Un caso
per il commissario Dupré.
Giovanni
Duprè è il nome di un pittore realmente esistito
che ho
deciso di usare in questa storia.
Il
commissario non è esattamente una figura positiva. La sua
leggera misoginia è voluta.
Questa
storia partecipa alla challenge di Punto & Virgola.
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I
pacchetti:
Inizio-
Cobalto - ‘Se la sua vita fosse stata un libro, Frankie
l'avrebbe intitolato DELUSIONE, definendo così degnamente il
disastro che erano
la sua carriera, la sua famiglia e, naturalmente, la sua vita
sentimentale.’ -
La vita inizia quando trovi il libro giusto, Ali Berg, Michelle Kalus.
Parte
centrale - Platino
-
‘In quel villino è nascosto un segreto che non
avrebbe proiettato su di noi
ancora a lungo la sua ombra cupa. non ho bussato nemmeno alla porta, ho
girato
la maniglia e mi sono precipitato dentro.’ –
L’avventura della faccia
spettrale, Arthur Conan Doyle.
Conclusione
- Arsenico ‘Ma nonostante quelle manchevolezze, gli
auguri, le speranze, l'affetto, gli auspici del piccolo gruppo di veri
amici
presenti alla cerimonia furono interamente confermati dalla perfetta
felicità
di quell’unione’ - Emma, Jane Austen.
Matrimoni
e veleni
L’investigatore
Giovanni Dupré era sdraiato sul letto. Il suo
corpo era abbandonato indolente, ma i suoi occhi vagavano irrequieti.
L’uomo
si passò la mano tra la barba spessa e il suo sguardo si
focalizzò sul soffitto. I suoi occhi, dalle iridi grigio
chiaro, avevano un
taglio aguzzo e il suo viso era severo, squadrato.
<
Avrei potuto dirle che mi andavano bene tutte le modifiche
che voleva fare alla mia abitazione. Avrei dovuto dirle quanto fossi
felice
della sua scelta di trasferirsi con me.
Avrei…
Non ho
fatto niente di tutto questo. Non volevo perdere la mia
libertà. Sono il solito scontroso che vive solo per
risolvere i suoi casi.
Occuparmi
di quei delitti non è questione di giustizia, ma di
perverso orgoglio. Miro a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle fino
a farli
quadrare >.
Recuperò
la tabacchiera e la pipa dal comodino, aprì il cassetto e
ne prese dei fiammiferi.
<
Se la mia vita fosse un libro, la intitolerei: Delusione.
Nina se
n’è andata. Non ritornerà, non
varcherà più quella porta.
Sono anni
che rimando la nostra convivenza. Non l’ho mai trattata
male, ma… Ho lasciato che il nostro rapporto divenisse
languido, stanco e
annoiato, abbandonato in un angolo a fare la polvere.
Sì,
delusione è la parola esatta per definire degnamente il
disastro che sono la mia carriera, la mia famiglia, e, ovviamente, la
mia vita
sentimentale >.
Mise il
tabacco nella pipa e l’accese. < Molti potrebbero
pensare che sono ben sistemato come commissario. Minchiate.
Sono anni
che devono darmi una dannata promozione. Raggiungerò la
pensione e sarà già tanto se non mi avranno fatto
retrocedere >. Si deterse
le labbra con la lingua., espirando il fumo dalle narici. La pipa era
di legno
chiaro, cesellato.
Il
telefono di Dupré squillò. Una volta recuperato,
l’uomo rispose
alla chiamata dicendo: “Sì?”.
“Commissario,
scusi se la disturbo a quest’ora. Però
c’è stato un
suicidio”. Riconobbe la voce di un suo collaboratore.
“Non
potevate chiamare Leon?” domandò, riferendosi al
suo Vice.
“Signore,
è una cosa grave. Il suicida si è buttato sotto
un treno
e ha bloccato la circolazione del regionale. Ha lasciato una lettera
d’addio
appesa ad un lampione. A quanto pare ha commesso un omicidio”
gli rispose
l’altro poliziotto.
