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Autore: metformin_86    31/05/2020    4 recensioni
Dopo una vita passata assieme il momento per loro è finalmente arrivato. Mentre il tempio di Kamakura apre le porte per loro, Kimi e Hisashi si prendono per mano e percorrono finalmente la strada fino all'altare. Ma si sa il matrimonio è anche il pranzo di nozze e soprattutto il ballo degli sposi.
Una one shot a tema MitKo, con un accenno ad un certo volpino. Dedicata a lizardiana e QueenB_ee
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kiminobu Kogure
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Japanese graffiti'
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‘All is for my mistress all is for my maid
Sweetness that I took for sweetness that she gave to me
My queen bee’

Queen bee, Johnny Flinn (da Emma OST)
 
Mitsui si guardò attorno, immerso nella penombra di quella che,tanti anni prima, era stata la camera dei suoi genitori e che ora era la camera sua e di Kogure.
Quella notte ci aveva dormito da solo.
Kimi era partito in macchina la sera prima, dopo lo yuino, per andare a dormire dai suoi. Era una cosa un po’ sdolcinata forse ma , sotto sotto, Mitsui sapeva quanto Kogure ci tenesse.
Fare le cose per bene era il modo della sua pulce di gridare al mondo quanto fosse orgoglioso di loro, di quella storia iniziata quasi per caso un pomeriggio d’estate e sopravvissuta agli anni di università, alla frenesia di Tokyo e , infine, al ritorno in una Kamakura così diversa da quella che avevano conosciuto da ragazzi.
“Che hai?Non mi dire che ti stai facendo prendere dal panico” lo rimbrottò la voce burbera di Tetsuo.
“Non dire cazzate”
L’ex teppista, ora proprietario di uno dei più famosi ritrovi per motociclisti di Kanagawa, gli rivolse un sorriso sgangherato. “E allora vestiti coglione, che facciamo tardi”
Mitsui ridacchiò. Non gli sfuggiva quanto l’amico gongolasse di felicità. Tetsuo non sarebbe solo stato il suo testimone ; l’avrebbe accompagnato fino all’ingresso del tempio, una cosa che, Mitsui lo ricordava bene, gli aveva detto di voler fare sin da quando erano ragazzi.
Cautamente, Mitsui si avvicinò all’imponente armadio a muro in legno di ciliegio e , aperta un’anta, ne estrasse una gruccia, sulla quale spiccava in bella vista il completo tradizionale che aveva scelto. Lo aveva comprato quasi tre settimane prima, a Fujisawa e, specchiandosi, si era visto talmente strano che, tornato a casa, lo aveva rinchiuso nell’armadio e aveva cercato di scordarsene il più a lungo possibile.
Con mani leggermente tremanti, Hisashi indossò lo hakama a righe bianche e nere, uno haori color nero pece e il montsuki, che mai aveva pensato di dover indossare in vita sua. Quando ebbe finito si guardò allo specchio.
“Mi sento ridicolo” sbuffò.
“Lo sei – lo prese in giro Tetsuo – ma vedrai che accanto al tuo bello sarete bellissimi, come sempre.”
Aveva pronunciato le ultime parole con una punta di tenerezza nella voce. Mitsui sorrise. Anche se l’amico era innamorato della sua vita da scapolo, sotto sotto, Hisashi aveva sempre sospettato che avesse un debole per le cose romantiche. Di certo, lui e Kogure erano i suoi protetti da tanti anni ormai.
Facendo attenzione a non inciampare sui vestiti nuovi, Mitsui si fece scortare da Tetsuo fuori di casa.
Per l’occasione, il motociclista aveva noleggiato una Chevrolet Bel Air del ‘55, rosso fuoco, con il tettuccio decappottabile.  Faceva abbastanza a pugni con il kimono da cerimonia di Mitsui ma era tremendamente da loro. Un omaggio a tutte le cazzate fatte assieme.
Tetsuo si sistemò al posto di guida ed Hisashi si sedette accanto a lui.
“Papà?” chiese, allacciandosi la cintura.
“E’ andato a prenderlo il signor Kogure – lo rassicurò il motociclista – come eravamo d’accordo.”
Mitsui annuì soddisfatto. Sua mamma era morta da ormai quasi cinque anni e il papà era ormai da tre anni alla casa di riposo Sakura. A volte si sentiva un po’ in colpa per non averlo tenuto con sé fino alla fine ma , tra i suoi imprevisti in sala operatoria e i turni massacranti di Kogure in pronto soccorso, avrebbe rischiato di restare da solo troppe ore e solo il cielo sapeva cosa sarebbe potuto succedere.
Guardando fuori dal finestrino, si chiese se quel giorno suo padre sarebbe stato in grado di riconoscerlo. Forse no, ma almeno si sarebbe divertito: il suo vecchio adorava le feste. E Kogure si era raccomandato che al ristorante servissero il suo vino preferito.
Poi il pensiero andrò a sua madre: lei di sicuro non sarebbe stata lì quel giorno, ma , in qualche modo, sarebbe stata con loro e sarebbe stata felice.
Anche se all’inizio la storia di avere un figlio gay era stata difficile da accettare, col tempo i modi gentili ed educati della sua pulce avevano fatto breccia nel cuore della signora Mitsui.
Il giorno in cui era morta, uno degli ultimi sorrisi della donna era stato proprio per il ragazzo con gli occhiali. Si erano salutati così, mentre lui le teneva la mano e Mitsui se ne stava in un angolo,immobile, schiena al muro, immerso nell’oscurità perché sua mamma non si accorgesse che stava piangendo.
“Hey sportivo, vietato piangere fino a dopo gli anelli” lo richiamò alla realtà la voce di Tetsuo.
Allarmato, Mitsui si guardò nello specchietto. Non si era nemmeno accorto di avere gli occhi lucidi.
 
