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Autore: kibachan    21/06/2020    1 recensioni
[Baby Netflix]
[Baby Netflix]Cosa succede a Fabio dopo la fine della seconda stagione? E a Brando sopratutto?? L'esperienza spaventosa del suo collasso sarà l'occasione per riavvicinarsi, e iniziare a lavorare per cominciare ad essere... davvero sé stesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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NON AVERE PAURA

 

 

Fabio correva come non aveva mai corso. Quei bastardi della sicurezza gli avevano fatto parcheggiare il motorino praticamente a casa, e il resto della strada che lo separava dall'entrata del Pertini se la stava facendo come se fossero i 100 metri alle olimpiadi.

La notifica di quello che era successo gli era arrivata dai social. Come tutto d'altra parte. Qualsiasi notizia i social la sanno prima di te, e te la sbattono in faccia alle 6 di mattina senza premura di filtrarla. Senza premura di chi può saperla e chi no.

A lui la notizia che Brando aveva avuto un'overdose gli era arrivata sulla chat di classe. Subito dopo uno che chiedeva i compiti di algebra per lunedì.

 

Un'overdose. Ma allora succedeva davvero? Non era una cosa da star di Hollywood nelle camere d'albero? Poteva davvero capitare a uno che conoscevi? A uno a cui.... tenevi?

 

Mentre correva con il cuore in gola gli sembrava di averlo davanti agli occhi mentre incosciente lo portavano via, coi tubi nelle braccia e la mascherina dell'ossigeno. Gli sembrava di sentirlo il suono del defibrillatore che tentava di riportarlo indietro.

Probabilmente se al primo messaggio non fosse seguito il secondo, questa volta di Niccolò, dove c'era scritto che lo avevano riacchiappato per i capelli e che stava al Pertini, gli sarebbe venuto un infarto, al suono sordo del defibrillatore che gli batteva nelle orecchie.

Sentiva il suo cuore battere contro la cassa toracica e immaginava quello di Brando, che dopo non so quanti secondi ripartiva.

 

Lo sapeva che era stupido correre così. Che a quel punto arrivare un minuto prima o un minuto dopo non cambiava nulla. Ma era la stessa irrazionalità che l'aveva scaraventato fuori di casa quella mattina a farlo correre. Voleva solo vederlo, coi suoi occhi.

 

A due passi dall'ingresso rallentò di botto e si passò febbrilmente le mani sul viso e sulla testa per ridarsi una parvenza di lucidità. Con solo il ritmo assordante del suo cuore nelle orecchie cercò con gli occhi la reception e chiese informazioni. Ora che ci pensava non sapeva neanche in che reparto fosse.

Terapia intensiva? Rianimazione?

Magari nemmeno POTEVA vederlo. Magari era in prognosi riservata.

Vivo non vuol dire niente... magari aveva danni celebrali, magari era in coma..

 

Scosse la testa per scacciare questi pensieri orrendi e inghiottì a vuoto mentre la ragazza dietro il vetro digitava velocemente sul computer.

 

“non trovo nessun Brando De Santis...” disse dopo un po' “ma è arrivato stanotte?”

Fabio sgranò gli occhi annuendo. La ragazza pigiò ancora qualche tasto ma si capiva che lo faceva a vuoto.

“ma parli del ragazzino con i ricci? Quello che hanno portato con l'ambulanza?” esclamò dopo poco, come se avesse avuto un'illuminazione. Fabio annuì ancora, poi si schiarì la gola, non capendo perchè la sua voce aveva deciso di scioperare.

“ho capito, ho capito... sei fortunato che ero di turno anche stanotte e l'ho visto entrare... aspetta...” digitò ancora a tutta velocità “eccolo qui. Terapia riabilitativa, quarto piano. Orario di visita dalle 9 alle 11” Fabio gettò un'occhiata all'orologio alle spalle della ragazza: 8.45.

“un quarto d'ora e puoi entrare” gli stava dicendo infatti la receptionist “dai che se sta lì non se la passa tanto male” aggiunse facendogli un occhiolino che Fabio ricambiò con un mezzo sorriso, grato.

Respirando profondamente raggiunse una sedia da cui aveva una buona visuale dell'orologio, nonostante ce lo avesse anche al polso.

 

Allo scoccare esatto delle 9 si mosse per raggiungere l'ascensore. Non sapeva come fosse possibile che il suo cuore, anche se non correva ormai da un po', battesse ancor più veloce di prima.

L'ascensore parve metterci una vita, il corridoio gli sembrò il più lungo che avesse mai percorso.

