contornati da profonde occhiaie violacee; i capelli non ci sono più, le sopracciglia sono rade e un cappellino da baseball copre la sua testa. Le braccia sono piene di lividi e le sue labbra sono secche, screpolate, pallide; i suoi occhi mi colpiscono e mi gelano il sangue nelle vene, quell’ambra che per tanto tempo ho sognato sono solo un ricordo, ora sembrano privi di luce, di vita…

Mi avvicino lentamente e non riconosco il suo odore, così diverso dal mix di mora e vaniglia al quale sono abituato; la sua voce è un sussurro così flebile che mi chiedo se Noah ascolti veramente le sue parole o finga visto che io, con il mio udito sviluppato, fatico a sentirlo.
 


 
Ti ha preso Dio perché lo sai che ti verrò a riprendere!
Ci sarò anch’io quel giorno mi saprai mai riconoscere?
Stiles è qui…
Stiles è mio…
 
 

«Verrà, figliolo, te l’ho detto…» la voce di Noah mi riporta con i piedi per terra, l’uomo tiene una mano del figlio tra le sue e sta cercando di fare il possibile per non scoppiare in lacrime «Hale ha detto che verrà, me lo ha promesso.» solo adesso capisco che stanno parlando di me; Stiles sospira lievemente e stringe maggiormente le mani del padre, sembra così indifeso e fragile; i muscoli degli avambracci sono spariti, lasciando il posto solo alle ossa e alla pelle «Guarda, è arrivato.» mi avvicino maggiormente e sorrido; Stiles mi guarda, incredulo, sento il suo cuore battere furioso mentre le sue labbra tremano per l’emozione. Noah si alza, mi da una pacca sulla spalla e mi ringrazia per essere qui, per aver accontentato il suo bambino; come un automa prendo il posto dell’uomo, poggio i gomiti sulle cosce e osservo Stiles che tenta di sorridermi. Anche in queste condizioni rimane comunque bellissimo.

«Ciao, Sourwolf…» sussurra flebile e mi avvicino per ascoltare meglio, per fargli capire che sono qui e che non sono un miraggio; lui sembra intuirlo perché sposta leggermente il braccio destro verso di me e gli stringo una mano, questa bellissima mano che un tempo sarebbe stata perfetta per suonare il pianoforte.

«Ciao, ragazzino…» rispondo semplicemente e lo vedo sorridere ancor di più, gli occhi sono quasi chiusi e capisco che si sente debole, che non ce la fa più «Perché non hai accettato il morso? Non saresti qui in questo momento.» dico seriamente ma lui imita quella che dovrebbe essere una risata; sospiro e gli bacio le nocche per poi poggiarci la fronte contro, è così freddo in confronto a me.

«Ero sicuro di poterlo battere da solo…» comincia a parlare e posso solo immaginare la fatica che sta impiegando nel farlo «Ma poi la situazione si è aggravata così velocemente che Scott non ha potuto fare nulla… Ero troppo debole…» il suo alito è fetido, ha la stessa puzza della morte, della carne rancida; se ne sta andando… «Derek, mi toglieresti un po’ di dolore? Solo un po’… No resisto più, mi sembra… D’impazzire…» non me lo faccio ripetere due volte e comincio a tirarglielo via; le mie vene si colorano di nero e sento il mio corpo bruciare ma non mi fermo, solo lui sa cosa sta provando in questo momento, la pace che gli sto regalando dopo giorni di agonia. Mi stacco dopo qualche minuto, non riuscivo più a resistere, e lo guardo con il dispiacere negli occhi ma lo vedo… Sereno? Ha appoggiato la testa sul cuscino, sorride e riesce ad aprire meglio le palpebre, ringraziandomi con gli occhi «Ho sempre detto che sei un tenerone…» sussurra e mi ritrovo a sorridere, non cambierà mai… Lo vedo sbadigliare, deve avere sonno, e mi alzo per andarmene, non voglio disturbarlo; sto per allontanarmi quando qualcosa mi tira un lembo della giacca di pelle, mi volto e vedo Stiles che mi guarda impaurito.