Arrivarono di fronte al tempio di Kamakura.
 Il santuario di Tsurugaoka li accolse, avvolto nei colori caldi degli alberi autunnali. Mentre scendevano dalla macchina, Mitsui sentì che il cuore iniziava a battergli a mille. In cima alla lunga scalinata di pietra, Kogure lo stava già aspettando, vestito in un kimono nero, praticamente identico al suo. Accanto a lui, i genitori della sua pulce li salutavano sorridenti. Poco più un là, suo padre ridacchiava, con lo sguardo perso in un sogno tutto suo.
“Andiamo” lo incoraggiò Tetsuo, passandogli un braccio attorno alle spalle.
Salirono piano le scale, accompagnati da sguardi curiosi di qualche visitatore occasionale e dai sorrisi di incoraggiamento di quei volti che, negli anni, erano diventati la loro famiglia.
Quando arrivarono in cima , la madre di Kogure si fece avanti e , presa la mano di Kimi, la poggiò delicatamente su quella di Hisashi.
Mentre le loro dita si sfioravano, Mitsui si accorse che il suo ragazzo tremava impercettibilmente. Sorrise. Almeno non era l’unico ad essere terrorizzato.
Sulla soglia del tempio comparve il sacerdote, Daisuke, il gon-guji. Rivolse ai due sposi un’espressione calorosa. Quello era un giorno importante anche per lui.
Daisuke veniva da Tokyo e, nei lunghi anni passati in quella città così frenetica, era arrivato alla conclusione che le tradizioni avessero senso nella misura in cui celebravano la vita per ciò che era, senza tentare di sagomarla in qualcosa di artificioso.
Dal primo giorno in cui quei due ragazzi erano arrivati al tempio, con quel desiderio sussurrato a voce bassa, era stato dalla loro parte e, dopo mille carteggi e telefonate con figure religiose locali e nazionali, il sogno di quei due stava finalmente per diventare realtà.
Si inchinò brevemente, poi, con passo lento, guidò i due ragazzi verso l’altare.
Mitsui e Kogure avanzarono emozionati, seguiti da Tetsuo e Rukawa, che avrebbero fatto da testimoni e poi da tutti gli altri, una piccola famiglia variopinta che li circondava, proteggendoli.
 
