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Autore: Biblioteca    11/06/2020    2 recensioni
I cinque amici (il Necchi, il Mascetti, il Perozzi, il Sassaroli e il Melandri) ne combinano una di troppo e finiscono prima arrestati e poi sotto interrogatorio.
Ma un misterioso avvocato di nome Antani cambierà le carte in tavola.
(Ambientato ai tempi del primo film)
Genere: Comico, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amici e altri amici'
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“Amici miei, mi sa che questa volta siamo nei guai per davvero.” Sentenziò il Mascetti appena fu sicuro di essere solo in cella insieme agli altri: il Perozzi, il Sassaroli, il Necchi e il Melandri.
Tutti e cinque tra tre mura e un cancello ferrato, più tristi che mai.
Era una bella serata estiva, fresca e tranquilla. La serata ideale per una zingarata.
Ma purtroppo, non sempre le zingarate erano destinate al lieto fine.
A volte, se c’era di mezzo una burla da giocare a qualcuno o non andava bene o si era costretti a scappare per l’arrivo della polizia.
Tentare di vendere al più bigotto dei preti bigotti della maremma, fingendosi inviati dal Vaticano “in persona”, una vertebra di montone spacciandola per la vertebra di un santo, era stata una bella idea del Mascetti stesso. Per fare un po’ di soldi, era andato in campagna a vendere i vestiti da neonata della figliola ormai cresciuta. Sapeva infatti che una famiglia di contadini, che aveva già avuto ben sei figli maschi, aveva messo al mondo la prima femminuccia e non potevano certo darle i vestiti dismessi dei fratelli.
L’affare era andato bene. Sulla via del ritorno, accompagnato dal contadino, aveva notato tra i sassi della strada qualcosa di anomalo e l’aveva raccolto: un sasso dalla forma strana. Il contadino gli aveva spiegato che non si trattava di un ciottolo, ma della vertebra di qualche animale, probabilmente un montone, a giudicare dalla grandezza.
L’idea era subito balzata in testa al Mascetti. Un giro di telefonate ed ecco tutti gli amici riuniti nel pomeriggio.
Ma purtroppo, il vecchio prelato bigotto non era solo: con lui c’era un novizio occhialuto che aveva subito intuito l’inganno. Ed aveva chiamato subito la polizia.
E siccome non era il primo scherzo che i cinque amici avevano fatto in quella parte della provincia, il maresciallo della zona era stato ben felice di avere finalmente i cinque burloni, tutti insieme, nella cella.
A quanto pare gli scherzi passati non erano stati presi molto bene dalle “vittime” che avevano raccontato al maresciallo dei cinque ingegneri, forestali, ferrovieri, professori, finanzieri, banchieri e tante altre professioni con cui si erano presentati, proponendo affari, svelando tradimenti, raccontando leggende del posto, salvo poi la scoperta da parte degli ascoltatori che tutto era falso.
E no, scoprire di essersi fatti prendere per il naso non è mai bello.
Ed ecco che per sfogo, o per vendetta, chi non si vergognava era andato a parlare al braccio destro della legge: il Maresciallo Rosselli.
“Ci da la caccia da molto tempo, quello lì.” Spiegò il Mascetti “È un osso duro!”
“Più duro della tua vertebra?” domandò il Necchi, anche lui rattristato dall’insuccesso, ma non troppo preoccupato.
“Necchi, non scherziamo. Qui la cosa è seria!” sbottò il Melandri “Vedrai tu Necchi quando toccherà a te la quantità di fascicoli sul tavolo del maresciallo!”
“Guido Necchi!” esclamò la voce dell’appuntato ricomparso all’improvviso nel corridoio.
Necchi fu prelevato dalla cella e portato davanti al maresciallo, lasciando soli gli altri quattro.
“Bravo Melandri, l’hai chiamato.” Fece il Perozzi.
“Se ho capito bene, stanno andando in ordine alfabetico.” Disse calmo il Sassaroli “E io dovrei essere l’ultimo.”
“Sassaroli, non è che c’hai qualcuno da chiamare? Un buon avvocato?” domandò il Melandri.
“Ah, certo che ce l’ho. Ma non credo che sarebbe disposto ad accettare una sola parcella per difenderci tutti e cinque.”
“Che problema c’è? Noi tutti possiamo permetterci…” ma il Melandri si interruppe nel momento in cui per caso incrociò lo sguardo del Mascetti e abbassò lo sguardo imbarazzato.
