Concludo scusandomi per la luuunga spiegazione - che però considero alquanto necessaria - e augurandovi una buona lettura. Spero che la storia possa interessarvi e appassionarvi e che vogliate lasciare qualche recensione per informarvi riguardo le vostre impressioni. Un saluto!
- Project Rainiel -
Duemila anni orsono, il nostro pianeta era abitato dal popolo dei Cetra. Erano esseri pacifici, dall'aspetto umano, fortemente legati alla natura. Cosa li rendeva differenti dai comuni umani? Il loro dono.
I Cetra, oggi chiamati Antichi, possedevano il dono di comunicare direttamente con il pianeta. Potevano sentirlo, comprenderlo. E dal pianeta potevano trarre potere attraverso la preghiera.
I Cetra vivevano in armonia con gli umani e, secondo la leggenda, li avrebbero un giorno condotti alla Terra Promessa, il nuovo mondo.
La loro pace fu però spazzata via, eradicata dal pianeta stesso, e la razza dei Cetra conobbe il proprio crepuscolo.
Una meteora colpì Gaia, il nostro mondo, minacciando di distruggerlo. I Cetra raccolsero le forze per difendere gli umani e il pianeta stesso e, lottando fino all'ultimo, riuscirono a sconfiggere la calamità del cielo, sigillandola nel cratere scavato dalla meteora.
I Cetra si estinsero pian piano, lasciando che la razza umana proliferasse, costruisse, distruggesse. L'uomo si allontanava sempre di più dal suo legame con la natura o con il pianeta stesso. Ma non smise mai di cercare la Terra Promessa.
Il meteorite che colpì Gaia non cadde accidentalmente. Vi era qualcosa al suo interno, qualcosa di molto pericoloso. Qualcosa che avrebbe segnato drastici cambiamenti in futuro.
Un giorno, l'uomo trovò la calamità del cielo, il messia... che fosse l'ultimo dei Cetra, l'erede del pianeta stesso? I dubbi sorsero, sempre più assillanti, finché non venne fatta una nuova, cruciale scoperta.
Una seconda meteora. Una seconda creatura, che però non aveva in alcun modo minacciato di distruggere Gaia.
L'uomo non comprendeva. E, come sappiamo, l'uomo teme ciò che non comprende. Lo mette in gabbia. Lo studia, prova a comprenderlo. Tenta di sottometterlo al proprio volere.
E così accadde. Le due creature furono prese in custodia, rivoltate nei laboratori. Alieni, umani, Cetra. Qualunque fosse la loro natura, l'uomo l'avrebbe scoperta.
[ 1984. Laboratorio Shinra. ]
Finalmente. C'era riuscito. Aveva faticato moltissimo, ma il segreto di Yoshua era finalmente suo. Il prodotto dell'esperimento... completo. Perfetto? Lo sperava vivamente. Gli occhi della Shinra erano puntati su di lui, e sui suoi progetti. Il primo era già andato a buon termine. Non era riuscito a ricreare un Cetra, ma aveva dato vita al soldato perfetto. Una macchina da guerra umana, il mostro per eccellenza. E, sapeva, per ogni mostro doveva esistere una parte contraria. Un eroe, un portatore di vita. Ecco perché aveva lavorato tanto a quel progetto, rendendolo quanto più personale possibile.
Era lì, davanti a lui, una creatura umana in carne ed ossa, ma speciale e diversa dagli altri. Piangeva, strillava, si dimenava. Non come l'altro: era sempre stato calmo, pacato. Non l'aveva mai sentito piangere, neanche una volta. Ma non importava. Ci era riuscito. Un po' di grida... le avrebbe sopportate. Era così fiero di se stesso che avrebbe volentieri baciato il suo riflesso allo specchio. Prese la creatura fra le mani: era piccola, indifesa. Doveva ancora maturare, ma c'era tempo per quello. Ora iniziava il vero gioco... ora poteva finalmente diventare il Dio della Scienza. Poteva farcela, ne era cosciente.
Trascorsero pochi giorni, ma furono sufficienti. Aveva già sottoposto la creatura a molti test. Voleva che sopravvivesse, ma anche che resistesse a ciò che intendeva provare.
«Portate qui l'altro.» ordinò un giorno, impaziente come un bambino in attesa di aprire un regalo.
Nessuna replica, solo azioni. I suoi sottoposti uscirono e tornarono velocemente, silenziosi, pronti. Con loro, un bambino.
Teneva per mano uno degli scienziati. Era composto, ma titubante. La schiena un po' ricurva e la fronte nascosta dai capelli. Ciuffi d'argento, chiari come il pallore lunare, e occhi profondi e taglienti, di un intenso verde acqua.
«Tienila. Non farle del male o ne pagherai le conseguenze.»
Gli affidò la creaturina. Il bambino protese le braccia, ubbidiente, e strinse a sé quel corpicino tremante, avvolto da una copertina rosea. Era morbida, carina, ma spaventata. Perché era spaventata? Cosa le stava facendo quell'uomo?
«Il braccio.» comandò poi l'adulto. «Sbrigati, dammi il braccio!»
Lo fece. Immobile, lasciò che prelevassero il suo sangue senza fiatare. Cosa avrebbe potuto dire, in ogni caso? Non comprendeva ciò che lo circondava. Sentiva solo la creaturina tremare, poi piangere. La strinse più forte a sé, come se potesse proteggerla.
L'uomo portò la siringa a un bancone. Osservò il vetrino. Rilasciò il sangue.
Cadde. Prima una goccia, poi una seconda. Il vetrino sottostante era già coperto di sangue, ma non era il suo. Le gocce caddero e brillarono di una luce rossastra, poi presero a solidificarsi. Una piccola sfera trovò vita in quel laboratorio.
«Questa è una...!»
Non riuscì a resistere, era così emozionato. La toccò.
La sfera si sgretolò sotto le sue dita.
«Cosa...?» Batté un pugno sul tavolo. «Possibile che non serva a nulla?!» continuò a sbraitare.
Il bambino lo osservò, immobile. Lo scrutava con i suoi occhi freddi, dietro quei capelli d'argento.
«No, no. Ha sicuramente funzionato. Ci vuole solo più tempo. E un luogo più sicuro.»
Lo scienziato rise. Poi guardò il bambino.
«Dammela.»
Tirò a sé la creaturina.
Il bambino avrebbe voluto fermarlo. Rischiava di farle del male.
«Dammi quella bambina, ho detto!» ribadì.
Ubbidì all'ordine. Con odio profondo. Come poteva un bambino così piccolo conoscere l'odio? Cosa gli avevano fatto?
«Portatelo via. Ho finito con lui.» avvisò l'uomo, che si era ripreso la creatura.
Lo strattonarono.
«Andiamo.»
Infine, lo portarono fuori. Non avrebbe più rivisto quella bambina per molto, molto tempo.
Lo scienziato, invece, la cullò tra le braccia.
«Ne sono sicuro, questa volta ne sono sicuro.» cantilenò, delirante per l'entusiasmo, «Tu sei il mio miglior risultato, piccola Rainiel.»