Chiese informazioni, questa volta descrivendo la fisionomia di chi stava cercando, e gli indicarono una specie di stanzino in fondo all'androne. Gli dissero che era l'unica cosa che avevano potuto fare per tenerlo da solo, dato che aveva bisogno di assoluto riposo e terapia intensiva era piena.

 

Brando se ne stava semisdraiato sul lettino a guardare il soffitto nel chiarore asettico della stanza. Si sentiva la testa leggera e gli occhi pesanti. Non gli andava di dormire, così tentò di tenersi sveglio concentrandosi sul gocciolare dei fluidi dalla sacca alla flebo. Non ricordava granché delle ultime ore, ricordava meglio come era iniziata la sua serata: rabbia a pacchi, roba varia, bottiglie, gli occhi blu della prostituta che lo chiamava tesoro, ricordava anche il suo desiderio disperato di trovarla attraente. Poi le cose si facevano più confuse. Mescolate.

Il rumore della porta che si apriva lo fece voltare, ma fu mettere a fuoco chi c'era sulla soglia che lo spinse seduto di scatto. Il cerchio alla testa per la pressione bassa era nulla in confronto alla sorpresa di vederlo. Fabio.

 

Non ebbe neanche il tempo di farsi uscire il suo nome dalla bocca che se lo ritrovò addosso. Aveva percorso la distanza tra loro in due passi e lo aveva abbracciato così stretto da fargli salire il cuore in gola. Lo sentiva tremare.

“credevo non ti avrei più rivisto” lo sentì mormorare “sono quasi morto quando ho letto la notizia che avevi avuto un'overdose ed eri ricoverato. Sei un cazzo di pazzo! Ma quanta roba ti sei calato tutta insieme!? Giuro che se ti vedo in mano anche solo una sigaretta ti picchio personalmente, hai capito??”

A Brando venne da sorridere, poi subito dopo un nodo gli chiuse la gola e poggiò gli occhi sulla sua spalla, respirando a fondo per non piangere.

Fabio che lo sgridava, arrabbiato, ma che mentre lo faceva non aveva mai smesso di abbracciarlo... si rese conto che forse era tutto ciò di cui aveva sempre avuto bisogno, ciò che aveva in fondo desiderato. Sollevò le braccia, esitando un po' prima di ricambiare l'abbraccio, poi lo strinse forte a sua volta.

Fabio si staccò da lui quando gli sembrò che il respiro di Brando tremasse contro il suo collo “oh!” gli disse sorpreso “ma piangi?” gli chiese sentendosi in colpa, forse non avrebbe dovuto aggredirlo così, si era appena ripreso, tempo per le prediche ne avrebbe avuto anche dopo!

“No! Ma che stai a dì??” replicò lui strofinandosi gli occhi di fretta “saranno effetti della droga, mi sento ancora in botta...” Fabio nascose un sorrisino per la bugia un po' infantile del ragazzo approfittando di essersi voltato per recuperare una sedia.

Si sedette accanto al letto e i suoi occhi studiarono rapidamente il suo bel viso, i lineamenti da bambino, mascherati da duro col piglio dello sguardo e della mascella.

Era pallido. Aveva le occhiaie, le labbra un po' troppo chiare.

 

Di nuovo come quella mattina, mentre il vento gli tagliava la faccia in motorino, il tarlo del senso di colpa si affacciò alla sua mente. Ma a differenza di qualche ora prima non lo ricacciò indietro con pensieri più urgenti. Lo lasciò fluire invece. A fondo, a fare male... come era tanto ben abituato a fare.

 

Erano state le sue parole a spingerlo a fare ciò che aveva fatto?

 

Non riusciva ad impedirsi di pensarlo. Lui gli aveva chiesto aiuto il giorno prima. Semplicemente aiuto. E lui lo aveva respinto, sull'onda di un rancore che ora gli sembrava non avere senso. Non respinto come compagno, ma come persona. Sapeva quanto fosse difficile dire la verità su sé stessi. Lui stesso ci era passato. Sapeva quanto tempo lui stesso ci aveva messo a fregarsene degli altri. Eppure a Brando non aveva concesso neanche cinque minuti di esitazione. Perchè era arrabbiato. Era furioso con lui, in quel momento aveva voluto fargli del male, respingerlo con la stessa cattiva fermezza con cui lui gli aveva scandito in faccia “io non sono come te!” detto come se quel

-come te- fosse il peggiore degli insulti.