«Non me ne vado, promesso…» sussurro riavvicinandomi per poi risedermi «Vado a prepararti qualcosa da mangiare e torno.» lo vedo annuire debolmente prima di strattonarmi un’altra volta la giacca.

«Un altro favore…» mi supplica, con la voce e con lo sguardo, e mi ritrovo ad annuire a queste parole; qualsiasi cosa dirà io lo farò «Un bacio, qui…» sussurra indicandosi le labbra; sgrano gli occhi a quelle parole, per quanti anni ho desiderato baciarle? Per quante notti ho sognato di conoscere il loro sapore? Tante, troppe… Mi alzo dalla sedia e mi chino su di lui, ci guardiamo intensamente negli occhi prima di far unire le nostre labbra in un casto bacio; il suo sapore mi colpisce il sistema nervoso, è così bello e dolce da far male. Sapere che il proprietario di queste labbra sta così male mi toglie il respiro, mi rende furente e desideroso di avere una spiegazione dal destino, dal fato o chiunque sia sul perché proprio lui, fra tutta l’immondizia del mondo, ha avuto questa triste sorte «Torna, Derek, io me ne sto andando… Torna…» annuisco, la consapevolezza della veridicità di quelle parole mi lascia spiazzato; potrei tornare fra cinque minuti e trovarlo ancora qui o tra le braccia della morte. Scrollo la testa, non voglio pensare a questo fattore, non ora.

«Ci vediamo fra un’ora.» dico prima di uscire dalla stanza, sento il debole battito del suo cuore e minaccio mentalmente chiunque ci stia guardando di farlo vivere, non può spegnersi.
 

Esco dalla stanza e osservo i presenti, lo sceriffo è distrutto e come biasimarlo? Ha visto la malattia portarsi via sua moglie e la stessa cosa sta accadendo con suo figlio, Scott prova ad infondergli un po’ di forza ma è lui stesso che ne ha bisogno; il cuore del Branco si sta spegnendo velocemente, non voglio immaginare una vita senza di lui, non posso… Inizio a correre, infischiandomene dei medici che mi urlano contro, non posso più resistere.

Torno al loft e comincio a cucinare qualcosa di sano e appetitoso; Stiles deve mangiare, deve rimettersi e quando sarà in salute obbligherò Scott a donargli il morso per evitare che una situazione simile si verifichi nuovamente. Peter mi guarda e senza dire una parola mi aiuta, erano anni che non lo vedevo cucinare e sono felice che lo stia facendo per lui, per aiutarlo… In questi piccoli gesti rivedo lo stesso Peter Hale che, anni fa, si comportava da perfetto uomo di casa, non era ancora il licantropo psicopatico che gli eventi hanno partorito.

Sistemo tutto dentro dei contenitori ed esco nuovamente dal loft, m’incammino per strade cercando di non sballottare troppo il pranzo per Stiles e mi maledico per aver lasciato la Camaro al parcheggio dell’ospedale; in alcuni tratti corro più velocemente, non voglio far tardi, non voglio che pensi che mi sia rimangiato la parola.

Quando arrivo davanti l’ospedale sorrido vittorioso, non ho impiegato molto tempo fortunatamente; varco le sue porte e vengo travolto da Melissa McCall, stava piangendo e non deve avermi visto. Sto per ignorarla quando una terribile ipotesi mi nasce nella mente, non può essere… No, no! Lui non… No… 
 
 
Te ne vai, salutandomi…
Da quel luogo che è un luogo senza te…
Te ne vai da qui, con gli occhi lucidi,
che piano si colorano di bianche nuvole…
Ah, sì…
Ti penserò così…
 
 

Appoggio il pranzo in un angolo, non ha più molta importanza ormai. Apro una porta sulla sinistra e comincio a salire le scale con una velocità impressionante, scansando con forza le poche persone che incontro, infischiandomene delle lamentele; salgo i vari piani, il cuore mi batte forte in petto mentre i miei occhi mi bruciano, sento che sto per piangere ma non voglio, non posso… Il lupo dentro il petto ulula disperato, mi graffia il petto e lo sento uggiolare per poi riprendere la litania; lui ha capito, sa quello che è successo ma io non voglio dargli retta, non posso fare neanche questo… Quando arrivo all’ultimo piano spalanco la porta e corro per i corridoi bianchi, arrivando davanti alle spesse porte e cominciando a colpirle con calci e pugni, devono aprirmi! Io gli avevo promesso che sarei tornato! Gli avevo dato la mia parola! Lui doveva guarire, doveva diventare il mio ragazzo, la mia persona speciale! Apritemi dannazione!
 