Dupré
si alzò seduto, con sguardo attento. < Ora sembra
interessante > pensò. “Alla stazione
centrale?”.
“Sì,
signore. Al binario sette” gli venne risposto.
“Arrivo”
rispose lui, chiudendo la telefonata.
***
L’investigatore
raggiunse una giovane dai corti capelli castani.
La chiamò: “Mrs. Elizabeth si fermi”.
Estrasse un taccuino con una penna. “O
qualche domanda da farle riguardo al suicidio del giovane signor
Charles”.
Elizabeth
si voltò verso di lui, con calma studiata, ed
annuì,
stringendo a sé la borsa colma di libri. “Non mi
aspettavo avrebbero chiamato la
polizia. Lei è?” domandò.
“Dupré,
sono l’investigatore addetto a questo caso” rispose
l’uomo.
Lei
sussurrò: “Oh, è un piacere”.
L’investigatore
socchiuse gli occhi, fino a renderli sottili.
“Piacere
mio” rispose con tono sbrigativo.
La
giovane donna si ravvivò i capelli con una mano, il suo
profumo
punse le narici dell’investigatore.
“Questa
storia è una tragedia”. Deglutì in modo
vistoso. “Non
posso credere che un brav’uomo come lui si sia
suicidato” disse.
L’investigatore
si portò la sigaretta alle labbra e la scrutò,
con
attenzione.
“A
quanto pare la morte del suo capo non fu un incidente. Il
signor Charles ha confessato di averlo avvelenato e di essersi ucciso
per il
rimorso”.
La donna
sgranò gli occhi, impallidendo.
“Co-cosa?
Charles avrebbe ucciso suo padre?” gemette, tremando.
“Certo, non andavano d’accordo, ma… Non
posso crederci. Lui era così
sensibile…” esalò.
“Mi
hanno detto che non andava d’accordo con il padre”
disse il
commissario.
La
giovane annuì. “Piangeva spesso. Sa, era
così fragile…”.
<
… E completamente incapace con i veleni. La signorina ha dei
gioielli molto costosi e anche il suo profumo deve valere molto.
Però quella
borsa e quei libri sono di seconda mano. La sua dev’essere
una ricchezza
recente che non proviene dalla famiglia > rifletté
l’uomo.
“Lei
era una delle studentesse del signor Edward?”
domandò.
La
giovane annuì, chinando il capo.
“Un
vero luminare…” sussurrò.
L’investigatore
prese un paio di appunti e si deterse le labbra
con la lingua.
“All’università
mi hanno detto che lei è qui grazie ad una borsa
di studio” disse.
La
giovane annuì.
“La
devo al signor Edward. Lui ha riconosciuto le mie doti”
ammise.
***
<
Io e il mio Vice abbiamo brancolato nel buio anche troppo.
Avviluppati da un’ombra cupa che proviene da un segreto
nascosto proprio in
quel villino. Ora è tempo di mettere fine a tutto questo.
Non busso
nemmeno alla porta e non utilizzo la maniglia. Sfondo
l’uscio e mi precipito dentro.
Chi era
veramente colpevole mi è stato chiaro fin dal primo
momento. Però, anche se possedevo il movente, non potevo
provarlo. ‘Lei’ aveva
un alibi.
Al
contrario del mio vice non mi ero fatto ingannare dalle sue
graziose forme.
Forse
perché il mio cuore è più proiettato
verso una come Nina.
Lei è sempre stata una donna semplice, per quanto brillante,
tutta il contrario
della mia assassina. Riesco a riconoscere le donne predatrici, voraci
quanto i
peggiori degli uomini > pensò.
Elizabeth
si voltò verso di lui, lentamente.
“Non
avrebbe dovuto seguirmi qui, commissario”. Al suo fianco
c’era un’alta pianta tropicale, dotata di lunghi
aghi intrisi di veleno. “Un
solo movimento e la mia creazione sparerà i suoi dardi
ovunque. Saremo morti
prima che ci ritrovino”.
“Lei
aveva un movente più che evidente, il signor Edward aveva
deciso di non pagare più per farle vivere la sua vita
mondana, ben al di sopra
delle sue possibilità.