 

Aveva voluto rendergli pan per focaccia. Come quando aveva scritto sul muro della scuola, e come in quel caso si era pentito di ciò che aveva fatto. Solo che... questa volta aveva rischiato di non poter rimediare simbolicamente al suo gesto con un colpo di vernice spray.

 

“ti chiedo scusa...” si sentì dire in quel momento. Brando lo guardò senza capire “ti ho trattato davvero da cani ieri” spiegò senza avere coraggio di alzare gli occhi “mi sento una merda, tu...”

“ non è stata colpa tua” lo interruppe Brando sospirando e distogliendo anche lui lo sguardo, come se si vergognasse di quanto stava per dire “io volevo annientarmi” quelle tre parole si depositarono nella stanza come macigni “non avevo intenzioni di ammazzarmi...” corresse il tiro lui dopo una pausa “ma volevo far sparire quel me che detestavo. Quello che guardava le ragazze senza sentire niente di ciò che dicevano gli altri. Quello sbagliato. Quello che...” fece una pausa per lanciargli un'occhiata fugace “provava qualcosa per te” borbottò due toni più basso.

Fabio sentì una stretta al cuore a quelle parole e smorzò un sorriso triste, che comunque lui non vide.

“volevo provare a me stesso che quello non ero io. Che era stato uno scherzo. E che io potevo scoparmi chi dicevo io, se volevo.” riprese Brando “ma non ci sono riuscito neanche mandandomi quasi all'altro mondo. Che coglione eh?” concluse con una risatina finta. Fabio scosse la testa

“io ti chiedo scusa lo stesso. Ho preteso da te quello che anche io faccio ancora fatica a fare... avevi ragione, ero arrabbiato con te. L'ho fatto sapendo di chiederti troppo, per avere una scusa per trattarti male. Mi dispiace...” ammise con voce addolorata. Brando lo guardò un momento poi sospirò di nuovo “non fa niente. Sono uno stronzo... me lo merito di essere trattato male” Fabio scosse la testa “no invece”.

Brando gli rivolse una piccola occhiata e un mezzo sorriso, che ebbe il potere di fargli rivoltare le budella. A disagio per l'effetto devastante che quel bastardo ancora gli faceva, si tirò su a sedere più composto “visto che siamo in vena di confessioni...” disse con un tono più leggero “ho fatto io la scritta sul muro della scuola” ammise con una smorfia di vergogna. Brando trattenne uno sbuffo di risata, come se quello avesse ormai perso di ogni importanza “ si, lo so” disse con calma, e allo sguardo di interrogativo stupore di Fabio aggiunse “chiunque altro non avrebbe scritto gay, avrebbe scritto frocio” spiegò guardandolo con aria canzonatoria come a dire -la prossima volta che vuoi fare il bullo informati meglio- Fabio rise in imbarazzo e anche a Brando venne da sorridere, poi si poggiò con la schiena ai cuscini sul letto e sospirò. Il suo sguardo tornò di nuovo serio.

 

“glielo dirò, sai? A mio padre.. di... di me insomma” se ne uscì dopo un po'. Fabio lo guardò intensamente, notando come, riferito a sé stesso, ancora non riuscisse neanche a dirla la parola gay “tanto a lui non gliene frega un cazzo di me comunque” aggiunse con tono grave “dai, non dire così...” tentò Fabio, ma Brando lo interruppe sul nascere “sai qual è stata la prima cosa che mi ha detto quando mi sono svegliato?” disse a mo di spiegazione delle sue parole “ha detto: ti ho registrato col cognome di mamma. Così vediamo se riusciamo a non far finire sui giornali sto cazzo di casino che mi hai combinato” recitò con tono sprezzante “hai capito? Io sono quasi morto... e a lui gli ho fatto un casino di immagine.. che stronzo” Fabio non sapeva cosa dire davanti a queste parole, così allungò la mano e si limitò a stringere quella di Brando nella sua, forte. Brando non si voltò a guardarlo, preso da quel momento di rabbia verso suo padre, ma ricambio la stretta.

 

Erano fermi così da qualche minuto, a tenersi la mano senza dire niente quando a Fabio, nel guardare Brando, parve di vederlo impallidire di colpo ancora di più. Subito si mise in allarme

“hei! Cosa c'è? Stai male?” gli chiese con urgenza. L'altro scosse la testa inghiottendo acido “no...” si affrettò a dire lasciandogli la mano per agitarla un po', come a dire di non preoccuparsi “sono solo stanco” “ti lascio riposare allora, dai” esclamò Fabio alzandosi in piedi. Brando avrebbe voluto che restasse in realtà, ma non disse nulla.