 
Ti dico ciao ma so che è un addio!
C’è molto di te che sento ancor mio…
Se c’è un Paradiso adesso sei lì,
nel cielo di raso avvolto così…
 
 


Qualcuno mi apre la porta, lo stesso infermiere di prima e vedo che sta piangendo, è disperato; lo scanso con forza e corro per il reparto, ringhio a un paio di medici che provano a fermarmi e faccio illuminare le iridi di azzurro, non mi importa più niente ormai… Sento dei pianti, la voce dello sceriffo, di Melissa… Passo davanti alle porte, 15, 16, 17 e il mio cuore si ferma, è accaduto…
 
 
Te ne vai, lo fa lasciandoci…
In quell’ultimo battito che d’ali diventò!
Amano, amano dall’ultimo metro!
 
 

Noah Stilinski è abbracciato da Melissa, piange disperato e ripete più volte il nome del figlio, come se fosse una litania, con la donna lo stringe forte e piange in silenzio; poco più in la si trova Scott, singhiozza con forza contro la spalla della cacciatrice, lei gli sussurra qualche parola di conforto, parole che sono rotte dai singhiozzi, Isaac si trova alle spalle dell’Alpha che cerca di calmarlo ma ha gli occhi lucidi, Lydia si trova in disparte, è appoggiata alla parete e continua a guardare il cielo mentre un fazzoletto di carta viene passato più volte sotto il suo naso, arrossandole la pelle; il trucco le si è sciolto e le è colato per le guance ma, per la prima volta, non da importanza al suo aspetto e preferisce sfogarsi in silenzio. Mi chiedo che cos’abbia provato lei, una banshee, quando è accaduto. Poco più in la c’è mio zio, non so come ha fatto ad arrivare prima di me e poco m’importa; mi guarda e sospira, sta piangendo anche lui, piange per la scomparta del cuore del Branco…
 

 
Ti dico ciao e non è un addio!
La memoria di te sovrasta il vocio…
Lascia il ricordo dei consigli tuoi che adesso rimpiango,
che adesso vorrei…
 
 

Entro nella stanza.

Il signore che divideva la stanza con Stiles sta piangendo disperato, un separé m’impedisce di vederlo ma questo non mi ferma; lo sposto leggermente e mi blocco.

È sdraiato in questo dannatissimo letto d’ospedale, le palpebre abbassate e le labbra distese in un sorriso; sembra che stia dormendo ma so che non è così, il battito del suo cuore è solo un ricordo ormai… Mi avvicino, sento le gambe tremare e la voce mi muore in gola; mi siedo di peso sulla stessa sedia su cui, poco prima, mi ero seduto e lo guardo, lo guardo fino a perdere la cognizione del tempo. Sento il dolore farsi strada nel mio cuore, sento la rabbia, la tristezza, la disperazione… Ho sprecato tempo, non ho fatto altro… Tutti quegli anni sprecati a ringhiargli contro, a sbatterlo contro qualche parete quando volevo solamente baciarlo, adorarlo, amarlo…

Singhiozzo. Piango. Urlo.