Quando tutti si furono sistemati, Daisuke prese dall’altare un ramo di camelia e lo passò sopra la testa degli sposi. Mitsui sentì la mano della sua pulce stringersi più forte attorno alla sua.
Ricambiò la stretta, poi, dolcemente lasciò andare la mano e la tese in avanti per prendere la tazza di sake che il sacerdote gli porgeva. La avvicinò al viso con mani tremanti e bevve. Passò la tazza a Kimi, che bevve a sua volta e poi la porse nuovamente ad Hisashi. Per tre volte a testa bevvero.
Poi Daisuke prese la tazza dalle mani di Mitsui e , gentilmente lo invitò a fare la sua promessa.
“Kimi – iniziò Mitsui con voce tremante – se…- si voltò verso Tetsuo che gli annuì incoraggiante – se penso alla mia vita senza pensare a te, mi trovo davanti al tempo. Il tempo ha portato via con sé i miei sogni di ragazzino, gli anni del basket, le luci di Tokyo, gli occhi di mia madre.
Ma se penso alla mia vita con te, mi ritrovo davanti alla bellezza: il giornale di basket che mi regalasti tanti anni fa, la nostra prima coppa, la lettera di ammissione al college,la nostra casa, i nostri amici, il nostro mondo.
E quando penso a te, il tempo e la bellezza si uniscono. Tu sei tutti quei dettagli importanti che nessun cambiamento potrà mai cancellare. Ho unito la mia vita a te tanti anni fa e ora, se me lo permetterai, unirò la mia vita a te davanti ai kami e alle nostre famiglie, anzi – si corresse – alla nostra famiglia, che da tanti anni è una sola”
Tacque. Gli occhi di Kogure gli sorrisero inteneriti. Dal fondo del tempio si levò un applauso, messo prontamente a tacere da un ‘dohao’, sibilato da Rukawa.
Kogure ridacchiò.
“Hisashi – incominciò a sua volta, facendosi forza- se oggi riesco a parlare a voce alta è perché un pomeriggio di tanti anni fa, nell’ora più buia, tu sei entrato nella mia vita. Mi hai insegnato a dare voce ai miei pensieri, corpo alla mia volontà. In questi anni ho usato tutto il mio coraggio per amarti sempre a testa alta. Oggi uso tutto il mio coraggio per portarti davanti agli dei. Io –arrossì violentemente e, in quell’istante, Mitsui seppe per certo che l’emozione gli aveva fatto scordare il resto del suo discorso- Io ti amo” concluse rapidamente, un’espressione di scusa negli occhi.
‘Ti amo anch’io’ gli sillabò Mitsui.
Il sacerdote ridacchiò. Fece un cenno a Rukawa, che si avvicinò, porgendo a Kogure gli anelli.
Mentre gli occhi gli si facevano luccicanti, il ragazzo prese il tondino di metallo dorato dalla custodia di raso e lo lasciò scivolare al dito di Hisashi. Poi, tremando lievemente, guardò mentre il suo ragazzo gli infilava un anello identico all’anulare sinistro.
Nascosta dalle lenti degli occhiali, una lacrima gli scivolò sulla guancia. Non ci diede peso. Afferrò con forza le mani di Mitsui e le strinse.
Ce l’avevano fatta. Erano sposati. Sposati all’altare del tempio. Sposati davanti ai loro genitori. Sposati davanti ai loro amici.
 
Fecero il viaggio verso il ristorante sui sedili posteriori della Chevrolet di Tetsuo.
“Non ci credo che mi sono scordato il discorso” sbuffò Kogure nascondendo la testa tra le mani.
Mitsui rise. “E’ stata proprio una cosa da te. Avresti dovuto recitarmi qualche monologo della Disney. Quelli te li saresti ricordati”
Le orecchie di Kogure si tinsero di un rosa pallido.
La risata di Mitsui si intensificò “Ci avevi pensato vero?”
Con uno sgaurdo vagamente colpevole negli occhi, Kimi annuì “Se dovessi vivere cento anni, vorrei vivere cento anni meno un giorno, così non dovrei mai vivere senza di te.” recitò sorridendo.
“Winnie the Pooh? – scherzò Mitsui – Io avrei pensato più a Lilo e Stitch : questa è la mia famiglia. L’ho trovata per conto mio. E’ piccola e disastrata…”
“Ma bella – concluse Kogure – Sì molto bella.”
Mitsui lo prese tra le braccia.
“Sposini – li rimproverò Tetsuo, interrompendo – adesso basta. Certe cose porno, fatele in camera da letto”
Mitsui ringhiò e , mentre si sporgeva in avanti per dare uno scappellotto a Tetsuo, scoppiarono tutti e tre a ridere.
 
Parecchie ore dopo, erano tutti esausti e sazi di cibo. Complice, il vino un po’ abbondante, Mitsui si era tolto il montsuki e se ne stava stravaccato sulla sedia, con la testa di Kogure poggiata sulla spalla.
Il ragazzo si era sfilato gli occhiali e stava guardando ridacchiando le asticelle nuove.
Erano entrambi palesemente brilli.
“Hey ragazzi – li chiamò Tetsuo avvicinandosi alle spalle di Mitsui – Dai andiamo, dovete aprire le danze”
Kogure si tirò a sedere dritto con aria allarmata. Si era completamente scordato di quella cosa.
Il viso assunse un colorito lievemente grigiastro.
Sorridendogli, Mitsui lo prese per mano. “Andiamo – disse- andrà bene”
Nonostante le proteste di Kimi al riguardo, aveva progettato quel preciso momento da che avevano iniziato ad organizzare il matrimonio. Aveva passato le ore libere tra un turno e l’altro, ascoltando vecchi pezzi rock. Alla fine, dopo molte esitazioni e ripensamenti, aveva scelto ‘Always’ di Bon Jovi.
Pregustando le prime note della canzone, Mitsui guidò suo marito fino al centro della pista.
Gli cinse la vita con un braccio, mentre, con l’altro, gli afferrò una mano.
Fermo accanto al tavolo, Tetsuo fece l’occhiolino a Sendoh.
Ridacchiando, l’ex giocatore di basket fece scorrere rapido le dita sull’ipod e , scelta la canzone, schiacciò play.
‘Tale as old as time
True as it can be
Barely even friends
Then somebody bends
Unexpectedly’

