Altre cinquecento inutili parole collegate a Konoha, mattina e via di seguito. A voi
di capire cosa e quando, ma non dovrebbe essere difficile.
A presto.
suni
Orgoglio
“…Insomma, come mi sta?”
Sasuke sussulta di soprassalto, tanto quella domanda
giunge inaspettata, e solleva la testa dal cuscino di scatto gettando a Naruto
una blanda occhiata perplessa. Dopo gli strepiti e i festeggiamenti della sera
precedente, e il focoso ritorno a casa che li ha visti cominciare a svestirsi
già per strada, nel rione deserto del clan Uchiha, sono crollati addormentati
come sacchi di patate. E ora, appena sveglio e ancora parzialmente intontito,
ecco il dobe fargli quella ridicola domanda
osservandosi nello specchio con quella faccia da gradasso.
Sbuffa silenzioso e riappoggia delicatamente giù la
testa, quasi non l’avesse sentito.
“Dai, teme, come mi sta?” continua ad abbaiare
Naruto agitandosi davanti allo specchio.
Non fa nemmeno caso al fatto che il genio giri ostentatamente
il viso dal lato opposto né che emetta un sospiro un po’
più rumoroso, ma continua a scalmanarsi raggiante davanti allo specchio,
baloccandosi con quel ridicolo cappello che ha sulla testa e che dondola da un
lato all’altro. Non smette di toccarlo e cambiargli posizione – un po’
più inclinato, un po’ meno schiacciato, sulle ventitre – rischiando
di farlo cadere di continuo e ridacchiando esaltato: gli piace, e ritiene sia
giusto. Se l’è meritato, perché ha salvato Konoha,
perché è forte, e anche perché ha reso Sasuke alla nazione
del Fuoco. Soprattutto per questo, dal suo punto di vista.
“Allora? Come sta?”
Sasuke si rizza a sedere di slancio, con un movimento
violento e improvviso, e girandosi Naruto vede la piega minacciosa delle sue
sopracciglia, la linea sottile della labbra assottigliate con fastidio. Ma non
fa nemmeno in tempo a reagire: la fronte di Sasuke si distende e tra le labbra
sfiata un sospiro rassegnato come un sibilo.
Perché Naruto ha gli occhi così azzurri,
oggi, e così luminosi, che incazzarsi è faccenda complicata. Sulla
faccia ha stampato un sorriso d’una lucentezza e un’intensità
abbacinanti, un sorriso assoluto da bambino che ha ricevuto il più bello
dei regali. Sasuke ha visto quel sorriso una sola altra volta, parecchi anni
fa, seduto su un letto dell’ospedale di Konoha quando i suoi occhi sono
tornati a vedere, dopo l’operazione della hime.
Ha salutato Naruto – era la prima volta che lo salutava veramente, da quand’era tornato
suo malgrado al villaggio – e lui ha riso piano, con quello stesso
scintillio della persona.
Allora sbuffa rumorosamente, squadrandolo con fare
superiore e condiscendente dall’alto in basso. E il sorriso di Naruto si
fa ancor più smagliante sotto quel dannato cappello, non pare nemmeno
umano e riempie tutto la stanza, tutto lo spazio, anche dentro, s’incastra nella gola.
Naruto lo vede arricciare il naso e si sistema un’altra
volta, solenne, il jingasa sul capo. Nel nero delle
iridi di Sasuke brilla qualcosa, allora, non è soltanto quella sua
ilarità discreta e silenziosa perché c’è anche dell’altro,
che quasi fa male allo stomaco, qualcosa come orgoglio.
E le labbra del genio si piegano nel suo inconfondibile,
minimo e divino sorriso.
“Molto bene, Hokagesama.”
E lo stomaco di Naruto esplode d’estasi, mentre scoppia
a ridere.
Il jingasa, forse, è il
cappello che ha in testa Sarutobi, come gli altri kage. Ne approfitto per ringraziare Lady of Evil Nanto
che si è prestata a reperire quest’informazione.