Chiamo più volte il suo nome mentre le lacrime mi bagnano il viso, la barba, la maglia; afferro la sua mano e la porto vicino al volto, è così fredda, così pallida… Lo guardo e non riesco a reprimere un nuovo singhiozzo, il mio Compagno è morto e dentro di me non sento più nulla, il vuoto più totale; mi alzo e gli prendo il volto fra le mani, facendo collidere le nostre labbra con forza, voglio sentire un’ultima volta il suo sapore, la consistenza di quelle labbra… Lo bacio più e più volte, ormai ho perso il conto delle lacrime, ho perso il conto di tutto… Prego che questo sia un sogno orribile, un incubo ma so che non è così, lui se ne è andato e non tornerà più…
 
 
Pianterò davanti a casa mia un albero per te!
Ti dico ciao, salutami Dio,
e digli che tu sei il Compagno mio…
 
 

Non so quanto tempo è passato, non voglio saperlo. Più volte qualcuno è venuto per dirmi di alzarmi e andarmene, me ne hanno spiegato anche la ragione ma io non li ascolto, mi limito a piangere in silenzio, non ho più la voce… Un lenzuolo viene calato sul suo corpo freddo e vedo due omini ridere, le stesse risate che Stiles non potrà più fare. Lo portano via da me, dal padre, dal mondo… Li seguo, voglio andare nella riserva e correre, spaccare tutto, urlare il mio dolore alla Luna; quando esco dalla stanza vedo Noah seduto sulla panchina, il busto è piegato in avanti e le mani gli coprono il volto, sta piangendo disperato.

Mi siedo vicino a lui e lo abbraccio, non voglio confortarlo né provare a dargli forza, io stesso non ne ho più, mi siedo vicino a lui perché so cosa si prova a piangere da soli, a disperarsi contro il mondo e contro tutti i suoi abitanti. Melissa gli avvicina dell’acqua, puzza e presumo che ci abbiano messo del calmante; non gli do torto ma non lo accetto, un padre deve poter urlare per la morte del proprio figlio, soprattutto se gli rimaneva solo lui. Noah bevve l’acqua e poi mi guarda, gli occhi rossi per il pianto e le guance umide di lacrime.
 

«Grazie, Derek, sei stato il suo ultimo desiderio.» chiudo gli occhi e singhiozzo, vorrei dirgli che non volevo finisse in questo modo, che avevo altri progetti per lui, per noi, ma non ho il coraggio né la forza per farlo; lo abbraccio per qualche istante prima di alzarmi e allontanarmi. Cammino lentamente, non ho più nessuno per cui correre…
 

Esco dall’ospedale e guardo il cielo, è grigio e piove. Anche la Terra piange la sua scomparsa…
Torno nel mio loft, non voglio più correre, sono stanco ed ho sonno anche se so che non chiuderò occhio…

Il giorno dopo Peter m’informa che la cerimonia per i funerali di Stiles si terranno quel pomeriggio nella chiesa principale di Beacon Hills; annuisco senza dire nulla, non voglio più parlare. Per tutta la notte ho pianto così tanto, ho urlato così tanto che adesso mi fa male la testa, sento solo dolore e vuoto dentro me, nulla più.

Mi vesto con uno smoking nero, classico, e seguo Peter nella Camaro che gli lascio guidare, io non ne ho voglia; arriviamo in poco tempo alla chiesa e ringhio nel vedere che ci sono poche persone a salutarlo. Possibile che non gli importi del loro amico?! Del loro compagno di squadra?! Scendo dall’auto e vedo la sua jeep, è portata da Melissa mentre al suo fianco si trova lo sceriffo che piange ancor più disperato del giorno prima, come me non deve aver dormito; gli uomini della centrale si avvicinano al carro funebre che segue la jeep, la sua jeep, guardano la bara bianca all’interno della quale è custodito il corpo martoriato di Stiles e quando il cofano si apre si avvicinano. Non posso permetterlo. Con un salto atterro poco distante da loro e gli ringhio contro; Peter, Scott e Isaac mi seguono a ruota e vedo gli uomini alzare le mani e allontanarsi: sarà il suo Branco a portare la bara, nessun altro. Ci carichiamo la salma sulle spalle e la portiamo in chiesa, passiamo davanti a Deaton e ai gemelli, a Chris e Allison, a Lydia e sua madre…

La chiesa è piena di fiori, ce ne sono così tanti e tutti colorati… Nessun crisantemo è presente, nessun nastro viola, solo rossi come la sua felpa preferita; poggiamo la salma sui ripiani appositi e sorrido alla sua foto che vedo poco più in la, era bellissimo… Attorno a noi vengono depositati dei fiori, rose, tulipani, calendule, girasoli, campanelle… Fiori caldi e solari, come il ragazzo che ci ha lasciato, che mi ha lasciato…

Prendo posto insieme a Peter e Isaac, ci stringiamo per farci forza a vicenda; il parroco sale quei pochi gradini e comincia l’omelia.