“quando ti faranno uscire?” gli chiese indicando la stanza roteando il dito. Il moro fece un'alzata di spalle “mi hanno messo sotto flebo a stecca, il dottore ha detto che devo buttare fuori tutta la merda che mi sono preso” disse indicando con gli occhi e un cenno del capo la sacca del catetere “penso che appena smetto di pisciare radioattivo vado a casa.” Fabio sorrise, lanciandogli ancora un'occhiata di rimprovero “vabbè... allora vengo anche domani” disse con ovvietà.

Passò per un attimo il peso da un piede all'altro guardandolo, come a soppesare se era il caso di fare o meno qualcosa, poi con un gesto naturale si chinò e gli poggiò una mano dietro la testa stampandogli un rapido bacio sulla tempia, a mo di saluto. Brando stava per afferrargli la mano che aveva fatto scivolare via dai suoi capelli, quando bussarono alla porta ed entrambi si fecero istintivamente indietro l'uno dall'altro.

La zazzera bionda di Niccolò si affacciò nella stanza. L'espressione tirata che aveva su si distese quando vide Brando, seduto nel letto e tutto sommato messo manco male.

“oh fratè....” lo salutò sorridendogli “ma che hai combinato??” disse entrando e avvicinandosi per stringere la mano che Brando gli porgeva. I due si scambiarono una stretta vigorosa. Fabio si fece due passi indietro sentendosi di colpo di troppo.

Niccolò si voltò lanciandogli un'occhiata interrogativa “ciao...” biascicò in leggero imbarazzo.

L'ultima volta che aveva interagito con Fabio era per sbatterlo contro la parete del corridoio intimandogli di usare il bagno delle donne. Una roba di cui tutto sommato ancora si vergognava.

Lui ricambiò il saluto con un rapido gesto della mano e un mezzo sorriso

“beh io vado..” disse guardando solo Brando, che lo salutò solo con un cenno del capo, preda di un imbarazzo colossale.

 

Niccolò guardò la porta fino a che Fabio non l'ebbe richiusa dietro di se, poi sbuffò di sollievo “oh ma chi se crede de esse Fedeli? Madre Teresa? Che ti viene a trovare in ospedale nonostante quello che je fai tutti i giorni?” sbottò rivolgendo a Brando un'occhiata incredula “io ti giuro che mi danno sui nervi quelli così... che devono sempre fa vedè che loro so' meglio!”

 

Brando inghiottì acido di nuovo incassando la testa nelle spalle “lascialo in pace dai...” borbottò a mezza bocca, in un pallido tentativo di difesa. “si c'hai ragione...” ribattè Niccolò “che me frega de Fedeli, dimmi di te invece! Come stai??? ci hai fatto prendere un'accidente!” aggiunse interpretando erroneamente le parole di Brando.

Il ragazzo si mise a sedere più dritto, ostentando energie che non aveva “ma bene dai... mi sono solo fatto il trip più grosso della mia vita!” esclamò. Il biondo rise “i tuoi? Mezzi morti de paura?” gli chiese “ma che...” sbuffò Brando “te li vedi?” disse agitando le braccia ad indicare la stanza “mio padre quando mi sono ripreso mi ha pure cazziato. Ha detto che gli ho fatto danno di immagine... lo sai com'è” “che stronzo...” commentò Niccolò.

 

I due erano amici dalle elementari, e forse Niccolò era l'unico a sapere dei freddi rapporti che Brando aveva con il padre.

 

“e tu madre?” chiese ancora, sapendo che era una donna sì distratta, ma comunque affettuosa, lo sorprendeva non vederla lì al suo capezzale. Brando sbuffò di nuovo “mi sa che papà non gliel'ha neanche detto... pensa tipo che sto da te...” “annamo bene...” commentò Niccolò con un sorriso di rabbia, scuotendo la testa. Brando si concesse davanti all'amico un'espressione triste che il biondo consolò con un paio di pacche sulla gamba e un sorriso che diceva -sì, lo so-, poi bussarono alla porta ed entrambe rimisero su la solita maschera. Carlo e Filippo entrarono senza aspettare permesso “Bra!” esclamò Filippo “figlio di puttana che sei! La prossima volta invitaci almeno!” ribattè Carlo. Poi fu tutto un gran battersi il cinque e risate... anche se tutti e quattro lo sapevano che non c'era niente da ridere... ma è così che si deve fare tra amici no?

  
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