Il
signor. Charles questo lo sapeva. Era pronto a prendersi la sua
colpa e si è suicidato per questo” le disse
Dupré, guardandosi intorno.
“Sì,
quel viscido vecchio di suo padre non voleva più mantenermi,
aveva trovato un’altra amante.
Quel
idiota di Charles doveva lasciare tutto come stava. Sembrava
che quel matusalemme maledetto fosse morto per cause naturali.
Invece
no, Charles doveva mescolare le carte! In fondo lei è qui
proprio per quel dannato suicidio!”. La voce di Elizabeth era
strozzata, mentre
gridava.
<
La devo lasciare parlare. Finché è distratta
posso agire >
pensò Duprè. Con un movimento nascosto della mano
afferrò un pezzo di legno.
< Ho un’unica possibilità > si disse.
***
“Pronto?”
biascicò Dupré con la voce impastata,
avvicinandosi
l’apparecchio al viso.
“Sono
Nina” rispose una voce femminile dall’altra parte.
<
Basta così poco per raggelarmi, soltanto un nome... il suo
nome.
Una
spiacevole sensazione mi colpisce al cuore, mentre i peggiori
scenari apocalittici mi scorrono davanti.
Dopo
dieci anni insieme, avrà deciso che le braccia di qualcun
altro possono accoglierla meglio delle mie?
In fondo
ho incrinato io per sempre il nostro rapporto. Anche se
lei mi ha sempre aspettato pazientemente, fin troppo rispetto a quanto
si
meriti una testa di minchia come me > pensò
l’uomo.
“Ho
saputo che sei finito in ospedale”. Proseguì lei.
Il
commissario fece un pesante sospirò.
“Lavanda
gastrica d’urgenza. Dovrò mangiare orribili
pappette e
brodaglie dietetiche per un po’. Penso che questa sia la vera
tragedia”
rispose. < In fondo non puoi giocare una partita a scacchi
contro una vedova
nera e pensare di non rischiarne il morso. Soltanto che lei avrebbe
dovuto
sapere che uno come me fa sempre scacco matto >
pensò. “Però non
preoccuparti, mi hanno già dimesso. Non potevano sopportarmi
a lungo”.
Udì
Nina sospirare dall’altro lato dell’apparecchio.
“Se
venissi da te per un po’, a preparartele quelle pappine, ti
darebbe fastidio?” gli domandò.
Dupré
serrò gli occhi e, con decisione, cercando di rendere
più
calda la sua voce roca, disse: “Non mi dispiacerebbe se tu
rimanessi per
sempre”.
Nina
mormorò: “Mi sa che la cosa è
più grave del previsto. Non è
da te parlare in questo modo”.
“Vedere
la morte in faccia ti fa capire quali grossi sbagli hai
commesso nella vita” rispose Dupré.
“Lasciarti andare è stato il più grande
di
tutti”.
La
sentì ridacchiare.
“Vengo
domani sera. Ci sentiamo di mattina per metterci
d’accordo”
gli disse.
“A
domani” biascicò Giovanni. La sentì
chiudere la telefonata e
posò l’apparecchio sul comodino, passandosi la
mano sul viso.
<
Ora chi riuscirà a chiudere nuovamente occhio? >
s’interrogò l’uomo.
***
“Allora,
cosa è successo di preciso?” domandò
Nina, mentre gli
rifaceva il letto con movimenti diligenti.
Lui era
seduto in veranda e guardava il mare in lontananza, che
s’intravedeva tra gli edifici. Il vento freddo della sera gli
sferzava il
volto, arrossandogli il naso.
“Un
nuovo innesto di pianta mi teneva sotto tiro. Qualsiasi
movimento l’avrebbe indispettito. Quindi mi sono nascosto
dietro un pezzo di
legno abbastanza grosso da proteggermi tutto, rannicchiandomici dietro
con un
gesto solo. Sono riuscito a non farmi colpire da nessuno degli aculei
di quel
vegetale.
Lo stesso
non si può dire della mia sospettata che non si
aspettava un gesto così avventato da parte mia”
rispose.