 
 
In questo girotondo d’anime chi si volta è perso e resta qua…
Lo so per certo amico, mi sono voltato anch’io!
Per raggiungerti ho dovuto correre,
ma più mi guardo in giro e vedo che…
C’è un mondo che va avanti anche se…
Se tu non ci sei più…
Se tu non ci sei più…
 
 

Ho sempre odiato i cimiteri.

Laura ha insistito per creare dei tumuli per custodire i corpi di nostra madre e del nostro Branco; io ho sempre preferito ricordarli nella vecchia villa, dove oltre all’odore di cenere c’era anche il loro. Ora mi trovo qui, insieme agli altri, e osservo inerme quella bara bianca venire messa dentro una tomba in cemento, la fanno scorrere sopra dei cilindri e ogni millimetro che avanza è un battito che il mio cuore perde…

Viene murata e davanti a essa viene posta una lastra di marmo sopra la quale si trova il suo nome scritto con delle lettere d’oro in rilievo; “Mieczyslaw Stilinski detto Stiles, figlio, amico, compagno.” e mai prima d’ora queste parole hanno avuto più senso per me. Accanto al ragazzo si trova la tomba di sua madre, così bella e simile a lui… Deglutisco un amaro groppo che mi si era formato in gola, non riesco ancora a credere a quello che è accaduto… Vedo Lydia avanzare di qualche passo e poggiare sulla sua tomba un vaso di aloe, seguita poi da Scott che singhiozza davanti alla foto di suo fratello prima di poggiare un mazzo di amelli viola per poi portarsi un braccio davanti agli occhi e tornare da sua madre per essere abbracciato; Isaac s’inchina, sorride con gli occhi lucidi e lascia un singolo fiore, un biancospino. Allison si asciuga le lacrime, sorride alla sua foto e poggia sul terreno un mazzo di fresie rosse per poi voltarsi, abbassare la testa e tornarsene fra la folla; è il mio turno. Singhiozzo, mi avvicino e gli poggio un mazzo di rose rosse, guardo la sua foto per poi passarci sopra le dita e snudare le zanne, un gesto che facevo abitualmente con lui…
 

«Ti strappo la gola… Con i miei denti…» piango, quella frase la dedicavo solo a lui, lui e nessun altro… Ritiro le zanne e torno indietro; il mio lupo ulula ferito, distrutto, e non faccio nulla per calmarlo, non posso fare nulla…
 

Noah singhiozza forte, chiama suo figlio per poi avvicinarsi e poggiare un mazzo di garofani piumosi a lui e a sua madre; guarda la lapide della donna e tira su con il naso, sento l’odore della sua tristezza e non riesco a non smetterla di piangere, ha perso tutto ormai…
 

«Claudia, prenditi cura del nostro bambino.» sussurra e sento il Branco singhiozzare; Peter guarda in alto e sbatte più volte gli occhi, sta ricacciando indietro le lacrime, io le lascio sgorgare tranquillamente, non mi faccio problemi, non più ormai.
 

 
E dimmi perché:
In questo girotondo d’anime non c’è…
Un posto per scrollarsi via di dosso quello che c’è stato detto e quello che oramai si sa…
E allora sai che c’è?
C’è che prendo un treno che va a Paradiso città,
e vi saluto tutti e salto su,
prendo un treno e non ci penso più!
 
 


Sono passati cinque settimane dal funerale, trentacinque giorni dall’ultimo addio, trentacinque giorni senza di lui… Mi manca la possibilità di intrufolarmi nella sua stanza, di farlo gridare come una femminuccia e, cosa più importante, mi manca il modo in cui mi chiamava… Sourwolf… Un nome strano e solo Stiles poteva inventarlo, solo lui poteva distruggere tutti i muri che mi sono costruito attorno con fatica; sono giorni che non mangio, non dormo, non esco dalla mia stanza. Mi sto spegnendo e sono felice, sono felice perché sto per raggiungerlo.