In altre circostanze, il Mascetti avrebbe reagito molto male a una battuta involontaria simile.
Ma in quel momento non ci riuscì. Sentiva anche lui il peso di quella situazione, a modo suo assurda e inaspettata allo stesso tempo. In più, sottoposto all’interrogatorio con Rosselli aveva capito che nulla lo avrebbe potuto salvare: né il suo titolo nobiliare, né una buona supercazzola.
Per quanto ci avesse anche provato.
 
“Beh generale, capisca, se mi chiama Antani, a sinistra no, nessuno può riuscire a truffare un rabarbaro perché prema turare una permuta…”
“Sì, la supercazzola, l’hanno descritta tutte le vittime da voi raggirate.”
“Ma raggirate, per una curva soltanto con scappella mento a destra!”
“Conte Mascetti, se lo può permettere un avvocato o no?”
“Permettere topioco ovviamente, senza stretta di mano da contratto!”
“E inoltre, se è vero che ha una figlia e sua moglie non lavora, cosa preferisce, un istituto o i servizi sociali?”
 
Quando il Maresciallo aveva tirato in mezzo sua figlia, il Mascetti si era sentito molto a disagio.
Si era reso conto che forse la situazione era più seria di quanto credesse.
Aveva iniziato a pensare a tutti gli avvocati che aveva conosciuto ai bei tempi andati. E era arrivato alla conclusione che nessuno di loro l’avrebbe mai aiutato senza compenso.
“Perozzi, ma il tuo figliolo, non era laureato in legge?”
Il Perozzi si era acceso una sigaretta e per poco non la sputò per la sorpresa.
“Lucianino? Scherzi vero? E comunque l’ha fatto la carriera accademica. Non è nemmeno iscritto all’albo.”
“Certo, ma già che è in città approfittiamone!  Magari conosce qualcuno!” insistette il Mascetti “Qualche novellino che deve farsi le ossa, che accetta pagherò, che…” si interruppe perché il Necchi venne riportato in cella.
Era pallidissimo.
“Hanno detto che manderanno l’ufficio d’igiene e la finanza al bar…” mormorò “Carmen questa non me la perdona…”
“Cazzo questo qui è proprio uno stronzo!” esclamò all’improvviso il Sassaroli “Per qualche scherzo che abbiamo fato negli anni sembra che vuole farci a pezzi!”
“Il Melandri non scherzava quando diceva che i fascicoli erano tanti.” Disse il Necchi “Siamo stati segnalati da tutti quelli della zona.”
“Alfeo Sassaroli!”
Calmo il Sassaroli seguì l’appuntato.
Tornò, come gli altri, dopo un tempo relativamente breve.
“Com’è andata?” gli chiese il Necchi.
“Ha capito che sono quello che può uscirne meglio, quindi non è stato troppo severo.”
“L’è stronzo e pure vigliacco!” Sibillò tra i denti il Melandri.
“Giorgio Perozzi!”
Il Perozzi sospirò e seguì l’appuntato. Prima di uscire dalla cella, fece l’occhiolino ai suoi amici.
Se la situazione era tanto grave, come poi in cuor suo sperava in realtà non fosse, si sarebbe preso tutto il piacere del mondo di fare qualche brutto tiro a quello stronzo che metteva completamente in soggezione i suoi amici.
Quando arrivò davanti al Maresciallo Rosselli, quello non gli strinse la mano né gli fece cenno di accomodarsi. Stava leggendo il suo documento.
“Giorgio Perozzi, classe 1922, capocronista della Nazione, residente a Firenze.” Mormorò.
Il Perozzi si sedette davanti a lui. “Sì, lo so, mi conosco abbastanza bene, non c’è bisogno che mi legga ogni cosa.”
Il Maresciallo sollevò gli occhi incredibilmente azzurri dal documento e lo fissò.
Il Perozzi, che era partito molto bene, si sentì all’improvviso profondamente a disagio. Senza capire perché.
“Lei non si ricorda di me, vero signor Perozzi?”
“Prego?”
“No, non se lo ricorda.”
Il Maresciallo tornò a fissare il documento, lasciando il Perozzi interdetto.
No che non si ricordava nulla; anche perché, ne era sicuro, degli occhi come quelli di certo non se li sarebbe mai scordati.