“Perché
non ti conosce quanto me, Giovanni. Tu sembri sempre molto
riflessivo, ma sei solo pigro” ribatté Nina.
Dupré
ridacchiò, una risata arrocchita da fumatore.
“Mi
ameresti se non fossi così sorprendente alle
volte?” domandò.
Lei lo
raggiunse, appoggiandosi allo schienale della sua sedia e
gli accarezzò la spalla.
“Questo
non mi spiega come mai sei finito comunque avvelenato. Lei
era già morta” disse.
Il
commissario annuì, assumendo un’espressione
meditabonda.
“Ammetto
di aver commesso un’ingenuità. Desideravo
ardentemente
riavere la tua benevolenza. Sapevo che, ancor più della
convivenza, tu
desideravi il matrimonio”.
Nina
trattenne il fiato, portandosi una mano alla bocca, mentre il
suo battito cardiaco accelerava.
“Nonostante
quella donna fosse una chimica eccezionale, avendo
visto l’espediente della pianta più orientato
verso il mondo botanico, pensavo
che mi avrebbe attaccato utilizzando dei serpenti. Ne erano spariti
alcuni al
rettilario.
Non avrei
mai creduto che si sarebbe introdotta in casa mia per
avvelenare la torta nuziale che avevo comperato.
Lei era
già morta, ma la torta avvelenata erano ancora là.
Mi ero lasciato convincere
da
Leon a comprarla, ad accelerare le tappe per la tua riconquista,
saltandone
alcune. Volevo mostrartela, ma poi non resistito. Ho voluto assaggiarlo
per
sapere se era alla tua altezza, ne avrei fatta portare una identica.
Se i miei
amici non fossero stati con me quel giorno per
consigliarmi, il veleno avrebbe messo fine ai miei gironi troppo in
fretta”
spiegò Dupré.
Nina si
chinò.
“Questo
è terribile” esalò.
“La
torta?” domandò Giovanni, piegando le labbra in un
sorriso tra
il serafico e l’ironico.
Nina
negò col capo.
“Se
davvero vuoi chiedermi in moglie, lo troverò fantastico,
ma…
Il mio cuore si angoscia al pensiero che saresti potuto morire solo
perché non
ho voluto ‘io ‘aspettare i tuoi tempi”.
Dupré
si alzò dalla sedia e s’inginocchiò
davanti a lei,
prendendole la mano nella propria.
“Non
darti sempre la colpa” sussurrò. La
guardò negli occhi. <
Lei è luminosa come una stella, o come l’idea che
è in grado di far luce su
tutto il caso > pensò. “Vuoi
sposarmi?” domandò.
“Certo
che lo voglio” rispose Nina.
***
<
Il matrimonio non è stato certo come mi aspettavo. Faceva
troppo caldo, gl’invitato erano mogi, i parenti
insopportabili e c’erano troppe
mosche in chiesa.
Io stesso
non ero migliorato. Ancora non capivo come Nina potesse
sopportarmi.
Lei era
nervosa, ma bellissima. Anche se non le avevo mai visto
tutto quel trucco in faccia, era quasi strano.
L’organista
forse ha sbagliato qualche nota ed io ero in ansia per
una possibile chiamata di lavoro. Anche se ero in vacanza,
c’è un tacito
accordo tra noi poliziotti: “Si è sempre
reperibili”.
… Ma nonostante
quelle
manchevolezze… Nonostante le ovvietà come gli
auguri, le speranze, l'affetto,
gli auspici del piccolo gruppo di veri amici presenti alla cerimonia,
la
giustezza della mia decisione fu confermata dalla perfetta
felicità che
quell’unione provocava in me e in Nina >
pensò Dupré. Mise in moto la
macchina.
“Pronta
per il viaggio di nozze?” domandò lui secco.
Nina
annuì sorridendo.
<
Sperando non ci siano morti a disturbare questa luna di miele
> pensò. Partì sgommando, mentre gli
invitati, riflessi nello specchietto
retrovisore, si facevano sempre più piccoli e lontani.