Scrivo una lettera in cui avviso Peter, scrivo una lettera per Dio, per informarlo che si trova in grossi guai per quello che mi ha fatto, per quello che ha fatto passare a Stiles…
 

 
Un viaggio a senso solo senza ritorno se non in volo…
Senza fermate nei confini solo orizzonti neanche troppo lontani,
io mi prenderò il mio posto e tu seduto lì al mio fianco mi dirai:
Destinazione Paradiso…
Paradiso città…
 
 

Lascio la lettera nel salotto e tengo l’altra con me, esco dal loft e mi dirigo al Beacon Hills Memorial Cemetery a piedi, ho deciso di lasciare la Camaro a quel sociopatico di mio zio mentre l’intero loft appartiene al Branco, i miei soldi sono stati lasciati in eredità a Noah Stilinski, io non me ne faccio nulla ormai.

Passo attraverso le tombe fino a raggiungere quella dei miei genitori, li saluto e sorrido, un sorriso freddo e privo di allegria; passo avanti e vedo quella di Claudia e di Stiles; sorrido alla donna per poi guardare il mio Compagno, accarezzo la foto e vedo come i fiori che abbiamo depositato qui siano ancora intatti, freschi e bellissimi come lui. Attacco la lettera sulla lapide e mi corico ai suoi piedi, mi sento tanto un gatto in questo momento ma non me ne curo, chiudo gli occhi e mi lascio andare all’oblio; Stiles, sto arrivando…
 


 
O.O.O.O.O.O.O.O
 


Il giorno successivo i custodi del cimitero lo trovarono così, accucciato ai piedi della lapide di Stiles, il corpo freddo e immobile, il cuore fermo e un’espressione serena in volto; il licantropo si è riunito al suo Compagno.
 
 
 
 

“Caro Dio, non sono abituato a parlare con te e neanche a pregarti ma sappi che se non mi ascolti ti cavo gli occhi.

Sei uno stronzo, un grandissimo bastardo altro che padre amorevole!

Mi hai tolto tutto, TUTTO! Mi hai separato dalla mia famiglia, da mia sorella, dal mio Compagno…

Ti sei preso l’ennesimo angelo bellissimo, non ti bastano quelli che hai?! Ti sei preso anche il mio angelo e adesso vengo a riprendermelo e dovrai sopportarti le nostre pomiciate, oh sì! Ci baceremo per ore! E tu non potrai fare nulla! Vengo a riprendermi il mio angelo, preparati ad avere anche un demone nel tuo Paradiso perché nessuno mi terrà lontano da Stiles, non più…
Derek Hale”
 
 


Note finali: ringrazio anticipatamente tutti coloro che leggeranno questa storia, coloro che la inseriranno in una delle categorie di EFP e le splendide persone che vorranno lasciarmi una recensione; qui sotto potrete leggere le canzoni che ho inserito nel testo e il link ai video per poterle ascoltare, inoltre, inserirò anche le immagini e i significati dei fiori posati dal Branco.

Grazie mille a tutti e alla prossima!
 

Babbo Dark
 



Francesca – Piccola Aliena (Laura Pausini, album “Fatti sentire”); link: https://www.youtube.com/watch?v=_Mc3ij7PIQ0

Ti dico ciao (Laura Pausini, album “Inedito”); link: https://www.youtube.com/watch?v=qoHfpySyq9A

Destinazione Paradiso (Laura Pausini, album “Io canto”); Link: https://www.youtube.com/watch?v=Dqlr2Ct7x3w
 




Allison => Aloe (Dolore)


Scott => Amello (Addio)


Isaac => Biancospino (Speranza)


Allison => Fresia (Amicizia duratura)


Derek => Rosa rossa (Amore)

Noah => Garofani piumoso (Amore puro)

 

 
Tutti i significati dei fiori sono stati presi dal romanzo “Il significato segreto dei fiori” di Vanessa Diffenbaugh.
   
 
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