“Potrei chiederle come mai mi ha rivolto la domanda?”
“Certo che può chiedere, ma non è detto che io risponda.”
L’era stronzo e anche bravo.
Aveva ragione il Mascetti, la supercazzola non avrebbe funzionato.
Per diversi minuti ci fu solo un silenzio molto imbarazzante, almeno per il Perozzi, rotto soltanto dallo sfogliare delle pagine del Maresciallo.
“Beh signor Perozzi. Ce n’è di roba qui.” Disse finalmente dopo molto il carabiniere “direi che un paio d’anni a lei non glieli toglie nessuno.”
“Non si è innocenti fino a prova contraria?”
“Di prove contrarie ce ne sono molte, qui.” Indicò i fascicoli. Erano effettivamente tanti.
“Bene, allora andiamo in tribunale già da subito. Le va?”
“L’è notte fonda.” L’improvvisa virata sul toscanaccio del Maresciallo impensierì ancora di più il Perozzi: si era aspettato tanta severità da parte di qualcuno proveniente da un'altra regione. Ma questo invece era toscano, dunque sapeva della tradizione delle burle; e tuttavia era chiaramente deciso a non farla passare liscia a nessuno di loro… o forse solo al Sassaroli.
E poi quella strana domanda all’inizio. E se ci fosse stato sotto qualcosa di intimamente personale?
Aveva forse subito anche lui uno scherzo?
“C’è poi anche da dire che non per tutti la sorte sarà la stessa. Il vorsto quinto amico, il Sassaroli, non compare in tutte le denunce. Mentre il capo della banda, il mandante delle vostre truffe, il Mascetti, pare essere…”
“Non abbiamo capi noi!” sbottò il Perozzi interrompendolo “Siamo zingari. Facciamo quello che vogliamo tutti insieme. Tutti d’accordo!”
“Via Perozzi, lei sa che in ogni gruppo ne esce qualcuno più carismatico degli altri che guida la situazione. Come ne esce qualcuno che è più disposto a parlare di altri, perché magari rischia di più.”
Il Perozzi in quel momento saltò sulla sedia, strinse i pugni  e rosso come un peperone per la rabbia fissò il Maresciallo.
“Che storia è mai questa!? Perché ci trattate come se fossimo dei delinquenti!?” urlò.
“Avete orchestrato delle truffe in tutta la zona, siete dei delinquenti.” Il Maresciallo non si scompose minimamente di fronte alla sua furia.
“Non l’erano truffe! Erano burle! BURLE CAZZO!”
“Si sieda immediatamente.”
“Centinaia di criminali VERI girano questo paese completamente impuniti, perché vi rivolgete così a noi che siamo quattro disgraziati che vogliono solo divertirsi!!!!”
“Signor Perozzi, lei sta peggiorando la sua situazione. Si sieda.”
Il tono gelido del Maresciallo non spense la furia del Perozzi, ma lo convinse a tornare a sedersi.
Consapevole che rischiava di schiantarsi contro un muro di ghiaccio.
Respirò a fondo per riprendere fiato.
Il Mascetti aveva ragione, erano in una brutta situazione.
In quel momento l’appuntato fece il suo ingresso.
“La mi scusi Maresciallo, l’è arrivato l’avvocato dei signori.”
Pausa.
“L’avvocato dei signori?”
“Sì. Dice che li rappresenta tutti e cinque.”
Il Perozzi sgranò gli occhi stupito.
Un avvocato? Per tutti loro? E chi l’aveva chiamato?
“Va bene, può entrare. Inizierà con il Perozzi.”
Nell’ufficio del Maresciallo fece ingresso un uomo molto alto, che indossava un cappello fedora piuttosto grande, che gli copriva anche la fronte. Gli occhiali a fondo di bottiglia rendevano gli occhi invisibili e il volto era ricoperto da una barba nera e dalla lunghezza anomala, soprattutto per un avvocato. Indossava già la toga, cosa strana che lo faceva apparire quasi ridicolo.
Osservandolo il Perozzi sentì di essere passato dalla padella alla brace: difesi da uno così non avevano speranza di uscire da lì.
“Sono il Maresciallo Piero Rossellini.”
“Giuliano Antani.” Si presentò l’avvocato con una voce stranamente acuta.
A sentire “Antani” il Perozzi sgranò gli occhi per la sorpresa.
 
Continua…
  
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