La canzone della Bella e la Bestia inondò la stanza. Mitsui divenne paonazzo. Con la coda dell’occhio vide che Sendoh era piegato in due su uno degli altoparlanti e che Tetsuo stava ridendo a crepapelle. Fece per girarsi a dirgliene quattro ma, in quel momento, vide l’espressione sul viso della sua pulce e l’arrabbiatura svanì all’istante.
Gli occhi di Kogure erano due pozze dorate che ondeggiavano con le note della musica; aveva le guance imporporate e il sorriso più bello del mondo. Mitsui ripensò al loro primo ballo tanti anni prima, in un locale di Tokyo.
Come allora Kimi era bellissimo.
Mentre i fischi di Tetsuo e di Sakuragi gli arrivavano alle orecchie, si chinò in avanti e, stringendo suo marito a sé, lo baciò.
 
Lasciandosi cadere sulla sedia, Sendoh si versò da bere soddisfatto.
“Sei un idiota” lo rimproverò Rukawa
“Assolutamente vero – lo assecondò Sendoh – ma – aggiunse lanciando un’occhiata alla pista da ballo – non mi sembra che ne siano così dispiaciuti.”
Rukawa scosse la testa ma non protestò. Rimasero per un po’ in silenzio, guardando i due amici ballare.
“Noi non abbiamo mai avuto un ballo di nozze” disse dopo un po’ Akira,in tono pensieroso.
Era vero. Si erano spostati un paio di anni prima, a Las Vegas, durante una vacanza. Era stato un colpo di matto, nato da un paio di birre di troppo.
Dopo essere stati dichiarati marito e marito, si erano comprati un cestino di pollo da KFC e lo avevano diviso assieme, seduti sulla sabbia del deserto del Nevada.
Tornati a casa, avevano scherzato con tutti i loro amici su quanto idioti fossero stati e, al primo che aveva osato mettere in discussione la serietà del loro matrimonio, Rukawa aveva mollato un calcio sullo stomaco, giusto per chiarire il concetto.
Kaede gli accarezzò i capelli. “Dici che si offendono se ne approfittiamo?”
E, prima che Sendoh potesse realizzare appieno quello che gli stava dicendo, si alzò e gli porse una mano.
Si misero a volteggiare poco distanti da Kogure e Mitsui e, dopo poco, anche Ayako e Miyagi si unirono a loro. La pista si riempì pian pianino.
Felice come non lo era mai stato, Kogure poggiò la testa sul petto di Mitsui e lasciò che il ragazzo lo stringesse tra le braccia.
Mentre con le labbra sfiorava la fronte di suo marito, lo sguardo di Hisashi cadde su suo padre.
L’uomo stava ridendo felice,lo sguardo concentrato e le mani che gesticolavano animate verso una sedia vuota.
“Hai visto che belli gli sposi? – stava dicendo, la voce resa esile dalla malattia – proprio come quando ci siamo sposati io e te”
Mentre una fitta gli stringeva il cuore, Mitsui guardò verso la sedia e , per un momento, anche a lui parve quasi di vederla. Sua madre, seduta con la schiena dritta ed i capelli raccolti, come sempre era stata. Sua madre che gli sorrideva, felice per lui, felice per Kimi.
 
Nota dell’autore:Questa one shot è dedicata alle mie lettrici/sostenitrici lizardiana e QueenB_ee.
Grazie per seguirmi sempre nei miei deliri letterari.
Per il copyright oltre alla citazione iniziale, Winnie the Pooh e Lilo e Stitch sono due film della Disney, così come La bella e la bestia, da cui è tratta la canzone del ballo. Always sarebbe stata una ballata di Bon Jovi ma, purtroppo per Mitsui, Tetsuo e il porcospino gli han cambiato i piani. Sarà per il prossimo matrimonio.
Il rito che trovate descritto è quello scintoista, con l’aggiunta degli anelli che anche nel mondo nipponico stanno prendendo sempre più piede.
 
 
 
   
 
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